La digitalizzazione nell’UE: una sfida costituzionale

Nell’ambito del Digital Europe Programme, l’Unione europea ha adottato un approccio antropocentrico, secondo cui le moderne tecnologie devono essere sia al servizio delle persone, sia in linea con i principi, i valori e i diritti fondamentali dell’Unione stessa. In questa prospettiva, la creazione degli European Digital Innovation Hub, sul modello degli Hub innovativi nella Silicon Valley, si pone non solo il fine di implementare il livello di digitalizzazione degli Stati membri, ma soprattutto sfruttare la tecnologia, al fine di garantire l’effettività di alcuni principi di rilevanza costituzionale.

Within the Digital Europe Programme, the European Union has adopted an anthropocentric approach, according to which modern technologies need to be both at the service of people and in line with the principles, values and fundamental rights of the Union itself. In this perspective, the creation of European Digital Innovation Hubs, modelled on the innovation hubs in Silicon Valley, aims not only to implement the level of digitization of the Member States, but mainly to harness technology in order to ensure the effectiveness of some principles of constitutional relevance.

 

Sommario: 1. La digitalizzazione: una sfida fondamentale per l’UE. – 2. Il Digital Europe Programme. – 3. Il modello degli Hub nella Silicon Valley e primi esemplari in Europa. – 4. Gli European Digital Innovation Hub. – 5. La rilevanza costituzionale del programma Europe Digital e degli European Digital Innovation Hub.

 

  1. La digitalizzazione: una sfida fondamentale per l’UE

Pur non volendo assegnare a J.W. Goethe doti profetiche, il quale nel Faust affermava che «e così ci sarà un pensatore, che costituirà un cervello che sappia pensare esattamente»[1], appare corretto ritenere che lo sviluppo delle tecnologie, tra di queste anche l’intelligenza artificiale, richieda uno sforzo teorico a tutti i cultori delle scienze sociali, in particolare ai giuristi. In Italia, già nel 1968 si era soliti distinguere “il diritto artificiale” da “il diritto naturale”, ripercorrendo l’antitesi già proposta dai greci tra physis, ossia la natura, e la techne, cioè la creazione artificiale, evidenziando, in questo modo, la particolare inclinazione dei giuristi italiani verso il cd. “diritto artificiale”[2]. «Le possibilità di applicazione della tecnologia, intesa come processo di razionalizzazione operativa, costituiscono una nuova fisionomia spirituale, così che la mentalità tecnologica diventa una sua seconda, rinnovata natura.»[3]

In questo contesto, l’UE, per mezzo della Commissione, ha occupato l’avamposto di quanto concerne la regolamentazione giuridica delle piattaforme digitali, ponendo attenzione a non volere rallentare lo sviluppo tecnologico, bensì ad adeguarlo ai valori fondanti dell’Europa. In questo spirito, si è proceduto alla codificazione del General Data Protection Regulation, GDPR e della Digital Single Market Strategy, di cui fanno parte il Data Governance Act, il Digital Services Act, il Digital Markets Act e la Cybersecurity Strategy.[4]

La comunicazione emanata dalla Commissione europea il 9 marzo 2021 “2030 Digital Compass: the European way for the Digital Decade” evidenzia «l’incidenza del digitale nel tessuto socio-economico europeo, esaltandone la rilevanza strategica per garantire la resilienza dell’Europa»[5]. Questa circostanza è emersa in maniera dirompente durante la fase acuta dell’emergenza epidemica da Covid-19, quando tutte le attività sociali ed economiche si sono trasferite sulle piattaforme digitali, e si è affermata anche successivamente con l’affermarsi dei Big Data, della Blockchain e dell’intelligenza artificiale. Tuttavia, la Commissione ha individuato quale fattore di particolare vulnerabilità, la forte dipendenza del Vecchio Continente dalle tecnologie sviluppate e prodotte in paesi non democratici. Per questa ragione, «il programma di lavoro della Commissione ribadisce il termine del 2030 quale orizzonte temporale per il completamento della trasformazione digitale europea, basata su tecnologie affidabili, sicure ed antropocentriche»[6]. Al fine di rendere concreta questa ambizione, la Commissione europea ha individuato quattro obiettivi[7] da raggiungere entro il termine temporale prefissato:

  • a digitally skilled population and highly skilled digital professionals: assicurare ad almeno l’80% della popolazione adulta il possesso di competenze digitali di base;
  • secure and performant sustainable digital infrastructures: costruire infrastrutture digitali idonee a garantire l’accesso per tutti i cittadini ai servizi digitali;
  • digital transformation of businesses: prevedere che almeno i tre quarti delle imprese facciano uso di cloud computing, big data ed intelligenza artificiale;
  • digitalisation of public services: garantire l’accessibilità online a tutti i principali servizi pubblici e l’utilizzo dell’identificazione digitale.

