Sommario: 1. La questione controversa. – 2. Gli obbiettivi del regolamento come strumento per individuare la metodologia di valutazione delle condotte. – 3. La scomposizione degli aspetti interpretativi nei loro diversi profili. – 4. Il contenuto del principio di neutralità e principio di non discriminazione: necessità di una differenziazione? – 4.1. Segue: principio di neutralità e “Internet aperta”. – 4.2. Segue: principio di neutralità e principio di non discriminazione.
- La questione controversa
Un recente orientamento della Corte di giustizia sul tema della net neutrality suggerisce di tornare a riflettere su due ordini di questioni, quali l’interpretazione delle condotte delineate all’art. 3 del Regolamento (UE) 2015/2120 in grado di garantire il principio di neutralità della rete e sul rapporto tra quest’ultimo e il concetto di «Internet aperta»[1].
Nella specie, il caso sottoposto all’attenzione della Corte concerneva la vendita, da parte del fornitore di servizi di accesso ungherese Telenor, di due piani tariffari – «My Chat» e «My Music» – in cui alcune applicazioni, contenuti e servizi venivano sottoposti a un trattamento privilegiato rispetto ad altri. Più nel dettaglio, i servizi esclusi nella c.d. tariffa zero subivano condizioni sbilanciate se paragonate ai vantaggi concessi ai servizi favoriti: anzitutto, l’utilizzo delle applicazioni più importanti (quali Facebook, Instagram ecc.) non veniva computano nel traffico dati e, una volta terminati i dati di consumo, le stesse non veniva sottoposte a nessuna misura di rallentamento, contrariamente alle altre applicazioni per le quali l’accessibilità veniva limitata.
L’Ufficio nazionale dei Media e delle Comunicazioni ungherese ha ritenuto che le misure sottoscritte dai clienti attuassero in via di fatto una gestione del traffico incompatibile con il principio di parità di trattamento stabilito dall’art. 3, comma 3 del Regolamento (UE) 2015/2120. Conseguentemente, la Corte di Budapest ha sollevato un rinvio pregiudiziale per chiarire il dubbio interpretativo sulla normativa applicabile e precisare se, in caso di discriminazione, sia necessario valutare l’impatto concreto della condotta per verificare la disparità di trattamento.
Al fine di valutare la soluzione interpretativa accolta dalla Corte conviene procedere con ordine, distinguendo i diversi piani dell’indagine.
In primo luogo, trattandosi di un problema interpretativo occorrerà procedere analizzando le condotte interessate dal Regolamento, muovendo dagli obbiettivi che originariamente ne hanno giustificato l’adozione.
Una seconda fase della riflessione verrà invece dedicata alla ricostruzione del principio di neutralità della rete in modo da verificare la sua assimilabilità al principio di «Internet Aperta». In tale prospettiva, un utile spunto verrà offerto dall’evoluzione che il concetto di neutralità ha avuto nel tempo e di come quest’ultimo sia stato sostanzialmente assimilato al principio di disparità di trattamento.
- Gli obbiettivi del regolamento come strumento per individuare la metodologia di valutazione delle condotte
Il Regolamento (UE) 2015/2120 mira a disporre delle norme comuni per scongiurare la disparità di trattamento nella gestione del traffico e nei servizi di accesso a Internet, con il fine di tutelare i diritti degli utenti finali, da intendersi quali il diritto di accedere a informazioni e contenuti anche con l’intenzione di diffonderli; il diritto di utilizzare e di fornire servizi e contenuti e applicazioni e il diritto di utilizzare apparecchiature terminali a propria scelta.
Più precisamente, l’art. 3, par. 1, tutela la libera circolazione delle informazioni e la facoltà di utilizzarle e diffonderle a prescindere dal tenore o dalla destinazione del contenuto, così come della loro origine o della localizzazione del loro contenuto.
La norma è inserita ad apertura del Regolamento, dopo le disposizioni dedicate alle definizioni, e mira a stabilire un generalizzato diritto di accesso a Intenet creando implicitamente un parallelismo tra il concetto di Internet aperta e l’obbiettivo di tutelare i diritti degli utenti finali – consumatori, fornitori di servizi e applicazioni e utenti semplici.
