Revirement dei giudici di merito: il direttore della testata telematica non risponde del reato di omesso controllo. Verso due nozioni di “stampa”?

Corte d’Appello di Milano, sez. III penale, 24 novembre 2022 (dep. 15 dicembre 2022), n. 7696 

Il direttore di una testata telematica non risponde del reato di omesso controllo di cui all’art. 57 c.p. in quanto l’introduzione giurisprudenziale di una nozione più ampia di stampa può consentire l’estensibilità di norme di favore, ma – in assenza di un intervento del legislatore – non di fattispecie incriminatrici.

 

Sommario: 1. Il principio. – 2. La vicenda. – 3. Il precedente cammino della giurisprudenza di legittimità. – 4. La motivazione della Corte d’Appello di Milano. – 5. Qualche considerazione conclusiva.

 

  1. Il principio

Con la sentenza che si annota, la Corte d’Appello di Milano è tornata ad affrontare un tema che negli ultimi anni è al centro di una certo non lineare evoluzione giurisprudenziale: si tratta delle regole da applicare alle manifestazioni del pensiero in rete e, in particolare, della possibile estensione al web del regime specifico previsto per la carta stampata.

I giudici di merito milanesi, in contrasto con alcuni più recenti precedenti di legittimità, hanno stabilito che il direttore della testata telematica non può essere chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 57 c.p.; norma che, come è noto, punisce a titolo di colpa per omesso controllo il direttore di un periodico cartaceo per i reati commessi per mezzo del giornale da lui diretto. E ciò in quanto la nozione evolutiva di “stampa” introdotta dalle Sezioni Unite nel 2015 – nozione che coincide con tutta l’informazione professionale, a prescindere dal mezzo con cui è diffusa – ben può giustificare l’estensione di norme favorevoli (quali le garanzie nei confronti del sequestro di cui all’art. 21 Cost), ma non può condurre all’applicazione di disposizioni sfavorevoli al di fuori dei casi tassativamente previsti in mancanza di una disciplina introdotta dal legislatore.

 

  1. La vicenda

Anticipato l’esito della decisione e accennato al dibattito all’interno del quale essa si inserisce, pare opportuno soffermarsi in breve sul caso concreto.

Stando alla sintesi dei fatti offerta in motivazione, nel 2014 alcuni quotidiani online pubblicavano articoli offensivi nei confronti di un noto presentatore televisivo; più precisamente, diffondevano la notizia secondo la quale avrebbe sperperato i propri averi a causa di scommesse.

All’esito dell’udienza preliminare, il GUP del Tribunale di Milano dichiarava non luogo a procedere nei confronti degli imputati direttori delle testate online, escludendo che a costoro potesse essere applicato il reato di omesso controllo di cui all’art. 57 c.p. previsto esclusivamente per la stampa periodica tradizionale.

Avverso tale decisione proponeva appello il Pubblico Ministero, chiedendo di emettere decreto che dispone il giudizio per i reati di cui all’imputazione. La pubblica accusa, infatti, riteneva che le testate telematiche potessero essere ricondotte alla nozione di stampa di cui all’art. 1 l. 47/1948 e sottolineava che in più occasioni[1] la Corte di cassazione aveva affermato l’applicabilità del reato previsto dall’art. 57 c.p. anche al direttore di un giornale online.

La Corte d’Appello di Milano riformava parzialmente la sentenza impugnata dichiarando non doversi procedere solo in relazione a uno degli imputati per intervenuta remissione di querela dallo stesso accettata, mentre – per le ragioni già anticipate – la confermava nel resto, ribadendo l’inapplicabilità dell’art. 57 c.p. al direttore online.

 

  1. Il precedente cammino della giurisprudenza di legittimità.

Per apprezzare la portata (apparentemente) innovativa della sentenza in commento, occorre ripercorrere il cammino della giurisprudenza di legittimità in tema di estensione della responsabilità per omesso controllo al direttore della testata telematica.

