La Corte di cassazione sulla competenza territoriale in caso di diffamazione a mezzo radiotelevisivo aggravata dall’attribuzione di un fatto determinato: il limite del dato normativo e il ritorno al giudice naturale

Corte di cassazione, sez. V penale, 15 marzo 2024, n. 26919

Corte di cassazione, sez. V penale, 14 giugno 2024, n. 34507

Corte di cassazione, sez. V penale, 10 ottobre 2024, n. 41956

In tema di diffamazione commessa attraverso trasmissioni televisive e consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, la competenza territoriale deve essere stabilita, anche successivamente alla sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, applicando l’art. 30, c. 5, legge 6 agosto 1990, n. 223, nel luogo di residenza della persona offesa, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere del reato.

 

Corte di cassazione, sez. V penale, 10 ottobre 2024, n. 41956

In caso di più delitti di diffamazione, commessi con un’unica azione attraverso l’impiego del mezzo radiotelevisivo e aggravati dall’attribuzione di un fatto determinato, la competenza territoriale per connessione deve essere determinata secondo il criterio suppletivo previsto dall’art. 9, c. 1, c.p.p.

 

Sommario: 1. Il dato normativo e la pronuncia della Corte costituzionale n. 42 del 1996. – 2. (segue): la questione interpretativa. – 3. I rinvii pregiudiziali ex art. 24 bis c.p.p. – 4. La scelta ermeneutica della Quinta Sezione. – 5. La competenza per territorio in caso di concorso formale omogeneo di reati. – 6. Rilievi conclusivi.

 

  1. Il dato normativo e la pronuncia della Corte costituzionale n. 42 del 1996

Il c. 5 dell’art. 30 l. 223 del 1990[1] stabilisce che, in caso di diffamazione aggravata dall’attribuzione di un fatto determinato commessa col mezzo della radio o della televisione, la competenza territoriale appartiene al giudice del luogo di residenza della persona offesa. Si tratta di una delle «regole extravaganti»[2] al criterio generale di cui all’art. 8, c. 1, c.p.p. che trova invece applicazione nel caso di diffamazione mediatica[3] semplice.

Com’è noto, tale disciplina derogatoria[4] e, in particolare, la differenza di trattamento tra le due ipotesi di diffamazione (aggravata e semplice) era stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale, con riferimento al parametro di cui all’art. 3 Cost., già nel 1996[5]. In tale occasione, il Giudice delle leggi aveva individuato la ratio della «norma eccezionale»[6] nell’esigenza, particolarmente pressante nel caso di diffamazione mediatica aggravata, di attenuare lo squilibrio di posizioni tra chi commette il reato e chi del reato ne subisce le conseguenze lesive. Del tutto legittima, quindi, la scelta di radicare la competenza nel luogo di residenza della persona offesa al fine di permettere a quest’ultima di attivarsi a difesa della propria reputazione con un minore dispendio di tempo e di risorse economiche, peraltro avanti ad un giudice più idoneo al giudizio in quanto vicino al luogo di svolgimento dei fatti. Senza considerare, poi, la maggior efficacia riparatoria derivante dalla diffusione della sentenza nell’ambiente sociale normalmente frequentato dalla persona offesa.

Con la medesima pronuncia, la Corte costituzionale aveva inoltre respinto la questione di legittimità sollevata con riferimento all’art. 25, c. 1, Cost.[7] ritenendo che dal principio di precostituzione del giudice naturale non discendesse alcun vincolo di collegamento tra il giudice ed il luogo di consumazione del reato[8]. Per la Corte, quindi, l’individuazione del giudice naturale è affidata alla discrezionalità del legislatore, libero di adottare criteri di competenza derogatori rispetto alle regole generali secondo una valutazione comunque razionale dei diversi interessi in gioco nel processo[9]. Del tutto legittima, in quest’ottica, una disciplina come quella prevista dall’art. 30, c. 5, l. 223 del 1990 che va a individuare, preventivamente e non in vista di singole controversie, il foro territorialmente competente nella residenza della persona offesa[10].

 

  1. (segue): la questione interpretativa

Pur uscita indenne dal giudizio di costituzionalità, l’infelice formulazione[11] dell’art. 30 l. 223 del 1990 ha dato vita ad un contrasto giurisprudenziale in seno alla Corte di cassazione. Pomo della discordia l’ambito di applicazione della regola derogatoria in materia di competenza territoriale: esclusivamente ai soggetti imputati specificamente indicati al primo comma della disposizione (il concessionario privato, il concessionario pubblico ovvero la persona da loro delegata al controllo della trasmissione) o anche alla persona, citata a giudizio, che abbia concretamente commesso la diffamazione (come, ad esempio, il giornalista, l’autore televisivo o l’intervistato).

Della prima opinione una parte minoritaria della giurisprudenza[12], secondo cui, stante il divieto di applicazione analogica in materia, laddove il soggetto chiamato a rispondere del reato non possieda una delle qualifiche indicate espressamente all’art. 30, c. 1, l. 223 del 1990 debbano trovare applicazione le regole generali sulla competenza per territorio.

Prevalente, invece, il secondo indirizzo interpretativo che individua il foro competente, a prescindere da chi sia la persona imputata, nel luogo in cui risiede la persona offesa[13]. Secondo questa giurisprudenza, infatti, il dato testuale[14], fondato su una lettura congiunta dei commi 4 e 5, porta a ritenere differenziato a seconda della qualifica dell’autore il solo trattamento sanzionatorio e unificato, a prescindere da chi sia l’autore della diffamazione mediatica aggravata, il criterio di competenza territoriale[15].

A complicare ulteriormente la questione è intervenuta poi la recente dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 30, c. 4, l. 223 del 1990[16] ad opera della sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale[17]. Ed è con questo ulteriore «dato inedito»[18] che il Giudice di legittimità si è trovato a confrontarsi, per la prima volta, con le pronunce in commento.

 

  1. I rinvii pregiudiziali ex 24 bis c.p.p.

Il contrasto interpretativo appena delineato ha portato i giudici di merito ad azionare l’istituto introdotto dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150[19], e oggi disciplinato dall’art. 24 bis c.p.p.[20]. Da tre rinvii pregiudiziali[21] sono infatti scaturite le pronunce della Cassazione[22].

Nell’ambito della prima ordinanza di rimessione[23], il Tribunale di Milano ha rilevato l’esistenza dei due diversi indirizzi giurisprudenziali e, pur propendendo per quello volto ad estendere il criterio del luogo di residenza della persona offesa a tutte le ipotesi di diffamazione mediatica aggravata, ha adito la Corte affinché decidesse sulla questione di competenza. Il Giudice di legittimità, ritenendo che il Tribunale avesse adeguatamente analizzato la questione e compiuto una preliminare valutazione di non manifesta infondatezza della stessa, «così da prospettare l’impossibilità di risolverla mediante l’utilizzo degli ordinari strumenti normativi»[24], ha dichiarato ammissibile il rinvio[25].

Del tutto analogamente, il Tribunale di Varese, nell’ambito della seconda ordinanza di rimessione[26],  non solo ha dato atto dell’esistenza di due orientamenti giurisprudenziali tra loro contrapposti ma ha anche rigettato, di fatto, l’eccezione di incompetenza territoriale formulata ex art. 21 c.p.p. dalla difesa degli imputati[27]. La Corte, nel decidere per l’ammissibilità del rinvio, ha rilevato come l’unico giudice che ha titolo ad attivare lo strumento di cui all’art. 24 bis c.p.p. sia quello che «pur non ritenendosi incompetente, si rende conto che la diversa prospettazione operata dalle parti in punto di competenza territoriale non è manifestamente infondata, al punto che potrebbe successivamente originare una pronuncia attributiva di competenza territoriale ad un giudice diverso»[28].