Il par. 2, dell’art. 3 introduce, invece, una garanzia specifica relativa al modo attraverso cui i diritti degli utenti finali possono subire delle limitazioni. A riguardo, è indifferente che le condizioni su prezzi, volumi di dati, velocità e sulle condizioni tecniche e commerciali del servizio di accesso siano pattuite tramite accordi o pratiche commerciali, non rilevando in alcun modo l’esplicita manifestazione del consenso. Ciò che rileva è, al più, l’impossibilità dell’Internet service provider – il fornitore del servizio di accesso – di concludere accordi di prioritizzazione del traffico in grado di generare trattamenti iniqui.
Infine, l’art. 3, par. 3 prescrive un obbligo generale di trattamento equo e non discriminatorio del traffico dati. Questa disposizione è stata considerata da alcuni autori una definizione normativa della neutralità nella quale si precisano le condotte che l’operatore deve astenersi dal compiere[2]. A onor del vero, la neutralità individua normativamente due tipologie di obblighi determinabili attraverso l’interpretazione sistematica dell’art. 3, par. 3 in combinato disposto con l’art. 3, par. 3, part. 3. Il primo obbligo, infatti, consiste nel trattare tutto il «traffico in modo equo, senza discriminazioni, restrizioni o interferenze indipendente dal contenuto, dal mittente o dal destinatario»; mentre il secondo obbligo prevede che i fornitori di servizio di accesso «non blocchino, rallentino, alterino, limitino, interferiscano, degradino o discriminino tra specifici contenuti, applicazioni o servizi, o loro specifiche categorie, salvo ove necessario e solo per il tempo necessario».
Le due fattispecie appena esplicate non sono esattamente speculari, ma si distinguono per tre aspetti: a) l’ambito di applicazione; b) il campo di analisi delle discriminazioni, c) l’operatività delle eccezioni.
Quanto al primo profilo, il secondo obbligo presenta un livello di specificità maggiore rispetto al primo, includendo condotte come “il bloccaggio”, il “rallentamento”, “l’alterazione” ecc., sicché si può presumere che nel caso si verificassero queste circostanze si dovrebbe propendere per la violazione del solo secondo obbligo, anziché di entrambi[3].
Il secondo aspetto mette in evidenza la distinzione che sussiste tra l’art. 3, par. 3, par. 1 e l’art. 3, par. 3, par. 2. Nel par. 1 la neutralità della rete assume le vesti del principio di non discriminazione per l’accesso e il traffico delle reti; come tale, quindi, richiederà la verifica dell’esistenza di un trattamento ingiustificato o di un trattamento simile ingiustificato. Al contrario, il par. 2. contempla un’eccezione mirata alla ragionevole gestione del traffico laddove specifiche esigenze lo giustifichino: queste esigenze devono essere temporanee, trasparenti, ragionevoli, proporzionate, non discriminatorie o basate su motivazioni commerciali o tecniche, ma ciò che più importa è che non richiedono un’analisi in termini di confronto se non rispetto al caso di specie.
Esaurita l’illustrazione del quadro normativo, si può meglio comprendere il problema interpretativo sollevato attraverso la prima questione pregiudiziale: la condotta di gestione tecnica del caso di specie è controversa perché presenta dei punti di contatto con entrambe le fattispecie delineate all’art 3, par. 2 e all’art. 3, par. 3. Da un lato, infatti, il rallentamento della velocità di trasmissione del traffico dati rappresenta una delle modalità di gestione del traffico menzionate dall’art. 3, par. 3, del Regolamento; dall’altro, la condotta è veicolata da un accordo inerente alle condizioni e caratteristiche tecniche e per questo ben potrebbe essere ricondotta all’art. 3, par. 2.
Laddove la fattispecie rientri nel più generale obbligo di cui al par. 3 il rinvio richiede inoltre la necessaria un’analisi dell’impatto della misura per valutare se siano effettivamente lesi i diritti degli utenti finali, oppure se la violazione del par. 3 integri di per sé una violazione di carattere generale e oggettiva.
- La scomposizione dei profili interpretativi nei loro diversi aspetti
Dal momento che si tratta di un problema esegetico, occorre valutare la questione in primis alla luce degli obbiettivi del Regolamento per stabilire se tra questi sussista un rapporto di priorità o di equità. Una volta risolta questa questione risulterà necessario stabilire se la finalità del Regolamento aiuti a individuare anche le modalità con cui lo stesso possa essere violato.