Un primo indirizzo, univoco e a lungo mai smentito, riteneva che de iure condito al direttore di un giornale telematico non potesse estendersi il dettato dell’art. 57 c.p., così come non si potessero applicare ai fenomeni in rete tutte le altre disposizioni espressamente previste per la carta stampata.

Tale orientamento era stato inaugurato da una storica sentenza risalente al 2010[2], un leading case in materia, che aveva escluso l’applicabilità di tale fattispecie incriminatrice sulla base di due argomenti che paiono tuttora, come si dirà, convincenti.

In particolare, il primo consisteva nel divieto di analogia in malam partem, corollario del principio costituzionale di stretta legalità di cui all’art. 25, comma II, Cost. La Cassazione prendeva le mosse dalla consapevolezza che la rete è un mezzo diverso dalla stampa e ciò perché il tenore letterale della definizione di stampa, contenuta all’art. 1 della l. 47/1948[3], non era in alcun modo suscettibile di ricomprendere i fenomeni presenti in rete. Data l’impossibilita di ricondurre le pubblicazioni online alla nozione di stampa, in forza del predetto principio costituzionale la soluzione non poteva che essere la seguente: la disposizione che punisce l’omesso controllo del direttore della stampa cartacea non era applicabile al direttore di un sito diffuso solo online.

Il secondo argomento si basava sull’impossibilità di muovere un rimprovero per una condotta di controllo, imposta dalla citata fattispecie incriminatrice, materialmente inadempibile da parte del direttore sui contenuti pubblicati in rete a fronte della natura interattiva della stessa. In altri termini, si riteneva che l’intrinseca eterogeneità del web avesse ricadute anche sul ruolo e sull’attività del direttore della testata telematica tali per cui un controllo come quello posto in essere dal direttore di un giornale cartaceo fosse in concreto inattuabile e quindi inesigibile.

Da qui, l’ulteriore passo compiuto dalla successiva giurisprudenza di legittimità: poiché alla nozione di “stampa” non potevano essere ricondotti i fenomeni che prendono corpo online, tutte le norme previste per il mezzo tradizionale – sia quelle di favore[4] sia le disposizioni penali sfavorevoli[5] – non erano applicabili alla rete internet.

Come si è visto, il riconoscimento della intrinseca diversità tra stampa e internet era il presupposto indefettibile dell’argomentazione principale, ossia il divieto di analogia in materia penale, che aveva condotto a negare che l’attività del direttore della testata telematica potesse essere ricondotta nell’alveo della fattispecie di cui all’art. 57 c.p[6].

Senonché, una decisione delle Sezioni Unite del 2015, pur intervenendo su una questione differente, ossia la possibile estensione delle guarentigie costituzionali previste dall’art. 21 Cost. per la stampa, aveva posto le basi per il successivo mutamento di tale consolidato approdo.

Per quel che qui interessa, con sentenza n. 31022 del 2015[7] la Cassazione ha avuto l’occasione di offrire una nuova definizione del termine “stampa”. In particolare, secondo le Sezioni Unite era necessario attribuire alla nozione di stampa un differente significato, che fosse coerente con il progresso tecnologico e le mutate abitudini del pubblico: essa, intesa in senso “figurato”, corrisponderebbe all’informazione giornalistica professionale, sia se diffusa su carta stampata che attraverso il web.

La necessità di offrire un’interpretazione estensivo-evolutiva del concetto di stampa nasceva dalla situazione di tensione con il principio di uguaglianza determinata dall’irragionevole differenza di trattamento dell’informazione veicolata su carta stampata rispetto a quella diffusa in rete: soltanto la seconda, non beneficiando delle garanzie previste dall’art. 21 Cost. per la stampa, sarebbe stata assoggettabile a sequestro preventivo per le ipotesi di diffamazione. In altri termini, a detta della Cassazione, si correrebbe il rischio di porre in essere trattamenti differenziati a due fattispecie, cioè giornali online e cartacei, assai simili sotto il profilo funzionale di diffusione dell’informazione professionale.

