Recensione di Jacopo Ciani Sciolla, “Il pubblico dominio nella società della conoscenza. L’interesse generale al libero utilizzo del capitale intellettuale comune” (Torino: Giappichelli, 2021)

Nel Consiglio di Lubiana del 2008, è stata introdotta la cd. quinta libertà europea, la libertà di circolazione del sapere. In altre parole, le istituzioni europee hanno aggiunto, a fianco delle quattro tradizionali libertà di circolazione di persone, merci, servizi e capitali, anche la libera circolazione del sapere e della conoscenza all’interno del territorio dell’Unione Europea. La rilevanza di questa cd. quinta libertà è rappresentata dal fatto di elevare la dimensione culturale, di condivisione del sapere, ad aspetto fondamentale del processo di integrazione europea, trascendendo la dimensione puramente economica dell’Unione.

Parallelamente, le Information and Communication Technologies (ICTs) hanno completamente stravolto i tradizionali meccanismi di accesso alla conoscenza, rendendola una risorsa teoricamente più facile da fruire, senza limiti di spazio e tempo, perché dematerializzata.

Alla luce di queste due fondamentali premesse, la monografia “Il pubblico dominio nella società della conoscenza. L’interesse generale al libero utilizzo del capitale intellettuale comune” di Jacopo Ciani Sciolla, edito da Giappichelli (settembre 2021), analizza le sfide che si delineano per il diritto nel contesto della circolazione e trasmissione del sapere del nostro tempo. In particolare, l’autore inquadra la sfida decisiva nel cd. “paradox of intellectual property”: «Nel concetto di conoscenza e nel suo scambio è […] insito un conflitto di fondo: quello tra le istanze proprietarie, da un lato, e le ragioni sociali della condivisione libera, senza vincoli proprietari, dall’altro»[1]. L’Autore si rapporta a tale sfida, attraverso un’approfondita e consapevole indagine avente lo scopo di delineare gli spazi del c.d. pubblico dominio, ovvero del capitale intellettuale e semantico riservato alla libera fruizione collettiva.

La monografia si inserisce nella collana “Digitalica” che, a partire dal primo volume, di Ugo Pagallo, “Introduzione alla filosofa digitale. Da Leibniz a Chaitin”[2], indaga il complesso rapporto tra digitale, diritto, filosofia, che caratterizza il nostro tempo. Il volume di Ciani Sciolla rappresenta un’adeguata continuazione di un ambizioso studio interdisciplinare che la collana “Digitalica” propone attraverso opere di straordinaria rilevanza quali “Teoria algoritmica e complessità” di Gregory Y. Chaitin[3], “Il futuro del web: etica, diritto, decentramento” di Massimo Durante[4] e “Infosfera. Etica e filosofia nell’età dell’informazione” di Luciano Floridi[5]. Questo filone di ricerca parte dall’assunto che «[U]no dei grandi temi di riflessione del novecento – forse il principale – che dura fino ai giorni nostri, ed anzi ne costituisce il fulcro essenziale, è la riflessione sulla tecnologia. Se è vero che la filosofia è il nostro tempo appreso con il pensiero, come voleva Hegel, e se il nostro tempo è tecnologico, […] allora la filosofia è oggi riflessione sulla tecnologia»[6]. Il volume di Ciani Sciolla si colloca specificamente in questo filone di ricerca, facendo chiaramente emergere la consapevolezza che «[L]a tecnologia dischiude un nuovo universo di rischi e opportunità che siamo noi a dover governare»[7].

Il volume “Il pubblico dominio nella società della conoscenza. L’interesse generale al libero utilizzo del capitale intellettuale comune” rappresenta un’opera fondamentale per il giurista contemporaneo che, necessariamente, è chiamato a rispondere alle sfide proposte dal digitale, che molto spesso si configurano come quelli che Herbert Hart ha definito come «casi difficili»[8] del diritto.

