Corte di Cassazione, sez. I penale, 3 febbraio 2022, n. 3808
Il negazionismo è una forma di hate speech e se riguarda l’Olocausto non va considerata come libera manifestazione del pensiero ma come forma di discriminazione. La circostanza che atti di negazionismo siano perpetrati nella Giornata della Memoria indica l’esistenza dell’elemento psicologico e del dolo. È, quindi, applicabile l’aggravante del negazionismo in una situazione che corrisponde totalmente alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che, in più occasioni, ha chiarito che il negazionismo dell’Olocausto non rientra nella protezione accordata dalla Convenzione alla libertà di espressione.
Sommario: 1. Premessa. – 2. La ricostruzione della vicenda. – 3. Il quadro normativo italiano in materia di negazionismo dell’Olocausto e la situazione in altri Stati. – 4. La continuità tra la conclusione della Cassazione e la giurisprudenza della Corte europea. – 5. Osservazioni conclusive.
- Premessa
La diffusione dell’antisemitismo in tutta Europa, accompagnata dalla frequente impunità di coloro che compiono gesti di discriminazione e di odio nei confronti degli ebrei, come attestato nel rapporto sugli episodi di antisemitismo registrati nell’Unione europea tra il 2011-2021 diffuso il 3 novembre 2022 dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali[1], è stata connotata, negli ultimi anni, dal negazionismo della Shoah e finanche dell’esistenza delle camere a gas nei campi di concentramento[2]. Questo fenomeno, indice, come vedremo, di odio razziale, che mira a negare l’identità di singoli individui e di un gruppo, ha spinto l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 76/250 sul negazionismo dell’Olocausto, adottata il 25 gennaio 2022, a intervenire per condannare il negazionismo e per chiedere agli Stati di reprimere questa pratica che va considerata illecita, assicurando la punizione dei colpevoli[3] e garantendo la preservazione dei luoghi della memoria, nonché educando le generazioni future sui fatti storici che hanno portato allo sterminio degli ebrei, anche al fine di impedire nuovi genocidi. La risoluzione, che evidenzia la necessità di non consentire che il negazionismo dell’Olocausto sia impunito, fornisce anche una nozione di negazionismo[4], inteso come ogni tentativo volto a negare una realtà storica e l’ampiezza dello sterminio degli ebrei, compresa la minimizzazione dei crimini nei confronti degli ebrei e affermazioni che addirittura indicano gli stessi ebrei come responsabili dell’Olocausto[5]. Nella risoluzione, preso atto della pericolosità per l’intera collettività dell’impunità diffusa anche a causa dell’utilizzo della tecnologia che permette maggiori possibilità di occultamento agli autori delle dichiarazioni negazioniste, si evidenzia il ruolo centrale degli organi giurisdizionali nazionali e l’urgenza di interventi in ragione della circostanza che questa forma di hate speech trova oggi diffusione ancora maggiore a causa dei social media che agevolano lo spargimento dei semi di violenza e di odio. Questo comporta, a nostro avviso, una pericolosità crescente anche in ragione della progressiva scomparsa dei sopravvissuti ai campi di sterminio che può portare a un affievolimento della memoria, indispensabile per impedire il ripetersi di questi crimini.
In ragione della pericolosità di questo reato, l’Unione europea, che è stata scenario dell’Olocausto e del genocidio di Srebrenica[6], ha agito tempestivamente, optando per un intervento nel campo penale, considerato più efficace a combattere la diffusione di messaggi discriminatori, lesivi della dignità di ogni essere umano, in particolare con la decisione quadro 2008/913/GAI del 28 novembre 2008 sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale[7]. Tuttavia, malgrado tale atto, nel rapporto annuale dell’Agenzia UE per i diritti fondamentali presentato l’8 giugno 2022[8] è stato sottolineato che in alcuni Stati l’indicata decisione quadro non ha portato alla criminalizzazione del diniego o della minimizzazione grossolana di crimini internazionali e dello stesso Olocausto. Anche il Parlamento europeo è intervenuto: con la risoluzione del 25 ottobre 2018 sull’aumento della violenza neofascista in Europa ha invitato gli Stati a condannare e a contrastare ogni forma di negazione dell’Olocausto «tra cui la banalizzazione e la minimizzazione dei crimini dei nazisti e dei loro collaboratori», evidenziando che «la verità sull’Olocausto non deve essere banalizzata dalla narrazione politica e mediatica»[9]. E, in questa direzione, il 5 ottobre 2021, per la prima volta, l’Unione europea ha adottato la “Strategia dell’UE sulla lotta contro l’antisemitismo e il sostegno alla vita ebraica (2021-2030)”[10], nella quale è stato sottolineato che anche i sistemi di intelligenza artificiale possono essere utilizzati per fronteggiare l’antisemitismo e la distorsione online dell’Olocausto. Nello stesso documento si evidenzia altresì che gli episodi di negazione, distorsione e di minimizzazione dell’Olocausto sono in aumento in tutta Europa e che questi atti sono utilizzati «per alimentare l’odio contro il popolo ebraico»[11]. La Commissione europea, inoltre, nella Comunicazione “Un’Europa più inclusiva e protettiva: estendere l’elenco dei reati riconosciuti dall’UE all’incitamento all’odio e ai reati generati dall’odio”[12], ha rilevato, tra i problemi principali dell’hate speech, la rapida condivisione digitale e ha sottolineato la necessità di un ulteriore sviluppo rispetto alla decisione quadro 2008/913. In ragione dell’evoluzione dei fenomeni criminali, l’art. 83, par. 1, TFUE, dovrebbe portare a individuare ulteriori sfere di criminalità proprio con riguardo all’incitamento all’odio per assicurare protezione alle vittime e la punizione dei responsabili.
Un elemento che mostra la consapevolezza sul piano internazionale ed europeo della pericolosità ad ampio raggio delle dichiarazioni negazioniste o distorte dell’Olocausto si può rintracciare anche dall’intervento delle istituzioni internazionali sulle società private che gestiscono piattaforme sul web, in particolare attraverso iniziative come quelle dell’Unione europea che ha adottato, nel 2018, il codice di condotta sulla disinformazione con il quale gli operatori del settore hanno concordato su standard di autoregolamentazione e, il 16 giugno 2022, il codice di condotta rafforzato sulla disinformazione. Sono altresì rilevanti le iniziative individuali delle società private che operano attraverso i social media[13]. Ad esempio, Facebook nella revisione della propria politica per la lotta all’incitamento all’odio ha inserito, nel documento del 24 settembre 2020, tra i contenuti da non pubblicare inclusi nel “Livello 1” proprio le informazioni negazioniste o distorte sull’Olocausto, elemento che non era presente in precedenza[14].