Proprio grazie all’individuazione di tale nuovo concetto di stampa, le Sezioni Unite hanno stabilito che i giornali online registrati, in quanto coincidenti sotto i profili strutturale e funzionale a quelli tradizionali, sono soggetti alla normativa ordinaria e costituzionale specificatamente prevista per i secondi e beneficiano pertanto delle garanzie costituzionali in materia di sequestro preventivo.

L’innovativa interpretazione della nozione di stampa e il conseguente principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite, prima in sede penale e poi a distanza di breve tempo anche in sede civile[8], hanno rappresentato la premessa per un radicale cambio di posizione della giurisprudenza anche con riferimento all’ambito di applicazione del reato di omesso controllo di cui all’art. 57 c.p.

Dopo tali pronunce, a partire dal 2018 le sezioni semplici hanno infatti cominciato a smentire il proprio precedente orientamento, affermando che ai giornali online, proprio perché ora ritenuti riconducibili alla nuova nozione di stampa, dovessero applicarsi le disposizioni incriminatrici previste per la carta stampata, tra cui appunto il reato di omesso controllo[9].

 

  1. La motivazione della Corte d’appello di Milano.

Il percorso motivazionale che ha portato la Corte d’appello di Milano a escludere l’applicabilità del reato di omesso controllo al direttore di un giornale telematico si pone in aperto contrasto con tale più recente indirizzo della giurisprudenza di legittimità e, viceversa, risulta allineato all’orientamento cristallizzato in precedenza a cui espressamente aderisce e del quale vengono accolte le argomentazioni e l’impianto ermeneutico.

Per giungere a tale conclusione, i giudici meneghini individuano subito quale chiave di volta l’interpretazione del concetto di stampa e la sua (mancata) evoluzione a livello normativo.

Anzitutto viene ricordato l’orientamento di legittimità accolto dal 2010 che, come si è detto, negava l’estensibilità dell’art. 57 c.p. muovendo dalla riconosciuta eterogeneità tra stampa tradizionale e informazione telematica e dalla impossibilità di ricondurre la seconda alla definizione contenuta all’art. 1 l. 47/48. Dopodiché la Corte richiama l’innovativa sentenza delle Sezioni Unite del 2015 che, introducendo la nuova nozione evolutiva di stampa che si è sopra richiamata, tale da ricomprendere tutta l’informazione professionale, aveva sostanzialmente parificato quella veicolata con periodici cartacei e quella diffusa con giornali telematici.

Proprio da qui, secondo la Corte d’appello, sarebbe derivato l’errore in cui sarebbe incorsa la giurisprudenza successiva: e cioè ritenere applicabili non solo le garanzie (nello specifico quelle previste in tema di sequestro dall’art. 21 Cost.) ma anche le disposizioni incriminatrici previste espressamente solo per la stampa e, in particolare, allargare la fattispecie di cui all’art. 57 c.p. pur in assenza di un intervento normativo. Per tale ragione, con parole che non lasciano spazio a dubbi di sorta, viene sottolineato che «il tentativo di interpretazione estensiva delle Sezioni Unite, avvenuto per tutelare il contenuto dell’attività giornalistica, è divenuta definitiva analogia in malam partem per le operazioni ermeneutiche della giurisprudenza successiva».

Proprio perché nei precedenti più immediati di legittimità il nodo della questione si è giocato su un’interpretazione pericolosamente in bilico fra estensione e analogia, la Corte d’Appello ha utilmente voluto ribadire la pur nota differenza tra interpretazione estensiva, ossia un procedimento argomentativo che resta situato all’interno del significato letterale della disposizione, e analogia, che presuppone invece il superamento della lettera della legge e consiste nell’applicare a un caso non espressamente regolato dalla legge una norma che disciplina un’ipotesi simile; e, come noto, la seconda operazione interpretativa, a differenza della prima, in virtù dell’art. 14 delle Preleggi e più in generale dell’art. 25 Cost. è vietata per le leggi penali.

