Consiglio di Stato, sez. VI, 8 aprile 2019, n. 2270
Le straordinarie potenzialità della digitalizzazione della pubblica amministrazione sono funzionali ad un processo di inclusione di cittadini e imprese, a garanzia della loro partecipazione democratica al funzionamento dello Stato. L’innovazione tecnologica, però, introduce elementi di rischio che potrebbero tradursi invece in una loro esclusione.
In tale scenario, occorre che la pubblica amministrazione sappia farsi interprete di una rinnovata esigenza di trasparenza, rafforzata in considerazione della tendenziale propensione all’opacità del linguaggio macchina, onde consentire di poter sindacare la stessa logicità e ragionevolezza della decisione amministrativa robotizzata, ovvero della “regola” che governa l’algoritmo.
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il tema della digitalizzazione nell’ottica del buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.). – 3. L’algoritmo quale atto amministrativo generale. – 4. La trasparenza algoritmica. – 5. Conclusioni
1. Introduzione
La sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, dell’8 aprile 2019, n. 2270, si impone all’attenzione del lettore non tanto per lo specifico e peculiare problema affrontato e risolto, di notevole importanza pratico-applicativa, ma soprattutto perché solleva una questione di portata generale relativa al valore giuridico che assume la regola tecnica che governa ciascun algoritmo e, conseguentemente, alle disfunzioni che potrebbero derivare dall’introduzione di modelli decisionali automatizzati nell’azione amministrativa.
La questione si innesta su un tema quanto mai attuale. I vantaggi derivanti dall’introduzione di modelli decisionali automatizzati e di forme gestionali innovative che si avvalgano delle tecnologie informatiche ed elettroniche sono indiscutibili. Si pensi all’automazione del processo decisionale dell’amministrazione mediante l’utilizzo di un “algoritmo”, che in via informatica sia in grado di valutare e graduare una moltitudine di domande.
L’automazione garantisce l’affermazione del principio costituzionale di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa, con benefici non soltanto sul piano del minor dispendio di mezzi e risorse e dell’accelerazione dell’iter automatizzato ma anche su quello della maggior garanzia di imparzialità della decisione automatizzata.
Nondimeno, nell’introdurre l’algoritmo nel processo di adozione della scelte della pubblica amministrazione va adeguatamente soppesata la sua caratteristica saliente, quella di posseder una tendenza “fisiologica” ad essere non immediatamente decifrabile, se non da parte di tecnici esperti. Assunta tale consapevolezza, dovranno esser introdotti i necessari correttivi, di metodo e di sistema, onde scongiurare che venga compromessa la comprensione delle scelte amministrative da parte dei comuni cittadini destinatari delle medesime e, così, vanificare la finalità partecipativa propria della digitalizzazione della PA.
2. Il tema della digitalizzazione nell’ottica del buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.)
Per maggiore chiarezza espositiva pare opportuno riepilogare per cenni la vicenda giudiziaria decisa dal provvedimento in commento.
I ricorrenti, docenti della scuola secondaria di secondo grado, nel mese di settembre 2015 venivano inseriti nel piano straordinario di assunzione a tempo indeterminato di cui alla l. 107/2015, (fase “B”). A seguito delle operazioni di assegnazione delle sedi, essi lamentavano che, a causa di un algoritmo «di cui non si conoscerebbero le concrete modalità di funzionamento», docenti collocati in graduatoria in posizione deteriore rispetto alle loro avrebbero beneficiato di maggior tutela, per esser stati assunti nelle classi di concorso prescelte e nelle provincie di residenza laddove le loro preferenze, espresse nelle domande di assunzione circa classe di concorso, ordine scuola e sede, non sono state soddisfatte.
Pertanto, chiedevano l’annullamento dei provvedimenti di assegnazione viziati a loro dire per via della mortificazione del principio meritocratico, criterio cardine da rispettare nel reclutamento del personale per l’accesso nell’amministrazione.
Per quanto maggiormente rileva nella presente prospettiva di analisi, le ragioni di interesse della decisione possono riassumersi su due fronti.
Preliminarmente, il Collegio rimarca l’importanza dell’utilizzo da parte della PA di processi decisionali automatizzati «con riferimento a procedure seriali o standardizzate, implicanti l’elaborazione di ingenti quantità di istanze e caratterizzate dall’acquisizione di dati certi ed oggettivamente comprovabili e dall’assenza di ogni apprezzamento discrezionale».