In questo contesto, che mostra il ruolo di primo piano esercitato dall’azione penale si inserisce la sentenza n. 3808 della Corte di cassazione, resa dalla prima sezione penale il 3 febbraio 2022, con la quale, per la prima volta, a fronte della diffusione di idee fondate sulla superiorità e sull’odio razziale o etnico e della negazione della Shoah, diffusione avvenuta proprio il 27 gennaio 2017, Giorno della Memoria, è stata applicata ai responsabili l’aggravante speciale del negazionismo. La Suprema Corte, infatti, richiamando in più punti il diritto internazionale e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha confermato la pronuncia del Tribunale di Milano e poi della Corte di appello che avevano accertato la colpevolezza di un uomo, in concorso con ignoti, per violazione dell’art. 110 c.p.[15], nonché dell’art. 3-bis della legge n. 654 del 1975 (ora art. 604-bis c.p.)[16]. La Cassazione, come vedremo, ha respinto ogni giustificazione dell’imputato ammantata da una sorta di revisionismo scientifico della storia, precisando che la Shoah è stata provata in modo «definitivo e perciò incontrovertibile» con la liberazione da parte dell’Armata Rossa, il 27 gennaio 1945, del campo di concentramento di Auschwitz. Così la Cassazione, in relazione a fatti storicamente accertati, ha chiarito che «l’orrore e la follia omicida che erano stati scientificamente e metodicamente attuati in quegli anni per sterminare un popolo e gli oppositori del regime nazista» non possono in alcun modo essere negati, con la conseguenza che colui che lo fa agisce con un evidente dolo nel compimento di un atto discriminatorio.
- La ricostruzione della vicenda
Prima di esaminare gli aspetti legati all’incidenza del diritto internazionale sulla decisione della Corte di Cassazione, è necessario ricostruire, seppure brevemente, la vicenda al centro della pronuncia della Suprema Corte.
Il ricorrente, aderente al movimento N.S.A.B. – M.L.N.S. (Movimento Nazional Socialista dei Lavoratori), il 27 gennaio 2017, Giorno della Memoria, istituito dalle Nazioni Unite con risoluzione 60/7 del 1° novembre 2005 e considerato uno strumento importante per la prevenzione del genocidio in forza del ricordo del più grave crimine commesso nella storia dell’umanità, aveva compiuto una serie di atti, come la distribuzione di volantini nelle vie del centro di Milano con scritte «che s’ispiravano al Nazional Socialismo, inneggiando alla superiorità della razza bianca contro ogni presenza di giudaismo in Europa, negando l’Olocausto ebraico»[17]. Le manifestazioni erano state particolarmente offensive e volte a negare l’Olocausto definendo come bugiarde le vittime con frasi oltraggiose come «Credi ancora a quel che insinua Pinocchio», volte a offendere le stesse vittime dell’Olocausto e i loro discendenti. Nell’abitazione dell’imputato erano stati trovati altri volantini inneggianti alla superiorità della razza bianca, ma questo fatto non era stato considerato penalmente rilevante perché il materiale non era stato diffuso. L’uomo era stato condannato a sei mesi di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale della pena per il reato di concorso con ignoti nella diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico e di negazione della Shoah.
Tra i motivi di ricorso in Cassazione, è stata sollevata dal ricorrente la questione relativa alla violazione dell’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo anche CEDU) che assicura il diritto alla libertà di espressione[18]. In pratica, secondo l’imputato, la sua “opinione” era da tutelare anche perché l’esistenza della Shoah sarebbe stata contestata da numerosi studiosi e la sua negazione sarebbe supportata da studi di storici. L’uomo, inoltre, respingeva la necessità di fornire una particolare protezione alla Shoah che, a suo avviso, non sarebbe l’unico genocidio, tesi particolarmente priva di pregio visto che l’esistenza di altri genocidi non esclude che, proprio per le particolarità dell’Olocausto, la comunità internazionale intenda garantire una particolare protezione al ricordo di quel genocidio e che lo stesso legislatore italiano avverta quest’esigenza proprio tenendo conto dell’alto numero di vittime italiane e dell’adozione, durante il periodo fascista, delle leggi razziali.
Nell’atto di ricorso, inoltre, è stato sostenuto che non è stato provato che l’imputato «abbia voluto diffondere un’idea che negasse l’Olocausto e non quella di criticare la ricostruzione storica ufficiale», con ciò evidentemente confermando che, nella visione dell’imputato, una realtà storica accertata possa essere rimessa in discussione senza alcun elemento di fatto.
Il ricorrente aveva così cercato di ammantare con una sorta di base storica la propria dichiarazione negazionista, non tenendo conto del fatto che non solo la Shoah è stata ampiamente dimostrata da storici, ma anche da tribunali internazionali come quello di Norimberga e da tribunali nazionali che hanno condannato gli autori dei crimini contro gli ebrei deportati nei campi di concentramento[19].
3. Il quadro normativo italiano in materia di negazionismo dell’Olocausto e la situazione in altri Stati
Come detto in premessa, la Corte di Cassazione ha applicato per la prima volta l’aggravante del negazionismo che s’inserisce in un quadro normativo interno costituito da un insieme di norme volte a punire l’hate speech e la discriminazione, in molte occasioni grazie all’attuazione di obblighi internazionali. È il caso, infatti, della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale adottata a New York il 7 marzo 1965, alla quale l’Italia ha dato esecuzione con la legge 13 ottobre 1975 n. 654 (nota come legge Mancino), con la quale è stata introdotta la fattispecie penale dell’incitamento all’odio e il reato di propaganda, istigazione e incitamento nei confronti di persone in quanto appartenenti a un determinato gruppo nazionale, etnico o razziale. In particolare, l’art. 3, nella sua versione originale, prevedeva la punizione di coloro che diffondono «in qualsiasi modo, idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale», nonché di coloro che «incitano alla discriminazione o a commettere atti di violenza o di provocazione alla violenza», con riguardo a persone appartenenti a un determinato gruppo nazionale, etnico o razziale. È stata altresì vietata ogni organizzazione o associazione avente tra i suoi scopi l’incitamento all’odio o alla discriminazione razziale ed è stata prevista la punizione per la partecipazione a tali organizzazioni, nonché per l’assistenza a queste attività[20]. Il quadro normativo è mutato a seguito dell’adozione della legge n. 205 del 1993 di conversione, con modificazioni, del d.l. n. 122/1993 “recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa”[21]. Un ulteriore passo è stato compiuto con la legge n. 115 del 2016 di modifica dell’art. 3 della legge n. 654/75, che ha portato all’aggiunta dell’art. 3-bis con il quale è disposta la «pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232». Per completezza, va altresì ricordato che, in epoca successiva ai fatti al centro della pronuncia della Corte di Cassazione, è stato adottato il d.lgs. n. 21 del 1° marzo 2018[22], con il quale, grazie all’art. 604-bis c.p. (Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa), è stato previsto, salvo i casi in cui il fatto costituisca un reato più grave, che sia punito: «a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi»[23]. Nell’art. 604-ter è stata inserita una circostanza aggravante