Per le finalità sopra menzionate vengono in considerazione, in particolare[8]:

  • la proposta di direttiva relativa a misure per un livello comune elevato di cybersicurezza dell’Unione (cd. NIS 2 – Security of network and information systems), già oggetto di accordo tra il Parlamento europeo e il Consiglio dell’UE (concluso il 13 maggio 2022);
  • la proposta di modifica del regolamento (UE) 910/2014 in materia di identità digitale europea;
  • la legge sull’intelligenza artificiale, che, oltre a tutelare i diritti fondamentali, promuova «il ricorso a spazi di sperimentazione normativa volti a creare un ambiente controllato per testare tecnologie innovative per un periodo limitato, oltre all’accesso ai poli dell’innovazione digitale e a strutture di prova e sperimentazione, con l’obiettivo di sostenere le imprese innovative, le PMI e le start-up.»[9].
  1. Il Digital Europe Programme

L’Unione europea ha, dunque, adottato un approccio antropocentrico[10], in relazione al quale le moderne tecnologie devono essere sia al servizio delle persone, sia in linea con i principi, i valori e i diritti fondamentali dell’Unione stessa.

Per questa ragione, l’UE, accanto agli strumenti previsti dal Recovery Fund e dal Green Deal europeo, ha adottato il Digital Europe (Programma Europa Digitale).

«Gli obiettivi generali del programma sono i seguenti: sostenere e accelerare la trasformazione digitale dell’economia, dell’industria e della società europee, permettere ai cittadini, alle pubbliche amministrazioni e alle imprese di tutta l’Unione di beneficiare dei suoi vantaggi, nonché migliorare la competitività dell’Europa nell’economia digitale mondiale contribuendo a ridurre il divario digitale in tutta l’Unione e rafforzando l’autonomia strategica dell’Unione tramite un sostegno globale, intersettoriale e transfrontaliero e un maggiore contributo dell’Unione».[11]

Infatti, ai sensi dell’art. 173 TFUE, l’Unione e gli Stati membri si adoperano per assicurare le condizioni necessarie per garantire la competitività dell’industria e, a tal fine, accelerare l’adattamento dell’industria alle trasformazioni strutturali, nonché favorire un migliore sfruttamento del potenziale industriale delle politiche d’innovazione, di ricerca e di sviluppo tecnologico. Il par. 3, nello specifico, prevede la possibilità di adottare misure peculiari per consentire agli Stati membri di raggiungere questi obiettivi.

Inoltre, già nel vertice di Tallinn sul digitale del settembre 2017, si è evidenziata l’opportunità per l’Unione di «investire nella digitalizzazione delle proprie economie e far fronte al divario di competenze se vuole mantenere e arricchire la propria competitività e la propria innovazione, la qualità della vita e il tessuto sociale»[12].

Approfondendo ulteriormente, i cinque pilastri considerati prioritari nel programma Digital Europe sono[13]:

  • calcolo ad alte prestazioni[14]: l’utilizzo dei cd. supercomputer è ritenuto strategico sia per la PA sia per le imprese; a questo fine si evidenzia la necessità di implementare in modo adeguato l’infrastruttura di dati. Parte dei fondi stanziati dall’UE per questo programma confluiranno nell’impresa comune[15] EuroHPC, con il fine di finanziare progetti di ricerca ed innovazione sul calcolo ad alte prestazioni;
  • intelligenza artificiale: «è l’abilità di un macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività»[16]. Si tratta di una delle tecnologie più attraenti per il futuro economico e sociale di ciascuno Stato membro; lo sviluppo sarà rilevante non solo nell’ambito dei prodotti digitali, ma anche nella vita quotidiana dei cittadini europei. Per questa ragione, il programma ha intenzione di implementare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, sia da parte degli operatori economici, sia da parte delle amministrazioni pubbliche, al fine di assicurare al cittadino l’accesso sicuro a tali servizi e di archiviare ingenti quantità di dati ed algoritmi. L’approccio regolativo della Commissione[17], così come espresso nel Libro Bianco sull’Intelligenza artificiale, si basa su un sistema a piramide ascendente, che mira a ridurre al minimo i rischi per la sicurezza e i diritti fondamentali. In relazione al grado di rischio, sono richiesti requisiti minimi di trasparenza (come nel caso di chatbot o deep fake) o sono ricollegate misure di attenuazione o divieti (ad esempio, per l’identificazione biometrica remota);
  • cybersicurezza: le tecnologie digitali determinano il sorgere di nuovi rischi, tra cui l’aumento di frodi e furti di dati. L’UE reagisce a queste sfide, sia adottando misure normative ad hoc, sia per mezzo di investimenti, volti a sostenere l’acquisto di attrezzature, infrastrutture e strumenti avanzati;
  • competenze digitali: la digitalizzazione produce importanti benefici, solamente se un numero sufficientemente alto di utenti è in grado di utilizzarle. Per utenti deve intendersi non solamente studenti e professionisti, ma anche imprese e lavoratori;
  • capacità digitale ed interoperabilità: le soluzioni digitali interoperabili delle Pubbliche Amministrazioni si propongono di facilitare lo svolgimento di attività burocratiche in ambiti di pubblico interesse, quali la salute, e di agevolare l’accesso per le PMI alla tecnologia.

Al fine di assolvere alle missions appena descritte, il programma Digital Europe prevede anche l’istituzione di un network di European Digital Innovation Hub (Poli europei di Innovazione Digitale), che offrono accesso ad incubatori di sviluppo tecnologico e supporto alla trasformazione digitale per le organizzazioni pubbliche e private europee, incluse quelle governative a livello nazionale, regionale e locale.[18] Pertanto, l’obiettivo che si pone il legislatore europeo è quello di creare degli incubatori di tecnologia, mettendo a sistema tutte le risorse del territorio, che erogano vantaggi per le stesse realtà economiche radicate in quell’area geografica.

  1. Il modello degli Hub nella Silicon Valley e primi esemplari in Europa

Si cerca, dunque, di ricalcare il modello estremamente virtuoso della Silicon Valley, il cui segreto si basa sull’esistenza di un ambiente innovativo. Non è possibile individuare un solo fattore per cui alcuni giganti del tech, tra cui Google, Apple, Xerox, Cisco, abbiano deciso di stabilire i propri centri di sviluppo in questa area, bensì occorre analizzare le sinergie esistenti tra la storia dell’area, la presenza di ingenti capitali di rischio, l’esistenza di centri accademici (Stanford e UC Berkley) e di ricerca eccellenti (la NASA) e di un alto livello di ambizione delle migliori giovani menti, per le quali niente è impossibile. Non si è mai generato un eguagliabile ecosistema di innovazione in Europa, perché le imprese europee sono generalmente meno inclini alla cultura del cambiamento, ma anche non è sufficientemente diffusa la cultura del fallimento. Innovare vuol dire scoprire qualcosa di nuovo e la scoperta può anche produrre un fallimento. Inoltre, il posizionare i laboratori di ricerca e sviluppo al di fuori delle strutture aziendali, quali la burocrazia e gli altri processi interni, permette al personale selezionato per l’hub di poter effettivamente innovare, senza dover osservare i limiti di quello che è necessario per l’azienda. Consideriamo l’esempio di Google, che ha stabilito il suo innovation hub (Google X) al di fuori degli uffici dove è normalmente realizzata l’attività d’impresa quotidiana. In quel luogo, infatti, i dipendenti sviluppano tecnologie diverse dagli attuali segmenti di produzione, al fine di occupare sempre una posizione di vantaggio rispetto ai competitor. L’integrazione con il territorio è evidente: Google testa i propri nuovi prodotti con reali clienti ed in relazione agli esiti generati da questi early-stage decide se tenere, modificare o abbandonare completamente quel prodotto.[19]

