Tribunale di Milano: Google è un caching provider anche con la funzione autocomplete

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Grande vittoria per Big G ed un altro tassello importante nel percorso giurisprudenziale tracciato in materia di ruolo e responsabilità degli internet service provider. Nell’ambito di un’istanza cautelare promossa contro Google in relazione alla funzione autocomplete innanzi al Tribunale di Milano, il Tribunale nel rigettare la domanda proposta per cessazione della materia del contendere, ha avuto modo di chiarire il ruolo e le conseguenti responsabilità di Google nella prestazione del servizio.

Nell’ordinanza che si segnala il giudice ha chiarito che: “i termini visualizzati dagli utenti sulla stringa di ricerca attraverso la funzionalità Autocomplete, ovvero in fondo alla pagina di ricerca nella sezione Ricerche Correlate, non costituiscono un archivio, né sono strutturati, organizzati o influenzati da Google che, tramite un software automatico, si limita ad analizzarne la popolarità e a rilasciarli sulla base di un algoritmo […] trattasi di servizi della c.d. attività di “caching” svolta da Google al fine di facilitare, a loro richiesta, l’accesso ad altri destinatari di informazioni fornite da destinatari del servizio, senza che il prestatore del servizio, nella specie Google, sia responsabile del contenuto di tali informazioni a norma dell’art. 15 cit. D.Lgs.”.

Sulla funzione Autocomplete e sui profili di possibile diffamatorietà implicati dalla stessa, il Tribunale ha rilevato come:

  • “non pare potersi ravvisare nell’esito di ricerche del tutto automatiche (effettuate dunque in base agli accostamenti più ricorrenti, ovvero a quanto presente e indicizzato nelle pagine web con quel termine di ricerca, e comunque ad informazioni e materiale pubblicati da terzi in rete), prodotto di un algoritmo, memorizzato al fine di facilitare la ricerca di altri destinatari del servizio, una qualsivoglia affermazione o dichiarazione di contenuto diffamatorio”;
  • “ non valendo dunque la mera associazione dei termini in questione al nome dei ricorrenti in una stringa o canale di ricerca come affermazione, la stessa non può integrare un’affermazione diffamatoria”;
  • “che ciò è tanto più evidente ove si considerino, contrariamente a quanto assunto dai ricorrenti circa lo spazio di attenzione … notoriamente molto limitato degli utenti, l’attuale diffusione dell’accesso ad Internet e il livello medio di conoscenza da parte dei suddetti utenti, cui ormai appare ben nota la funzione di aiuto alla ricerca dei servizi Autocomplete e Ricerche Correlate, laddove, diversamente opinando, i risultati forniti dai citati servizi sarebbero privi di ogni utilità”;
  • “che, analogamente a quanto affermato da altri tribunali europei, se anche oggi l’utente medio può certamente non conoscere le modalità dello strumento di Google….- nella specie Autocomplete e Ricerche Correlate – comprende tuttavia senza alcuna difficoltà che i risultati non sono che proposte di ricerca e non un’affermazione emanante da Google; e ancora che tutto ciò che appare è una lista di singole parole nella stringa di ricerca del motore di ricerca. Per l’utente medio del motore di ricerca questo non implica una dichiarazione di contenuto specifico, in quanto…è generalmente risaputo che l’aiuto alla ricerca che viene visualizzato non è il frutto dell’attività intellettuale di specifici utenti ma quanto invece il risultato di una procedura del tutto automatica”.

Il testo completo dell’ordinanza è disponibile qui.

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