Il riferimento alla distinzione tra i due criteri di auto-integrazione del diritto, l’interpretazione estensiva e quella analogica, introduce il passaggio successivo della motivazione: secondo la Corte d’appello, l’interpretazione estensiva del concetto di stampa compiuta dalle Sezioni Unite nel 2015 deve ritenersi legittima perché volta a estendere norme di favore, ossia le garanzie in tema di sequestro preventivo di cui all’art. 21 Cost.; viceversa, l’automatica estensione dello statuto penale previsto per la stampa non può trovare cittadinanza nel nostro ordinamento perché, in materia penale, l’interprete non ha il potere di colmare quelli che egli percepisce quali vuoti normativi, applicando analogicamente disposizioni incriminatrici e così di fatto creando nuove fattispecie di reato al di là di quanto espressamente stabilito dal legislatore.

Di qui, l’affermazione secondo cui la giurisprudenza delle sezioni semplici successiva alla pronuncia del 2015 avrebbe violato il divieto di analogia in malam partem, ritenendo che l’applicazione del reato di cui all’art. 57 c.p. anche al direttore del giornale on line si ponga al di là di quanto previsto e quanto desumibile dal testo della disposizione.

In conclusione, all’esito del percorso ermeneutico di cui si è dato conto, i giudici milanesi, parlando in modo per nulla sibillino, rilevavano che «se davvero un’esigenza di responsabilizzazione per omesso controllo esiste, anche nel settore telematico, è solo il legislatore che può legittimamente farsene carico. Ad oggi, in assenza di una previsione normativa in questo senso, non è compito del giudice colmare un vuoto normativo con l’applicazione analogica di una previsione punitiva».

  1. Qualche considerazione conclusiva

Dato conto dell’evoluzione giurisprudenziale e reso noto il contenuto della motivazione della sentenza in commento, merita ora svolgere alcune riflessioni sul percorso interpretativo e sugli argomenti che hanno condotto la Corte a (ri)affermare l’inapplicabilità del delitto previsto dall’art. 57 c.p. al direttore della testata telematica.

Le cifre fondamentali di questa decisione, che ne marcano l’importanza, paiono il rigore ermeneutico e la forza delle argomentazioni.

Quale sia il punto di arrivo dei giudici milanesi lo si è già precisato: l’inedita nozione di stampa introdotta in via giurisprudenziale dalle Sezioni Unite nel 2015 consente l’estensione di norme di favore, ma non può giustificare l’applicabilità di fattispecie incriminatrici, in assenza di un intervento normativo, pena la violazione del divieto di analogia in malam partem.

 Per giungere a tale esito – che, lo si afferma fin d’ora, si ritiene del tutto condivisibile – la Corte si è mossa all’esplicito fine di non incorrere in una violazione dei principi fondanti del diritto penale. Di qui, individuando con precisione la linea di confine tra interpretazione estensiva, consentita, e interpretazione analogica in malam partem, vietata, in materia penale, ha (opportunamente) ritenuto che la giurisprudenza di legittimità che aveva applicato il reato di omesso controllo anche al direttore del quotidiano online avesse violato il divieto di interpretazione analogica.

Tale indirizzo sull’ambito di applicazione dell’art. 57 c.p. accolto dal 2018 era stato presentato come la piana conseguenza di quanto statuito dalle Sezioni Unite; sembrava infatti darsi per scontato che la nozione di stampa contenuta nell’art. 57 c.p. e quella di cui all’art. 1 della l. 47/48 fossero del tutto sovrapponibili a quella dell’art. 21 Cost.

Viceversa, la sentenza in esame, muovendo dal presupposto che l’equiparazione tra giornali cartacei e online era stata introdotta in un procedimento in cui di discuteva solo dell’estensione delle guarentigie costituzionali, ha il pregio di aver posto un argine alla nuova nozione di stampa: limitarla solo a casi analoghi di applicazione delle disposizioni di favore contenute nell’art. 21 Cost. ed evitare di ritenerla estesa all’intero ordinamento, in modo tale da non conferirle una portata generale che implicherebbe l’applicabilità anche delle disposizioni di sfavore. Queste ultime, infatti, devono essere interpretate in modo restrittivo, nel pieno rispetto dei principi di tassatività e legalità, che dovrebbero far prediligere l’interpretazione letterale ad ogni altro criterio esegetico.