per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità, con un aumento di pena fino alla metà[24]. A rafforzare la portata punitiva è intervenuta la legge 25 ottobre 2017 n. 163 “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2016-2017”, con la quale, per assicurare la completa attuazione della decisione quadro 2008/913/GAI, tenendo conto che la stessa Commissione europea aveva evidenziato la lacune nell’ordinamento italiano[25], è stata modificata l’aggravante del negazionismo aggiungendo i casi di minimizzazione grave o l’apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità, dei crimini di guerra come stabiliti nello Statuto della Corte penale internazionale[26]. Inoltre, con tale legge è stato modificato il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 con l’inserimento dell’art. 25-terdecies (Razzismo e xenofobia) in base al quale, nel caso di reati cui all’art. 3, c. 3-bis della legge n. 654/1975, è prevista una sanzione pecuniaria da duecento a ottocento quote per l’ente e, nei casi di condanna per i delitti di cui al c. 1, l’applicazione delle sanzioni interdittive previste dall’art. 9, c. 2, per una durata non inferiore a un anno. In aggiunta, se l’ente o una sua unità organizzativa sono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente «di consentire o agevolare la commissione dei delitti indicati nel comma 1, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’art. 16, comma 3»[27].L’Italia, quindi, con l’introduzione dell’aggravante del negazionismo ha applicato in modo più corretto la decisione quadro 2008/913, prevedendo, tuttavia, che non sia sufficiente la sola negazione della Shoah, ma debba sussistere un pericolo concreto della diffusione di idee razziste, con un accertamento effettuato dal giudice. Il quadro normativo italiano, così, ha oggi colmato la lacuna rilevata da diversi anni, a partire dal caso del professore Moffa, che, nel corso di una lezione tenuta in un master dell’Università di Teramo il 25 settembre 2010, aveva negato l’esistenza dell’Olocausto[28]. A seguito di quella vicenda era stata invocata l’introduzione del reato di negazionismo[29]. Il percorso è stato lungo e, per arrivare a una conclusione positiva, è stata centrale l’adozione della decisione quadro 2008/913, che ha permesso un ravvicinamento tra le legislazioni degli Stati membri con la punizione del negazionismo anche in altri ordinamenti[30]. È opportuno ricordare, però, che rispetto all’atto Ue alcuni Paesi già in precedenza avevano adottato norme penali per reprimere il negazionismo. Si possono ricordare l’Austria[31], la Germania[32], la quale con una sentenza della Corte costituzionale del 1994 relativa al caso dello storico David Irving ha chiarito che il diniego dell’esistenza dell’Olocausto non gode della protezione accordata nell’ambito dell’esercizio del diritto alla libertà di espressione e costituisce un reato[33]; la Francia, con la legge Gayssott n. 90-615 del 13 luglio 1990[34]; la Repubblica ceca che con le modifiche al codice penale in vigore dal 1° gennaio 2010 ha inserito il reato di negazionismo dell’Olocausto e poi ha ampliato questa fattispecie anche ai casi di altri crimini commessi durante il periodo nazista e comunista; la Polonia, con l’art. 55 ha introdotto il reato attraverso la legge che istituisce l’Istituto della memoria nazionale del 18 dicembre 1998[35]; l’Ungheria il 24 luglio 2010 ha disposto un emendamento al codice penale che punisce il negazionismo con riferimento al genocidio, a crimini contro l’umanità, anche quando commessi durante il regime comunista; la Lituania, con modifiche all’art. 170 c.p. introdotte nel 2009; il Lussemburgo con l’art. 457-3 c.p. che è stato modificato nel 2011 con la legge di attuazione della direttiva 2008/913; il Liechtenstein con l’art. 283; il Belgio secondo la legge 23 marzo 1995 (“Belgian Holocaust denial law”) che ha innovato l’art. 444 c.p.[36]. Modifiche in questa direzione sono state introdotte anche in Danimarca, grazie alla ratifica del Protocollo alla Convenzione sul cybercrime del 21 novembre 2001, in vigore dal 1° luglio 2004. Il Protocollo del 28 gennaio 2003, entrato in vigore il 1° marzo 2006, riguardante la criminalizzazione di atti dal contenuto razzista o xenofobo attraverso i sistemi informatici richiede che gli Stati puniscano in sede penale gli autori in relazione a casi «which denies, grossly minimises, approves or justifies act constituting genocide or crimes against humanity» come definiti dal diritto internazionale, dal Tribunale di Norimberga o da altri tribunali internazionali. Questo ha condotto a cambiamenti del codice penale anche in Lettonia, proprio a seguito della ratifica del suddetto Protocollo, così come a Cipro. Altre modifiche sono intervenute in Portogallo (art. 240 c.p.); in Romania (legge n. 31 del 13 marzo 2002); in Slovacchia secondo la legge 300/2005, che ha modificato l’art. 422 c.p.; in Slovenia con novità introdotte nel 2008 all’art. 297 c.p.; in Grecia il negazionismo che riguarda l’Olocausto è punito con la legge n. 927/1999, modificata, per quanto riguarda l’entità delle sanzioni, in diverse occasioni.Accanto, però, agli interventi legislativi volti a punire il negazionismo dell’Olocausto e di altri crimini contro l’umanità accertati dalla storia, va evidenziata la tensione tra tale divieto e il diritto alla libertà di espressione, aspetto che è venuto in rilievo anche nella sentenza della Corte di Cassazione che qui si commenta. Basti pensare, in questa direzione, alla situazione in Spagna: nel Paese il negazionismo era punito e vietato dall’art. 607 c.p., ma a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 235 del 7 novembre 2007, che ha ritenuto la norma in contrasto con la libertà di espressione, è stata introdotta una modifica con la legge n. 1/2015 prevedendo che il diniego del genocidio deve essere affiancato dall’incitamento diretto all’odio. In direzione analoga, in Francia, il disegno di legge n. 3957, di modifica della legge 2001-70 del 29 gennaio 2001 sul riconoscimento del genocidio degli armeni che conteneva l’inserimento di una norma in base alla quale «La négation ou contestation du génocide arménien de 1915, dans des conditions fixées par décret pris en Conseil d’État, est passible d’une peine d’un an d’emprisonnement et de 45 000 € d’amende»[37], non è stato approvato perché la Corte costituzionale, con sentenza del 28 febbraio 2012, n. 2012-647, ha considerato la norma contraria al diritto alla libertà di espressione[38].Nonostante questi rallentamenti nell’affermazione su ampia scala del reato del negazionismo, sono pochi gli Stati nei quali non vi è una specifica previsione del reato del negazionismo o di un’aggravante[39] e, quindi, dal quadro delineato risulta che ormai esiste un consenso degli Stati circa la classificazione del negazionismo come forma di incitamento all’odio e alla discriminazione, con la conseguenza che in quanto atto di hate speech non può godere della protezione offerta dal diritto alla libertà di espressione proprio perché – come osservato anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 3808 che, come vedremo, aderisce alle conclusioni della Corte europea – «è indubitabile che esiste un legame di continuità tra la politica nazista di occultamento delle prove del genocidio, come accertata dalle truppe alleate alla fine della Seconda guerra mondiale, e le attività di alcuni autori (che si definiscono storici) che tentano di convincere il mondo che la Shoah sia la grande impostura del ventesimo secolo».
