Corte di cassazione, sez. III civile, 24 giugno 2021 (dep. 17 gennaio 2022), n. 1152
L’istituto della rettifica ai sensi dell’art. 8 della l. n. 47 del 1948 è una facoltà dell’interessato diretta ad evitare che la pubblicazione offensiva possa continuare a produrre effetti lesivi, ma non elimina i danni già realizzati. Ne segue che in tema di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa, la pubblicazione di una rettifica non determina, quale conseguenza automatica, la riduzione del danno, dovendosi procedere a una valutazione in concreto della relativa incidenza sullo specifico pregiudizio già verificatosi quale conseguenza delle dichiarazioni offensive.
Sommario: 1. Premessa: brevi cenni sull’art. 8 L. 47/1948. – 2. Sulle corrette modalità di richiesta e di pubblicazione della rettifica. – 3. Sulle finalità della rettifica.
- Premessa: brevi cenni sull’art. 8 L. 47/1948
Con l’ordinanza qui in commento la Corte di cassazione precisa ulteriormente la vexata quaestio della portata riparatoria dell’esercizio del diritto di rettifica.
In proposito si ricorda che già con la sentenza n. 10690/2008 la Corte di cassazione aveva enunciato il principio in forza del quale l’interesse di ogni persona a preservare la propria identità personale è «qualificabile come posizione di diritto soggettivo alla stregua dei principi fissati dall’art. 2 Cost. in tema di difesa della personalità nella complessità ed unitarietà di tutte le sue componenti». Dal riconoscimento di tale posizione consegue che ogni eventuale lesione del suddetto diritto «consente l’esperibilità dei rimedi inibitori, risarcitori e speciali apprestati dall’ordinamento. Fra questi, quello di cui alla L. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 8»[1].
L’art. 8 l. 47/1948 (così come modificato dall’art. 42 l. 416/1981[2]) pone a carico del direttore o, comunque, del responsabile di una testata – sia essa un quotidiano, un periodico o un’agenzia di stampa – «l’obbligo di fare inserire gratuitamente nel quotidiano o nel periodico o nell’agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale».
Poiché la l. 47/1948 riguarda solo la stampa, analogo obbligo è specificamente previsto per le trasmissioni radiotelevisive dall’art. 32-quinquies del c.d. “Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici”, che ha innovato, ampliandone la portata, al precedente art. 10 l. 223/1990 (c.d. Legge Mammì)[3].
Con riferimento, invece, alle rettifiche delle notizie pubblicate on-line, si segnalano due orientamenti. Un primo orientamento ritiene applicabile il ricorso ai mezzi cautelari atipici ritenuti assimilabili all’esercizio del diritto di rettifica[4]. Un secondo orientamento, invece, ritiene applicabile l’art. 8 l. 47/1948, ma solo per le testate telematiche, ossia: per le testate on-line regolarmente registrate presso il tribunale e che, quindi, presentano «caratteristiche idonee ad offrire la divulgazione di un’informazione responsabile e professionale». Precisando però in questi casi, «dev’essere individuata una diversa modalità di rettifica, in grado di assicurare l’effettività della tutela degli interessi protetti dalla norma»[5], ad esempio: disponendo in «calce ad ogni singolo articolo (identificato attraverso l’URL) il testo di rettifica» predisposto dall’interessato, previa positiva verifica che lo stesso non superi il «limite delle trenta righe» e non abbia «contenuto suscettibile di incriminazione penale» (art. 8, comma 4 e comma 1, l. 47/1948).
- Sulle corrette modalità di richiesta e di pubblicazione della rettifica
Come accennato al paragrafo che precede, il diritto di rettifica è dato «a tutela dell’identità personale, intesa come immagine morale del soggetto nei vari aspetti in cui la sua personalità si esplica nella vita di relazione (intellettuali, religiosi, politici, professionali, ecc.)»[6] e attribuisce, a colui che si ritiene colpito da una falsa informazione diffusa col mezzo stampa o della radio/televisione, la facoltà di richiedere la pubblicazione di quella che è la «propria verità», tramite dichiarazioni di smentita o di chiarimento (e servendosi del medesimo mezzo che di quella notizia è stato veicolo).
L’esercizio del diritto di rettifica, dunque, mira a realizzare una sorta di “riequilibrio”, facoltizzando chi si ritiene leso dalla pubblicazione di una notizia che lo riguarda a richiedere la pubblicazione della “propria verità”.
