Con una decisione del 9 maggio scorso la Federal Comunication Commission, chiamata a pronunciarsi sull’interpretazione di alcune norme del Telephone Consumer Protection Act of 1991, ha sancito un importante quanto innovativo principio in materia di chiamate pubblicitarie.
La Commissione, applicando per analogia il regime di responsabilità previsto nel rapporto di agenzia, ha ritenuto di poter considerare il venditore responsabile per le violazioni del TCPA poste in essere da terze parti, rivenditori indipendenti o società di telemarketing, autorizzati a distribuire i prodotti, anche qualora non eserciti un controllo continuativo e diretto sull’operato di questi.
La decisione è intervenuta a seguito di una petizione congiunta presentata alla FCC al termine di due procedimenti, Philip Charvat contro EchoStar Satellite LLC e Stati Uniti contro DISH Network, LLC, aventi ad oggetto la responsabilità del venditore per telefonate promozionali eseguite da rivenditori indipendenti verso numerazioni iscritte alla do-not-call list o senza l’espresso consenso a ricevere chiamate preregistrate (robocall). In discussione la portata delle disposizioni di cui alle sezioni 227 b) e 227 c) del TCPA ed, in particolare, che cosa dovesse intendersi per “chiamate avviate per conto di”.
Questo il quadro normativo: la sezione 227 b) (1) (B) considera illegale “to initiate any telephone call to any residential telephone line using an artificial or prerecorded voice to deliver a message without the prior express consent of the called party”. La successiva sezione 227 c) invece, al numero (3), autorizza la FCC ad istituire “a list of telephone numbers of residential subscribers who object to receiving telephone solicitations” per tutelare i consumatori dalle chiamate indesiderate, e al numero (5), indica le azioni concesse a coloro che sono vittime di violazioni commesse da o per conto di una società.
La Commissione si è quindi trovata a decidere su due dubbi interpretativi: che cosa debba intendersi per “avvio” di una chiamata e, pertanto, se il venditore possa essere considerato parte attiva nell’avvio della telefonata promozionale e, in secondo luogo, se la previsione di cui al n. (5) della sezione 227 (c) possa estendersi anche alla sezione (b) e quindi se il consumatore possa agire nei confronti del venditore anche in caso di robocall non autorizzate e non solo nell’ipotesi di violazione della do-not-call list.
Sul primo punto la FCC ha ritenuto di non poter ampliare il concetto di “soggetto che avvia una chiamata” fino a ricomprendervi chiunque abbia un qualsiasi ruolo nell’azione, concludendo per una netta distinzione tra chiamata eseguita da un venditore e chiamata eseguita dal telemarketer per conto del venditore. Ciò non toglie che, sempre secondo la Commissione, applicandosi i principi di responsabilità propri del rapporto di agenzia, un venditore è responsabile anche quanto non avvia materialmente la chiamata.
Affinché ciò si realizzi non è necessario un rapporto di agenzia formale ma è sufficiente che il consumatore ragionevolmente creda che il telemarketer abbia l’autorità di agire per conto del venditore o, ancora, che il venditore accetti consapevolmente le conseguenze di tali attività illecite.
In merito al secondo punto invece, per la FCC non avrebbe alcun senso permettere al consumatore di agire nei confronti del venditore per violazione della do-not-call list poste in essere da terzi e, di contro, negare tale rimedio in caso di violazione del divieto di avviare chiamate preregistrate senza l’espresso consenso del destinatario.
Nonostante le critiche e, soprattutto, le accuse di disincentivare l’operato delle aziende, la Commissione non ha inteso modificare il proprio orientamento. Il ragionamento muove da una considerazione in merito alla finalità del TCPA, ossia proteggere i consumatori da invasioni indesiderate della propria sfera personale per finalità di telemarketing.
Il diritto di agire anche nei confronti del venditore dà ai consumatori il potere non solo di chiedere il risarcimento per i danni subiti a causa dell’attività illecita di telemarketing, ma anche di scoraggiare future violazioni della propria privacy. Per le aziende ciò deve rappresentare un incentivo ad esercitare un maggiore controllo e a vigilare sul rispetto della normativa vigente da parte dei propri telemarketers, senza che ciò debba necessariamente comportare un danno all’economia aziendale. Nulla vieta alle aziende, infatti, di inserire nei propri contratti stipulati con terzi rivenditori indipendenti o telemarketers, clausole che prevedano un risarcimento dei danni subiti in caso di comportamenti contrari al TCPA.
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