4. I chiarimenti della Cassazione sull’applicazione dell’aggravante del negazionismo e il filo diretto con la Corte europea dei diritti dell’uomo
La sentenza della Corte di Cassazione, oltre a chiarire il percorso seguito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di negazionismo e a stabilire la corretta applicazione sul piano interno, che era contestata dal ricorrente, fornisce chiarimenti sui parametri necessari per applicare l’aggravante del negazionismo. A tale riguardo, la Cassazione ha respinto la tesi del ricorrente secondo il quale nella sua azione era assente l’elemento di propaganda discriminatoria e di negazione della Shoah. Ed invero, la Corte ha condiviso l’operato dei giudici di merito i quali hanno considerato in modo distinto il rinvenimento di numerosi volantini nell’abitazione del ricorrente che, poiché non diffusi pubblicamente, non potevano rientrare nella fattispecie penale di cui all’art. 604-bis (Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa) nella parte in cui esso prevede la reclusione da due a sei anni «se la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoah…», rispetto, invece, all’altro atto caratterizzato dall’effettiva diffusione nelle vie di Milano. Effettivamente, nel primo caso, non solo manca l’elemento esteriore della dichiarazione negazionista ma, a nostro avviso, anche il pericolo di diffusione tenendo conto che erano stati ritrovati nell’abitazione e non mentre l’uomo era fuori casa. È stata diversa, correttamente, la conclusione per la condotta legata alla diffusione di alcuni volantini che, nel caso di specie, era stata particolarmente pericolosa proprio perché l’uomo li aveva distribuiti o affissi in città, in luoghi altamente abitati, amplificandone la divulgazione. Con riguardo al dolo, la Corte di Cassazione ha precisato che l’art. 3, c. 1, lett. a) della legge n. 654/1975 configura un reato a dolo generico e che, nel caso in esame, elementi che attestano l’esistenza del dolo sono da rinvenire anche nella scelta dell’imputato di compiere le condotte di cui era accusato nel Giorno della Memoria e, dunque “in pieno e sordo contrasto con una specifica previsione normativa che ha istituito tale momento di ricordo”. La previsione normativa che ha disposto la celebrazione di tale giorno «è cristallina nel precetto, maieutica nel metodo e didattica nei mezzi», tanto più che in ragione dell’età dell’imputato era evidente che lo scopo e il senso del Giorno della Memoria gli fossero ben noti[40].Nel caso in esame, l’uomo aveva inteso amplificare la portata discriminatoria proprio scegliendo il Giorno della Memoria come data per la diffusione, aspetto che mostra la volontà di colpire la dignità di un determinato gruppo e diffondere l’antisemitismo attraverso la distorsione della storia, senza alcun fondamento scientifico e storico, come attestato anche dall’alto numero di Stati che individuano il reato di negazionismo e dalle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. In questo senso, la Corte di Cassazione ha respinto i giochi di parole che portano gli autori di queste idee discriminatorie a non qualificarsi come negazionisti – quali in effetti sono – ma come revisionisti. In realtà, la negazione di una verità storica come l’Olocausto non ha alcuna base fattuale e ha un’evidente finalità offensiva e di incitamento all’odio verso un determinato gruppo.
Nel valutare l’elemento del dolo, i giudici di merito, inoltre, hanno tenuto conto del comportamento del ricorrente il quale, come dimostrato nel corso del processo, aderiva ad idee discriminatorie e negazioniste, seppure da lui qualificate nel contesto del revisionismo storico. Ci sembra opportuno sottolineare che, sul punto, l’iter seguito dalla Cassazione è analogo a quello di recente prospettato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza Zemmour c. Francia[41], depositata il 20 dicembre 2022, con la quale la Corte di Strasburgo, precisato che la Convenzione non riconosce alcuna protezione ai discorsi che sostengono o giustificano la violenza, l’odio, la xenofobia o altre forme di intolleranza, tra i quali vi sono le dichiarazioni con finalità discriminatorie, ha valutato, per accertare l’intenzionalità del ricorrente, che l’uomo politico, condannato dai giudici francesi per aver incitato alla discriminazione nei confronti dei musulmani, avesse utilizzato una trasmissione televisiva in prima serata, con un’evidente volontà di divulgare il messaggio su larga scala e verso un vasto pubblico.
Con riguardo alla giurisprudenza della Corte europea relativa alla pronuncia n. 3808, è da rilevare che il ricorrente nel giudizio italiano aveva sostenuto che i giudici di merito avessero violato l’art. 10 della Convenzione non interpretando correttamente la norma. La Cassazione ha respinto questa tesi sostenendo che, in realtà, era il ricorrente ad avere interpretato in modo non corretto la giurisprudenza internazionale. Ed invero, la Corte di Strasburgo ha svolto in passato e continua a svolgere, anche con riguardo all’utilizzo di nuovi mezzi di comunicazione attraverso il web che presentano una pericolosità maggiore nel caso di diffusione di messaggi d’odio, un ruolo centrale nell’individuazione di una linea di demarcazione tra libertà di espressione e posizioni negazioniste, chiarendo i casi in cui dette tesi possono essere classificate come abuso di diritto (art. 17 della Convenzione) o come manifestazioni che non rientrano nel perimetro della libertà di espressione (art. 10), con la conseguenza che è conforme al quadro convenzionale l’adozione, da parte degli Stati, di interventi normativi punitivi[42]. In numerose occasioni, infatti, la Corte ha considerato le “opinioni” negazioniste tra quelle che possono – e finanche devono – giustificare una limitazione al diritto alla libertà di espressione[43], respingendo i ricorsi di coloro che ritenevano di essere stati lesi nel proprio diritto alla libertà di espressione. In taluni casi, la Corte ha precisato che queste manifestazioni d’odio non rientrano neanche nel diritto alla libertà di espressione, configurandosi piuttosto come ipotesi di abuso del diritto. Le dichiarazioni negazioniste di crimini come l’Olocausto e il comportamento di chi le diffonde sono stati collocati, in diverse occasioni, nel perimetro dell’art. 17 il quale stabilisce che nessuna disposizione della Convenzione, inclusa, quindi, la norma che tutela la libertà di espressione (art. 10), può essere interpretata in modo tale da includere il diritto a compiere un’attività o un atto che mira alla distruzione dei diritti e delle libertà convenzionali.Nella sua giurisprudenza, la Corte ha considerato non solo legittimo ma anche necessario un intervento degli Stati funzionale a limitare la libertà di espressione nei casi di manifestazione di odio, con la previsione di sanzioni nei confronti di coloro che negano crimini come l’Olocausto e l’inserimento, nel proprio ordinamento, di norme penali ad hoc. In un primo tempo, il richiamo all’art. 17 è stato effettuato in rapporto alle dichiarazioni espresse contro gli ebrei. La Francia è stata uno dei primi Paesi a stabilire, con la legge Gayssot, norme penali sul negazionismo: la Corte europea, con la decisione Garaudy c. Francia del 24 giugno 2003[44] ha respinto il ricorso di uno scrittore francese, il quale sosteneva che il numero delle vittime dell’Olocausto non era stato elevato, mettendo in dubbio anche il piano nazista relativo alla cosiddetta “soluzione finale”. La Corte, a fronte delle contestazioni dell’uomo il quale sosteneva che i giudici interni avevano violato l’art. 10 della Convenzione, ha disposto l’applicazione dell’art. 17 della Convenzione in base al quale, come detto, le norme convenzionali non possono essere utilizzate o interpretate per attività o per compiere atti che portano alla «distruzione dei diritti o delle libertà riconosciute nella presente Convenzione», osservando che la negazione di fatti storici chiaramente accertati come l’Olocausto non è in alcun modo espressione di un lavoro di ricerca storica, funzionale a un accertamento della verità, quanto piuttosto un modo per riabilitare il nazionalsocialismo nel periodo della Seconda guerra mondiale e di accusare le stesse vittime di falsificazione della realtà[45]. Proprio la negazione dei crimini contro l’umanità perpetrati durante il nazismo è considerata come una delle forme più gravi di diffamazione nei confronti degli ebrei, in grado di minare la lotta all’antisemitismo e di compromettere l’ordine pubblico, in modo incompatibile con i valori di una democrazia[46]. Con tali affermazioni la Corte esclude ogni possibilità di protezione alle dichiarazioni negazioniste, talvolta ammantate da una