Tre sono i macro obbiettivi perseguiti dalla monografia che, di seguito, meritano d’essere ulteriormente approfonditi: in primo luogo, (i) il volume propone un’analisi dell’istituto del pubblico dominio; in secondo luogo, (ii) indaga uno degli aspetti più delicati tra le varie sfide giuridiche poste dalla rivoluzione digitale, vale a dire la ricerca dell’equilibrio nel rapporto tra circolazione della conoscenza e limiti proprietari; infine, (iii) l’operazione più importante compiuta dalla monografia è quella di offrire un’analisi sistematica e prospettica del diritto e delle istituzioni giuridiche che condizionano l’accesso al sapere, andando oltre le implicazioni del solo diritto d’autore e rapportandosi con le sfide presenti e future poste in essere dagli sviluppi del digitale.

Dedichiamo, dunque, maggiore attenzione a queste tre linee direttrici attraverso le quali si sviluppa il volume “Il pubblico dominio nella società della conoscenza. L’interesse generale al libero utilizzo del capitale intellettuale comune”.

In primo luogo, la monografia propone un’approfondita analisi del pubblico dominio, colmando una considerevole lacuna della letteratura scientifica che, per anni, ha trascurato l’istituto. Tradizionalmente, il pubblico dominio non gode di una definizione univoca e comunemente accettata, configurandosi per lo più in negativo come assenza di diritti di privativa: «[…] il pubblico dominio è stato […] definito come scientia nullius, ovvero come quell’opera della conoscenza non appropriabile da nessuno»[9], agendo «[…] come “a bastion against privatization of knowledge” o “a bulewark against excessive private appropriation of human knowledge”»[10].

Pur garantendo la natura dinamica, elastica e volutamente priva di confini netti dell’istituto, l’Autore propone un’innovativa interpretazione del pubblico dominio, in termini di diritto soggettivo. Se, tradizionalmente «[L]a concezione del pubblico dominio come concetto opposto e contrario di “proprietà” e dunque come bene in sé non appropriabile risultava incompatibile con ogni percezione dello stesso come risorsa valorizzabile e meritevole di attenzione e tutela»[11], invece Ciani Sciolla, per la prima volta in maniera compiuta e organica, configura un vero e proprio “diritto al pubblico dominio”. Secondo la tradizione giuridica, un diritto soggettivo è tale quando garantisce una posizione di vantaggio in capo ad un individuo, che sia riconosciuta dall’ordinamento, e dalla quale derivino specifici poteri, pretese e facoltà. Nel caso del diritto al pubblico dominio, dunque, «[…] è data all’individuo la facoltà discrezionale di usare o meno i beni immateriali in pubblico dominio, a meno che tale uso non sia impedito da limitazioni d’accesso al bene»[12]. All’opposto di tale facoltà positiva, il non facere, e il corrispondente riconoscimento dell’ordinamento, è rappresentato dal «[…] rendere realizzabile il libero utilizzo dei beni immateriali in pubblico dominio»[13]. In particolare, esso è riconducibile a un duplice dovere: «[…] il dovere di qualunque altro individuo di non rivendicare diritti di esclusiva sul bene immateriale in pubblico dominio e il dovere dell’autorità competente di respingere ogni domanda di tutela esclusiva, sia essa amministrativa o giudiziale, del medesimo»[14]. Per completare tale ambiziosa configurazione, poi, l’Autore ricerca il necessario fondamento normativo del diritto, ravvisandolo, da un lato, nelle stesse norme costituzionali che fondano la tutela della proprietà intellettuale, dall’altro nella natura di bene comune delle risorse culturali in pubblico dominio e nel principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. che impone di salvaguardarne il libero utilizzo in favore della collettività, quale strumento essenziale per la piena realizzazione della persona. L’argomentazione che sostiene la configurazione di un autonomo diritto al pubblico dominio viene, inoltre, sorretta da una oltremodo comprensiva analisi della genesi dell’istituto, dal diritto romano all’attuale configurazione nell’ordinamento nazionale, europeo e internazionale: essa svela una profonda conoscenza giuridica e consapevolezza alla base dell’indagine, che affonda le radici nell’ambito della filosofia del diritto, per poi sapersi sviluppare anche nel diritto positivo e nelle concrete sfide poste dalla contemporaneità.