Il primo piano dell’indagine – la riflessione sullo scopo del Regolamento – va composta muovendo dal dato letterale. In tale prospettiva, un utile spunto viene offerto dai Considerando che introducono la normativa: il primo considerando afferma che fine principale del Regolamento è definire «norme comuni per garantire un trattamento equo e non discriminatorio del traffico della fornitura dei servizi di accesso a Internet e tutelare i relativi diritti degli utenti finali»[4].
Per l’Avvocato Generale Campos Sanchez-Bordona questo elemento è sufficiente a rendere prioritaria, tra i due obbiettivi, la garanzia di un «Internet aperta» rispetto alla «tutela degli utenti finali». Non solo. A rendere prevalente l’accesso a un’Internet aperta sarebbero poi ulteriori fattori quali l’oggetto dell’art. 1 e la stessa rubrica dell’art. 3 denominata “Salvaguardia dell’accesso a un’Internet aperta”.
Si comprende già come, nella sua opinione l’Avvocato generale ponga un parallelismo tra principio di parità di trattamento, Internet aperta e neutralità della rete, in una quasi interscambialità tra questi tre concetti[5].
Il secondo piano dell’indagine è comprendere quali siano i soggetti effettivamente discriminati, ovverosia il campione di paragone a cui riferire la disparità di trattamento. In questa ottica, la problematicità investe l’ampiezza del concetto di «utente finale».
Nel caso di specie il fornitore di servizi di accesso applica una «misura di gestione del traffico» dal momento che, in virtù del management impostato, servizi e applicazioni vengono trattati diversamente a seconda che questi siano classificati come privilegiati o meno. Si badi che il traffico differenziato è contemplato dalla normativa quando sussistano esigenze tecniche e si rientri in una delle eccezioni previste dall’art. 3, par. 3, part. 3 il quale pone un elenco di comportamenti vietati e concessi a fronte di particolari condizioni[6]. Non solo, la Corte parimenti rileva che il modo attraverso cui gli utenti finali scelgono di esercitare i loro diritti si concretizza attraverso la stipula di contratti o pratiche commerciali, cosicché il modo attraverso cui esercitare tale libertà è propriamente il rapporto contrattuale.
Nonostante ciò, il considerando 7 del Regolamento sostiene che tali accordi non possano spingersi sino a limitare l’esercizio dei diritti di tutti gli utenti finali, anche quelli non direttamente coinvolti dal sinallagma. Ne consegue che l’eventuale esistenza di una limitazione all’esercizio dei diritti degli utenti finali deve essere valutata complessivamente, tenendo conto anche dei riflessi su altri soggetti.
Contrariamente, l’esito interpretativo del concetto di utente finale confinato a colui che utilizza o chiede di utilizzare servizi di accesso a Internet al fine di accedere e utilizzare a contenuti e applicazioni e servizi apparerebbe problematico sul piano formale perché escluderebbe i professionisti che si servono di tali servizi di accesso per altri scopi, quali fornire contenuti, applicazioni e servizi[7].
Il ragionamento dell’Avvocato Generale fa leva sulla distinzione tra tutela diretta e indiretta degli utenti finali a seconda che essi siano gli utilizzatori o i fornitori di servizi.
Anzitutto, nel caso di specie si è già accennato che l’accordo tra fornitore di servizi di accesso e utente finale attui una misura di gestione del traffico in cui a essere discriminato è il fornitore delle applicazioni non selezionate (altro utente finale). Ciò perché la gestione del traffico è differente a seconda che si tratti delle applicazioni favorite, tanto che le due gestioni si traducono nel rallentamento dei contenuti non agevolati. Ne segue che i diretti discriminati sono i fornitori dei servizi non inclusi nella “tariffa zero” – qualificabili anch’essi come “utenti finali”. D’altro canto, in siffatto rapporto contrattuale, gli stessi abbonati si vedono discriminati indirettamente perché vedono compresse le loro possibilità di accesso ai contenuti disponibili subendo di riflesso il trattamento praticato ai fornitori non privilegiati.
Se dunque prendiamo come assunto che la condizione preliminare e prioritaria è la neutralità di Internet, da ciò discende che qualsiasi accordo va valutato successivamente alla sussistenza di questo prerequisito e, dunque tutti gli accordi devono essere analizzati preliminarmente in base a questo obbligo generale, incondizionato e obbiettivo[8]. Infatti, il trattamento non discriminatorio degli utenti costituisce in primis una condizione tecnica e solo una volta appurata la sussistenza di questa condizione si potrà esaminare in quali altri modi il traffico possa essere limitato.