sorta di scientificità con un’auto-qualificazione da parte degli autori di queste dichiarazioni come appartenenti al dibattito storico e al revisionismo. Il cammino della Corte europea è proseguito in questa direzione. Poco dopo, con la decisione del 2 settembre 2004 nel caso W.P. e altri c. Polonia, la Corte ha rilevato che i ricorrenti, ai quali era stata negata la costituzione di un’associazione da parte delle autorità polacche, non potessero invocare la Convenzione e, in particolare l’art. 11 che garantisce il diritto di associazione, anche in forza dell’art. 17 in virtù della circostanza che l’associazione da loro fondata e i toni usati «can be seen as reviving anti-Semitism», tanto più che il comportamento razzista dei ricorrenti «also transpire from the anti-Semitic tenor of some of their submissions made before the Court»[47]. Quest’orientamento è continuato con la decisione del 20 febbraio 2007 (Ivanov c. Russia[48]), con la quale la Corte ha dichiarato irricevibile il ricorso del direttore di un giornale russo (condannato dai giudici interni), che aveva scritto diversi articoli indicando gli ebrei come fonte di pericolo in Russia, negando l’esistenza di ogni diritto alla loro dignità e negando l’esistenza dell’Olocausto, con una giustificazione della politica pro-Nazismo. Per la Corte europea, considerando il chiaro tenore antisemita degli articoli e l’incitamento all’odio nei confronti di un gruppo da essi provocato, il ricorrente, in forza dell’art. 17, non poteva beneficiare della protezione concessa in base all’art. 10 della Convenzione in quanto le sue dichiarazioni erano in contrasto con valori fondamentali come la tolleranza, la pace sociale e la non discriminazione, prescindendo, quindi, da una valutazione del contesto[49].Anche in diverse sentenze, la Corte ha messo in risalto la particolare gravità del negazionismo dell’Olocausto come forma di discriminazione, di lesione della dignità umana e incitamento indiretto all’odio razziale applicando l’art. 17. Invece, pur con qualche eccezione, nei casi di negazione di altri crimini contro l’umanità, pure accertati dalla storia, la Corte ha fatto leva sui limiti al diritto alla libertà di espressione presenti nell’art. 10. A tal proposito si può ricordare la sentenza Fatullayev c. Azerbaijan del 22 aprile 2010[50], nella quale la Corte ha affermato l’inapplicabilità dell’art. 17 perché non si trattava di negazionismo relativo a «clearly established historical facts such as the Holocaust»[51], mentre con la decisione del 31 gennaio 2019 nel caso Williamson c. Germania[52], la Corte di Strasburgo, con specifico riferimento a una norma tedesca che proibisce con una sanzione penale il negazionismo dell’Olocausto ha ritenuto applicabile l’art. 17[53], senza procedere a una valutazione del contesto – come invece avviene nell’applicazione dei limiti di cui all’art. 10[54] -, con ciò evidenziando la particolare gravità delle tesi negazioniste della Shoah. Va anche sottolineato che, di converso, la Corte mostra di rafforzare il diritto alla libertà di espressione di coloro che contestano le opinioni dei negazionisti. Ad esempio, nella sentenza del 1° dicembre 2009, Karsai c. Ungheria[55], la Corte ha accolto il ricorso di uno storico che aveva pubblicato un articolo su un settimanale di attualità nel quale aveva criticato la stampa di destra accusata di sostenere l’iniziativa di alcuni politici per la costruzione di una statua per celebrare la figura di Teleki, ex primo ministro ungherese durante la Seconda guerra mondiale, autore di numerose leggi antisemite. La statua, ad avviso dello storico, era un modo per esprimere tesi revisioniste, volte a negare fatti storici commessi durante la Seconda guerra mondiale, con la conseguenza che l’uomo, condannato a causa di un articolo fortemente critico verso il revisionismo del ruolo dell’ex primo ministro ungherese e l’apologia dei suoi atti volti a realizzare «un piano di attacco agli ebrei», usufruiva di una tutela più ampia della libertà di espressione.Alla luce di questa breve analisi, ci sembra si possa concludere che la Cassazione abbia seguito i criteri individuati dalla Corte europea che, nel complesso, si sostanziano nell’escludere dalla protezione dell’art. 10 le dichiarazioni offensive dell’Olocausto, come avvenuto nella sentenza Peta Deutschland c. Germania dell’8 novembre 2012 e nel considerare di maggiore gravità le tesi negazioniste per le quali è applicabile non solo l’art. 10 (con riguardo ai limiti alla libertà di espressione necessari in una società democratica), ma finanche l’art. 17 che, in sostanza, porta a ritenere le tesi negazioniste come lesive dei valori democratici e convenzionali nel suo complesso, in grado di istigare comportamenti discriminatori[56]. Un orientamento che, a nostro avviso, potrebbe portare a ritenere che nei casi di negazionismo sia ormai richiesto un intervento punitivo nell’ambito penale non solo in base alla decisione quadro 2008/913/GAI, ma anche in base alle fonti internazionali inclusa la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
5. Osservazioni conclusive
La pronuncia della Corte di Cassazione, oltre a indicare una piena adesione alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che, da anni, considera il negazionismo in particolare dell’Olocausto come una forma di hate speech che ha evidenti finalità discriminatorie, individua l’importanza dei fattori necessari per punire questi reati sul piano interno. In particolare, infatti, la Cassazione ha escluso la rilevanza penale della condotta che consiste nella mera detenzione dei volantini in un’abitazione privata, mentre ha considerato come penalmente rilevante la condotta dell’affissione e la distribuzione di volantini sulle vie pubbliche. Questo ci sembra costituisca un giusto bilanciamento tra limiti alla libertà di espressione e divieto di discriminazione proprio perché è la diffusione dei messaggi discriminatori e di odio a far assumere rilevanza penale a un determinato comportamento. La diffusione del volantino (o il rischio di diffusione che, a nostro avviso, alla luce della sentenza potrebbe configurarsi solo se un individuo possiede i volantini in luoghi pubblici) o di una dichiarazione negazionista si sostanziano così in atti di propaganda discriminatoria e razzista equiparabili ad atti di hate speech. È da segnalare che correttamente la Cassazione non ha ritenuto necessaria, per la configurazione del reato, l’effettiva realizzazione di altri atti materiali nei confronti dei soggetti al centro dei messaggi discriminatori, con ciò sottolineando la gravità in sé della diffusione dei messaggi d’odio. Il negazionismo, quindi, è una forma di hate speech da punire in modo analogo alle azioni di incitamento diretto, tendenza che si riscontra anche sul piano internazionale e negli ordinamenti di altri Stati[57]. La scelta di inserire e applicare l’aggravante nel caso di negazionismo e di non prevedere in modo autonomo il fatto di negare in sé, richiedendo invece la diffusione (o il pericolo di diffusione) e la propaganda, ci sembra in linea con l’art. 4 della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, dalla quale ha origine la legge n. 654/1975 in cui è chiesto agli Stati di sradicare ogni forma di incitamento o ogni forma di disseminazione di idee basate sulla superiorità razziale. Da un lato, quindi, l’introduzione dell’aggravante corrisponde alla richiesta dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che, nella risoluzione del 7 ottobre 2022 (A/77/512), ha dato seguito alle proposte del Relatore speciale sulle forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e intolleranza, e ha richiesto agli Stati (e anche alle società che gestiscono i social media), proprio per combattere la glorificazione del nazismo, un forte impegno per arginare l’incremento di crimini di odio e di incitamento alla violenza nei confronti di un determinato gruppo; dall’altro lato, richiedendo un’esternazione dei messaggi negazionisti pone un argine a eccessive limitazioni della libertà di espressione. Non si può dire che la previsione della disseminazione intacchi la punizione dei negazionisti dell’Olocausto, perché sul punto basti considerare che nella stessa risoluzione dell’Assemblea generale si pone in primo piano l’aspetto della diffusione (che è anche un elemento della disinformazione) e che, come ricordato dal Relatore speciale, anche in Armenia, Paese molto attento a impedire il negazionismo dei genocidi, nel nuovo codice penale in vigore dal 1° luglio 2022, all’art. 329 si considera come reato l’incitamento alla violenza e alla discriminazione e all’art. 330 si punisce la distribuzione di materiale funzionale a tale scopo[58].