L’utilizzo di un algoritmo[1], con la preelaborazione di una sequenza ordinata di operazioni di calcolo in grado di valutare e graduare una moltitudine di domande, è particolarmente utile in un’ottica di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, conformemente al principio costituzionale di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.). Il procedimento digitale comporta una «notevole riduzione della tempistica procedimentale per operazioni meramente ripetitive e prive di discrezionalità, l’esclusione di interferenze dovute a negligenza (o peggio dolo) del funzionario (essere umano) e la conseguente maggior garanzia di imparzialità della decisione automatizzata».
L’argomentazione introduce il tema della digitalizzazione in chiave di semplificazione dell’amministrazione, intesa sia come semplificazione delle strutture e dei processi organizzativi, dunque dell’amministrazione come organizzazione[2], sia dell’attività amministrativa medesima[3].
In tale prospettiva, la informatizzazione non è l’obiettivo in sé ma deve esser letta in chiave funzionale al principio costituzionale dell’organizzazione dei pubblici uffici in modo da assicurare il buon andamento e l’imparzialità, potendo incidere sulla struttura stessa del procedimento amministrativo e soprattutto sulle modalità di esercizio del potere.
In sintesi, i programmi di informatizzazione della Pubblica amministrazione investono il modo di essere dell’autorità pubblica.
Sulla base di tale consapevolezza, il legislatore del Codice dell’Amministrazione Digitale (d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, “CAD”), all’art. 12, ha individuato le tecnologie dell’informazione e della comunicazione quali strumenti grazie ai quali le Pubbliche amministrazioni possono organizzare le proprie attività per la realizzazione degli «obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza, semplificazione e partecipazione»[4].
Sul piano procedimentale, la rilevanza dell’utilizzo dell’informatizzazione nella gestione del procedimento amministrativo viene espressa dall’art. 41 del CAD, il quale impone alle amministrazioni di gestire i procedimenti utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Inoltre, il crescente interesse per la digitalizzazione dell’amministrazione, sulla spinta del contesto internazionale, è giustificato dalla stretta correlazione esistente tra progresso tecnologico e produttività e, quindi, in funzione dello sviluppo economico dei singoli Paesi[5].
Come ha evidenziato la Commissione europea, nella Comunicazione del 2010 sull’Agenda digitale europea, il settore delle ICT contribuisce alla crescita del PIL europeo e, in particolare, grazie all’informatizzazione della pubblica amministrazione si possono «ridurre i costi e permettere ad amministrazioni pubbliche, cittadini e imprese di risparmiare tempo»[6].
In tale scenario, le tecnologie non rappresentano unicamente la leva di una maggiore efficienza dell’apparato amministrativo bensì costituivano l’occasione per creare una amministrazione aperta, responsabile e meritevole di fiducia da parte dei cittadini[7], in grado di promuovere una rivoluzione culturale tesa a migliorare il rapporto Stato-cittadino, per anni caratterizzato da un paradigma conflittuale.
3. L’algoritmo quale atto amministrativo generale
La sentenza in rassegna offre lo spazio per un’ulteriore riflessione, laddove il Collegio si sofferma sulla necessità che la procedura affidata al calcolatore elettronico non possa sfuggire ai principi che governano lo svolgersi dell’attività amministrativa.
La tecnologia dell’informatizzazione dovrà esser plasmata sulla base dei principi giuridici preesistenti e, soprattutto, non potrà giustificare una riduzione delle tutele riconosciute dalla legge.
L’arresto giurisprudenziale è chiaro sul punto: «la regola tecnica che governa ciascun algoritmo resta pur sempre una regola amministrativa generale, costruita dall’uomo e non dalla macchina, per essere poi (solo) applicata da quest’ultima, anche se ciò avviene in via esclusiva».
La decisione promana dall’assunto che l’algoritmo, inteso quale sequenza di istruzioni che definiscono le operazioni da eseguire sui dati per ottenere i risultati, applicato al campo dell’amministrazione, e quindi alla scelta di come soddisfare gli interessi pubblici, rappresenta il vestito digitale indossato dall’atto amministrativo generale, con la conseguenza che ne seguirà le sorti[8].