La necessità di ricorrere al rinvio pregiudiziale solo in caso di «questioni di una certa serietà» è stata ribadita dalla Corte anche nella decisione di ammissibilità del terzo rinvio pregiudiziale[29]. Nel caso di specie infatti, secondo la Cassazione, il contrasto giurisprudenziale in materia avrebbe in seguito potuto determinare una regressione del processo[30].

 

  1. La scelta ermeneutica della Quinta Sezione

Una volta ritenuti ammissibili i rinvii pregiudiziali, la Corte di cassazione si è concentrata sulla risoluzione delle questioni di competenza territoriale poste alla sua attenzione[31].

Il «dato inedito» destinato ad «incidere significativamente sulle scelte interpretative»[32] è sicuramente la pronuncia n. 150 del 2021[33], con cui la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il c. 4 dell’art. 30 l. 223 del 1990 laddove prevedeva, «per i reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell’attribuzione di un fatto determinato» dai soggetti di cui al c. 1 della medesima disposizione[34], l’estensione della disciplina della diffamazione a mezzo stampa di cui all’art. 13 l. 8 febbraio 1948, n. 47, con l’applicazione della pena della reclusione da uno a sei anni cumulativamente ad una multa non inferiore a 258 euro[35]. La Quinta Sezione si è quindi interrogata sulla vigenza dello speciale criterio di determinazione della competenza di cui all’art. 30, c. 5, l. 223 del 1990 che, nel fissare nel «luogo di residenza della persona offesa» la competenza per territorio, espressamente richiama «i reati di cui al comma 4». Di qui il dilemma interpretativo.

Ebbene, secondo le pronunce in commento, la decisione del Giudice delle leggi ha avuto la funzione di elidere il trattamento sanzionatorio senza incidere sulla vigenza del criterio di competenza posto dall’art. 30, c. 5, l. 223 del 1990[36]. Per la Corte, infatti, è stata la stessa Consulta a chiarire la portata della propria decisione laddove ha evidenziato come, per effetto della dichiarazione di illegittimità, non si sia creato «alcun vuoto di tutela al diritto alla reputazione individuale contro le offese arrecate a mezzo della stampa, diritto che continua a essere protetto dal combinato disposto del secondo e del terzo comma dello stesso art. 595 cod. pen., il cui alveo applicativo si riespanderà in seguito alla presente pronuncia»[37]. Ne consegue la possibilità di ritenere il c. 5 dell’art. 30 l. 223 del 1990 «tuttora vivente nel suo contenuto di competenza “speciale”»[38].

Risolta tale, prima questione interpretativa, la Cassazione si è quindi focalizzata sul contrasto giurisprudenziale relativo all’ambito di applicabilità della regola derogatoria di cui all’art. 30, c. 5, l. 223 del 1990. In tutte e tre le pronunce, la Quinta Sezione ha aderito a quell’indirizzo, già prevalente, che radica la competenza per territorio nel foro di residenza della persona offesa chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere del reato[39].

A sostegno di tale tesi, la Suprema Corte ha innanzitutto richiamato il dato letterale dell’art. 30, c. 5, l. 223 del 1990, evidenziando come la disposizione in esame, nel richiamare i reati di cui al precedente c. 4, non faccia alcuna menzione dei soggetti nei cui confronti si procede[40]. Nessun richiamo testuale collega quindi il criterio del foro speciale alla categoria di soggetti indicati nel c. 1 dell’art. 30 l. 223 del 1990, neppure «per effetto della declaratoria di illegittimità costituzionale che ha eliminato dal mondo giuridico il c. 4 dell’art. 30 nella parte sanzionatoria, l’unica effettivamente ed esplicitamente contenente il rimando ai “soggetti di cui al comma 1”»[41]. Ne deriva che, quando nel quinto comma dell’art. 30 l. 223 del 1990 si menzionano, ai fini della determinazione della competenza, i reati di cui al comma precedente, «questi comprendono anche la diffamazione consistente nell’attribuzione di un fatto determinato che sia stata commessa da persona non rientrante tra quelle indicate nel comma primo»[42].

Tale indirizzo, secondo la Cassazione, si pone in linea con quanto statuito dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 42 del 1996[43] e, in particolare, con l’obiettivo di attenuare lo squilibrio esistente tra chi commette la diffamazione mediatica aggravata e chi, del reato, subisce le conseguenze. Di qui, l’esigenza di incardinare il procedimento presso il giudice del luogo di residenza della persona offesa, più idoneo al giudizio in quanto presumibilmente più vicino al luogo di svolgimento dei fatti, e capace di assicurare una maggiore efficacia riparatoria, in caso di accertata sussistenza dell’azione diffamatoria, grazie «alla più ampia conoscenza che la stessa sentenza potrà ottenere nell’ambiente sociale normalmente frequentato dalla persona offesa»[44].

Dirimente poi, la maggiore «coerenza sistematica»[45] derivante dall’applicazione del criterio di residenza della persona offesa indipendentemente dalla qualifica del soggetto agente, nell’ottica di evitare l’«irragionevole divergenza di competenze» che deriverebbe dall’instaurazione, per un medesimo fatto di diffamazione, di più processi avanti a giudici diversi a seconda della persona chiamata a rispondere del reato[46].

Del resto, la Cassazione ha ricordato[47] come la ragionevolezza di un unico e stabile foro di competenza connesso al domicilio della persona offesa, ovvero il luogo dove si radicano i suoi interessi e le sue relazioni, trovi conferma nella giurisprudenza civile di legittimità e, in particolare, nell’ordinanza a Sezioni Unite n. 21661 del 2009[48]. Tale criterio, anche per il Giudice di legittimità civile, permette infatti di evitare una competenza “ambulatoria”, potenzialmente lesiva del principio di precostituzione del giudice di cui all’art. 25 Cost.[49], e di individuare il giudice competente in modo da favorire il danneggiato che, in controversie relative al risarcimento dei danni conseguenti al contenuto diffamatorio di una trasmissione televisiva, è solitamente il soggetto più debole[50]. Interessante notare a tal proposito come siano state le stesse Sezioni Unite civili a richiamare, a fondamento della propria interpretazione «in senso costituzionalmente orientato», proprio la sentenza n. 42 del 1996 della Corte costituzionale, affermando che «un’interpretazione dell’art. 20 cod. proc. civ., diversa da quella accolta, non essendo giustificata dalla diversa natura, civile o penale, dell’oggetto dei processi, potrebbe far sorgere seri di dubbi di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 3 Cost.»[51].

Ad ulteriore suffragio della propria decisione, la Corte di cassazione ha infine richiamato il diritto dell’Unione europea che, proprio con riferimento ai casi di diffamazione, propende per l’adozione di un criterio di competenza che possa garantire gli obiettivi di prevedibilità, «assicurata dal principio del giudice naturale», e di buona amministrazione della giustizia, oltre che garantire un collegamento stretto tra l’autorità giurisdizionale e la controversia[52]. In questo senso, l’individuazione della competenza presso il giudice del luogo in cui la presunta vittima ha il proprio centro di interessi si pone, secondo le pronunce della Corte di giustizia richiamate dalla Cassazione, in conformità con tali obiettivi[53].