Nel 2016 l’Unione europea, al fine di riprodurre questo modello virtuoso anche nel Vecchio Continente, ha avviato il programma “Digitalizzazione dell’industria europea” (Digitising European Industry, DEI), che si poneva l’obiettivo di rafforzare la competitività dell’UE nelle tecnologie digitali, cosicché da garantire ad ogni impresa la possibilità di sfruttare le innovazioni. Le risorse economiche stanziate erano pari a 50 miliardi, provenienti da investimenti sia pubblici che privati per il quinquennio successivo. Nell’ambito di questo programma si prevedeva anche la costituzione di poli dell’innovazione digitale (Digital Innovation Hub, DIH), che avevano il fine di coadiuvare le imprese nella rivoluzione tecnologica, offrendo a queste supporto tecnico, e di creare un ecosistema virtuoso. Le caratteristiche[20] di questi DIH erano: partecipare ad una iniziativa regionale, nazionale o europea di digitalizzazione dell’industria; essere un’organizzazione senza finalità di lucro; essere fisicamente presente nella regione e disporre di un sito internet aggiornato che illustrasse chiaramente le attività del DIH e i servizi forniti, fornire almeno tre esempi di modalità con cui il polo ha aiutato una impresa ad attuare la trasformazione digitale. Nel 2017 la Commissione ha creato un catalogo online con il fine di favorire la creazione di una rete, nel quale erano registrati 498 DIH, di cui 309 operativi e 189 in preparazione[21].

La Corte dei Conti europea ha verificato se la Commissione avesse adeguatamente coadiuvato gli Stati membri nella definizione della strategia di digitalizzazione dell’industria. Tuttavia, è stata individuata una falla nel processo di rendicontazione alla Commissione della attività svolte dagli Stati, a causa della mancata definizione degli effetti attesi, indicatori di risultato e valori-obiettivo. Infatti, l’istituzione del programma, a metà del periodo di programmazione 2014-2020, aveva impedito l’emanazione di disposizioni giuridiche che obbligassero gli Stati membri ad adoperarsi in maniera proattiva per il monitoraggio dei progetti. La Corte, pertanto, ha affermato che: «le attività negli Stati membri visitati sono state modeste. Quattro anni dopo l’avvio dell’iniziativa DEI, i DIH avevano ancora un limitato accesso ai fondi: in base a quanto rilevato dalla Corte, in alcuni casi questi non erano stati costituiti in modo coordinato e, fatta eccezione per le attività finanziate da Orizzonte 2020, non esiste ancora un quadro dettagliato per il monitoraggio dei DIH a livello UE.»[22]

  1. Gli European Digital Innovation Hub

Nonostante lo sviluppo delle tecnologie, le imprese incontrano ancora difficoltà nel comprendere su quali tecnologie investire e come adeguarsi alla trasformazione digitale.

L’Unione europea, in considerazione della necessità di stimolare la diffusa adozione delle tecnologie avanzate per lo sviluppo sia delle imprese, in particolare delle PMI, sia per la digitalizzazione della PA e constatando il parziale fallimento degli DIH, prevede la costituzione di nuovi Poli europei di Innovazione Digitale, inserendo questo obiettivo nel Programma Digital Europe.

Infatti, l’art. 2, n. 5), del regolamento (UE) 2021/694 definisce un Polo europeo di Innovazione Digitale come «un soggetto giuridico selezionato a norma dell’articolo 16 per svolgere i compiti previsti dal Programma, in particolare fornire direttamente o assicurare l’accesso a competenze tecnologiche e strutture di sperimentazione, come attrezzature e strumenti software, allo scopo di rendere possibile la trasformazione digitale dell’industria, nonché agevolare l’accesso ai finanziamenti; è aperto alle imprese di ogni forma e dimensione, in particolare alle PMI, alle società a media capitalizzazione e alle scale-up, nonché alle pubbliche amministrazioni di tutta l’Unione».

Dunque, la base normativa comunitaria deve ritrovarsi nell’art. 16 del regolamento (UE) 2021/694 e nella decisione della Commissione europea C/2021/7911 del 10 novembre 2021, concernente l’adozione del programma di lavoro pluriennale dei Poli europei di Innovazione Digitale per il periodo 2021-2023.

Questi nuovi soggetti giuridici dovrebbero stimolare l’adozione delle tecnologie digitali più avanzate da parte dell’industria, in particolare le PMI e le altre realtà che occupano al massimo 3000 persone, le organizzazioni pubbliche e il mondo accademico. «I poli europei dell’innovazione digitale dovrebbero fungere da sportelli unici per accedere a tecnologie provate e convalidate e promuovere l’innovazione aperta. Essi dovrebbero inoltre fornire sostegno nel settore delle competenze digitali avanzate, ad esempio coordinandosi con i responsabili dell’istruzione per offrire attività di formazione a breve termine per i lavoratori e tirocini per gli studenti. La rete dei poli europei dell’innovazione digitale dovrebbe assicurare un’ampia copertura geografica in tutta Europa e dovrebbe favorire la partecipazione delle regioni ultraperiferiche al mercato unico digitale.»[23]

Più nello specifico, ai sensi dell’art. 16, par. 2, regolamento (UE) 2021/694, gli Stati membri, per mezzo di una procedura aperta e competitiva, in conformità con le proprie procedure interne, individuano i soggetti candidati alla seconda fase di selezione, che avverrà in sede europea, conformandosi ai seguenti criteri:

  • competenze adeguate all’esperimento delle funzioni ad esse assegnate (§ infra);
  • capacità di gestione, personale ed infrastrutture adeguate allo svolgimento delle attività;
  • mezzi operativi e giuridici idonei all’applicazione delle norme amministrative, contrattuali e finanziarie dell’Unione; e
  • adeguata sostenibilità finanziaria.