Infatti, l’algoritmo sarà indirizzato a un numero limitato e identificabile di destinatari, per produrre effetti in ordine a una situazione concreta e particolare. Esso riassume la decisione assunta ex ante circa la composizione di determinati interessi, tesa a dispiegare i suoi effetti, grazie agli automatismi informatici, per un numero determinato di casi.
In altri termini, a fronte dei dati immessi nel computer (input), sulla base delle istruzioni dettate dal programma, viene ad essere elaborata la decisione (output).
In sostanza, il programma «contiene l’insieme ordinato in sequenza di tutte le regole precise, inequivoche, analitiche, generali ed astratte, formulate ex ante […], la cui applicazione porta all’adozione dell’atto amministrativo»[9].
Ciò non priva l’autorità amministrativa della paternità dei provvedimenti seppur resi, grazie all’algoritmo, in modo automatizzato. Anzi, la stessa “regola tecnica” contenuta nell’algoritmo è espressione della volontà dell’autorità amministrativa[10], e ad essa è attribuibile[11].
Eppure, v’è in dottrina chi non riconosce al software la natura giuridica di atto amministrativo[12].
L’argomentazione principale deriva dalla circostanza che il linguaggio adoperato nella scrittura del software, uno dei tanti linguaggi di programmazione, non è comprensibile da chi non è un tecnico esperto di quello specifico linguaggio. Ciò comporta, da un lato, l’impossibilità per il cittadino di comprenderne il significato, dall’altro, la necessità che l’amministrazione, nel doversi affidare ad un tecnico per l’estensione del programma, esprima ex ante la decisione amministrativa da tradurre poi in stringhe informatiche.
Altra parte della dottrina ascrive il software utilizzato per l’emanazione degli atti automatici alla categoria dell’atto amministrativo[13], come atto interno[14] o come atto strumentale[15].
Il Collegio, invece, parte dall’assunto che il software è espressione della volontà dell’amministrazione procedente e con esso l’amministrazione viene ad incidere, seppur in via mediata, sulle situazioni giuridicamente rilevanti. In ragione poi della generalità ed astrattezza delle prescrizioni in esso contenuto giunge a qualificarlo come atto generale.
4. La trasparenza algoritmica
Assunto l’algoritmo nell’ambito della regola amministrativa generale, con il riconoscimento di una piena valenza giuridica e amministrativa, si conferma che la tecnologia è mero strumento di cui il diritto si avvale.
I vantaggi in termini di semplificazione, di velocità nell’adozione di una moltitudine di determinazioni automatizzate, ed in generale il riconoscimento della preponderanza di una nuova categoria per l’interpretazione dei fatti, composta di regole tecniche ed oggettive, deve esser comunque contenuta nel solco tracciato dai principi generali, intesi quale sistema primario di categorie per l’interpretazione del reale.
E così, l’algoritmo resta assoggettato alle medesime garanzie che l’attività amministrativa deve assicurare, tra cui in primo luogo la conoscibilità. La regola tecnica deve esser conoscibile in tutti i suoi aspetti «dai suoi autori al procedimento usato per la sua elaborazione, al meccanismo di decisione, comprensivo delle priorità assegnate nella procedura valutativa e decisionale e dei dati selezionati come rilevanti».
La ragione di tale piena conoscibilità è finalizzata a consentire la sindacabilità dei criteri di funzionamento del procedimento digitale, ovvero sia la verifica della loro conformità rispetto alle finalità stabilite dalla legge o determinate dalla stessa amministrazione con l’adozione della regola algoritmica.
Fino a questo punto, il ragionamento del Collegio si pone in linea con un’accezione tradizionale del canone della trasparenza. Ma, non si ferma qui.
La costruzione dell’algoritmo richiede la fusione di categorie concettuali appartenenti a diversi settori della conoscenza, principalmente del diritto e dell’informatica, con ciò determinando una «caratterizzazione multidisciplinare» dell’algoritmo stesso. Ne deriva, soggiunge il Collegio, «la necessità che la “formula tecnica”, che di fatto rappresenta l’algoritmo, sia corredata da spiegazioni che la traducano nella “regola giuridica” ad essa sottesa e che la rendano leggibile e comprensibile».