Alla luce di tali considerazioni, il Giudice di legittimità ha quindi affermato, con le pronunce in commento, che «in tema di diffamazione commessa attraverso trasmissioni radiotelevisive e consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, anche successivamente alla sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, la competenza territoriale deve essere stabilita applicando l’art. 30, comma 5, seconda parte, legge 6 agosto 1990, n. 223, con riferimento al luogo di residenza della persona offesa, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere della diffamazione, in forza della interpretazione costituzionalmente orientata conseguente alla sentenza n. 42 del 1996 della Corte costituzionale»[54].

 

  1. La competenza per territorio in caso di concorso formale omogeneo di reati

Pur aderendo all’indirizzo esegetico appena delineato, nell’ambito della pronuncia n. 41956 del 2024 la Quinta Sezione, al fine di decidere sulla questione sollevata ai sensi dell’art. 24 bis c.p.p.[55], ha dovuto individuare altrimenti il giudice competente, non potendo operare nel caso di specie il criterio di cui all’art. 30, c. 5, l. 223 del 1990.

Nel giudizio a quo, infatti, erano imputati due soggetti accusati di aver commesso, con un’unica azione, tre delitti di diffamazione aggravata nei confronti di altrettante persone offese[56], reati ritenuti dalla Cassazione connessi ai sensi dell’art. 12, c. 1, lett. a) e b) c.p.p. Conseguentemente, secondo la Corte, non avrebbe dovuto trovare applicazione la regola derogatoria in materia di competenza per territorio prevista all’art. 30, c. 5, l. 223 del 1990, che «nulla dispone in relazione alla competenza per connessione», ma piuttosto il «criterio originario e autonomo di attribuzione della competenza»[57] di cui all’art. 16 c.p.p.[58].

Trattandosi di reati di pari gravità commessi con un’unica azione, la Suprema Corte ha però constatato l’impossibilità di determinare, nel caso di specie, la competenza ai sensi dell’art. 16 c.p.p., dovendosi quindi ricorrere, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite[59], ai criteri di cui agli artt. 8 e 9, c. 1, c.p.p., in grado di ancorare la competenza a «un luogo ricollegabile oggettivamente all’illecito»[60]. Secondo il Giudice di legittimità, in questi casi è infatti necessario «assicurare, per quanto possibile, il collegamento tra competenza territoriale e luogo di manifestazione del reato, o almeno di un segmento del complesso criminoso, garantendo il principio, di valore costituzionale, della “fisiologica allocazione” del processo nel locus commissi delicti»[61].

Con specifico riferimento al delitto di diffamazione mediatica aggravata, poi, laddove sussista un concorso formale omogeno non solo non si potrà ricorrere all’art. 16 c.p.p. – in quanto reati di pari gravità commessi con un’unica azione – ma neppure all’art. 8 c.p.p.[62], in quanto espressamente derogato dal criterio speciale di cui all’art. 30, c. 5, l. 223 del 1990 che, a sua volta, non potrà trovare applicazione in caso di connessione ex art. 12, c. 1, lett. b). Piuttosto, ci si dovrà affidare alla regola di cui all’art. 9, c. 1, c.p.p., con l’individuazione della competenza presso il giudice dell’ultimo luogo in cui sia avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione[63].

Secondo la Cassazione, in definitiva, nei casi, come quello di specie, in cui non trovi applicazione il criterio di favore per la persona offesa di cui all’art. 30, c. 5, l. 223 del 1990[64], occorrerà determinare la competenza attraverso un criterio, come quello di cui all’art. 9 c.p.p., che sia oggettivo, ancorato al fatto e alla sua presumibile capacità offensiva[65], senza possibilità di introdurre in via interpretativa criteri extra legem, come ad esempio il luogo di residenza della prima persona offesa querelante[66].

Alla luce di tale percorso ermeneutico, la Cassazione ha quindi dichiarato, ai sensi dell’art. 24 bis c.p.p., l’incompetenza del Tribunale di Bologna, individuando il giudice competente nel Tribunale di Monza, nel cui circondario si trova la sede dell’emittente da cui è stato trasmesso il servizio televisivo, individuato come ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione ai sensi dell’art. 9, c. 1, c.p.p., e ha disposto la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il medesimo Tribunale.

 

  1. Rilievi conclusivi

Le pronunce in commento aderiscono a quel condivisibile indirizzo, già maggioritario in giurisprudenza, che estende la regola derogatoria di cui all’art. 30, c. 5, l. 223 del 1990 a tutti i reati di diffamazione aggravata, indipendentemente dalla qualifica del soggetto agente. È questa, infatti, l’interpretazione che emerge dalla littera legis e, in particolare, dalla lettura congiunta dei c. 4 e 5 della citata disposizione. Altrettanto condivisibile l’esegesi della Quinta Sezione relativa alle conseguenze della pronuncia di incostituzionalità dell’art. 30, c. 4, l. 223 del 1990, limitate al solo profilo sanzionatorio.

Detto questo, le premesse e lo sviluppo del percorso argomentativo seguito dalla Cassazione, che traggono linfa dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 42 del 1996, si prestano tuttavia ad alcuni rilievi critici.

Il “peccato originale” della disciplina derogatoria di cui all’art. 30, c. 5, l. 223 del 1990 è quello di radicare la competenza per territorio del reato di diffamazione a mezzo radiotelevisivo, laddove aggravato dall’attribuzione di un fatto determinato, nel luogo di residenza della persona offesa. La ratio della previsione, ben delineata dalla Consulta nel 1996, è quella di un favor nei confronti dell’offeso dal reato, permettendo a quest’ultimo di attivarsi, a difesa della propria reputazione, più celermente e a costi ridotti, davanti ad un giudice ritenuto più idoneo al giudizio grazie «alla sua presumibile vicinanza con il luogo di svolgimento» dei fatti[67].

Quest’impostazione, sin dall’utilizzo della locuzione «foro competente» al c. 5 della disposizione[68], tradisce un approccio più consono al giudizio civile (e al rapporto tra attore e convenuto) rispetto al processo penale, fondato sulla struttura triadica, scolpita nell’art. 111, c. 2, Cost, per cui accusa e difesa sono poste, in condizioni di parità, dinanzi al giudice terzo e imparziale. In tale assetto, la competenza per territorio, determinata nel luogo in cui il reato è stato consumato ai sensi dell’art. 8, c. 1, c.p.p., esprime il tradizionale significato della garanzia del giudice naturale di cui all’art. 25 Cost., inteso come l’organo giurisdizionale radicato sul territorio in cui si è svolta l’azione criminosa[69]. Ecco quindi che, in ambito penale, tale garanzia porta con sé una duplice valenza: da un lato, è interesse dell’imputato non essere distolto dal giudice naturale; dall’altro, è interesse della collettività che il processo si celebri laddove sono maggiori il coinvolgimento sociale e l’attenzione per l’accertamento del reato e delle relative responsabilità[70].

Viceversa, la disciplina derogatoria in tema di diffamazione mediatica aggravata, nell’ottica di tutelare la persona offesa rispetto ai «poteri forti» dei mass media[71], impone all’imputato di privarsi del “suo” giudice naturale (dimenticandosi che, nel processo penale, l’unica figura meritevole di tutela rispetto al “potere forte” dello Stato è proprio il soggetto nei cui confronti è mossa l’accusa[72]) e individua la competenza presso un giudice, quello della residenza dell’offeso, che sarà il più vicino allo svolgimento dei fatti solo laddove essa venga a coincidere con il locus commissi delicti.