Inoltre, ai sensi dell’art. 16, par. 6, regolamento (UE) 2021/694, i Poli europei di Innovazione Digitale devono svolgere le seguenti attività a vantaggio dell’industria (PMI ed imprese a media capitalizzazione), nonché del settore pubblico:

  • sensibilizzare e fornire competenze, know-how e servizi di trasformazione digitale;
  • assistere le imprese, in particolare le PMI e le start-up, le organizzazioni e le amministrazioni pubbliche, affinché diventino più competitive e migliorino i loro modelli di business attraverso l’uso delle nuove tecnologie contemplate dal Programma;
  • agevolare il trasferimento di competenze e know-how tra le regioni […], incoraggiare gli scambi di esperienze e competenze, le iniziative congiunte e le buone prassi;
  • fornire servizi tematici, in particolare quelli correlati all’IA, all’HPC e alla cybersicurezza e alla fiducia, o garantirvi l’accesso, alle pubbliche amministrazioni, alle organizzazioni del settore pubblico, alle PMI o alle imprese a media capitalizzazione; e
  • erogare sostegno finanziario a terzi nell’ambito dell’obiettivo specifico 4 (e. implementare le competenze digitali nei diversi utenti).

Nel contesto italiano, lo sviluppo di questi hub è stato integrato nel Piano Nazione di Ripresa e Resilienza[24], il quale[25] pone l’obiettivo, entro il 2025, di costituire 42 nuovi Poli (che si aggiungono agli 8 già esistenti), distinti in centri di competenza e la rete dei poli di innovazione sul campo. I primi sono partenariati pubblico-privati e sono individuati in relazione alla loro capacità di proporre strumenti innovativi ed efficaci nella trasformazione digitale delle imprese. I partner devono essere individuati in istituzioni come università, centri di ricerca ed imprese private tecnologiche di punta. Differentemente, la rete dei poli di innovazione sul campo propone servizi come: sensibilizzazione, formazione, intermediazione tecnologica, accesso ai finanziamenti per l’innovazione tecnologica, audit tecnico e banchi di prova[26]. Infine, si dispone che entro il medesimo periodo temporale, i centri devono fornire servizi per una quantità di risorse pari ad almeno 600 milioni di euro e siano beneficiari di tali prestazioni almeno 4500 piccole e medie imprese. In particolare, così come previsto dal Working Programme[27] della Commissione, ciascun polo deve erogare i servizi di test e sperimentazione (test before invest), formazione e sviluppo di competenze digitali avanzate, sostegno all’accesso a meccanismi di finanziamento e ecosistemi dell’innovazione e networking. La rilevanza di questi poli per il tessuto sociale ed economico del Paese è chiaramente espressa dal Ministro dello Sviluppo Economico, On. Giancarlo Giorgetti, in occasione dell’emanazione del Decreto Ministeriale del 11 aprile 2022: «Puntiamo sugli investimenti in manifattura 4.0 per accompagnare la transizione digitale delle filiere produttive, soprattutto in settori strategici per l’economia del paese. Con questo obiettivo abbiamo deciso di investire su una rete nazionale di Poli di trasferimento tecnologico in cui il fattore umano gioca un ruolo decisivo per il futuro del settore manifatturiero, rafforzando la capacità di incontro tra il mondo della ricerca e le imprese nell’applicazione di tecnologie all’avanguardia»[28]

  1. La rilevanza costituzionale del programma Europe Digital e degli European Digital Innovation Hub

Con riguardo al digitale, la letteratura costituzionale ha affrontato principalmente i rischi connessi alla tutela di alcuni valori di rilevanza costituzionale (si pensi alla tutela della proprietà intellettuali o dei dati personali) e, conseguentemente, si è sempre soffermata sullo studio delle regole che potessero garantire un adeguato bilanciamento tra i diritti e le libertà coinvolte. Per questa ragione, ci si interroga se le regole del costituzionalismo digitale europeo possano essere capaci di proporre un approccio digitale sostenibile, che si discosti dal contrasto dicotomico tra imperialismo costituzionale e protezionismo costituzionale, emancipando il dibattito costituzionale dalla prospettiva dominante, limitata alla privacy e alla proprietà intellettuale.[29]