Consequenzialmente, la sostanziale distinzione tra art. 3, par. 2, e art. 3, par. 3, riguarda la discriminazione diretta e indiretta degli utenti finali, e il tipo di accertamento da svolgere. Solo nel secondo caso, infatti, sarà necessario operare un’ulteriore valutazione sull’impatto della misura controversa. Più precisamente, la violazione dei diritti degli utenti è in re ipsa nei casi di misura discriminatoria nella gestione del traffico per violazione del par. 3 che impone un obbligo di trattamento equo. Al contrario, nel caso in cui la gestione del traffico risulti imparziale, i diritti degli utenti finali potranno essere lesi laddove il consumatore risulti incoraggiato a utilizzare maggiormente alcuni applicazioni o contenuti rispetto ad altri. In tal caso, come accennato, sarà necessaria una valutazione circostanziata del mercato e dell’impatto della misura controversa.
- Il contenuto del principio di neutralità e il principio di non discriminazione: necessità di una differenziazione?
Oltre che per la sua portata chiarificatrice del rapporto tra il par. 2 e par. 3 dell’art 3 del Regolamento, la pronuncia della Corte di giustizia risulta di particolare interesse per chiarire alcuni aspetti definitori nelle categorie di «Internet aperta» «neutralità della rete» e «principio di non discriminazione». Si è già avuto modo di precisare che la sentenza utilizza il concetto di neutralità assimilandolo alla parità di trattamento, anziché considerarla una categoria di natura trasversale.
Alla stregua di quanto fino ad ora osservato, si è rilevato che l’interpretazione dell’obbligo di cui all’art. 3, par. 3, viene valutato dall’Avvocato come «divieto generale oggettivo e incondizionato», ricondotto al principio di non discriminazione nell’accesso e nel traffico a Internet. Tuttavia, equiparare il principio di neutralità al principio di non discriminazione comporta una serie di conseguenze sul piano giuridico di non poco conto: anzitutto, si disconosce al principio di neutralità una propria autonomia giuridica, tant’è che il principio di non discriminazione basterebbe di per sé ad assicurare la parità di trattamento nel traffico di Intenet e il principio di neutralità non avrebbe ragione di essere chiamato in causa in questo settore.
Conseguentemente si aggraverebbe l’onere della prova dal momento che occorrerebbe verificare, ogni volta che vi è stato una differenza di trattamento, l’impatto concreto della misura adottata.
In ultimo, si preclude la natura trasversale del principio in qualità di grimaldello per la tutela di altri diritti fondamentali[9]: il BEREC ha ormai stabilito come la neutralità influisce sui diritti dei consumatori, sulle regole della concorrenza, sulla sicurezza delle comunicazioni e sul funzionamento della società delle informazioni[10] e sempre più autori ne esaltano l’utilità nella protezione di altri diritti, quali la privacy, la riservatezza delle comunicazioni e la protezione dei dati personali[11].
Per comprendere le ragioni di tali assimilazioni occorre ripercorrere brevemente le tappe evolutive del principio di neutralità della rete per indagare se questo abbia la forza per essere considerato una categoria autonoma.
Due sono gli aspetti con cui la neutralità deve essere confrontato: il concetto di «Internet aperta» e il principio di non discriminazione.
4.1. Segue: principio di neutralità e “Internet aperta”
Partendo dal quadro normativo, il Regolamento (UE) 2015/2021 conferma due punti fondamentali: a) il concetto di Internet aperta viene assorbito nei diritti degli utenti finali; b) la neutralità della rete viene associata al trattamento equo e non discriminatorio e limitata al diritto delle comunicazioni elettroniche, sottraendone un contenuto trasversale.
L’evoluzione che il concetto di neutralità ha subito in termini giuridici è il punto di partenza di questa analisi[12].
Sulla scorta di tale assunto deve convenirsi che la primissima elaborazione della neutralità era assolutamente priva di un contenuto giuridico perché imperniata dalla visione degli ideatori del cyberspazio[13]: veniva concepita tecnicamente, come «principio di progettazione della rete»[14] poiché si dava importanza alla struttura di un “luogo” che fosse prima di tutto un contesto di partecipazione democratica di esercizio dei diritti[15].