Non è un caso, quindi, che il Giudice di legittimità con le pronunce in commento, nell’interpretare l’art. 30 l. 223 del 1990, abbia tratto spunto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, avente ad oggetto l’interpretazione di una previsione sulla competenza in ambito civile e commerciale, e dalle Sezioni Unite civili, chiamate a dirimere un contrasto interpretativo relativo all’individuazione del giudice competente per un’azione di risarcimento del danno. Proprio le Sezioni Unite civili, del resto, hanno a loro volta richiamato, a fondamento della propria decisione, la pronuncia n. 42 del 1996 della Corte costituzionale, sul presupposto che un differente esito interpretativo, rispetto al domicilio della persona offesa, non potesse essere «giustificat[o]dalla diversa natura, civile o penale, dell’oggetto dei processi»[73].

Eppure, le peculiarità del processo penale e dei valori in esso coinvolti, rispetto al giudizio civile, sono state evidenziate dalla stessa Corte costituzionale in altra occasione, rimarcando come il principio del “giudice naturale” di cui all’art. 25 Cost. assuma in ambito penale «un carattere del tutto particolare, in ragione della “fisiologica” allocazione di quel processo nel locus commissi deliciti […] giacché la celebrazione di quel processo in “quel” luogo, risponde ad esigenze di indubbio rilievo, fra le quali, non ultima, va annoverata anche quella – più che tradizionale – per la quale il diritto e la giustizia devono riaffermarsi proprio nel luogo in cui sono stati violati»[74]. Ciò non significa, ovviamente, che l’imputato non possa «ragionevolmente» subire lo spostamento del processo dal “suo” giudice naturale ma ciò dovrà avvenire solo a fronte di «interessi superiori»[75], tra i quali non può essere di certo ricompresa la (pur legittima) tutela della persona offesa dal reato[76].

È del tutto evidente, in definitiva, come la disciplina derogatoria di cui all’art. 30, c. 5, l. 223 del 1990 sconti le difficoltà del legislatore nell’individuazione del locus commissi delicti del reato di diffamazione a mezzo radiotelevisivo[77] e adotti, come soluzione, il criterio della residenza della persona offesa[78]. Eppure, proprio una delle pronunce in commento dimostra come, in realtà, vi sia una valida alternativa[79], conforme al principio del giudice naturale di cui all’art. 25, c. 1, Cost., nella regola suppletiva di cui all’art. 9, c. 1, c.p.p., che consente di stabilire la competenza nell’«ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione», cioè il luogo in cui la trasmissione televisiva è andata in onda. In questo modo, verrebbe assicurata una maggiore coerenza sistematica attraverso un raccordo con l’ipotesi di diffamazione mediatica non aggravata, in relazione alla quale, stante l’inevitabile concorrenza di più giudici competenti derivante dalla cognizione dell’informazione offensiva (momento consumativo del reato) da parte di più persone, trovano nei fatti applicazione proprio le regole suppletive di cui all’art. 9 c.p.p.[80].

Opzione alternativa, quella qui proposta, che, stante la littera legis dell’art. 30, c. 5, l. 223 del 1990, non potrebbe essere frutto di interpretazione giurisprudenziale ma dovrebbe essere adottata per via legislativa o per effetto di una declaratoria di incostituzionalità della disposizione derogatoria ad opera della Consulta, attraverso la valorizzazione del principio del giudice naturale di cui all’art. 25 Cost.[81]. In quest’ultima ipotesi, anche per la diffamazione a mezzo radiotelevisivo aggravata dall’attribuzione di un fatto determinato e a prescindere dall’esistenza di un concorso formale di reati, troverebbero applicazione la regola ordinaria sulla competenza di cui all’art. 8 c.p.p. e, in subordine, le regole suppletive di cui all’art. 9 c.p.p.

 

[1] L. 6 agosto 1990, n. 223: «Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato», in G.U. 9 agosto 1990, n. 185, Suppl. ord. n. 53 (c.d. legge Mammì).

[2] Così F. Cordero, Procedura penale, Milano, 2012, 142 ss.

[3] Nel presente contributo si utilizzerà la locuzione “diffamazione mediatica” per riferirsi, esclusivamente, alla diffamazione commessa col mezzo radiotelevisivo.

[4] Numerose sono le deroghe alla regola del locus commissi delicti che traggono legittimazione dall’art. 210 disp. att. c.p.p.

[5] Corte cost., 23 febbraio 1996, sent. n. 42, in Giur. cost., 1996, 330 ss. e in Dir. pen. e proc., n. 7, 1996, 823 ss., con nota di L. Fioravanti.

[6] Secondo G. Corrias Lucente, Prime osservazioni sugli aspetti penali della legge di disciplina del sistema radiotelevisivo, in Dir. inf. e infor., n. 2, 1991, 432, si tratta di «[n]orma eccezionale, dunque, ancora prima che speciale, in quanto disciplina in modo del tutto inusitato la competenza territoriale, privilegiando un criterio che non è previsto nemmeno fra quelli indicati come residuali dal codice di procedura penale (vecchio e nuovo)».

[7] Il giudice rimettente aveva ipotizzato la violazione dell’art. 25 Cost. poiché il principio del giudice naturale precostituito per legge impone di collegare “in qualche modo” la competenza territoriale al luogo di commissione del reato, evenienza preclusa alla luce dell’art. 30, c. 5, l. 223 del 1990 in tutte le ipotesi in cui esso non coincida con la residenza della persona offesa. Sul punto si veda G. Corrias Lucente, Prime osservazioni sugli aspetti penali della legge di disciplina del sistema radiotelevisivo, cit., 432, secondo il quale la determinazione della competenza territoriale operata da tale previsione segna «una differenza di trattamento che si riflette sulla posizione dell’imputato del reato di diffamazione, per il quale la competenza e la scelta del giudice è guidata da un fattore esterno alla condotta ed alla fattispecie: la residenza della persona offesa».

[8] Nella giurisprudenza costituzionale la “naturalità” di cui all’art. 25, c. 1, Cost. non ha mai goduto di autonoma considerazione rispetto al concetto di “precostituzione”. In tal senso si veda, tra le altre, Corte cost., 1° aprile 1958, sent. n. 29, in Giur. cost., 1958, 124 ss.; Corte cost., 3 luglio 1962, sent. n. 88, ivi, 1962, 966 ss., secondo cui «la locuzione giudice naturale, come sostanzialmente questa Corte ha ritenuto anche in precedente sentenza (n. 29 del 1958), non ha nell’art. 25 un significato proprio e distinto, e deriva per forza di tradizione da norme analoghe di precedenti Costituzioni, nulla in realtà aggiungendo al concetto di giudice precostituito per legge»; Corte cost., 13 giugno 1995, ord. n. 257, ivi, 1995, 1874 ss.; Corte cost., 1° aprile 2009, ord. n. 102, ivi, 2009, 921 ss.: «l’ordinamento costituzionale non propone una nozione autonoma di giudice naturale […] da quella di giudice precostituito […] sicché giudice naturale è quello prefigurato dalla legge, secondo criteri generali che, nei limiti della non manifesta irragionevolezza e arbitrarietà, appartengono alla discrezionalità legislativa».