In altri termini, la formula tecnica rappresentando una proiezione nel mondo digitale della regolamentazione di interessi assunta dalla PA deve, in funzione della piena conoscibilità dell’attività amministrativa, consentire sempre di poter risalire alla regola giuridica ad essa sottesa, per poter comprendere la logica che ha condotto l’amministrazione a formulare le proprie scelte in sede di programmazione.
In tal senso può esser letto, e se necessario ribadito, il primato della regola giuridica quale categoria per l’interpretazione della realtà e degli interessi amministrati.
Si fa strada, dunque, una declinazione rafforzata del principio di trasparenza, che pone un traguardo più avanzato rispetto alla mera conoscibilità, proiettandosi verso il risultato della comprensibilità. Posto che, come visto, l’algoritmo non è comprensibile per chi non è esperto del linguaggio di programmazione in cui è scritto, in capo all’amministrazione vi è l’onere di corredare l’algoritmo di spiegazioni che rendano comprensibile ciò che è oscuro ai più.
Peraltro, l’utilizzo della locuzione «corredata da spiegazioni» evoca chiaramente una unione stabile tra l’algoritmo e le relativi traduzioni in chiaro, tra il vestito digitale e la regola giuridica vestita, da realizzarsi non soltanto in un’eventuale fase di accesso bensì ex ante, già durante la fase di pianificazione dell’attività amministrativa e di esercizio del relativo potere.
La trasparenza, declinata quale mezzo per alimentare il rapporto di fiducia intercorrente tra la collettività e le pubbliche amministrazioni e per promuovere la cultura della legalità, assolve al compito di garantire che il cittadino possa conoscere le modalità automatizzate con le quali è stata in concreto assunta una decisione che si ripercuote sulla sua sfera giuridica[16]. E, in tale prospettiva, di far valere il proprio diritto di difesa azionando la piena cognizione del giudice amministrativo, onde «sindacare come il potere sia stato concretamente esercitato».
Quasi a voler riaffermare il primato dell’uomo sulla macchina, i giudici di Palazzo Spada evidenziano la necessità che sia il giudice a «dover svolgere, per la prima volta sul piano “umano”, valutazioni e accertamenti fatti direttamente in via automatica», nell’esercizio di quel sindacato giurisdizionale al quale non può sfuggire la decisione robotizzata.
Conseguentemente, «il giudice deve poter sindacare la stessa logicità e ragionevolezza della decisione amministrativa robotizzata, ovvero della “regola” che governa l’algoritmo».
Il Collegio, in definitiva, giunge a dichiarare sussistente nella fattispecie una violazione dei principi di imparzialità, pubblicità e trasparenza, poiché non è dato comprendere le modalità con le quali, attraverso il citato algoritmo, siano stati assegnati i posti disponibili[17] nella designazione delle sedi di lavoro.
5. Conclusioni
Indubbiamente, la decisione in rassegna offre uno spaccato sull’utilizzo da parte della pubblica amministrazione di forme molto semplici di intelligenza artificiale, quale il ragionamento automatico, caratterizzato da particolare semplicità rispetto al c.d. machine learning (capacità delle macchine di imparare) ovvero al c.d. deep learning (macchine con capacità di elaborare nuovi percorsi di apprendimento)[18].
Eppure, già su questo terreno elementare di automazione dell’azione amministrativa si può sperimentare la principale criticità derivante dalla sovrapposizione delle due dimensione a confronto – il diritto e l’informatica[19] – vale a dire il rischio che l’automazione possa incrementare il divario tra cittadino e pubblica amministrazione.
Le straordinarie potenzialità della digitalizzazione della pubblica amministrazione, funzionale ad un processo di inclusione di cittadini e imprese per una loro partecipazione democratica al funzionamento dello Stato, potrebbero tradursi invece in una esclusione. E non soltanto con riferimento alle categorie a rischio[20] nell’ambito del fenomeno del digital divide bensì con riferimento a coloro che posseggono comuni competenze tecnologiche, laddove la Pa non assicuri quella fondamentale garanzia di effettiva conoscenza e intelligibilità dell’algoritmo messa in luce dalla pronuncia in esame[21].
Lasciando sullo sfondo il tema del digital divide, inteso quale gap nella popolazione tra chi conosce ed utilizza efficacemente gli strumenti informatici e chi ne è tagliato fuori, il rischio esclusione di cui si parla è ancora più pernicioso poiché idoneo a colpire chiunque, senza distinzione tra le abilità soggettive dei destinatari dell’agire pubblico.