Ci sembra, quindi, che la sentenza della Corte di Cassazione mostri che, nel suo concreto operare, l’aggravante del negazionismo sia in grado di raggiungere il risultato di vietare forme di negazionismo che se all’interno delle mura domestiche non possono produrre effetti di discriminazione e di odio verso determinati gruppi, se realizzate all’esterno sono correttamente punite nei casi in cui si realizzi la diffusione, ad esempio, come nel caso di specie, affiggendo striscioni e distribuendo volantini. La sentenza in esame, inoltre, a nostro avviso smentisce le osservazioni critiche formulate da alcuni studiosi per i quali la norma sul negazionismo avrebbe un valore simbolico e sarebbe priva di effettività[59].
In realtà, sia dal quadro normativo sia dalla sentenza risulta realizzato quanto richiesto dalle organizzazioni internazionali, ossia la punizione in sede penale di coloro che negano crimini accertati dalla storia come l’Olocausto. Da ultimo, ciò è stato richiesto con la risoluzione n. 2447 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa adottata il 22 giugno 2022 con la quale, accertata la diffusione dell’antisemitismo e della discriminazione razziale che si manifestano anche con il negazionismo di genocidi come l’Olocausto e alla luce del rapporto “Preventing and combating antisemitism in Europe”[60], si sottolinea l’importanza di punire in sede penale il diniego dell’Olocausto e di altri crimini di genocidio, anche quando tali crimini sono commessi da pubblici ufficiali. Un’importanza che, a nostro avviso, risiede nel fatto che il negazionismo dell’Olocausto lede la dignità delle vittime, dei sopravvissuti e dell’intera collettività.
[1] Si tratta del rapporto Overview of Antisemitic incidents recorded in the European Union – 2011-2021, reperibile nel sito fra.europa.eu. Nel documento sono riportati i dati relativi agli episodi di antisemitismo nei Paesi membri. Per quanto riguarda l’Italia, si evidenzia che nel 2011 i casi registrati sono stati 23, saliti a 101 nel 2021. Dalla tabella n. 30 risulta che nel 2021 ci sono stati due arresti (nessuno nel 2020) e che le persone denunciate sono state 40 (erano 11 nel 2020 e 1 nel 2011).
[2] Cfr., tra gli altri, A. Pietrobon, State Negationism and the Rule of Law, in A. Gattini – R. Garciandia – P. Webb – E. Fronza (a cura di), Human Dignity and International Law, Leiden – Boston, 2021, 164 ss.; G. Sacerdoti, Criminalizing Holocaust Denial: From International Standards to Domestic Implementation. The Case of Italy, ivi, 154 ss.; E. Fronza, Il negazionismo come reato, Milano, 2012; M. Manetti, Libertà di pensiero e negazionismo, in M. Ainis (a cura di), Informazione, potere, libertà, Torino, 2008, 41 ss.; M. Castellaneta, L’hate speech: da limite alla libertà di espressione a crimine contro l’umanità, in G. Venturini – S. Bariatti (a cura di), Diritti individuali e giustizia internazionale, Liber Fausto Pocar, Milano, 2009, 157 ss.
[3] Il documento è reperibile nel sito un.org. In precedenza, era stata adottata la risoluzione 61/255 del 26 gennaio 2007. Su altri interventi sul piano internazionale si veda R. Sabel, Anti-Semitism, in Max Planck Encyclopedias of International Law, nel sito opil.ouplaw.com.
[4] Nel documento non vincolante dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) si dichiara che il negazionismo è «l’affermazione propagandistica che nega la realtà storica e la portata dello sterminio degli ebrei» e che esso si riferisce «specificamente a qualunque tentativo teso a sostenere che l’Olocausto/Shoah non abbia avuto luogo», con l’obiettivo di «colpevolizzare gli ebrei e rendere di nuovo legittimo l’antisemitismo». Il documento è reperibile nel sito holocaustremembrance.com.
[5] Nel Preambolo si chiarisce che rientrano nel negazionismo dell’Olocausto, «(a) Intentional efforts to excuse or minimize the impact of the Holocaust or its principal elements, including collaborators and allies of Nazi Germany, (b) Gross minimization of the number of the victims of the Holocaust in contradiction to reliable sources, (c) Attempts to blame the Jews for causing their own genocide, (d) Statements that cast the Holocaust as a positive historical event, (e) Attempts to blur the responsibility for the establishment of concentration and death camps devised and operated by Nazi Germany by putting blame on other nations or ethnic groups».
[6] Si veda S. Šarić, The Denial of Genocide in Srebrenica in the Context of Strengthening Neo-fascism and Relativization of the Holocaust in Europe, in Bosnian Studies: Journal for research of Bosnian thought and culture, 5, 2021, 66 ss.
[7] In GUUE L 328, 6 dicembre 2008, 55 ss. Nella direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI (in GUUE L 315, 14 novembre 2012, 57 ss., recepita in Italia con d.lgs. n. 212 del 15 dicembre 2015) le vittime di messaggi di incitamento all’odio sono incluse tra quelle particolarmente vulnerabili. La direttiva 2000/43/CE del 29 giugno 2000 che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, invece, non si occupa del negazionismo: in GUCE L 180, 18 luglio 2000, 22 ss.
[8] Si veda anche la Comunicazione della Commissione del 18 settembre 2020 (COM (2020)565) intitolata A Union of equality: EU anti-racism action plan 2020-2025.
[9] P8_TA-Prov(2018)0428, nel sito europarl.europa.eu.
[10] COM(2021)615. In Italia, nel 2021 è stata elaborata la Strategia Nazionale per la lotta contro l’antisemitismo, in attuazione di quanto richiesto dal Consiglio dell’Unione europea nella Dichiarazione n. 13637/20 del 2 dicembre 2020. Nella Strategia si sottolinea che l’antisemitismo si può manifestare anche con il negazionismo, il revisionismo, il riduzionismo e la distorsione dell’Olocausto.
[11] Anche in Italia, per rafforzare la lotta all’antisemitismo, sono state adottate talune misure come l’istituzione del Coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in conseguenza della risoluzione del Parlamento europeo del 1° giugno 2017 sulla lotta contro l’antisemitismo con la quale i deputati avevano chiesto agli Stati membri di nominare un Coordinatore nazionale (il 1° gennaio 2020 è stata nominata in Italia la professoressa Milena Santerini). È stata altresì istituita la Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo, istigazione all’odio e alla violenza, presieduta dalla senatrice Liliana Segre, che ha pubblicato una relazione il 20 giugno 2022.
[12] COM(2021)777.
[13] Si veda anche il codice di condotta per contrastare l’incitamento all’odio online voluto dalla Commissione europea, adottato nel 2016 e modificato a giugno 2022, reperibile nel sito nel sito europa.eu.
[14] Si veda il sito transparency.fb.com. Il negazionismo dell’Olocausto non era presente nelle versioni antecedenti come, ad esempio, nelle regole di agosto 2020.