Infatti, come sostiene De Gregorio riguardo all’intelligenza artificiale, «Di fronte al bivio normativo della quarta rivoluzione industriale, l’Unione sembra aver scelto un percorso verso lo sviluppo di un ambiente sostenibile per l’intelligenza artificiale, piuttosto che concentrarsi semplicemente sulla promozione dell’innovazione per sfruttare le potenzialità di queste tecnologie o limitarsi ad ostacolarne lo sviluppo per proteggere i diritti fondamentali e i valori democratici».[30] Infatti, lo sviluppo tecnologico ha offerto l’enorme possibilità di potenziare l’esercizio e l’effettività dei diritti fondamentali e dei valori democratici. Tuttavia, la tradizionale nozione di legge, come espressione di un pubblico potere, è oggi messa in crisi dall’emergere di norme autoprodotte da altri sottosistemi, quali le imprese, che detengono il monopolio del digitale. Non è possibile, pertanto, consentire che una delle modalità di esercizio dei principi costituzionali sia schiava di attori privati.

«Gli approcci neoliberali che rifiutano il ruolo degli attori pubblici nella protezione dei diritti fondamentali e dei valori democratici possono scontrarsi con le caratteristiche del costituzionalismo europeo. I diritti fondamentali e i valori democratici non possono essere lasciati nelle mani di poteri unaccountable che, anche se privati, prendono decisioni che influenzano la vita quotidiana al di fuori dei circuiti democratici. […] Un’espressione più matura del costituzionalismo digitale mirerebbe a contrastare le soluzioni tecno-deterministe e contribuirebbe a promuovere i valori europei come modello costituzionale sostenibile per lo sviluppo delle tecnologie automatizzate nel contesto globale».[31]

In questo senso, deve essere interpretato il fine che l’Unione si è posta con l’adozione del Digital Europe ed, in particolare, la costituzione degli European Digital Innovation Hub: assicurare l’esercizio dei valori costituzionali, sfruttando la tecnologia.

Infatti, è proprio il preambolo alla Carta di Nizza che, tra i suoi scopi, si pone la tutela dei diritti fondamentali alla luce degli sviluppi scientifici e tecnologici.[32] È possibile ritenere che la costituzione di questi poli nel nostro Paese abbia il fine ultimo di contribuire alla rimozione di quegli ostacoli di ordine economico e sociale, che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione alla vita economica e sociale del Paese, di cui all’art. 3 Cost., nonché promuovere lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica, così come stabilito dall’art. 9 Cost. Inoltre, è possibile ritenere che la particolare struttura prevista per questi enti dal regolamento (UE) 2021/694, così aperta a tutte le eccellenze del territorio in cui è inserita, ben si allinea con il dettato di cui all’art. 45 Cost., nel quale si afferma che la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata.

Più nello specifico, così come riportato nella conclusione del Consiglio europeo del 19 ottobre 2017, la creazione di un’Europa digitale non può che accompagnarsi ad una alfabetizzazione mediatica[33] e digitale, che preveda la diffusione di competenze essenziali idonee a permettere un’efficace relazione dei cittadini con i media, nonché sviluppare un pensiero critico e capacità di apprendimento a lungo termine. All’uopo, questo Programma deve coordinarsi con gli altri che perseguono simili finalità (i.e. FSE+, FESR, Erasmus+, Horizon). Con riferimento al contesto nazionale, la relazione programmatica del Governo, di cui all’art. 13 c. 1 l. 234/2012 e trasmessa al Parlamento il 16 maggio 2022, pone quale priorità l’accrescimento delle competenze digitali e la riduzione del digital divide, prevedendo, nell’iniziativa Repubblica digitale, una forte accelerazione alla dotazione digitale delle scuole. È possibile, pertanto, ritenere che il Programma Digital Europe si ponga il fine di garantire l’effettività del diritto all’istruzione, così come formulato dall’art. 14 della Carta di Nizza e dagli artt. 33 e 34 Cost.