Rischio da mitigare attraverso un’oculata gestione dei modelli automatizzati che vanno orientati verso una rinnovata e rafforzata trasparenza amministrativa, in considerazione della tendenziale propensione all’opacità del linguaggio macchina.
In tale contesto, assume la valenza di una vera e propria proclamazione il passaggio con cui il Collegio sottolinea che «il giudice deve poter sindacare la stessa logicità e ragionevolezza della decisione amministrativa robotizzata, ovvero della “regola” che governa l’algoritmo», proprio a voler ribadire la funzione strumentale della macchina[22] e a voler rimarcare che nell’ambito del diritto la dimensione della ragionevolezza, in chiave di tutela di interessi pubblici, è una prerogativa che appartiene soltanto all’uomo.
[1] A. Masucci, Atto amministrativo informatico, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1997 Agg., vol. I, 221: «Nella scienza informatica il programma è descritto come l’insieme ordinato in sequenza di tutte le regole precise, inequivoche, analitiche, generali ed astratte formulate ex ante (cioè prima che si presentino concrete questioni da risolvere e senza riferimento specifico ad esse) la cui applicazione porta al risultato conseguito. Esso ha a fondamento un algoritmo ovvero l’enunciazione rigorosa delle operazioni logiche e di calcolo da eseguirsi su determinati dati, la cui successione conduce al raggiungimento di un determinato risultato».
[2] G. Berti, La pubblica amministrazione come organizzazione, Padova, 1968.
[3] Il programma della digitalizzazione della PA, come previsto dalla riforma di cui alla legge delega n. 124/2015, richiede necessariamente la ridefinizione dei procedimenti amministrativi, dell’organizzazione e delle procedure interne alle amministrazioni.
[4] P. Lazzara, Principio di semplificazione e situazioni giuridico-soggettive, in Diritto amministrativo, 2011, 679, per l’Autore la semplificazione indotta dalla informatizzazione riduce «il grado di autoritatività dell’azione amministrativa, per la quantità e la qualità di informazioni che il pubblico ufficio è costretto a mettere in rete con conseguente diminuzione del margine di discrezionalità riservato all’amministrazione».
[5] P. Ciocca, F. Satta, La dematerializzazione dei servizi della P.A.: un’introduzione economica e gli aspetti giuridici del problema, in Diritto Amministrativo 2008, 283 ss. In una recente ricerca della Banca d’Italia sull’e-government si riporta che «Da un lato, accrescendo l’efficienza dei processi interni alla PA, l’informatizzazione aumenta la produttività del settore pubblico e genera risparmi di spesa liberando risorse da destinare ad usi produttivi alternativi; dall’altro, migliorando l’offerta dei servizi pubblici a cittadini e imprese, essa sostiene la produttività del settore privato»; così in C.M. Arpaia, P. Ferro, W. Giuzio, G. Ivaldi, D. Monacelli, L’E-Government in Italia: situazione attuale, problemi e prospettive, Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza (Occasional papers), 2015, 5.
[6] Cfr. Comunicazione della Commissione del 19 maggio 2010, COM(2010)245, 36.
[7] Cfr. raccomandazione OECD sulle strategie del Governo digitale (luglio 2014).
[8] Per l’inquadramento del software nella categoria degli atti amministrativi generali vedasi D. Marongiu, Gli atti amministrativi ad elaborazione elettronica: la compilazione di un “pre-software” in lingua italiana, in Diritto amministrativo elettronico, 2003.
[9] Cfr. Masucci, Procedimento amministrativo e nuove tecnologie. Il procedimento amministrativo elettronico ad istanza di parte, Torino, 2011, 82 ss.
[10] I. Martìn Delgato, La riforma dell’amministrazione digitale: Un’opportunità per ripensare la pubblica Amministrazione, in S. Civitarese Matteucci, L. Torchia (a cura di), A 150 anni dall’unificazione amministrativa italiana. La tecnificazione, vol. IV, Firenze, 2017, 146: «il fatto che la decisione sia stata adottata da un computer in maniera automatizzata, non implica che l’attività venga ad esso imputata, perché la paternità dell’atto ricadrà sull’organo amministrativo che possiede la potestà e esercita la competenza».