[15] La norma si occupa del concorso di persone in un reato stabilendo che «Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti». Sulla sentenza si veda S. Gimigliano – A. Magrassi, È negazionismo, non revisionismo: verità della memoria e memoria della verità, in dirittifondamentali.it, 2, 2022, 104 ss.
[16] Cfr. E. Fronza, L’introduzione dell’aggravante del negazionismo, in Diritto penale e processo, 2017, 155 ss.; P. Caroli, Aggravante di negazionismo e nuove condotte tipiche, ivi, 2018, 605 ss.; M. Donini, Negazionismo e protezione della memoria, in Sistema penale, 2021, reperibile nel sito sistemapenale.it.; D. Pulitanò, Di fronte al negazionismo e al discorso d’odio, in Diritto penale contemporaneo, 4, 2015, 325 ss.
[17] Così la ricostruzione della Corte di Cassazione.
[18] Tra la sterminata bibliografia, si veda, per tutti, T. McGonagle, Freedom of Expression and Defamation, Strasbourg, 2016; M. Oetheimer – A. Cardone, Art. 10, in S. Bartole – P. De Sena – V. Zagrebelsky (a cura di), Commentario breve alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2012, 397 ss.
[19] Si veda V.N. Dadrian, The Historical and Legal Interconnections Between the Armenian Genocide and the Jewish Holocaust: From Impunity to Retributive Justice, in Yale Journal of International Law, 1998, 504 ss.; D. Bloxham, Genocide on Trial: The War Crimes Trials and the Formation of Holocaust History and Memory, Oxford, 2001; M. Bazyler, Holocaust, Genocide, and the Law: A Quest for Justice in a Post-Holocaust World, Oxford, 2016.
[20] La pena prevista va da uno a cinque anni, con un aumento di pena «per i capi e i promotori di tali organizzazioni o associazioni».
[21] Tra le novità introdotte da tale modifica vi è la possibilità per le autorità giudiziarie di prevedere sanzioni accessorie per uno dei reati previsti dall’art. 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, o per uno dei reati previsti dalla legge 9 ottobre 1967, n. 962. Cfr., tra gli altri, M. Manetti, Libertà di pensiero e negazionismo, cit.; E. Fronza, Il negazionismo come reato, cit.
[22] Il testo è intitolato “Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’art. 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103”.
[23] È altresì «vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni». Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli artt. 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale.
[24] Per quanto riguarda le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall’art. 98, è stato stabilito che quelle «concorrenti con l’aggravante di cui al primo comma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alla predetta aggravante».
[25] Si veda il rapporto della Commissione sull’attuazione della direttiva 2008/913, presentato il 27 gennaio 2014, COM(2014) 27, reperibile nel sito europa.eu.
[26] In senso critico rispetto all’ampliamento degli «spazi di rilevanza penale del negazionismo nell’ordinamento interno», si veda C.D. Leotta, Negazionismo, Dig. Disc. Pen., Aggiornamento, X, 2018, 476 ss.
[27] Per alcune osservazioni critiche sull’introduzione del negazionismo tra i reati presupposto della responsabilità della persona giuridica si veda A. Galluccio, Modificata l’aggravante di negazionismo e inserito l’art. 3 C.3-bis L. 654/1975 nel novero dei reati presupposto ex D.lgs. 231/2001, in Dir. pen. contemporaneo, 2017, nel sito archiviodpc.dirittopenaleuomo.org.
[28] Si rinvia a M. Castellaneta, La repressione del negazionismo e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Diritti umani e diritto internazionale, 2011, 65 ss.
[29] La richiesta era stata presentata dal Presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici. In senso contrario si era espresso S. Luzzatto, Shoah vera o falsa? Non si decide per legge, in Il Sole 24 Ore, 17 ottobre 2010, 11, che invocava interventi sul piano culturale e sociale e non attraverso la via giudiziaria.
[30] Per un quadro delle legislazioni di alcuni Stati membri Ue, cfr. il documento del Parlamento europeo Holocaust denial in criminal law, a cura di P. Bakowski, PE 698.043, gennaio 2022. Si veda anche A. Gliszczyńska-Grabias, Penalizing Holocaust Denial: A View from Europe, in Global Antisemitism: A Crisis of Modernity, Leiden, 2013, 237 ss., nonché M.J. Bazyler, Holocaust Denial Laws and Other Legislation Criminalizing Promotion of Nazism, reperibile nel sito yadvashem.org.
[31] In Austria era stato adottato il National Socialism Prohibition Act dell’8 maggio 1945, modificato dalla legge 26 febbraio 1992. Sulla legislazione austriaca si veda F. Müller, The Nazi Prohibition Act in Relation to Freedom of Speech, reperibile nel sito internet etudes-europeennes.fr, 12(1).
[32] Si veda la legge 23 ottobre 1994 reperibile nel sito bgbl.de. Già, in precedenza, in via interpretativa, era possibile utilizzare altre norme volte a tutelare la dignità che permettevano una punizione del negazionismo. Cfr. E. Stein, History against free speech: the new German law against the “Auschwitz” – and other – “lies”, in Michigan Law Review 1986, 277 ss.; D. Grimm, The Holocaust Denial Decision of the Federal Constitutional Court of Germany, in I. Hare – J. Weinstein (a cura di), Extreme Speech and Democracy, Oxford, 2009, 557 ss.
[33] Cfr. R. Kahn, Cross-Burning, Holocaust Denial, and the Development of Hate Speech Law in the United States and Germany, in University of Detroit Mercy Law Review, 2006, 163 ss.; C. Haupt, Regulating Hate Speech-Damned if you do and Damned if you don’t: Lessons Learned from Comparing the German and U.S. Approaches, in Boston University International Law Journal, 2005, 299 ss.
[34] Con l’indicata legge sono state introdotte modifiche alla normativa sulla libertà di stampa del 29 luglio 1881, che classifica come reato la contestazione dell’esistenza dei crimini contro l’umanità durante il nazismo. In base a tale legge, i tribunali francesi hanno condannato, l’8 febbraio 2008, Jean-Marie Le Pen, il quale sosteneva che l’occupazione dei nazisti in Francia non era stata particolarmente disumana, negando le persecuzioni subite dagli ebrei. Si veda quanto riportato nel sito jurist.law.pitt.edu. Il Presidente del Fronte nazionale, in precedenza, era stato condannato, il 2 aprile 2004, dal tribunale penale di Parigi, per incitamento all’odio razziale nei confronti dei musulmani.
[35] La Polonia, tuttavia, limita il reato di negazionismo solo ai casi in cui tale reato sia commesso a danno di cittadini polacchi (si veda il rapporto annuale dell’Agenzia europea dei diritti fondamentali del 2022).
[36] La legge è stata modificata nel 1999. Cfr. M. Whine, Expanding Holocaust Denial and Legislation Against It, in in I. Hare – J. Weinstein (a cura di), Extreme Speech and Democracy, cit., 538 ss.
[37]In assemblee-nationale.fr.
[38] La pronuncia è reperibile nel sito conseil-constitutionnel.fr.
[39] Bulgaria, Estonia, Finlandia, Irlanda, Malta, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito hanno, infatti, nel proprio ordinamento, norme volte a punire l’incitamento all’odio o alla discriminazione razziale, ma non disposizioni che considerino reato il negazionismo.
[40] Per la Suprema Corte, l’uomo «ha preferito rifiutare ostinatamente quanto gli era stato insegnato, deliberatamente disponendosi a negare l’Olocausto ebraico».
[41] Ric. 63539/19.