A ben vedere, peraltro, in Costituzione esistono molte espressioni che sono di norma interpretate attribuendo loro un significato in parte o del tutto diverso da quello che assumono nella legislazione ordinaria; si pensi ad esempio alla nozione costituzionale di buon costume che è diversa da quella utilizzata nel codice civile e nel codice penale.

Di conseguenza, se le Sezioni Unite hanno in effetti introdotto una nuova nozione di stampa, apposta per l’art. 21 Cost., ciò non deve far trarre la conseguenza che esista una e una sola nozione di stampa, valida sia per l’art. 21 Cost., sia per la legge n. 47/48 e per le disposizioni del codice penale. E così, ben potrebbe ritenersi che possano esistere due distinte nozioni di stampa, una per l’articolo 21 e l’altra per la legge 47/48, lasciando così impregiudicato il significato che tale parola assume per le disposizioni del codice penale e in altri testi della legislazione ordinaria. In altri termini, per stampa potrebbe intendersi l’informazione di tipo professionale quando l’espressione è contenuta in Costituzione – il che consente di estendere le garanzie in materia di sequestro anche ai giornali telematici – mentre potrebbe continuare a indicare le sole riproduzioni cartacee quando la medesima espressione si rinviene in disposizioni di rango primario, circostanza che eviterebbe di ampliarne l’estensibilità e di incorrere in una violazione del principio di legalità in materia penale.

Anche per queste ragioni, non può che condividersi la valutazione critica dei giudici milanesi sul percorso logico-giuridico della più recente giurisprudenza di legittimità; esso, in effetti, pareva sganciato dai criteri interpretativi rigorosi che presidiano l’applicazione delle disposizioni penali e si esponeva alla critica di porsi al di là del ruolo nomofilattico riconosciuto alla Cassazione, per aver proposto un’interpretazione dell’art. 57 c.p. talmente disancorata dal testo da scivolare verso la funzione legislativa.

In conclusione, la forza degli argomenti e il modo perentorio in cui la Corte di Milano si è espressa lasciano la sensazione di un – assai opportuno – ritorno al passato e la speranza che in futuro anche la giurisprudenza di legittimità torni sui propri passi. E ciò perché si continua a ritenere che, allo stato, solo il legislatore  in quanto unico soggetto cui compete individuare l’area del punibile, cosicché ai cittadini sia garantita la prevedibilità dei precetti penali, potrebbe imporre una qualche forma di controllo al direttore on line, assistita da una sanzione penale; tuttavia, in assenza di un simile intervento normativo che introduca disposizioni testuali concepite per la rete, e dunque adeguate alle sue caratteristiche e alle condotte che materialmente si possono chiedere agli operatori on line, destano inevitabilmente perplessità i tentativi di allargare l’area del penalmente rilevante a fenomeni che non sono riconducibili al dettato delle disposizioni incriminatrici.

[1] Per l’illustrazione di questo orientamento si veda il paragrafo terzo.

[2] Il riferimento è a Cass. pen., sez. V, 16 luglio 2010 (dep. 1° ottobre 2010), n. 35511, Brambilla, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2010, 895 ss. La decisione è stata oggetto di numerosi commenti dottrinali, tra i quali: C. Melzi d’Eril, Roma locuta: la Cassazione esclude l’applicabilità dell’art. 57 c.p. al direttore della testata giornalistica on line, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2010, 899 ss.; N. Lucchi, Internet, libertà di informazione e responsabilità editoriale, in Quaderni costituzionali, 2011, 415 ss.; I. Salvadori, La normativa penale della stampa non è applicabile, de iure condito, ai giornali telematici, in Cassazione penale, 2011, 2982 ss.; S. Turchetti, L’art. 57 c.p. non è applicabile al direttore del periodico online, in penalecontemporaneo.it, 17 novembre 2010.