Inoltre, lo sviluppo dell’attività d’impresa, art. 16 della Carta di Nizza e artt. 4 e 41 Cost., inevitabilmente trae un vantaggio dalla costituzione dei Poli, così come illustrato supra § 4.

Per la crescita a lungo termine dell’Europa e la creazione di valore aggiunto nella società della conoscenza, le competenze digitali avanzate devono accompagnarsi alla piena inclusione. Infatti, nella risoluzione sulla digitalizzazione dell’industria europea, il Parlamento europeo ha chiesto che «l’equilibrio di genere sia integrato in tutte le iniziative digitali sottolineando la necessità di affrontare il divario di genere nel settore delle tecnologie dell’informazione»[34]. Ancora, «la digitalizzazione può agevolare e migliorare l’accessibilità senza barriere per tutti, compresi gli anziani, le persone a mobilità ridotta o con disabilità, e le persone che vivono in zone remote o rurali»[35]. Proprio riguardo agli abitanti di terre remote è sintomatico come il legislatore abbia esplicitamente stabilito l’applicabilità del Programma anche nelle cd. regioni ultraperifiche ai sensi degli artt. 349 e 355 TFUE. È la stessa Carta di Nizza che dispone «L’Unione […] cerca di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile» e ribadisce questo principio anche all’art. 26. Questa peculiarità ben si concilia anche con il dettato dell’art. 38, c. 3, Cost.

In aggiunta, come dichiarato nella dichiarazione di Tallinn sull’e-government da parte dei ministri delegati per la specifica materia, il progresso digitale sta profondamente trasformando le loro società, ponendo davanti alla pubblica amministrazione nuove sfide per rispondere in modo adeguato alle attese dei cittadini. Infatti, dal momento che la qualità della PA ha un impatto diretto sull’ambiente economico ed è assolutamente necessario favorire la produttività, la crescita sostenibile e l’occupazione, la digitalizzazione della PA rappresenta una priorità fondamentale per la costituzione di un efficace mercato unico digitale. Diversamente, si creerebbero barriere elettroniche transfrontaliere, generando una frammentazione dei servizi pubblici europei a detrimento delle libertà fondamentali e del riconoscimento reciproco dei servizi nell’Unione.[36] Pertanto, la digitalizzazione della PA appare essere, oltre che un’esigenza di ragione economica, l’attuazione di principi di rilevanza costituzionale, come l’art. 41 della Carta di Nizza ed il buon andamento dell’amministrazione della PA.

Infine, il grado di sviluppo delle nuove tecnologie giunge perfino a coinvolgere i valori costituzionali descritti nella Parte II “Ordinamento della Repubblica” della nostra Costituzione. Si registra che il dibattito pubblico si è massicciamente spostato sulle piattaforme social, rendendo necessario non solo una loro regolamentazione da parte di autorità pubbliche (tema al centro di copiose discussioni), ma anche implementazione della consapevolezza degli utenti. Gli algoritmi tendono a mostrare sempre contenuti simili a quelli con i quali si è interagito precedentemente, mortificando l’ambiente aperto ad un dibattito pluralistico e giungendo ad un’estrema polarizzazione del dibattito politico, che potrebbe produrre, in casi estremi, una reale manipolazione delle elezioni.[37]

In conclusione, la digitalizzazione dell’Unione, fine perseguito dal Programma Europe Digital e, in particolare, dalla creazione degli European Digital Innovation Hub, non produrrà esclusivamente benefici di tipo economico, bensì contribuirà a garantire l’effettività di diritti e libertà costituzionali per il cittadino, se ben integrato nel nuovo mondo digitale.

[1] J. W. Goethe, Faust, atto II, versi 6869 – 6870.

[2] Amplius in T.E. Frosini, L’orizzonte giuridico dell’intelligenza artificiale, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, 1, 2022, 7.

[3] V. Frosini, Cibernetica diritto e società, Milano, 1968, 14.

[4] Sul tema A. Bradford, Effetto Bruxelles. Come l’Unione Europea regola il mondo, Milano, 2021.

[5] A. Palladino, Europa digitale 2030, la Commissione propone la “Bussola” per la sovranità digitale, in irpa.eu, 27 aprile 2021.

[6] Servizio Studi Senato della Repubblica – Ufficio rapporti con l’Unione europea Camera dei deputati, Il programma dell’Unione Europea per il 2022, Documentazione per le Commissioni, 14 giugno 2022, 17.

[7] Così come riportati da A. Palladino, Europa digitale 2030, la Commissione propone la “Bussola” per la sovranità digitale, cit.