[9] Cfr. Corte cost., 26 ottobre 1989, ord. n. 508, in Giur. cost., 1989, 2362 ss.; Corte cost., 5 dicembre 1974, sent. n. 274, ivi, 1974, 2929 ss. Sulla discrezionalità legislativa nel determinare i criteri della competenza per territorio, cfr. Corte cost., 23 giugno 1994, sent. n. 280, ivi, 2475 ss., con nota di P. Ventura, Nuove contestazioni e incompetenza per territorio, ove la Corte ha ritenuto che il criterio del forum commissi delicti corrisponde non solo a finalità di economia processuale ma anche a rendere più agevole l’esercizio del diritto di difesa. In tale ottica, «deroghe a tale criterio, comportando una maggior gravosità delle modalità di esercizio del diritto di difesa, possano ritenersi legittime se sorrette da motivi di salvaguardia di interessi ritenuti, non irragionevolmente, degni di tutela».

[10] La Corte richiama espressamente Corte. cost., 23 aprile 1993, sent. n. 217, in Giur. cost., 1993, 1622 ss.; Giur. cost., 3 giugno 1992, sent. n. 269, ivi, 1992, 2065 ss.

[11] Già M. Fumo, La diffamazione mediatica, Torino, 2012, 82; cfr. V. Pezzella, La diffamazione, Torino, II ed., 2016, 494.

[12] A ben vedere, l’unica pronuncia che affronta in modo specifico il tema della competenza per territorio e che sposa tale interpretazione è Cass. pen., sez. I, 27 febbraio 1996, n. 1291, in Ced Cass., n. 205281. Una serie di pronunce ulteriori, seppur spesso annoverate nell’indirizzo minoritario volto ad escludere l’estensione analogica della normativa ai soggetti diversi dai concessionari, in realtà si concentra prevalentemente sul tema della responsabilità penale per il reato di omesso controllo e del tutto marginalmente sulla competenza per territorio: Cass. pen., sez. II, 23 aprile 2008, n. 34717, ivi, n. 240687; cfr. Cass. pen., sez. V, 6 ottobre 2014, n. 50987, ivi, n. 261907; Cass. pen., sez. V, 19 aprile 2017, n. 27823, ivi, n. 270557.

[13] Cass. pen., sez. I, 13 dicembre 1994, n. 6018, in Ced Cass., n. 200801; Cass. pen., sez. I, 13 dicembre 1996, n. 6793, ivi, n. 206755; Cass. pen., sez. I, 13 gennaio 2000, n. 269, ivi, n. 215382; Cass. pen., sez. V, 18 settembre 2014, n. 4158, ivi, n. 262168, escludendo a tal proposito che si verta in tema di interpretazione estensiva o analogica. In dottrina, favorevoli a questo indirizzo si veda, inter alia, G.M. Baccari, La cognizione e la competenza del giudice, Milano, 2011, 260; M. Fumo, La diffamazione mediatica, cit., 83 ss.

[14] In particolare, secondo tale esegesi l’inciso di cui al c. 4 dell’art. 30 l. 223 del 1990 «reati di diffamazione commessi attraverso strumenti consistenti nell’attribuzione di un fatto determinato» si riferisce a tutti i reati di diffamazione mediatica a prescindere dal soggetto agente mentre l’ulteriore espressione, sempre contenuta nel c. 4, «si applicano ai soggetti di cui al comma primo le sanzioni previste dall’art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47» riguarderebbe il solo trattamento sanzionatorio. In questo senso, il riferimento insito nel quinto comma ai reati del comma precedente determinerebbe la competenza per tutti i casi di diffamazione aggravata indipendentemente dall’autore.

[15] Si ritiene a tal proposito come tale indirizzo avrebbe il merito di «avere natura coerenziatrice di regimi di competenza territoriale, altrimenti divergenti se si ritenesse, viceversa, che i reati commessi dai soggetti nominati nel primo comma dell’art. 30 cit. dovessero seguire un foro differente da quello previsto come criterio generale dall’art. 9, comma 1, cod. proc. pen.». Così Cass. pen., sez. V, 15 marzo 2024, n. 26919, in Ced Cass., n. 286578; analogamente Cass. pen., sez. V, 18 settembre 2014, n. 4158, cit., ove la Corte evidenzia come il diverso indirizzo interpretativo comporterebbe una irragionevole divergenza di competenze in quanto, per il medesimo fatto, l’autore immediato della diffamazione e chi è tenuto al controllo verrebbero sottoposti a giudizio innanzi a giudici diversi.

[16] L’incostituzionalità è stata affermata in via consequenziale rispetto alla declaratoria di illegittimità dell’art. 13 l. 8 febbraio 1948, n. 47: «Disposizioni sulla stampa», in G.U. 20 febbraio 1948, n. 43.

[17] Corte cost., 22 giugno 2021, n. 150, in Giur. cost., 2021, 1563 ss., con commenti di G. Zampetti, La “pronuncia doppia” nell’unico giudizio: i tempi della Corte e la discrezionalità del legislatore; F. Medico, Il filo d’Arianna dell’incostituzionalità prospettata e il parametro dimenticato (nota alla sent. n. 150 del 2021); A. Tesauro, «è la stampa, bellezza!»: la Corte costituzionale alle prese con la risposta carceraria alle lesioni mediatiche della reputazione (ivi, 1835 ss.). Sulla pronuncia si veda inoltre, inter alia, C. Malavenda, La sentenza n. 150/2021 della Corte Costituzionale in tema di diffamazione: i “pericoli per la democrazia” e il rischio che l’informazione, da “cane da guardia”, si trasformi in “cucciolo da salotto”, in giurisprudenzapenale.com, 21 luglio 2021.

[18] Così come evidenziato da Cass. pen., sez. V, 15 marzo 2024, n. 26919, cit.

[19] D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150: «Attuazione della legge 27.9.2021, n. 134 recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari», in G.U. 19 ottobre 2022, n. 245, Suppl. straord. n. 5.