[3] Secondo la definizione contenuta nell’art. 1 l. 47/48 per stampa si intendono «tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione».

[4] In merito alla applicabilità delle disposizioni di favore, nel 2014 la Corte di Cassazione aveva statuito che le garanzie costituzionali previste per gli stampati in tema di sequestro non potessero essere estese agli spazi comunicativi virtuali. Il riferimento è a due decisioni emesse entrambe dalla V sezione a distanza di pochi giorni: la prima, Cass. pen., sez. V, 5 novembre 2013 (dep. 5 marzo 2014), n. 10594, in dirittopenalecontemporaneo.it, 25 marzo 2014, con nota di C. Melzi d’Eril, La Cassazione esclude l’estensione delle garanzie costituzionali previste per il sequestro degli stampati; la seconda, Cass. pen., sez V, 30 ottobre 2013 (dep. 12 marzo 2014), n. 11895, in medialaws.eu, con nota di F. Mazara Grimani, Il sequestro preventivo di un blog: nuovi orientamenti alla luce della sentenza della Corte di Cassazione n. 11895/2014. Per un puntuale commento critico di entrambe le decisioni, si v. C. Melzi d’Eril, Il sequestro dei siti on-line: una proposta di applicazione analogica dell’art. 21 Cost. “a dispetto” della giurisprudenza, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2014, 153 ss.

[5] Per quanto riguarda le norme di sfavore, oltre al reato di cui all’art. 57 c.p., e sempre in forza del divieto di analogia in malam partem, era stata esclusa l’applicabilità dell’aggravante prevista dall’art. 13 della legge stampa, nonché del reato di stampa clandestina di cui all’art. 16 della medesima legge. Sull’inestensibilità alla rete dell’art. 13 l. 47/48, tra le molte, si veda Cass. pen., sez. V, 1 febbraio 2017, n. 4873 in Quotidiano del Diritto, 2 febbraio 2017, con nota di A. Galimberti, Diffamazione “attenuata” se via Fb; in penalecontemporaneo.it, 20 aprile 2017, E. Birritteri, Diffamazione e Facebook: la Cassazione conferma il suo indirizzo ma apre a un’estensione analogica in malam partem delle norme sulla stampa; in Forum di Quaderni Costituzionali, 14 aprile 2017, con nota di M. Tresca, Il diritto di informazione nell’era digitale: la complessa equiparazione tra stampa tradizionale e media on line;  nonché, volendo C. Melzi d’Eril-S. Vimercati, Diffamazione, Facebook non è stampa, in Il Sole 24 Ore online, 8 febbraio 2017; va comunque segnalato che, alla luce di Corte cost., 12 luglio 2021, n. 150 (che ha dichiarato illegittima la norma in esame) la questione è oggi superata. Sull’inapplicabilità del reato di stampa clandestina di cui all’art. 16 della l. 47/1948 a un blog non registrato si veda Cass. pen., sez. III, 10 maggio 2012, n. 23230, in penalecontemporaneo.it, 8 ottobre 2012, con nota di F. Piccichè, Giornali on line e reato di stampa clandestina; in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2012, 1118, con nota di P. Di Fabio, Blog, giornali on line e «obblighi facoltativi» di registrazione delle testate telematiche: tra confusione del legislatore e pericoli per la libera espressione del pensiero su internet.