Solo in una fase successiva il concetto di neutralità si è articolato giuridicamente negli aspetti a noi oggi noti, quali la libertà all’accesso di Internet e la qualità dell’accesso stesso. Si noti che il dibattito sul contenuto della neutralità si è spesso presentato in contrapposizione al contesto nordamericano, ambito nel quale i primi profili dell’imparzialità della rete sono stati teorizzati in rapporto, in primis, nel Communication Act del 1934, all’instradamento delle chiamate telefoniche secondo il principio first come first served; e in secondo luogo, a seguito delle liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni, a fronte dell’opportunità dell’integrazione verticale tra operatore di rete e fornitore di servizi[16].
Ciò su cui ci interessa soffermarsi, invece, è lo sviluppo simultaneo ma non unidirezionale che il concetto di neutralità ha avuto in seno al Consiglio d’Europa e nell’Unione Europea.
Con la Dichiarazione del 29 settembre 2010 il Committee of Ministers ha adottato una posizione sulla network neutrality molto vicina alla tutela dei diritti fondamentali; il bene giuridico tutelato secondo la Dichiarazione contempla una serie di diritti, quali «freedom of expression and information regardless of frontiers, the right to respect for private life and correspondence, the right to freedom of thought and religion, the right to freedom of association, the right to education and the right to the protection of property, as well as to related procedural rights guaranteed by the European Convention on Human Rights». Più precisamente, si sostiene che «network neutrality should apply irrespective of the infrastructure or the network used for Internet connectivity. Access to infrastructure is a prerequisite for the realisation of this objective».
Contrariamente, la Commissione nella sua «Dichiarazione sulla Neutralità della Rete»[17] adottata nel quadro della regolamentazione delle comunicazioni elettroniche ha ritenuto che fosse della «massima importanza conservare l’apertura e la neutralità di Internet come obiettivo politico e principio della regolamentazione che dovrà essere promosso dalle autorità nazionali di regolamentazione». Nonostante, quindi, si sia riconosciuta l’importanza della questione, ci si limita ad una mera presa di posizione politica.
Se indubbiamente l’indirizzo del Consiglio d’Europa segna un passo in avanti rispetto al contenuto e alla natura della neutralità, va peraltro evidenziato che ancora più pertinente e innovativo per la consacrazione dei concetti di “Internet Aperta” e “net neutrality” appare il parere del Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE) sulla Comunicazione della Commissione adottato il 28 Gennaio 2012 in cui chiaramente i due concetti vengono articolati e la neutralità della rete fatta derivare dal concetto di Internet aperta[18].
L’internet aperta è collegata alla libertà di «collegarsi alla rete Internet pubblica senza che i governi o i fornitori pongano limitazioni per quanto riguarda i contenuti, i siti, le piattaforme, il tipo di attrezzature che possono essere utilizzate». Una rete aperta applica standard liberi e pubblicamente disponibili, che «chiunque può utilizzare per creare siti web, applicazioni e servizi, e perché gestisce tutto il traffico più o meno nello stesso modo», senza «chiedere autorizzazioni ai fornitori o di pagare loro supplementi per raggiungere altri utenti on line».
La definizione alternativa di net neutrality si identifica nel quadro dei rapporti commerciali tra utenti e ISP, nell’ottica di tutelare i diritti dei consumatori «senza interferenze commerciali ingiustificate da parte del gestore di rete». Sicché, il principio di neutralità della rete implica che «le imprese che forniscono il servizio Internet devono trattare in maniera equa tutte le fonti di dati Internet dello stesso tipo, senza creare, per ragioni commerciali, discriminazioni tra i diversi tipi di traffico».
Corollario del principio è che «Internet users should be in control of what content they view and what applications they use on the Internet».
Infine, la Raccomandazione del 7 marzo 2018 del Consiglio d’Europa ha sancito che l’«access to the internet is a precondition for the exercise of Convention rights and freedoms online», stabilendo una relazione tra le responsabilità degli ISP e l’esercizio di diritti fondamentali tutelati dalla CEDU[19].