[20] Sullo strumento di cui all’art. 24 bis c.p.p., rubricato «Rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione per la decisione sulla competenza per territorio», si veda, senza alcuna pretesa di completezza, G. Accatino, Prime considerazioni intorno al nuovo art. 24-bis c.p.p., in legislazionepenale.it, 2023; R. Aprati, L’intervento pregiudiziale della Corte di Cassazione sull’incompetenza territoriale, in Cass. pen., 2023, 1084 ss.; G. Casartelli, Il rinvio pregiudiziale ex art. 24-bis c.p.p. per la decisione in ordine alla competenza territoriale introdotto dalla riforma Cartabia: note minime sui primi orientamenti della Corte di cassazione, in sistemapenale.it, 25 settembre 2023; F. Cassibba, sub art. 24-bis, in A. Giarda-G. Spangher (a cura di), Codice di procedura penale commentato, I, VI ed., Milano, 2023, 676 ss.; A. Conti, Il rinvio pregiudiziale in tema di competenza nell’interpretazione della Cassazione: efficientismo, discrezionalità e principio di legalità processuale, in Dir. pen. e proc., n. 12, 2023, 1620 ss.; R. Crepaldi, L’udienza preliminare, in V.A. Boga-R. Crepaldi-V. De Luca-L.N. Meazza-M. Moscardini-G. Stampanoni Bassi (a cura di), Le indagini preliminari, l’udienza preliminare e la nuova udienza preliminare, Torino, 2023, 245 ss.; E.N. La Rocca-A. Mangiaracina, Le impugnazioni ordinarie: tra “efficienza” e snellimento, in D. Castronuovo-M. Donini-E.M. Mancuso-G. Varraso (a cura di), Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, Padova, 2023, 921 ss.; R. Fonti, Le nuove forme procedimentali del giudizio di legittimità e il rinvio pregiudiziale per la decisione sulla competenza per territorio, in M. Bargis-H. Belluta (a cura di), Commenti alla legge n. 134 del 2021 e ai decreti legislativi delegati – Vol. IIIL’ennesima riforma delle impugnazioni fra aspettative deluse e profili controversi, Torino, 2023, 194 ss.; M. Gialuz, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia (profili processuali), in sistemapenale.it, 2 novembre 2022; S. Lonati, Il rinvio pregiudiziale per la decisione sulla competenza per territorio: tra snodi interpretativi e prime applicazioni, in L. Parlato (a cura di), La nuova fisionomia delle impugnazioni, Torino, 2024, 259 ss.; Id., L’udienza preliminare, in D. Castronuovo-M. Donini-E.M. Mancuso-G. Varraso (a cura di), Riforma Cartabia, cit., 706 ss.; C. Minella, Difetto di competenza per territorio, “mano libera” della Suprema corte, in A. Natalini (a cura di), Riforma Cartabia: indagini preliminari e processo penale, Gruppo24ore, Milano, 2023, 171 ss.; M. Oddis, La cognizione “vincolata” della Suprema Corte in tema di rinvio pregiudiziale ex art. 24-bis c.p.p., in sistemapenale.it, 20 dicembre 2023; F.N. Ricotta, I nuovi controlli sulla competenza per territorio, in G. Spangher (a cura di), La riforma Cartabia, Pisa, 2022, 644 ss.; M. Pittiruti, Un «rinvio pregiudiziale» per un processo penale efficiente. Luci e ombre dell’art. 24-bis c.p.p., in sistemapenale.it, 15 maggio 2023.

[21] Evidenzia la denominazione infelice dell’istituto S. Lonati, Il rinvio pregiudiziale per la decisione sulla competenza per territorio: tra snodi interpretativi e prime applicazioni, cit., 260; analogamente F.N. Ricotta, I nuovi controlli sulla competenza per territorio, cit., 644; M. Pittiruti, Un «rinvio pregiudiziale» per un processo penale efficiente. Luci e ombre dell’art. 24-bis c.p.p., cit.

[22] Cass. pen., sez. V, 15 marzo 2024, n. 26919, in Dir. e giust., 9 luglio 2024, con nota di C. Minnella, Diffamazione via TV: il forum commissi delicti è “sempre” quello della residenza della persona offesa; Cass. pen., sez. V, 14 giugno 2024, n. 34507, in Ced Cass., n. 286958; Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, ivi, n. 287239.

[23] Da cui è originata Cass. pen., sez. V, 15 marzo 2024, n. 26919, cit.

[24] Cass. pen., sez. V, 15 marzo 2024, n. 26919, cit., richiamando espressamente Cass. pen., sez. I, 22 settembre 2023, n. 46466, in Ced Cass., n. 285513.

[25] Alla Corte di cassazione spetta infatti il vaglio sull’ammissibilità del rinvio ex art. 24 bis c.p.p. alla luce del richiamo alle forme previste dall’art. 127 c.p.p., il cui c. 9 stabilisce la possibilità per il giudice di dichiarare con ordinanza l’inammissibilità dell’atto introduttivo del procedimento in camera di consiglio.

[26] Da cui è originata Cass. pen., sez. V, 14 giugno 2024, n. 34507, cit.

[27] Come noto, la richiesta di rinvio pregiudiziale deve essere presentata, ai sensi del c. 6 dell’art. 24 bis c.p.p., contestualmente alla formulazione dell’eccezione di incompetenza, pena la perdita della possibilità di riproporre la questione nel corso del procedimento. L’istanza costituisce quindi per la parte interessata un «onere», come evidenziato da R. Crepaldi, L’udienza preliminare, cit., 246. Per una critica nei confronti di tale previsione si veda, per tutti, S. Lonati, Il rinvio pregiudiziale per la decisione sulla competenza per territorio: tra snodi interpretativi e prime applicazioni, cit., 268, il quale evidenzia come sia «verosimile che tale rigido meccanismo preclusivo sarà capace di produrre, nella prassi, un unico effetto: “obbligare” la difesa a sollevare l’eccezione di incompetenza territoriale facendo seguire, sempre e comunque, la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Cassazione. Questo per evitare, appunto, il rischio di vedersi precludere la possibilità di coltivare successivamente la questione una volta respinta».

[28] Cass. pen., sez. V, 14 giugno 2024, n. 34507, cit. Per il Giudice di legittimità è quindi escluso qualsiasi tipo di «delega» da parte del giudice di merito alla Cassazione – cosa che avverrebbe nel caso in cui il Tribunale compiesse il rinvio pur potendo giungere alla soluzione della questione con gli ordinari rimedi previsti dal codice o in assenza di una seria prospettazione alternativa in punto di competenza territoriale ad opera delle parti – essendo a tal proposito necessaria una preliminare delibazione di non manifesta infondatezza della questione. La Corte ha inoltre evidenziato come, laddove il giudice di merito si ritenga incompetente, questi abbia il dovere di trasmettere gli atti al pubblico ministero presso il giudice competente, salvo che quest’ultimo abbia già a sua volta trasmesso gli atti, in qual caso si dovrà sollevare conflitto ai sensi dell’art. 30 c.p.p. Al contrario, laddove il giudice di merito ritenga sussistente la propria competenza, questi potrà compiere il rinvio alla Corte di cassazione a patto che ritenga che la questione sollevata dalla parte sia, per quanto non condivisa, comunque fondata su «questioni di una certa serietà». Il tutto al fine di evitare «potenziali usi strumentali dell’istituto».

[29] Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit. La Corte ha evidenziato come in assenza all’interno dell’art. 24 bis c.p.p. di espliciti parametri cui debba uniformarsi il giudice di merito nel disporre il rinvio pregiudiziale (al di là del fatto che tale rinvio debba avvenire tramite «ordinanza», necessariamente motivata ai sensi dell’art. 125, c. 3, c.p.p.) sia stata la stessa giurisprudenza di legittimità a tracciare il solco del nuovo istituto, inquadrando la «serietà» della questione come un suo «requisito implicito» (così Cass. pen., sez. IV, 25 ottobre 2023, n. 46181, in Ced Cass., n. 285424) e affidando al giudice di merito il compito di «analizzare previamente le deduzioni prospettate dalle parti, […] tentare di comporle per raggiungere una decisione e […] illustrare compiutamente il percorso interpretativo in concreto effettuato, indicando le ragioni che non hanno consentito di risolvere la questione secondo gli ordinari strumenti processuali». Il tutto a pena di inammissibilità del rinvio stesso (cfr. Cass. pen., sez. III, 27 settembre 2023, n. 44932, ivi, n. 285334). Del resto, secondo la Corte a sostegno di tale «attività esplicativa» vi è la previsione di cui al c. 2 dell’art. 24 bis c.p.p., con la trasmissione da parte del giudice di merito alla Cassazione degli atti necessari alla risoluzione della questione. Sono inoltre da escludersi rinvii “esplorativi”, essendo piuttosto necessaria una argomentata esposizione delle possibili soluzioni esegetiche alternative, oltre ad una completa descrizione dei fatti che permetta alla Corte una plena cognitio (Cass. pen., sez. IV, 25 ottobre 2023, n. 46181, cit.). Per alcuni rilievi critici nei confronti dell’inammissibilità per «a-specificità» o «mancanza di autosufficienza» dell’ordinanza di rimessione, S. Lonati, Il rinvio pregiudiziale per la decisione sulla competenza per territorio: tra snodi interpretativi e prime applicazioni, cit., 273 ss.; si veda, inoltre, E.N. La Rocca-A. Mangiaracina, Le impugnazioni ordinarie: tra “efficienza” e snellimento, cit., 923; F.N. Ricotta, I nuovi controlli sulla competenza per territorio, 647.