[6] Nello stesso senso della sentenza cd. Brambilla del 2010, si era espressa poco dopo la Cassazione ribadendo la non configurabilità del reato di omesso controllo nei confronti del direttore di un giornale online: si tratta di Cass. pen., sez. V, 28 ottobre 2011 (dep. 29 novembre 2011), n. 44126, Hamaui, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2011, 795 con nota di G. E. Vigevani, La «sentenza figlia» sul direttore del giornale telematico: il caso Hamaui; più di recente, Cass. pen., sez. V, 21 novembre 2017 (dep. 19 febbraio 2018), n. 7885, con cui la Corte, seppur in obiter dictum, ha avuto occasione di riaffermare che all’informazione on line non è applicabile l’art. 57 c.p. Nello stesso senso, anche Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2017 (dep. 20 novembre 2017), n. 52743, in Diritto Penale Contemporaneo, 6, 2018, 125 ss., con nota di E. Pietrocarlo, Concorso in diffamazione del direttore e articolo firmato con pseudonimo: la Cassazione insiste sulla responsabilità “di posizione”, ove la Cassazione, ha stabilito che, in caso di articolo anonimo o firmato con uno pseudonimo, il direttore può essere chiamato a rispondere di concorso in diffamazione ex artt. 110 e 595, comma III, c.p. se sulla base di circostanze esteriori siano accertati il consenso o la meditata adesione dello stesso al contenuto dello scritto, ma – aderendo al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità – non del reato di omesso controllo perché l’attività on line non può essere ricondotta nel concetto di stampa periodica. Per un commento ulteriore a quest’ultima decisione si veda altresì A. Trimarchi, La responsabilità (ancora una volta oggettiva) del direttore di periodico online per l’articolo diffamatorio con pseudonimo anonimizzante, in questa Rivista, 3, 2018, 254 ss.

[7] Cass., sez. un., 29 gennaio 2015 (dep. 17 luglio 2015), n. 31022, in penalecontemporaneo.it, 9 marzo 2016, con nota di C. Melzi d’Eril, Contrordine compagni: le Sezioni Unite estendono le garanzie costituzionali previste per il sequestro degli stampati alle testate on-line registrate; in Quaderni costituzionali, 2015, 1013 ss., con nota di P. Caretti, La Cassazione pone, meritoriamente, alcuni punti fermi in tema di regolazione dell’informazione via internet; in Processo penale e giustizia, 2015, 78, con nota di A. Pulvirenti, Sequestro e Internet: dalle Sezioni Unite una soluzione equilibrata ma “creativa”; in Cassazione penale, 2015, 3454 ss., con nota di L. Paoloni, Le Sezioni Unite si pronunciano per l’applicabilità alle testate telematiche delle garanzie costituzionali sul sequestro della stampa: ubi commoda, ibi et incommoda?; in medialaws.eu, 17 maggio 2016, con nota di A. Regi, Le Sezioni Unite si pronunciano sull’applicabilità delle garanzie costituzionali in tema di sequestro preventivo alle testate telematiche registrate; in Guida al diritto, 2015, 38, 82 ss., con nota di C. Melzi d’Eril-G. E. Vigevani, Il sequestro di una pagina web può essere disposto imponendo al service provider di renderla inaccessibile; in Diritto penale e processo, 2015, 2002, con nota di S. Lorusso, Un’innovativa pronuncia in tema di sequestro preventivo di testata giornalistica on line; in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2015, 1041 ss., con nota di G. Corrias Lucente, Le testate telematiche registrate sono sottratte al sequestro preventivo. Qualche dubbio sulla “giurisprudenza legislativa”.

[8] L’anno successivo tale approdo è stato accolto anche dalle Sezioni Unite civili, le quali hanno statuito che le norme di favore in tema di sequestro previste per la stampa si applicano al giornale online quando quest’ultimo presenti le caratteristiche del giornale cartaceo, ovverosia una testata, un direttore responsabile, una redazione e un editore: v. Cass. civ., Sez. Un., 25 ottobre 2016 (dep. 18 novembre 2016), n. 23469, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2016, 706 ss.

[9] La prima decisione ad affermare l’estensibilità dell’art. 57 c.p. al direttore della testata telematica, a quanto consta, è Cass. pen., sez. V, 11 dicembre 2017 (dep. 22 marzo 2018), n. 13398. Per un commento, volendo, S. Vimercati, Il revirement della Cassazione: la responsabilità per omesso controllo si applica al direttore della testata telematica, in questa Rivista, 2, 2018, 324 ss. Nello stesso senso, successivamente, tra le molte, Cass. pen., sez. V, 12 gennaio 2021, n. 7220.

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