“Suggest search”: le posizioni del giudice di Milano e di Parigi

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Questo commento costituisce un estratto dell’articolo pubblicato sul portale Diritto24 de “IlSole24Ore”, disponibile a questo indirizzo, a cui si rinvia per la versione integrale del testo

Con questo commento si vuole provare a comparare il reasoning di una recente decisione (14 dicembre 2011) della Corte d’Appello di Parigi, già oggetto di una bella analisi, con quello di un’ordinanza meno recente (del 24 marzo 2011) ad altrettanto, ben commentata, del Tribunale di Milano. La comparazione, che si concentrerà per forza di cose su soltanto alcune delle questioni toccate dalle anzidette decisioni, sembra poter essere rilevante in primo luogo perché entrambe hanno ad oggetto il funzionamento del servizio Google suggest, noto e utilissimo software messo a punto da Google e di cui quest’ultima si avvale per facilitare la ricerca degli utenti attraverso il suo motore di ricerca. In secondo luogo, perché entrambe concludono per una responsabilità dai contenuti assai simili, ma non identici, in capo a Google per diffamazione. In terzo luogo, ed è forse la ragione che più mi ha stimolato a leggere le due decisioni in parallelo, perché il giudice italiano ed il giudice transalpino sono giunti alla stesse conclusioni attraverso un percorso motivazionale che, nel merito, tende a divergere su una serie di punti assai significativi. Sottolineo nel merito in quanto, sotto il profilo della identificazione della legge applicabile, questa viene rispettivamente considerata quella italiana e quella francese sulla base di un’analoga considerazione: la legge applicabile è quella del luogo in cui si è prodotta l’asserita offesa alla reputazione del ricorrente, a prescindere dal luogo della server farm e da quello in cui ha la sede principale la società convenuta. Concordi sotto il profilo processuale, le due decisioni iniziano a divergere laddove, nel merito, deve essere identificato il campo di gioco entro cui accertare le eventuali responsabilità del servizio offerto da Google. Mentre infatti, come è giusto che sia, tutta la partita, per quanto riguarda la decisione italiana, si gioca sulla possibilità di avvalersi, da parte di quest’ultimo, delle esenzioni di responsabilità previste dalla normativa comunitaria e dalla legislazione italiana in tema di e-commerce, a favore degli ISP, la stessa normativa non è praticamente mai presa in considerazione.

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