In secondo luogo, il volume di Ciani Sciolla va al di là dell’analisi dell’istituto del pubblico dominio e della sua genesi, per presentarsi come una ben più profonda riflessione sulle attuali possibilità di accesso alla conoscenza. L’Autore rivela l’ingenuità delle posizioni che sostengono una democratizzazione dell’accesso al sapere generata dalla rivoluzione digitale, per metterci di fronte ad uno scenario in cui i diritti di privativa hanno fattualmente manifestato una vis expansiva «[…] che caratterizza trasversalmente la disciplina della proprietà intellettuale» palesando «l’inadeguatezza degli anticorpi posti a presidio degli spazi di libera concorrenza e libero accesso»[15], peraltro anche avvallata dalla giurisprudenza della Corte EDU[16]. Si assiste ad una vera e propria deriva monopolistica, dal momento che «[…] lo stesso legislatore è rimasto oltremodo timido nel salvaguardare gli spazi di libera fruizione dei contenuti protetti»[17]. In altri termini, l’Autore chiarisce bene l’attuale scenario, affermando che: «[I]l diritto che governa la circolazione dei beni immateriali è stato dunque costruito secondo una logica eminentemente proprietaria e con un indiscusso favor verso il titolare dei diritti»[18].

Come, dunque, porvi rimedio? Se, da un lato, l’evoluzione dei diritti di privativa degli ultimi decenni sembra avere in qualche modo deluso premesse e aspettative dei pionieri del digitale[19], dall’altro lato la configurazione di un vero e proprio diritto soggettivo al pubblico dominio viene proposta proprio come soluzione che, andando nella direzione opposta, torni a ribilanciare il contesto, garantendo – su un piano di equal footing rispetto agli interessi proprietari – anche le istanze di accesso del pubblico al patrimonio culturale.

In terzo luogo, poi, l’operazione più rilevante che il volume pone in essere è quella di proporre un’analisi del diritto e delle istituzioni giuridiche che condizionano (o impattano) la caduta in pubblico dominio delle risorse culturali. Qui l’autore evidenzia sin da subito come la questione dell’accesso al sapere e alla conoscenza non debba essere solamente limitata agli aspetti connessi alla sussistenza di diritti di autore sul capitale intellettuale. La profonda trasformazione generata dal digitale è, infatti, più profonda, e impone che si presti attenzione anche ad altre branche del diritto che determinano la configurazione delle risorse culturali disponibili nella cd. nuova società della conoscenza. A questo proposito, l’Autore sviluppa l’indagine in diverse ulteriori direzioni: da un lato indaga il regime giuridico di circolazione del dato informazionale, quale unità minima capace di contenere e propagare l’informazione; dall’altro lato, valuta la sovrapposizione alla tutela di diritto d’autore, della normativa pubblicistica a tutela del patrimonio culturale, del diritto di proprietà sui supporti tangibili e del diritto all’immagine su oggetti e soggetti ritratti.

Per quanto concerne i dati, il volume affronta l’impegnativa questione della proprietà degli stessi, partendo dall’identificazione dei limiti che ostano alla loro condivisione, in primis il fatto che «[…] gli investitori possono trovare non poche difficoltà a recuperare i propri investimenti. Ciò determina un problema di incentivi: imprese e individui non hanno tendenzialmente incentivi adeguati per condividere i dati che possiedono e controllano»[20]. Dopo l’indagine del quadro normativo di riferimento, viene proposta un’analisi di taglio comparatistico sul formante giurisprudenziale: l’Autore illustra le posizioni delle maggiori corti europee in merito al diritto di proprietà sui dati, tendenzialmente negato[21].