[42] Come sottolineato da P. Lobba, Holocaust Denial before the European Court of Human Rights: Evolution of an Exceptional Regime, in European Journal of International Law, 2015, 237 ss., la Corte europea ha avuto diverse fasi nel giudicare i casi relativi al diniego dell’Olocausto, ma «all applications about Holocaust denial have been invariably (and unanimously) dismissed as inadmissible». In una prima fase, ricorda l’autore, in particolare nel caso Lowes c. Regno Unito, ric. 13214/87, decisione del 9 novembre 1988, non fu effettuato un richiamo all’applicazione dell’art. 17 della Convenzione, mentre successivamente la Corte ha iniziato ad applicare l’art. 17 come principio di interpretazione, in particolare dal caso Kühnen c. Germania, ric. 12194/86, decisione del 12 maggio 1988. Successivamente, ad avviso dell’autore, nella terza fase, l’art. 17 è stato utilizzato come causa di esclusione dalla protezione dell’art. 10 della Convenzione.
[43] Sull’hate speech si v. I. Hare, Extreme Speech Under International and Regional Human Rights Standards, in in I. Hare – J. Weinstein (a cura di), Extreme Speech and Democracy, cit., 62 ss.; A. Weber, Manual on hate speech, Strasbourg, 2009.
[44] Ric. 65831/01. La Cassazione cita, in realtà, la sentenza Garaudy c. Francia del 1998 che, però, non risulta presente.
[45] La Corte ha affermato: «Il ne fait aucun doute que contester la réalité de faits historiques clairement établis, tels que l’Holocauste, comme le fait le requérant dans son ouvrage, ne relève en aucune manière d’un travail de recherche historique s’apparentant à une quête de la vérité. L’objectif et l’aboutissement d’une telle démarche sont totalement différents, car il s’agit en fait de réhabiliter le régime national-socialiste, et, par voie de conséquence, d’accuser de falsification de l’histoire les victimes elles-mêmes».
[46] Nella decisione indicata la Corte ha precisato: «Apparaît comme l’une des formes les plus aiguës de diffamation raciale envers les Juifs et d’incitation à la haine à leur égard. La négation ou la révision de faits historiques de ce type remettent en cause les valeurs qui fondent la lutte contre le racisme et l’antisémitisme et sont de nature à troubler gravement l’ordre public. Portant atteinte aux droits d’autrui, de tels actes sont incompatibles avec la démocratie et les droits de l’homme et leurs auteurs visent incontestablement des objectifs du type de ceux prohibés par l’article 17 de la Convention». Cfr. M. Levinet, La fermeté bienvenue de la Cour européenne des droits de l’homme face au négationnisme, in Revue trimestrielle des droits de l’homme, 2004, 653 ss.; S. Giordano, La repressione legale del negazionismo storico nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Pace diritti umani, 2, 2006, 83 ss.
[47] Ric. 42264/08.
[48] Ric. 35222/04.
[49] La Grande Camera, invece, ha escluso, nel caso Perinçek c. Svizzera, ric. 27510/08, del 15 ottobre 2015 che in quel caso trovasse applicazione l’art. 17, che va richiamato in situazioni eccezionali e in ipotesi estreme.
[50] Ric. 40984/07.
[51] Del pari, nella sentenza Bingöl c. Turchia, ric. 36141/04, del 22 giugno 2010, la Corte non ha ritenuto applicabile l’art. 17 – come richiedeva la Turchia – ritenendo, invece, che la condanna per hate speech di un uomo politico che aveva criticato il Governo con riferimento alla questione curda, fosse una violazione dell’art. 10.
[52] Ric. 64496/17.
[53] Il caso riguardava dichiarazioni trasmesse in via principale in un altro Stato (Svezia), pur essendo poi accessibili in Germania con il sistema di video-on-demand o su un canale a pagamento.
[54] Cfr. M. Castellaneta, La repressione del negazionismo e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., nonché la sentenza del 4 dicembre 2003, Gündüz c. Turchia (ric. 35071/97), in cui la Corte ha chiarito che le dichiarazioni dal contenuto discriminatorio sono da classificare come incitamento all’odio solo se rese in un contesto nel quale i discorsi di tal genere sono in grado di produrre gli effetti voluti. Del pari, nella decisione sull’irricevibilità del ricorso presentato il 7 maggio 2010 (ric. 18788/09) da Jean-Marie Le Pen contro la Francia, a seguito della condanna subita per decisione dei tribunali nazionali per incitamento all’odio e alla discriminazione, la Corte ha valutato le dichiarazioni del ricorrente ritenendo che esse, in astratto, godevano della protezione di cui all’art. 10, ma che, nel caso di specie, proprio analizzando il contesto, erano in grado di suscitare un forte sentimento di ostilità nei confronti della comunità musulmana.
[55] Ric. 5380/07.
[56] Si vedano i casi indicati nel par. 4 e, in particolare, la decisione Garaudy (vedi supra, nota 44).
[57] Il negazionismo si è posto anche con riguardo ad altri genocidi come quello in Ruanda. A tale riguardo, si può ricordare l’arresto di un avvocato statunitense, Peter Erlinder, impegnato in diversi procedimenti dinanzi al Tribunale penale internazionale per i crimini in Ruanda, accusato di aver negato, con alcuni suoi libri, l’esistenza del genocidio nel Paese africano. Arrestato dalle autorità ruandesi, è stato rilasciato il 22 giugno 2010, anche se il procedimento penale era andato avanti. Con decisione del 6 ottobre 2010, la Camera di appello del Tribunale penale internazionale per il Ruanda ha stabilito l’immunità per l’avvocato solo per le dichiarazioni espresse nel corso del procedimento Ntabakuze, del quale il legale era difensore, ma non per quanto scritto e dichiarato nella sua attività privata (ICTR-98-41-A). Cfr. K. Gibson, The Arrest of ICTR Defense Council Peter Erlinder in Rwanda, in Insights, 14, 26, 2010, nel sito asil.org.
[58] Si veda il documento A/77/512.
[59] Si veda, in questo senso, L. Daniele, Negazionismo e libertà di espressione. Dalla sentenza Perinçek c. Svizzera alla nuova aggravante prevista nell’ordinamento italiano, in Diritto penale contemporaneo, 10, 2017, 9 ss., in specie 96. Per alcune osservazioni critiche, cfr. M. Donini, Negazionismo e protezione della memoria, in Sistema penale, 2021, 1 ss. (nel sito sistemapenale.it), il quale ritiene che l’aggravante del negazionismo «rischia di imputare addirittura per colpa il discorso negazionista, avendone fatto una circostanza aggravante, che rileva anche se ignorata per colpa ex art. 59, co. 1 c.p., purché il fatto sia commesso in modo che derivi concreto pericolo di diffusione» (13).
[60] Si veda il rapporto n. 15539 del 23 maggio 2022, redatto da Petra Bayr, nel quale si afferma: «Holocaust denial and distortion aim at negating a part of European history. They can also be used to promote a political agenda. The denial, trivialisation, justification or praise of the Holocaust should be criminalised. History education must include education on the Holocaust and prevent its trivialisation as well as revisionism. Specific educational programmes, as well as awareness-raising campaigns, are instrumental tools to prevent antisemitism. Sufficient funding must be allocated for their creation, if needed, and implementation. New ways of telling the story of the Holocaust, without survivors sharing their story, should be found. The Assembly should also be encouraged to continue its actions on Holocaust remembrance every year».