[8] Così come esposte in Servizio Studi Senato della Repubblica – Ufficio rapporti con l’Unione europea Camera dei deputati, Il programma dell’Unione Europea per il 2022, Documentazione per le Commissioni, 14 giugno 2022, 17.

[9] Ibidem.

[10] Definizione presente in Commissioni Riunite IX (Trasporti, poste e telecomunicazioni) e X (Attività produttive, commercio e turismo) della XVIII Legislatura, Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale (legge sull’intelligenza artificiale) e modifica alcuni atti legislativi dell’Unione. COM(2021) 206 final e Allegati, Allegato 1, 13 aprile 2022, 7.

[11] Art. 3, par. 1, regolamento (UE) 2021/694.

[12] Considerando 9, regolamento (UE) 2021/694.

[13] Amplius A. Bonifazi, Fondi per la digitalizzazione delle PMI: lo strumento per uscire dalla crisi (parte II), in Finanziamenti su misura, 3, 2021, 7.

[14] La dizione degli specifici obiettivi è riportata nell’art. 3, par. 2, regolamento (UE) 2021/694.

[15] A. Bonifazi, Fondi per la digitalizzazione delle PMI, cit., 7, nt. 2.

[16] Ufficio Rapporti con l’Unione europea Camera dei deputati, Legge sull’intelligenza artificiale, Dossier n. 57, 12 novembre 2021, 2

[17] Così come sintetizzato ibidem.

[18] European Commission, Annex to the Commission Implementing Decision on the financing of the Digital Europe Programme and adoption of the multiannual work programme – European Digital Innovation Hubs for 2021 – 2023, in ec.europa.eu, 3.

[19] Per un approfondimento sugli innovation hub presenti nella Silicon Valley si rinvia a A. Berger – A. Brem, Innovation Hub How-To: Lessons From Silicon Valley, in Global Business and Organizational Excellence, 35, 2016, 58 ss.

[20] Così come riportate in Corte dei Conti europea, Digitalizzazione dell’industria europea: iniziativa ambiziosa il cui successo dipende dal costante impegno dell’UE, delle amministrazioni e delle imprese, in eca.europa.eu, 33.

[21] Dati aggiornati al 31 dicembre 2019.

[22] Corte dei Conti europea, Digitalizzazione dell’industria europea: iniziativa ambiziosa il cui successo dipende dal costante impegno dell’UE, delle amministrazioni e delle imprese, in eca.europa.eu, 5.

[23] Così come affermato nel considerando 17, regolamento (UE) 2021/694.

[24] Così come approvato con Decisione del Consiglio ECOFIN del 13 luglio 2021, notificata all’Italia dal Segretariato generale del Consiglio con nota LT161/21 del 14 luglio 2021.

[25] Nello specifico ci riferiamo alla Missione 4 “Istruzione e ricerca” – Componente 2 “Dalla ricerca all’Impresa” – Investimento 2.3 “Rafforzamento ed estensione settoriale/territoriale dei centri per il trasferimento tecnologico per i segmenti di industria”.

[26] Come esposto nel Decreto Ministeriale del Ministro dello Sviluppo Economico del 11 aprile 2022.

[27] European Commission, Annex to the Commission Implementing Decision on the financing of the Digital Europe Programme and adoption of the multiannual work programme – European Digital Innovation Hubs for 2021 -2023, cit.

[28] Ministero dello Sviluppo Economico, Al via network nazionale di Poli di trasferimento tecnologico, in mise.gov.it, 21 aprile 2022.

[29] O. Pollicino, Foreword, in G. De Gregorio, Digital Constitutionalism in Europe, Cambridge, 2022, XIV.

[30] G. De Gregorio, Digital Constitutionalism in Europe, Cambridge, 2022, 316.

[31] Ivi, 317.

[32] Preambolo Carta di Nizza 2000/C 364/ 08: «A tal fine è necessario, rendendoli più visibili in una Carta, rafforzare la tutela dei diritti fondamentali alla luce dell’evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici».

[33] Così come espressamente dichiarato nei considerando 40 e 41, regolamento (UE) 2021/694.

[34] Considerando 42 e 43, regolamento (UE) 2021/694.

[35] Considerando 46, regolamento (UE) 2021/694.

[36] Considerando 50, 51, 52, 53, regolamento (UE) 2021/694.

[37] Ufficio Rapporti con l’Unione europea Camera dei deputati, Legge sull’intelligenza artificiale, cit., 4.

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