[30] Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit. La Corte ha ricordato a tal proposito come il nuovo istituto sia volto a prevenire la caducazione dell’attività processuale nel frattempo svolta in caso di una successiva dichiarazione di incompetenza. Evidente in tal senso, per la Cassazione, l’esigenza di dare attuazione non solo alle garanzie della precostituzione e naturalità del giudice ma anche dell’efficienza e della ragionevole durata del processo. Cfr. Cass. pen., sez. I, n. 20612, in Ced Cass., n. 284720; Cass. pen., sez. V, 6 settembre 2023, n. 43638, ivi, n. 285306. Si veda, inoltre, Cass. pen., sez. V, 20 giugno 2023, n. 37783, in DeJure, ove, richiamando la relazione finale della Commissione Lattanzi (Relazione finale e proposte di emendamenti al d.d.l. A.C. 2435, in giustizia.it, 40) si è evidenziata l’opportunità «in ossequio ai principi costituzionali dell’efficienza e della ragionevole durata del processo, di “responsabilizzare il giudice di merito” nella valutazione del rinvio incidentale alla Corte regolatrice per la definizione della questione sulla competenza territoriale, orientando la scelta “solo al cospetto di questioni di una certa serietà”, in modo da evitare potenziali usi strumentali dell’istituto derivanti da un automatismo defaticante connesso alla formulazione della eccezione. È, cioè, necessario che la decisione del giudice sia affidata ad un canone di ragionevole presunzione di fondatezza della questione». La logica efficientista e l’obiettivo di contrazione delle tempistiche processuali posti alla base dell’istituto sono evidenziati da A. Conti, Il rinvio pregiudiziale in tema di competenza nell’interpretazione della Cassazione: efficientismo, discrezionalità e principio di legalità processuale, cit., 1622; M. Gialuz, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia (profili processuali), cit.; M. Pittiruti, Un «rinvio pregiudiziale» per un processo penale efficiente. Luci e ombre dell’art. 24-bis c.p.p., cit. Del resto, le esigenze di celerità processuale erano presenti nella disciplina dell’(in)competenza per territorio già antecedentemente all’introduzione dell’art. 24 bis c.p.p., come evidenziato da G.M. Baccari, La cognizione e la competenza del giudice, cit., 397; cfr. M. Ricciarelli, L’esercizio della funzione giurisdizionale: dalla competenza al riparto di attribuzioni, cit., 120. Più in generale, sul rapporto tra le esigenze di economia e celerità e le regole di competenza territoriale in ambito penale si veda, per tutti, L.P. Comoglio, Il principio di economia processuale, vol. 2, Padova, 1980, 154 ss.

[31] Alla luce della comune soluzione interpretativa adottata dalla Quinta Sezione nelle tre pronunce in commento si procederà con una trattazione congiunta delle stesse evidenziando, laddove pertinente, le peculiarità di ciascuna di esse.

[32] Cass. pen., sez. V, 15 marzo 2024, n. 26919, cit.

[33] Corte cost., 22 giugno 2021, n. 150, cit.

[34] Il concessionario privato, la concessionaria pubblica ovvero la persona da loro delegata al controllo della trasmissione.

[35] La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 30, c. 4, l. 223 del 1990 è avvenuta, in via consequenziale ai sensi dell’art. 27 l. 11 marzo 1953, n. 87, per effetto del riscontrato contrasto della disciplina di cui all’art. 13 l. 47 del 1948, con gli artt. 21 e 117, c. 1, Cost., in relazione all’art. 10 Cedu. Il menzionato art. 13 l. 47 del 1948, espressamente richiamato dal c. 4 dell’art. 30 l. 223 del 1990, applicava alla diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena della reclusione da uno a sei anni cumulativamente ad una multa non inferiore a 258 euro. L’indefettibilità dell’applicazione della pena detentiva, salvi i casi di giudizio di equivalenza o prevalenza di eventuali attenuanti, è stata così ritenuta incompatibile con il diritto di manifestazione del pensiero e, in particolare, con l’esigenza di non dissuadere, per effetto del timore della sanzione privativa della libertà personale, la generalità dei giornalisti dall’esercitare la propria funzione di controllo sull’operato dei pubblici poteri (come evidenziato da Cass. pen., sez. V, 15 marzo 2024, n. 26919, cit.). Sul trattamento sanzionatorio per il reato di diffamazione, antecedentemente all’intervento del Giudice costituzionale, si veda C. Melzi d’Eril, La Corte Europea condanna l’Italia per sanzione e risarcimento eccessivi in un caso di diffamazione. Dalla sentenza qualche indicazione per la magistratura, il legislatore e le parti, in penalecontemporaneo.it, 12 novembre 2013; C. Melzi d’Eril-G.E. Vigevani, La riforma della diffamazione: da Strasburgo al Senato, passando per Palazzo della Consulta, in questa Rivista, n. 3, 2020, 137.

[36] Cass. pen., sez. V, 14 giugno 2024, n. 34507, cit.

[37] Corte cost., 22 giugno 2021, n. 150, cit.

[38] Cass. pen., sez. V, 15 marzo 2024, n. 26919, cit., secondo cui il c. 5 dell’art. 30 l. 223 del 1990 è da ritenersi richiamante non più il c. 4, ma l’art. 595 c.p. La Corte evidenzia, a tal proposito, come il comma quinto «si pone come norma dal contenuto di rinvio “mobile”, quanto alle indicazioni riferite alla competenza territoriale, per i reati di diffamazione commessi tramite l’attribuzione di un fatto determinato ed a mezzo di strumenti radiofonici e televisivi – rinvio che la stessa declaratoria di incostituzionalità legittima, visto l’esplicito rimando della sentenza di incostituzionalità alla continuità punitiva tra art. 30, comma 4, l. n. 223 del 1990 e art. 595 cod. pen.». Pur ritenendo di dover pervenire alla medesima conclusione, offre un percorso argomentativo differente Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit., secondo cui, in realtà, l’art. 30, c. 5, l. 223 del 1990 compie un rinvio “statico” «con la conseguenza che non può dirsi mutato il contenuto dell’art. 30, comma 5, cit., sia pure a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale del precedente comma 4, il cui testo in parte qua è stato per l’appunto incorporato dal successivo comma 5, la cui portata precettiva […] non è incisa dal dictum della Consulta, come osservato relativo solo al trattamento sanzionatorio previsto per i delitti in discorso che continuano ad integrare, per l’appunto, fatti penalmente rilevanti sub specie della diffamazione […] senza incidere punto sul criterio di determinazione della competenza per territorio». Cfr. Cass. pen., sez. V, 14 giugno 2024, n. 34507, cit.: «[p]alesemente irragionevole risulterebbe ritenere che l’illegittimità del comma 4 voglia rendere impossibile applicare il comma 5, quanto al foro speciale, al caso della diffamazione aggravato dal fatto determinato e dal mezzo radiotelevisivo, sia che si ritenga la ratio dell’intervento della Corte costituzionale limitato al solo profilo sanzionatorio, sia che lo si ritenga radicalmente abrogativo del comma 4, nel quale caso si riespanderebbe in toto l’art. 595, comma 3, cod. pen.».

