Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore del 22 luglio 2015
Con sentenza n. 31022 del 2015, le Sezioni Unite Penali della Cassazione hanno stabilito che le garanzie previste dalla Costituzione a tutela della stampa si applichino anche all’informazione attuata in modo professionale e diffusa in rete.
Una simile pronuncia è rivoluzionaria sia per il tenore della decisione, sia per alcuni passaggi della motivazione. Ma mentre l’esito ci pare condivisibile, sul ragionamento che ha condotto a tale risultato nutriamo più di una perplessità.
La Corte prende le mosse da un’esigenza comunemente sentita. La diversità di disciplina tra carta stampata e online può urtare contro un certo qual senso di uguaglianza sostanziale che indurrebbe, viceversa, ad applicare ai due fenomeni, obiettivamente molto simili, medesime regole.
Per giungere a questo risultato, però, il Supremo Collegio fornisce quella che ritiene essere un’interpretazione evolutiva del concetto di stampa, contenuto nell’art. 21 della Costituzione e nella stessa “legge stampa” del 1948, a cui non si riesce ad aderire. Secondo la Corte, tale nozione va intesa in senso «figurato» e in quest’ottica corrisponderebbe esclusivamente alla stampa periodica, ovvero all’informazione giornalistica professionale, qualunque sia il mezzo con cui viene diffusa. Una simile presa di posizione, quasi del tutto “inedita” nel panorama dell’ordinamento, travolge l’interpretazione tradizionale, che riconduceva alla stampa, seguendo la lettera della definizione normativa, solo le riproduzioni effettuate con mezzi meccanici e fisico chimici destinate alla pubblicazione, senza distinzione di contenuto. A tale definizione appartenevano certamente i giornali, ma anche i volantini, i libri, i manifesti, qualunque fosse l’argomento in essi trattato, mentre ne era escluso qualunque messaggio diffuso in via telematica poiché era assente, se non altro, la moltiplicazione delle copie.
L’indirizzo scelto dalla recente sentenza, discutibile di per sé, suggerisce ancora maggior scetticismo se si considerano i corollari che la Corte esplicitamente ne trae. Sono conseguenze che vanno ben al di là della questione di diritto sottoposta dalla sezione rimettente. In sintesi si tratta di questo: tutte le disposizioni previste dall’ordinamento per la «stampa» e in particolare per quella periodica, trovano già oggi applicazione alle manifestazioni del pensiero diffuse in rete, a patto che queste ultime abbiano appunto la “natura” giornalistica.
Così, il Collegio sottolinea nella motivazione come sussista fin d’ora un obbligo di registrazione per le testate telematiche presso la cancelleria del tribunale, con la relativa commissione del reato di stampa clandestina per chi non adempie a tale obbligo. Ancora: i giornali online dovrebbero dotarsi di un direttore, a cui sarebbe applicabile l’art. 57 c.p., con la relativa responsabilità colposa per omesso controllo nel caso di reato commesso sul periodico da lui diretto. La giurisprudenza delle Sezioni semplici, finora, aveva escluso simili ipotesi poiché, come accennato, la definizione di stampa non comprendeva la rete, circostanza che escludeva l’applicabilità a quest’ultima delle disposizioni incriminatrici previste per la stampa, in base al divieto di analogia in malam partem.
Non nascondiamo un certo scoramento dopo la lettura delle motivazioni e ci permettiamo di sperare che di questo arresto, proveniente da un organo così autorevole, resti nei repertori il dispositivo più che l’apparato di argomenti che lo sostiene.