Si è assistito in epoca recente alla crescita di nuovi modelli di business per la fruizione di opere audiovisive, programmaticamente sorti per rispondere alle “esigenze dell’utenza”: ci si riferisce ai servizi di registrazione personale dei video TV, servizi di streaming, RS-DVR, Slingbox e qualsiasi altro dispositivo che permette la visualizzazione di programmi on- demand.
Lo sviluppo delle nuove piattaforme tecnologiche e la moltiplicazione delle modalità di visualizzazione dei contenuti audiovisivi da parte degli utenti hanno portato alla nascita di nuovi rapporti giuridici e a possibilità di violazione dei diritti facenti capo a posizioni giuridiche soggettive di nuova creazione.
Uno dei primi procedimenti ordinari demandati ad un giudice italiano (precisamente la Sezione specializzata in proprietà industriale ed intellettuale del Tribunale di Milano) relativi alla trasmissione di contenuti tutelati dal diritto d’autore sulle piattaforme digitali “innovative”, nella specie con modalità “on- demand”, è quello che ha visto contrapposta la nota cantante Mina Anna Mazzini, in veste di attrice, all’operatore di comunicazioni elettroniche Fastweb, e che si è concluso con sentenza il 14 aprile 2010.
L’azione avviata era tesa ad accertare l’illiceità delle condotte della convenuta, nonché delle terze chiamate RAI (nella sua posizione di cessionaria dei diritti esclusivi) e della sua controllata RAI Click S.p.a. (prima televisione italiana on- demand, il cui modello di business era basato sulla trasmissione di contenuti facenti parte delle “teche” Rai, ovvero collezioni di trasmissioni televisive prodotte e detenute da quest’ultima), cui l’attrice aveva esteso le proprie domande, in quanto aventi ad oggetto la diffusione abusiva delle prestazioni dell’attrice su mezzi di trasmissione differenti da quelli per cui era avvenuta la cessione dei diritti esclusivi, cessione che al tempo della stipulazione del contratto (risalente agli anni 60) poteva afferire soltanto alla comunicazione al pubblico sui canali di diffusione “tradizionali”.
Il ragionamento seguito dai giudici milanesi per respingere le richieste della popolare artista si fonda su due ordini di considerazioni:
Quanto al primo aspetto, il Tribunale di Milano ha proceduto ad una interpretazione dell’art. 80 comma 2 lettera C) della legge sul diritto d’autore, norma ritenuta applicabile al caso di specie, inquadrando in particolare l’attività oggetto di censura nella specie della “comunicazione di opera al pubblico”. Il Tribunale ha ritenuto che per l’attività di “comunicazione al pubblico anche on- demand”, così come per la “diffusione via etere e comunicazione via satellite” delle prestazioni artistiche dal vivo, valga l’eccezione prevista da detta norma, secondo la quale il diritto esclusivo non è riconosciuto qualora le prestazioni “siano rese in funzione di una loro radiodiffusione o siano già oggetto di una fissazione utilizzata per la loro diffusione”.
Di conseguenza, il Tribunale ha statuito in primo luogo che “la comunicazione al pubblico comprende qualunque atto di trasmissione di contenuti protetti diretti ad un pubblico non presente, ma in grado di riceverli attraverso una modalità di connessione su filo o senza filo, e tra questi la diffusione televisiva via etere, via satellite, via cavo, ivi compresa la modalità streaming attraverso la televisione via cavo on- demand”, per poi passare a ritenere che le registrazioni oggetto della contesa configurano prestazioni rese “in funzione di una loro radiodiffusione” e comunque “già oggetto di una fissazione utilizzata per la radiodiffusione”, per cui rientrano nella eccezione prevista dalla norma; la conseguenza per il Giudice è che parte attrice, avendo ceduto con i contratti di scrittura artistico- televisiva stipulati a suo tempo ogni diritto per la libera diffusione televisiva delle prestazioni, per la registrazione con qualsiasi mezzo e per il libero uso a scopo di radiodiffusione, ha consentito anche gli atti di messa a disposizione on- demand, costituendo questi una forma di comunicazione al pubblico disciplinata in maniera omogenea rispetto alla diffusione televisiva via etere ed alla comunicazione via satellite.
Quanto al secondo aspetto, ricordando che nella nozione di comunicazione non rientrano gli atti che consentono all’utente di ottenere la disponibilità di una copia digitale dei contenuti diffusi e tra questi gli atti di immissione dei contenuti protetti in un circuito telematico, al fine di effettuare una copia degli stessi attraverso il dowloading, secondo la fattispecie disciplinata dalla successiva lettera d) del secondo comma dell’art. 80 l.d.a., il Tribunale, osservando che “la possibilità di temporanea memorizzazione del file digitale sui servers di Fastweb non costituisce acquisizione di una copia permanente da parte dell’utente”, ha concluso per l’inapplicabilità della predetta norma, la quale prevede la necessità di una autorizzazione dell’artista.