Nel perseguire l’intenzione di valutare la tenuta del diritto nei confronti dei futuri sviluppi tecnologici, un interessante aspetto è rappresentato dal fatto che l’indagine proposta nel volume oggetto di recensione si spinga nella disamina della qualificazione giuridica delle opere create da sistemi di Intelligenza Artificiale (IA). Con riferimento al diritto d’autore, tali sistemi propongo quesiti inediti, in primis in relazione alla configurazione del soggetto “autore”: «Fino a pochi anni orsono, gli studiosi che hanno affrontato l’argomento della paternità (o autorialità) delle opere dell’ingegno si sono concentrati principalmente sulla possibilità di considerare “autore” una persona giuridica, o sui problemi derivanti dai casi in cui più autori fossero coinvolti nel processo creativo»[22], tuttavia ad oggi – e in misura sempre più crescente in futuro – si delineano situazioni in cui «[…] l’algoritmo agisce, effettivamente, al posto di un creatore umano»[23].

Per quanto concerne la tutela del patrimonio culturale, il volume rivolge l’attenzione nei confronti di quelle situazioni in cui si crea una sorta di sovrapposizione tra discipline: «Molti dei beni classificabili come beni culturali […] possono altresì godere della qualifica di opere dell’ingegno di carattere creativo e, conseguentemente, della protezione di diritto d’autore»[24]. L’elemento di effettivo interesse si delinea nella misura in cui «[I]n alcuni casi, il diritto d’autore, oltre che sul bene culturale in sé, può coprire anche le riproduzioni digitali del bene»[25]. Si pensi ai più innovativi scenari, connessi all’applicazione dei cd. Non-fungible Token (NFT) all’arte: lo studio proposto nel volume di Ciani Sciolla acquisisce, dunque, una portata che va ben oltre l’analisi di specie. Esso, rappresentando un’indagine in merito alla tenuta del tradizionale sistema di diritto alla prova dello sviluppo digitale e del progresso tecnologico, fornisce gli strumenti necessari, a dottrina e giurisprudenza, per approcciarsi a tali inedite sfide.

Il volume “Il pubblico dominio nella società della conoscenza. L’interesse generale al libero utilizzo del capitale intellettuale comune” di Jacopo Ciani Sciolla, edito da Giappichelli non si esaurisce nelle poche linee delineate in questa recensione ma, sia per la validità delle argomentazioni che per la qualità dell’approfondimento, va molto oltre. In sette ampi capitoli, l’Autore traccia un percorso che va dalle origini storico-filosofiche dell’istituto del pubblico dominio, sino alla sua attuale configurazione, rivolgendo l’attenzione anche alle nuove proposte legislative presentate dalla Commissione Europea tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021[26], capaci di ulteriormente incidere sulla portata del pubblico dominio negli anni a venire. In generale, l’opera persegue l’ambizioso obbiettivo di indagare le sfide e le opportunità relative al capitale intellettuale, largamente inteso, «[…] come insieme delle risorse immateriali capaci di generare valore e competitività per chi le detiene (a partire dall’impresa)»[27].

Le future linee di indagine, anticipate nel volume, avranno ad oggetto i beni immateriali tipicamente industriali, i segni distintivi aziendali (marchi, nomi a dominio, denominazioni aziendali e di origine, ditta e insegna), le espressioni della comunicazione pubblicitaria, le forme del prodotto (disegni e modelli industriali) e le invenzioni dell’ingegno tecnico (brevetti e modelli di utilità). In questo modo, verrà dunque determinato un comprensivo e completo quadro dell’istituto del pubblico dominio in Italia, essenziale riferimento sia per la dottrina, che per la giurisprudenza. Lo sforzo sviluppato con il volume oggetto della recensione e con le future già annunciate linee di ricerca ricopre una rilevanza fondamentale, offrendo una lettura sistematica del sistema giuridico italiano che interessa il tema dell’accesso al sapere, allo stesso tempo, collocandosi con consapevolezza, nel più ampio quadro di riferimento del diritto dell’Unione Europea. Come detto inizialmente, la libertà di circolazione del sapere è un essenziale pilastro dell’architettura dell’Unione e, pertanto, l’Italia deve sapersi porre in linea con le politiche europee ed essere capace di trarre il massimo vantaggio delle opportunità offerte dalla rivoluzione digitale. Come affermato da George Steiner, nel proporre una certa idea di Europa: «La dignità dell’homo sapiens consiste proprio in questo: la realizzazione della conoscenza, la ricerca disinteressata del sapere, la creazione della bellezza»[28].