Da una combinata lettura delle disposizioni di legge e delle linee guida del Consiglio d’Europa e del BEREC[20] si può sostenere che il concetto di «Internet aperta» concerne i diritti degli utenti finali, mentre la neutralità della rete si impone come obbligo esigibile dai fornitori di servizi[21]. La neutralità verrebbe così definita come «insieme di divieti che costituirebbero non solo il mezzo, ma anche il necessario completamento per conseguire l’obbiettivo di un Internet aperta»[22].
Si differenzia così il concetto di neutralità della rete da quello di «Internet aperta».
4.2. Segue: principio di neutralità e principio di non discriminazione
Come già accennato, il concetto di neutralità è circoscritto a due obblighi gravanti sui fornitori dei servizi di accesso: il trattamento paritario del traffico e le più specifiche, ma non esaustive, condotte dell’art. 3, comma 3, par. 3 («non bloccare, rallentare, alterare, limitare, interferire, degradare o discriminare contenuti specifici, applicazioni o servizi, o specifiche categorie, salvo quando necessario e solo per il tempo necessario»). Ebbene, proprio questo obbligo aggiuntivo per l’Internet service provider distingue la neutralità dal principio di non discriminazione, conferendole una qualificazione autonoma: il secondo ordine di impegni è, infatti, vietato di per sé, senza che sia necessaria la prova dell’esistenza di discriminazioni. Ne segue che la neutralità suppone il divieto di certe pratiche anche se queste non sono discriminatorie[23].
Ecco perché appare errato l’assimilazione al principio di non discriminazione, perché stemperala portata del concetto come diritto o libertà. Non solo. Alcuni autori hanno sostenuto che «this concept should include the general principles that owners of the networks that compose and provide access to the Internet should not control how consumers lawfully use that network»[24], come a segnalare che la neutralità debba impregnarsi di una condotta aggiuntiva, ovverosia l’assenza di controllo da parte dei proprietari delle reti e degli ISP.
In aggiunta a quanto precedentemente affermato, devono considerarsi le eccezioni di cui all’art. 3, par. 3, part. 3 strettamente riferite al principio di neutralità e non anche all’art. 3, par. 1. Le limitazioni alla neutralità (misura ragionevole del traffico, eccezioni specialistiche ecc.) tendono a confermare la distinzione normativa tra i due concetti di neutralità della rete e Internet aperta, dal momento che il contenuto del Regolamento (UE) 2015/2120 non potrebbe essere spiegato solo in termini di “Internet aperta”. Parimenti le eccezioni servono a scongiurare anche una completa equiparazione tra neutralità e principio di non discriminazione dal momento che modulano, riducendone, la portata e il contenuto della neutralità accordando l’esistenza di eccezioni discriminatorie per la gestione del traffico.
[1] Regolamento (UE) 2015/2120 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, che stabilisce misure riguardanti l’accesso a un’Internet aperta e che modifica la direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica e il regolamento (UE) n. 531/2012 relativo al roaming sulle reti pubbliche di comunicazioni mobili all’interno dell’Unione (GU L 310 del 26.11.2015).
[2] Art, 3, par. 3, part. 3: «I fornitori di servizi di accesso a Internet, nel fornire tali servizi, trattano tutto il traffico allo stesso modo, senza discriminazioni, restrizioni o interferenze, e a prescindere dalla fonte e dalla destinazione, dai contenuti cui si è avuto accesso o che sono stati diffusi, dalle applicazioni o dai servizi utilizzati o forniti, o dalle apparecchiature terminali utilizzate». V. Pampanin, Strumenti di Regolazione a garanzia del mercato pluralistico, in Informazione e media nell’era digitale, 2019, 397 ss.
[3] In tal senso, R. Carrillo, El modelo de neutralidad de la red en la UE, in Revista de Derecho Comunitario Europeo, 2019, 468 ss.
[4] Regolamento UE 2015/2120, considerando 1.
[5] Più precisamente, anche se non è stata fissata una definizione normativa, all’articolo 8, paragrafo 4, lettera g), della direttiva quadro (direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002) si sostiene che le autorità nazionali di regolamentazione promuovono gli interessi dei cittadini dell’Unione europea promuovendo le capacità degli utenti finali di accedere ad informazioni e distribuirle o eseguire applicazioni e servizi di loro scelta, cfr. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Apertura e neutralità della rete internet in Europa, 3.
[6] Più nel dettaglio, misure di gestione del traffico sono concesse, per il tempo necessario, in caso di: a) necessità di conformarsi ad atti legislativi; b) preservare l’integrità e la sicurezza della rete: c) prevenire un’imminente congestione della rete o mitigarne gli effetti.