Tale carattere facoltativo (ribadito anche dalla sentenza in commento) concretamente significa che sia l’an che il quomodo della richiesta sono riservati alla valutazione soggettiva di colui che si ritiene offeso, al cui discrezionale e insindacabile apprezzamento è rimesso di: stabilire il carattere lesivo della propria dignità dello scritto o dell’immagine; fissare il contenuto e i termini della rettifica[7]. In proposito è stato osservato come la circostanza che l’esercizio del diritto di cronaca consenta la «pubblicazione di vicende di cui non sia stata ancora accertata la completa corrispondenza al vero, impone di dare la più ampia possibilità di espressione al diritto di rettifica affinché l’interesse pubblico alla conoscenza immediata dei fatti non venga a sacrificare ingiustificatamente, ed oltre misura, l’interesse individuale a che siano pubblicate solo le notizie incontestabilmente accertate come vere»[8].
La richiesta soggiace però a tre regole: anzitutto dev’essere avanzata dal soggetto interessato[9] al direttore responsabile della testata giornalistica; in secondo luogo, non deve superare il limite delle trenta righe e deve attenersi ai fatti che si intendono smentire o correggere; infine, non deve avere contenuto suscettibile di incriminazione penale.
Se la richiesta di rettifica è conforme a quanto sopra, il direttore della testata ha l’obbligo di pubblicarla[10], seguendo a sua volta le seguenti prescrizioni: il testo dev’essere pubblicato nella sua interezza e senza commenti[11]; la pubblicazione deve avvenire non oltre due giorni da quando è pervenuta la richiesta[12] e con la medesima evidenziazione grafica della notizia da rettificare[13].
Peraltro, come chiaramente enunciato dall’ordinanza qui in commento (e fugando così ogni dubbio in proposito), non possono considerarsi come equivalenti – e, quindi, esimere il direttore della testata dal dar seguito alla richiesta ex art. 8 l. 47/1948 – la mera pubblicazione di un altro articolo contenente dichiarazioni del diffamato. In altre parole la pubblicazione della rettifica deve avvenire con le specifiche modalità previste dalla legge.
Infine, si ricorda che la violazione dell’obbligo di rettifica «integra un illecito distinto ed autonomo rispetto alla diffamazione, trovando fondamento nella lesione del diritto all’identità personale, che può sussistere indipendentemente da quella dell’onore e della reputazione, sicché l’esercizio dei rimedi ordinari e speciali previsti dall’ordinamento contro la sua inosservanza costituisce una domanda diversa, per “petitum” e “causa petendi”, da quella afferente il risarcimento del danno e gli altri rimedi conseguenti alla diffamazione a mezzo stampa, la quale non può essere proposta per la prima volta in sede di impugnazione»[14].
- Sulle finalità della rettifica
Giurisprudenza consolidata ritiene che la rettifica svolga «finalità riparatorie, non necessariamente sovrapponibili a quelle risarcitorie ben potendo il soggetto in assunto leso nel proprio onore e reputazione da fatti e notizie, vere o non vere che siano, non considerarsi esaustivamente “riparato” dalla pubblicazione della rettifica»[15]. Inoltre è ben possibile disporre ai sensi dell’art. 8, ult. comma, l. 47/1948, la pubblicazione per estratto dalla sentenza di condanna in tutti i casi in cui il «provvedimento giudiziale che impone la rettifica della notizia, ingiunto in via interinale e anticipata ex art. 700 c.p.c., per quanto puntualmente adempiuto dalla parte intimata, non abbia avuto efficacia pienamente riparatrice, in via preventiva, rispetto all’ulteriore rischio di propagazione degli effetti nocivi della notizia»[16].
Ciò posto, l’ordinanza in commento chiarisce ulteriormente e ancor più nettamente la funzione riparatoria della pubblicazione di un testo di rettifica, laddove precisa, da un lato, che l’art. 8 l. 47/1948 «non prevede una conseguenza automatica di riduzione del risarcimento del danno derivante dalla diffamazione» e, dall’altro lato, che tale “automatica riduzione” non può evincersi neppure nei precedenti giurisprudenziali della stessa Corte la quale si è «limitata a riconoscere una possibilità, e quindi non un’automatica incidenza, della pubblicazione della rettifica sul danno»[17].
Con l’ulteriore precisazione che la facoltà concessa dall’art. 8 l. 47/1948 al soggetto interessato, intende evitare che la pubblicazione offensiva possa continuare a produrre effetti lesivi, senza però eliminare i danni già realizzati. In altre parole la pubblicazione della rettifica non può «escludere il carattere diffamatorio delle dichiarazioni se l’eventus damni è già avvenuto con la pubblicazione delle dichiarazioni offensive». Si ricorda, peraltro, come tale aspetto fosse già stato affrontato dalla Cassazione, la quale, in applicazione a tale principio, ha escluso che la mancata richiesta di rettificazione da parte del danneggiato realizzi l’ipotesi prevista dal secondo comma della norma di cui all’art. 1227 cod. civ.[18].