[11] Cfr. Tar Lazio, sez. III-bis, 14 febbraio 2017, n. 3769, che ha riconosciuto il diritto di accesso all’algoritmo del software di gestione di un procedimento amministrativo, nella specie inerente la mobilità di docenti di scuola, sul presupposto l’algoritmo sia ascrivibile alla categoria dell’atto amministrativo informatico, di cui all’art. 22, lett. d), l. 241/1990.
[12] Contrario alla qualificazione del programma informatico come provvedimento amministrativo A.G. Orofino, La patologia dell’atto amministrativo elettronico. Sindacato giurisdizionale e strumenti di tutela, in Foro amministrativo CDS, 9, 2002, 2256 ss.
[13] A. Masucci, L’atto amministrativo informatico, Napoli, 1993, 56 ss.; U. Fantigrossi, Automazione e pubblica amministrazione, Bologna, 1993, 51 ss.; A. Usai, Le prospettive di automazione delle decisioni amministrative in un sistema di teleamministrazione, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1993, 174 ss.
[14] A. Usai, op. cit., 174.
[15] A. Masucci, L’atto amministrativo informatico, cit., 56 ss., il quale definisce altresì l’atto-programma come atto amministrativo strumentale rispetto alle singole decisioni finali.
[16] Secondo R. Villata, La trasparenza dell’azione amministrativa, in Diritto processuale amministrativo, 1987, citato da C. Cudia, Trasparenza amministrativa e pretesa del cittadino all’informazione, in Diritto Pubblico, 2007, 99 ss., la trasparenza riassume quella condizione di permanente conoscibilità che si impone come regola dell’organizzazione e dell’attività amministrativa.
[17] «Non solo, gli esiti della stessa paiono effettivamente connotati dall’illogicità ed irrazionalità denunciate dalle appellanti, essendosi verificate situazioni paradossali per cui docenti con svariati anni di servizio si sono visti assegnare degli ambiti territoriali mai richiesti e situati a centinaia di chilometri di distanza dalla propria città di residenza, mentre altri docenti, con minori titoli e minor anzianità di servizio, hanno ottenuto proprio le sedi dagli stessi richieste»; così l’annotata sentenza del Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2019, n. 2270, § 8.4.
[18] Il Machine Learning è un metodo di analisi dei dati che consente ai computer di imparare a svolgere determinati compiti migliorando, tramite l’esperienza, le proprie capacità, le proprie risposte e funzioni. Il Deep Learning è quel sistema di apprendimento che, utilizzando le architetture di reti neurali, elabora grandi set di dati e conduce ad un risultato simile a quello cui potrebbe giungere l’uomo. Attraverso questo sistema la macchina impara con l’esempio.
[19] Concetto differente per la telematica, come descritta da V. Frosini, voce Telematica e informatica giuridica, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1992, 60 ss., secondo il quale con il «termine “telematica” viene indicato il metodo tecnologico di trasmissione del pensiero a distanza mediante l’impiego di un linguaggio computerizzato, che veicola informazioni automatizzate; esso risulta da una contrazione semantica fra i termini di “telecomunicazioni” e “informatica”».
[20] S. Cacace, Codice dell’amministrazione digitale D.lgs. n. 82/2005 e n. 159/2006, in www.giustizia-amministrativa.it, secondo il quale uno dei pericoli principali di una completa “digitalizzazione” dell’amministrazione pubblica è invero «quello che un rilevante numero di cittadini (anziani, disabili, soggetti con bassa scolarità, emarginati, abitanti in aree remote o rurali, in ritardo con l’alfabetizzazione informatica o semplicemente diffidenti) possa risultare discriminato o addirittura socialmente emarginato da un passaggio radicale e non bilanciato ad un’amministrazione esclusivamente digitale» (Cons. Stato, sez. consultiva, ad. 7 febbraio 2005, n. 11995/04).
[21] Osserva R. Borrusso, Computer e diritto, Milano, 1978, 30, che il computer, potendo svolgere le funzioni più diverse, «può servire a tutto come a niente, nella misura in cui è stato istruito».
[22] In linea con l’approccio umano-centrico sposato dalla Commissione Europea con The Ethics Guidelines for Trustworthy Artificial Intelligence (AI), predisposta dall’High-Level Expert Group On Artificial Intelligence istituito dalla CE.