[7] CGUE, cause riunite C-807/18 e C-39/19, Telenor Magyarország Zrt. / Nemzeti Média- és Hírközlési Hatóság Elnöke (2020), § 39.
[8] Conclusioni dell’Avvocato Generale, 15 settembre 2020, cause riunite C-807/18 e C-39/19, Telenor Magyarország Zrt. / Nemzeti Média- és Hírközlési Hatóság Elnöke, § 66
[9] In tema di diritti fondamentali nell’era digitale si veda, G. Matucci, Informazione, privacy, riservatezza e oblio, in G. Avanzini – G. Matucci – L. Musselli (a cura di), Informazione e media nell’era digitale, Milano, 2019, 99 ss.
[10] Berec, Guidelines for quality of service in the scope of net neutrality, 2011.
[11] R. Carrillo, El modelo de neutralidad de la red en la UE, cit., 468; G. De Minico, Net neutrality come diritto fondamentale di chi verrà, in Antiche libertà e nuove frontiere digitali, Torino, 2016, 183 ss.
[12] K. Zhu, Bringing Neutrality to Network Neutrality, in Berkeley Technology Law Journal, 22(1), 2007, Annual review of law and technology, 627 ss.
[13] Difendevano la peculiarità del mondo virtuale sia gli ideatori di Internet Vint Cert e Tim Berners- Lee, Long Live the Web: A Call for Continued Open Standards and Neutrality, in Scientific American, 2010. Sia autori come C.T. Mardsen, Net Neutrality: Toward a Co-regulation Solution, London, 2010. Nella letteratura italiana si veda anche, P. Marsocci, La rete Internet come spazio di partecipazione democratica, in M. R. Allegri – G. d’Ippolito (a cura di), Accesso a internet e neutralità della rete fra principi costituzionali e regole europee, Roma, 2017, 45 ss.
[14] T. Wu, Network neutrality FAQ, in timwu.org, 2003: «Network neutrality is best defined as a network design principle. The idea is that a maximally useful public information network aspires to treat all content, sites, and platforms equally. This allows the network to carry every form of information and support every kind of application».
[15] T. Wu – L. Lessig, Letter to the FCC, 2003.
[16] Per una ricostruzione esaustiva, cfr. M. Orofino, La declinazione della net-neutrality nel Regolamento europeo 2015/2120. Un primo passo per garantire un’Internet aperta?, in Federalismi.it, 2016, 4 ss.
[17] Commissione Europea, Dichiarazione sulla Neutralità della rete.
[18] Comitato economico e sociale europeo, Parere, Apertura e neutralità della rete Internet in Europa, COM (2011) 222.
[19] Council of Europe, Committee of Ministers, Recommendation to member States on the roles and responsibilities of internet intermediaries, CM/Rec(2018)2, 1: «The internet plays a particularly important role with respect to the right to freedom of expression. It also enables the exercise of other rights protected by the Convention and its protocols, such as the right to freedom of assembly and association and the right to education, and it enables access to knowledge and culture, as well as participation in public and political debate and in democratic governance».
[20] Un ulteriore parametro di confronto per comprendere il contenuto dei due concetti qui analizzati sono le Linee Guida dell’Ufficio del BEREC, cfr. Berec Office, Net Neutrality Regulatory Assessment Methodology. BoR, 2017 178; Id, Opinion for the evaluation of the application of Regulation (EU) 2015/2120 and the BEREC Net Neutrality Guidelines. BoR, 2020, 244; Id, Guidelines on the Implementation by National Regulators of European Net Neutrality Rules. BoR, 2016; Id, Guidelines for quality of service in the scope of net neutrality, 2012, 131
[21] Più precisamente, comprende diritti relativi allo status degli utenti finali, alle condizioni per l’esercizio di tali diritti; alle misure di trasparenza di cui all’art. 4 e alle informazioni di cui all’art. 5 del Regolamento (UE) 2015/2120.
[22] In tal senso anche R. Carrillo, El modelo de neutralidad de la red en la UE, cit., 475.
[23] Ivi, 476.
[24] An-Shou Cheng et al., in A.A. Gilroy, Access to Broadband Networks: The Net Neutrality Debate, Congressional Research Service, 2012.