Dunque, la Cassazione, riperdendo il principio secondo cui «non può disconoscersi che il diritto di risposta e rettifica svolga una funzione riparatoria il cui esercizio è suscettibile di non lasciare spazio ad un danno ulteriormente risarcibile»[19], nega tuttavia che ciò possa verificarsi automaticamente, dovendosi invece concretamente valutare se, nello specifico caso concreto, la rettifica sia stata – o meno – idonea a riparare il danno (e se sì in quale misura). Senza dimenticare che la diffamazione è produttiva di danni con effetto istantaneo, conseguentemente la rettifica svolgerà una funzione riparatoria nel senso di evitare il prodursi di ulteriori danni, ma non necessariamente nel senso di elidere (in tutto o in parte) i danni già verificatisi[20].
In questo senso già alcune corti di merito avevano stabilito «l’inidoneità oggettiva della successiva rettifica ad eliminare tutte le conseguenze dannose prodotte dalla divulgazione di una notizia falsa e gravemente lesiva della reputazione», riconoscendo così al diffamato il «risarcimento dei danni alla dignità, immagine e reputazione, personale e professionale, della persona ex artt. 2 e 3 Cost.»[21].
Correttamente, in questo senso le Tabelle elaborate dall’Osservatorio sulla giustizia Civile di Milano[22] indicano tra i vari criteri dei quali tener conto nella liquidazione equitativa del danno non patrimoniale da diffamazione la presenza, o meno, di una «rettifica successiva e/o spazio dato a dichiarazioni correttive del diffamato o rifiuto degli stessi». Ad esempio, ai fini della quantificazione del danno valutando la presenza, o meno, dei criteri indicati nelle Tabelle Milanesi, recentemente la Corte d’Appello de L’Aquila e quella di Firenze hanno espressamente indicato tra i parametri utilizzati quello della presenza, o meno, della rettifica[23].
Mentre da ultimo il Tribunale di Avezzano ha ritenuto non accoglibile la domanda di condanna alla pubblicazione di una rettifica su un giornale di tiratura nazionale, valutando, nel caso specifico, tale forma di tutela, «sostanzialmente inutile dal momento che, visto il notevole lasso di tempo trascorso, non attuerebbe alcun contributo significativo al risarcimento del danno subito»[24].
[1] Cass. civ., sez. III, 24 aprile 2008, n. 10690, in Responsabilità civile e previdenza, 2009, 148 ss., con nota S. Peron, Sul corretto esercizio del diritto di rettifica.
[2] Il testo originario anteriore alla riforma attribuiva il diritto di rettifica solo a coloro ai quali erano stati «attribuiti atti o pensieri o affermazioni lesivi della loro dignità o da esse ritenuti contrari a verità». Per contro la nuova formulazione dell’art. 8 ha ampliato l’area dei casi in cui un soggetto è legittimato a chiedere la rettifica, sia perché ha aggiunto alla serie dei destinatari dell’obbligo le agenzie di stampa, sia perché ha incluso la pubblicazione di immagini, sia, infine, perché valorizza il giudizio soggettivo del rettificante. Peraltro si ricorda che per effetto della depenalizzazione di cui all’art. 32 l. 689/1981, la «mancata o incompleta ottemperanza all’obbligo di cui al presente articolo è punita con la sanzione amministrativa da euro 1.549 a euro 2.582» (così, art. 8, ult. comma, l. 47/1948).
[3] Osserva in proposito N. Brutti, Metamorfosi del diritto di rettifica: rilievi sull’esperienza francese, in Diritto dell’informazione e dell’informatica,2018, 3: «la preclusione della rettifica viene ridimensionata alla sola ipotesi delle sue potenziali implicazioni penali, rendendo insindacabili espressioni riconducibili a responsabilità civile o a violazione del buon costume (laddove non ricomprese nelle prime). Sembra allora ragionevole quanto meno ritenere che tale mutamento provochi una correlativa espansione degli elementi valutativi ammissibili nella rettifica, che possono risultare utili a fini esplicativi e di ius corrigendi. Anche l’introduzione di uno specifico riferimento all’onore ed alla reputazione nell’art. 32-quinquies deporrebbe per un sensibile cambiamento di prospettiva, rispetto all’impostazione pregressa. Tale previsione, alla luce della formula della lesione di interessi morali, sembra accentuare la tutela della personalità, sottolineando un interesse pubblico a che l’informazione non assuma carattere lesivo di interessi costituzionalmente tutelati. In particolare, se con la rettifica prevista nel settore della stampa si ritiene tutelabile la dignità della persona, indipendentemente da un’indagine sulla verità dell’informazione, ciò sembra costituire un significativo trait d’union rispetto agli altri media».
