La SIAE, com’è noto, è un ente pubblico economico, come tale riconosciuto prima dalla giurisprudenza, sin dal 1954, e, successivamente, dall’art. 1, co. 1 della Legge 9 gennaio 2008, n. 2.
Ai sensi dell’art. 180 l.d.a. la SIAE esercita l’attività di gestione collettiva dei diritti d’autore in via esclusiva. I singoli titolari dei diritti possono esercitare questa funzione autonomamente (ma si tratta di ipotesi più teorica che effettiva), non avendo l’obbligo di iscriversi alla collecting society.
Le ragioni per cui la posizione monopolistica di SIAE non ha ragion d’essere sono molteplici e, in questa sede, non possono essere compiutamente analizzate.
In primo luogo, potrebbe partirsi dall’incostituzionalità dell’art. 180 l.d.a. per violazione del principio di ragionevolezza: è noto, difatti, che il decreto liberalizzazioni abbia liberalizzato il settore dei diritti connessi (sebbene, al momento, il Nuovo Imaie eserciti questa funzione in solitario, in attesa che un decreto dia piena attuazione alla previsione normativa) e, in tutta franchezza, non si vede quali sarebbero le ragioni che porterebbero a giustificare il superamento di un’esclusiva nell’un caso (quello dell’Imaie) e a mantenerlo nell’altro (SIAE).
Maggiori, poi, sono le incompatibilità con il diritto comunitario, che muovono, questa volta, dalla violazione del diritto di stabilimento: la proposta di direttiva sulle collecting societies e, ancor prima, la decisione CISAC della Commissione europea consentono alle società di gestione collettiva di operare anche fuori dei confini patri e, quindi, il divieto per una società di stabilirsi in Italia sarebbe incompatibile con i principi del Trattato. Allo stesso modo, conformemente alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, deve ritenersi che le collecting societies non siano incaricate della gestione di servizi d’interesse economico generale e, quindi, non siano riconducibili al novero delle società di cui all’art. 106 Tratt.
Da ultimo, non può ricordarsi che, nel corso dell’ultimo esercizio, la SIAE non ha distribuito utili tra i suoi iscritti, venendo meno alla sua funzione principale e disattendendo alle ragioni pubblicistiche che ne giustificherebbero il monopolio.
L’impressione che si avverte, sulla scorta delle rapide trasformazioni che si stanno susseguendo a livello nazionale e comunitario, è che la SIAE sia un dinosauro destinato ad estinguersi troppo presto.
Eppure, come la teoria evoluzionistica insegna, è possibile che la SIAE si trasformi in altro.
Le gravi inefficienze di SIAE e la sua gestione disastrosa non devono far dimenticare le valide competenze al suo interno e l’importante know how maturato nel settore dell’intermediazione dei diritti d’autore.
Si potrebbe allora ragionare su di una modifica legislativa, che comporti una biforcazione dell’attuale società.
Una prima società, al termine di un processo di privatizzazione, potrebbe continuare a svolgere le tradizionali attività di gestione, amministrazione e intermediazione dei diritti d’autore; l’altra, invece, dovrebbe essere trasformata, per mezzo di una modifica legislativa, da ente pubblico economico ad ente pubblico tout court, con l’assegnazione di funzioni esclusive di vigilanza e controllo sull’attività svolta dalle collecting societies nazionali.
In questo modo, la prima società si troverebbe a confrontarsi con la concorrenza delle neonate collecting societies (la cui creazione sarebbe resa possibile dal superamento dell’esclusiva di cui all’art. 180 l.d.a.) ovvero con quelle che, stabilite all’estero, potrebbero creare delle sedi in Italia o operare nel nostro mercato dall’estero; l’altra, invece, manterrebbe un ruolo di natura pubblicistica e si farebbe carico delle mansioni demandate dalla direttiva comunitaria.
Quest’ultima società, peraltro, potrebbe anche essere finanziata direttamente dalle collecting societies, prevedendo che una percentuale dei ricavi annuali dell’anno precedente sia destinata al sostentamento dell’ente di vigilanza.
Alla “seconda” SIAE – sempre in ragione delle competenze radicate e della rete capillare di operatori sul territorio – potrebbe anche essere assegnato il compito di offrire un servizio, eventuale e a pagamento, di enforcement dei diritti, almeno limitatamente al controllo capillare degli utilizzatori.
Difatti, sebbene la diffusione via internet delle opere stia progressivamente elidendo la necessità di controlli fisici, al momento tale esigenza persiste, costituendo un costo importante, sia per le società di gestione collettiva straniera, sia per le start-up nazionali che potrebbero faticare a reperire professionalità adeguate per lo svolgimento di tali compiti.
Al contempo, garantendo un controllo effettivo e “fisico” sugli utilizzatori, si dovrebbe prevenire un rischio di undeterrence, connaturato con l’apertura del mercato. Si allude al fatto che la frammentazione delle collecting societies potrebbe determinare in alcuni utilizzatori il convincimento, non necessariamente infondato, che i controlli sulle licenze rilasciate siano più improbabili, inducendoli ad un illecito sfruttamento delle opere.
In questo modo, anche di fronte al venir meno dell’esclusiva assicurata dall’art. 180 l.d.a., alle gravi inefficienze di gestione ed all’incapacità di assicurare effettivamente la tutela degli interessi dei titolari dei diritti, si eviterebbe di correre il rischio di disperdere uno storico bagaglio di conoscenze e di esperienza che, al contrario, potrebbe essere preservato, nell’interesse non della SIAE e di chi l’amministra, ma dell’intera industria culturale italiana.
1 Comment
Pingback: Una modesta proposta di trasformazione della SIAE | Diritto d'autore