Sulla base della ricostruzione operata dal Tribunale di Milano, sembrerebbe che gli atti di messa a disposizione on- demand costituiscano una forma di comunicazione al pubblico disciplinata in maniera omogenea rispetto alla diffusione televisiva via etere ed alla comunicazione via satellite, nella misura in cui non consentano una vera e propria registrazione o download dell’opera.
Quel che non è possibile rinvenire nella pronuncia in esame è se debba intendersi in ogni caso che una fattispecie contrattuale stipulata anteriormente alla creazione delle nuove piattaforme televisive debba comportare una implicita autorizzazione da parte degli aventi diritto alla utilizzazione di tali nuove forme di comunicazione.
Poiché infatti i nuovi mezzi di comunicazione al pubblico dell’opera audiovisiva possono importare rilevanti guadagni da parte dell’utilizzatore commerciale, con tale interpretazione si svuoterebbe di fatto sul piano economico il diritto di autorizzazione previsto dalla norma espressa dall’art. 80 l.d. a.
In una prospettiva di riforma l’alternativa prospettabile sarebbe quella della creazione normativa di nuovi diritti modulati in relazione ai nuovi mezzi di comunicazione e diffusione dell’opera.
Si ricorda a tale proposito che l’art. 119 comma 3 l.d.a. prevede che “non possono essere compresi nei contratti aventi ad oggetto tutti i diritti di utilizzazione che spettano all’autore, (ma il principio può essere esteso anche ai “performers”, ovvero artisti esecutori) i futuri diritti eventualmente attribuiti da leggi posteriori, che comportino una protezione dei diritti d’autore più larga nel suo contenuto o di maggiore durata”.
Argomentando da tale disposizione, tenuto conto delle norme esistenti, una diversa soluzione del caso in commento sarebbe potuta discendere da una attenta interpretazione del contratto intercorso tra le parti, al fine di verificare l’ampiezza dei diritti trasferiti anche nell’ambito della stessa facoltà esclusiva, per sua natura frazionabile., specie tenuto conto che la forma di utilizzo commerciale dell’opera in discussione nel giudizio ha avuto come conseguenza la lesione di un interesse economico rilevante.
Poiché la regolamentazione della tutela delle opere audiovisive trova la fonte principale nella legge sul diritto d’autore, e questa, in quanto disciplina di natura privatistica, ha come sua finalità quella della tutela delle posizioni economiche facenti capo ai legittimi titolari dell’opera, si ritiene corretto che nella interpretazione giudiziale delle norme debba trovare spazio la considerazione delle conseguenze economiche delle aggressioni al diritto di esclusiva nella valutazione della liceità o meno delle condotte di aggressione ai diritti individuati da tale normativa.
Ciò specie nei casi in cui, in rapporto ai nuovi comportamenti introdotti dal progresso tecnologico, e alla conseguente sostanziale tipizzazione di nuove forme di aggressione ai diritti dei titolari dello sfruttamento delle opere, non si è assistito alla creazione di nuovi diritti in capo a questi ultimi, la cui tutela è sostanzialmente rimessa alla capacità espansiva delle norme del diritto d’autore e alla loro possibilità di adattarsi ad ogni modalità di aggressione ai diritti dei titolari.
Ovviamente i problemi di cui sopra sorgono in riferimento ai contratti stipulati anteriormente agli sviluppi del business cui si è accennato all’inizio: attualmente la possibilità di diffusione delle opere attraverso i nuovi mezzi di comunicazione viene generalmente considerata in maniera esplicita all’interno dei contratti stipulati da artisti e creatori. Risulta pertanto interessante analizzare brevemente una clausola contrattuale inserita a favore di una rete televisiva italiana, ed avente ad oggetto la cessione dei diritti di sfruttamento di un’opera audiovisiva: in questa si prevede che la rete televisiva “sarà titolare in ogni paese del mondo di tutti i diritti esclusivi di utilizzazione dell’opera (…); che la rete avrà il diritto, il potere e la facoltà di fissare su qualsiasi possibile supporto materiale o immateriale, comunicare, trasmettere e/o diffondere al pubblico o ad altri operatori, in diretta e/o in differita, con qualsiasi mezzo e sistema di diffusione a distanza attualmente conosciuto (…) o inventato in futuro, ivi comprese le applicazioni MMS, WAP, I-mode, utilizzando qualsiasi tecnologia e strumento tecnico terrestre o spaziale di trasmissione e ricezione conosciuto (…) o inventato in futuro, ivi comprese le tecnologie wireless”.
La omnicomprensività della statuizione lascia prevedere che clausole di questo tipo potranno fornire adeguata disciplina del diritto d’autore nel lungo periodo, anche se gli sviluppi tecnologici futuri potrebbero sorprendere anche la più smaliziata contrattualistica dei giorni nostri…