[4] Trib. Milano, ord., 25.01.2018, in questa Rivista, 2, 2018, con nota di S. Peron, Le testate telematiche e la tutela costituzionale.
[5] Trib. Torino, 6.04.2018, in Foro Padano, I, 2018, 627 e ss., con nota di S. Peron, Il diritto di rettifica di una notizia inesatta può esercitarsi anche nei confronti di una testata telematica. Richiamando l’insegnamento delle Sezioni Unite (Cass. pen., S.U., 29.01.2015, n. 31022, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2015, 468 e Cass. civ. S.U., 18.11.2016, n. 23469, in Foro italiano, I, 3753 ss.), il Tribunale di Torino ha ritenuto che anche l’art. 8 l. 47/1948 debba «oggetto di un’interpretazione analogica, in grado di consentire alla norma di rispondere alle esigenze di tutela portate dall’evoluzione tecnologica». Con la conseguenza che «pur se riferito alla stampa cartacea», la norma debba «ritenersi applicabile anche agli articoli pubblicati da una testata on-line», ossia a una testata telematica regolarmente registrata presso il tribunale e che, quindi, presenta le caratteristiche idonee a offrire la divulgazione di un’informazione responsabile e professionale.
[6] Cass. civ., sez. I, 5 aprile 1990, n. 2852, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1990, 959.
[7] Cass. civ., sez. III, 24 aprile 2008, n. 10690, cit.
[8] Trib. Milano, 22 dicembre 2021, n. 10737, in De Jure, che così ulteriormente precisa: «risulta evidente dalla lettura del testo della norma come il legislatore abbia voluto esplicitamente rimettere all’apprezzamento soggettivo ed unilaterale dell’interessato sia la non veridicità di atti, pensieri o affermazioni riferiti dal giornale che il carattere lesivo della dignità di quanto a lui attribuito, esplicitando in tal modo l’intento di privilegiare il valore del pluralismo del sistema informativo. In tale prospettiva appare dunque estranea alla logica dell’istituto così delineato un eventuale controllo pubblico, ancorché esterno ed imparziale (quale quello giudiziale), sul contenuto dei messaggi, non risultando ricercata – se non indirettamente, attraverso il confronto tra diverse fonti informative – la verità e l’obiettività delle singole comunicazioni. Proprio per tale prevalente motivo la scelta in ordine alla esecuzione o meno della pubblicazione non spetta al Direttore del quotidiano, cui compete solo accertare il limite della liceità penale e dei limiti di spazio così come indicati dalla disposizione di legge, ma è rimessa esclusivamente al giudizio del soggetto che si assume essere leso nella reputazione ed è indipendente dal requisito della verità/liceità della pubblicazione».
[9] Si ricorda che la richiesta di rettifica può essere in concreto esercitata, «in base a specifico mandato del titolare, da un’altra persona, perciò abilitata a redigere e a presentare le rettifica». Tuttavia, trattandosi di un «diritto personale, per il cui esercizio la legge prescrive determinate modalità, fra cui la redazione della rettifica mediante atto scritto, è necessario che anche la procura rivesta la stessa forma, cioè sia conferita specificamente per il compimento dell’atto e sia sottoscritta dal titolare del diritto. In mancanza, non sorge il dovere giuridico del direttore o altro responsabile del giornale di provvedere alla pubblicazione della rettifica», così Cass. civ., sez. I, 5 aprile 1990, n. 2852, cit.
[10] La norma esclude ogni discrezionalità in capo al direttore o al responsabile del giornale il quale «è gravato da un vero e proprio obbligo, cui corrisponde una posizione di diritto soggettivo dell’interessato, che trova limite esclusivamente nell’ipotesi di rilevanza penale delle dichiarazioni o delle rettifiche», così Cass. civ., sez. III, 24 novembre 2010, n. 23835, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2011, 231 ss., con nota di M. Dimattia, Funzione della rettifica e aggravamento del danno da reputazione.
[11] Cass. civ., sez. I, 4 settembre 1991, n. 9365, in Responsabilità civile e previdenza, 1992, 79: «incorre in un illecito il giornalista che, ricevuta una rettifica da parte dell’interessato, in seguito ad un suo articolo, smentisce (apertamente o implicitamente) quanto l’interessato ha inteso rettificare senza aver compiuto indagini, circa la verità dei fatti ai quali la rettifica si riferisce, ben più accurate e approfondite di quelle effettuate per scrivere il primo articolo».