 

[1] J. Ciani Sciolla, Il pubblico dominio nella società della conoscenza. L’interesse generale al libero utilizzo del capitale intellettuale comune, Torino, 2021, 10.

[2] U. Pagallo, Introduzione alla filosofa digitale. Da Leibniz a Chaitin, Torino, 2005.

[3] G. Y. Chaitin, Teoria algoritmica e complessità, Torino, 2006.

[4] M. Durante, Il futuro del web: etica, diritto, decentramento. Dalla sussidiarietà digitale all’economia dell’informazione in rete, Torino, 2007.

[5] L. Floridi, Infosfera. Etica e filosofia nell’età dell’informazione. Introduzione di Terrell Ward Bynum, Torino, 2009.

[6] M. Durante, Potere computazionale. L’impatto delle ICT su diritto, società, sapere, Milano, 2019, 47.

[7] M. Durante – U. Pagallo, Introduzione, in M. Durante, U. Pagallo (a cura di), La politica dei dati. Il governo delle nuove tecnologie tra diritto, economia e società, 2022, 11.

[8] H.L.A Hart, Il concetto di diritto, Torino, 1991, 123.

[9] J. Ciani Sciolla, Il pubblico dominio nella società della conoscenza, cit., 47.

[10] Ibid.

[11] Ivi, 509.

[12] Ivi, 51.

[13] Ibid.

[14] Ibid.

[15] Ivi, 19.

[16] Ivi, 117, in cui l’Autore analizza specificamente il bilanciamento tra diritti proprietari e pubblico dominio nella carta di Nizza e nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

[17] J. Ciani Sciolla, Il pubblico dominio nella società della conoscenza, cit., 511.

[18] Ivi, 512.

[19] Tim Berners Lee, fondatore del World Wide Web, descrivendo l’evoluzione del suo progetto, non ha nascosto le originarie idee alla base, caratterizzate dal più vivo entusiasmo e – in qualche misura, idealismo – per le immense possibilità che il digitale poteva fornire in termini di condivisione e accesso a informazione e conoscenza. Nel suo libro leggiamo: «Pensai: “Mettiamo che le informazioni di tutti i computer, dovunque si trovino, siano collegate. Immaginiamo che io possa programmare il mio computer in modo da creare uno spazio in cui tutto è collegato a tutto. Tutti i frammenti di informazione di ogni computer del CERN e sul pianeta sarebbero a disposizione del sottoscritto e di tutti gli altri. In questo modo otterremmo un singolo spazio globale dell’informazione”», in T. B. Lee, L’architettura del nuovo Web. Dall’inventore della rete il progetto di una comunicazione democratica, interattiva e intercreativa, Milano, 1999, 18.

[20] J. Ciani Sciolla, Il pubblico dominio nella società della conoscenza, cit., 130.

[21] Si noti che qualche maggiore apertura verso una possibile configurazione dei dati come oggetto di proprietà si delinea nel settore della disciplina penalistica francese. Ivi, 249-250.

[22] Ivi, 276.

[23] Ivi, 278.

[24] Ivi, 489.

[25] Ibid.

[26] Nello specifico è proposta un’interessante analisi prospettiva dell’impatto della proposta di regolamento della Commissione Europea sul “Data Governance Act”, in relazione alla circolazione del dato informazionale, ivi, 227-232.

[27] Ivi, 278.

[28] G. Steiner, Una certa idea di Europa, Milano, 2019, 80.

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