[12] Nel caso dei periodici, le rettifiche vanno «pubblicate, non oltre il secondo numero successivo alla settimana in cui è pervenuta la richiesta, nella stessa pagina che ha riportato la notizia cui si riferisce» (art. 8, comma 3, l. 47/1948).
[13] È il c.d. il principio dell’equivalenza informativa, che impone l’obbligo di inserire la rettifica nella stessa pagina della notizia originaria, non essendo sufficiente né idoneo a soddisfare il diritto del richiedente l’inserimento della rettifica in un’altra pagina o rubrica.
[14] Cass. civ., sez. III, 30 maggio 2017, n. 13520, in De Jure.
[15] Trib. Milano, 22 dicembre 2021, n. 10737, cit.
[16] Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2019, n. 5840, in De Jure.
[17] In particolare viene richiamato l’insegnamento della Cass. civ., sez. VI, 26 giugno 2013, n. 16040, in De Jure, precisando che la massima della sentenza («la pubblicazione di una rettifica è circostanza di per sé idonea a ridurre l’ammontare del danno non patrimoniale causato da un articolo diffamatorio, a nulla rilevando che la rettifica sia avvenuta volontariamente piuttosto che in adempimento di un obbligo») non è del tutto coerente con il contenuto: «la pubblicazione delle rettifiche, se non può eliminare l’illiceità dell’articolo di stampa, ne può eliminare o ridurre gli effetti dannosi».
[18] Si veda al riguardo Cass. civ., sez. III, 15 aprile 2010, n. 9038, in De Jure: «l’istanza di rettifica – che costituisce una facoltà discrezionale dell’interessato e che, in caso di mancato suo accoglimento, può dare ingresso, ai sensi della Legge sulla Stampa n. 47 del 1948, art. 8, come modificato dalla L. n. 416 del 1981, art. 42, al procedimento cautelare (Cass., n. 4866/2003) dispositivo della pubblicazione – adempie, allo stesso modo della predetta misura cautelare, alla finalità di evitare che la pubblicazione di stampa, se non rettificata, possa continuare a produrre in prosieguo gli effetti lesivi dell’altrui prestigio o reputazione, ma della compiuta diffamazione, tuttavia, la rettifica non elimina l’evento di danno per gli effetti già in precedenza realizzati. Pertanto, è certamente da condividere l’osservazione della Corte territoriale secondo cui, ove anche l’istanza di rettificazione avesse trovato accoglimento, ciò non avrebbe, comunque, potuto “escludere il carattere diffamatorio atteso che l’eventus damni si era già compiutamente realizzato mediante la pubblicazione”. In base a siffatta considerazione, pertanto, correttamente è stata negata l’ipotizzabilità della fattispecie di cui al comma 2 della norma dell’art. 1227 c.c.». In senso conforme si veda anche la successiva: Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 2015, n.1436, in De Jure.
[19] Cass. civ., sez. III, 24 aprile 2008, n. 10690, cit.
[20] Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 2015, n.1436, cit.: «il diritto di rettifica svolge una funzione riparatoria, finalizzata a non lasciare spazio ad un danno ulteriormente risarcibile, che tuttavia non elimina l’evento di danno per gli effetti in precedenza già perfezionati». Si veda anche: Cass. civ., sez. III, 8 febbraio 2019, n. 3719, in De Jure: «la eventuale richiesta di rettifica non vale a elidere il diritto al risarcimento comunque dovuto in caso di offesa all’onore e al decoro. Questa Corte ha chiarito che il diritto soggettivo alla rettifica trova fondamento nel più ampio diritto all’identità personale, la cui lesione legittima il titolare all’esercizio dei rimedi speciali apprestati dall’art. 8 della legge sulla stampa e di quelli ordinari generalmente consentiti dall’ordinamento, tra cui vi è anche il rimedio risarcitorio».
[21] Così, Trib. Cuneo, 21 ottobre 2021, n. 835, in De Jure.
[22] Per un’analisi della Tabelle ci si consenta di rinviare a S. Peron, Il risarcimento danni da diffamazione tramite mass-media: analisi e riflessioni sui criteri orientativi proposti dell’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano (edizione 2018), in questa Rivista, 1, 2019.
[23] App. Aquila, 10 dicembre 2021, n. 1776, App. Firenze, 7 ottobre 2021, n.1888, entrambe in De Jure.
[24] Trib. Avezzano, 25 novembre 2021, n. 335, in De Jure.