[39] I tre procedimenti a quo vedevano imputati soggetti non rientranti nelle categorie menzionate al c. 1 dell’art. 30 l. 223 del 1990 (il concessionario privato, la concessionaria pubblica ovvero la persona delegata al controllo della trasmissione radiofonica o televisiva). In particolare, con riferimento alla pronuncia n. 26919 del 2024, avanti al Tribunale di Milano erano imputati un autore e un conduttore della trasmissione televisiva “Le Iene”, accusati di aver trasmesso un servizio televisivo sul c.d. delitto di Garlasco lesivo della reputazione di una donna di cui si insinuava il coinvolgimento nell’omicidio; ad un conduttore e ad un inviato del programma “Report” era invece contestato, nell’ambito del procedimento da cui è scaturita la pronuncia n. 34507 del 2024, di aver offeso la reputazione di un politico, all’epoca parlamentare e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché della moglie e della cognata; infine, nel procedimento di cui alla pronuncia n. 41956 del 2024 erano imputati due autori di un servizio televisivo andato in onda nella trasmissione “Le Iene” nel corso del quale, secondo l’accusa, sarebbe stata lesa la reputazione di tre arbitri di calcio di serie A e B.

[40] Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit., ove la Corte evidenzia, a tal proposito, come sia il c. 4 dell’art. 30 l. 223 del 1990 a rinviare ai soggetti di cui al c. 1 dello stesso articolo «per estendere a questi ultimi le sanzioni previste dall’art. 13 l. n. 47 del 1948, da ultimo oggetto della declaratoria di illegittimità costituzionale». Inoltre, secondo la Corte, la seconda parte del c. 5 dell’art. 30 l. 223 del 1990 è da intendersi come «distinta ed indipendente da quella della prima parte dello stesso art. 30, comma 5 […] che invece rimanda anche ad altri commi che lo precedono (e, dunque, pure ad altre incriminazioni), ivi compreso il comma 1, e ad una disciplina (quella posta dall’art. 21 l. n. 47 del 1948) non inerente alla competenza per territorio».

[41] Cass. pen., sez. V, 15 marzo 2024, n. 26919, cit.

[42] Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit., che riporta testualmente quanto affermato da Cass. pen., sez. I, 13 gennaio 2000, n. 269, cit.

[43] Corte cost., 23 febbraio 1996, n. 42, cit., su cui supra § 1.

[44] Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit., richiamando testualmente Corte cost., 23 febbraio 1996, n. 42, cit.

[45] Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit.

[46] Cass. pen., sez. V, 14 giugno 2024, n. 34507, cit.: «la diversa interpretazione, conducente alla frammentazione della competenza territoriale, vedrebbe il foro speciale operare solo per i concessionari e non anche, ad esempio, per i giornalisti o gli intervistati, cosicché, per un medesimo fatto, chi è tenuto al controllo e l’autore immediato della diffamazione sarebbero chiamati a giudizio dinanzi a giudici diversi, il che integra una irragionevole divergenza di competenze».

[47] Cass. pen., sez. V, 15 marzo 2024, n. 26919, cit.; Cass. pen., sez. V, 14 giugno 2024, n. 34507, cit.; Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit.

[48] Cass. civ., sez. un., 13 ottobre 2009, ord. n. 21661, in Ced Cass., n. 609467. Con questa pronuncia la Corte ha affermato il principio per cui, ai fini dell’individuazione del giudice territorialmente competente per un’azione di risarcimento del danno, il forum commissi delicti di cui all’art. 20 c.p.c. va individuato nel luogo del domicilio (o della sede della persona giuridica) o, in caso di diversità, anche della residenza del soggetto danneggiato, ovvero nel luogo in cui si realizzano le ricadute negative della lesione della reputazione.

[49] Cass. civ., sez. un., 13 ottobre 2009, ord. n. 21661, cit., ove le Sezioni Unite affermano che, ai sensi dell’art. 25 Cost., «i criteri di competenza [debbano essere]dettati dalla legge preventivamente e non in vista di singole controversie e abbiano natura generale e oggettiva. Conseguentemente, l’interpretazione dell’art. 20 c.p.c. deve portare al risultato di ancorare la competenza a un luogo certo e ben individuato, escludendo una competenza “ambulatoria”».

[50] Le Sezioni Unite hanno aderito, con tale pronuncia, ad una concezione del danno risarcibile inteso non come danno-evento, bensì come danno-conseguenza, attribuendo rilievo non alla mera potenzialità dannosa ma al pregiudizio effettivo e superando così quell’indirizzo che identificava il luogo ove era sorta l’obbligazione risarcitoria nel luogo di pubblicazione.

[51] Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit., richiamando testualmente Cass. civ., sez. un., 13 ottobre 2009, ord. n. 21661, cit.

[52] Cass. pen., sez. V, 14 giugno 2024, n. 34507, cit., richiamando le seguenti pronunce della Corte di giustizia: CGUE, C-451/18, Tibor-Trans (2019), ove la Corte era stata chiamata in sede di rinvio pregiudiziale a chiarire l’applicazione dell’art. 7, punto 2, del regolamento (UE) n. 1215/2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale; CGUE, C-800/19, Mittelbayerischer Verlag KG/SI (2021); CGUE, C-509/09 e C-161/10, eDate Advertising e a. (2011); CGUE, C-194/ 16, Bolagsupplysningen e Ilsjan (2017).

[53] Secondo Cass. pen., sez. V, 14 giugno 2024, n. 34507, cit., infatti, «la competenza del giudice del luogo in cui la presunta vittima ha il proprio centro degli interessi è conforme all’obiettivo della prevedibilità delle norme sulla competenza nei confronti del convenuto, poiché chi emette l’informazione lesiva, al momento della messa in rete della stessa (si trattava di una diffamazione a mezzo Internet), è in condizione di conoscere i centri degli interessi delle persone che ne formano oggetto, cosicché il criterio del centro degli interessi consente, al contempo, all’attore di individuare agevolmente il giudice al quale può rivolgersi e al convenuto di prevedere ragionevolmente dinanzi a quale giudice può essere citato». Non solo, secondo la Cassazione le «plurime competenze territoriali in ragione della diversa qualità degli autori del reato, come conseguenza dell’interpretazione qui non condivisa, vedrebbero leso il principio di buona amministrazione della giustizia, richiamato dalla CGUE».

[54] Così Cass. pen., sez. V, 14 giugno 2024, n. 34507, cit. Del tutto analogamente Cass. pen., sez. V, 15 marzo 2024, n. 26919, cit.; Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit.

[55] La Corte ha a tal proposito evidenziato come non sia vincolata, nella propria decisione sulla competenza, alle indicazioni del giudice di merito che ha trasmesso gli atti e, «fermo restando l’ancoraggio alla prospettazione fattuale introdotta dall’organo dell’accusa […] è chiamata a valutare, discrezionalmente e in piena autonomia, se la qualificazione giuridica del fatto storico (nelle sue componenti di condotta, evento e nesso causale) […] sia corretta, procedendo – in caso contrario – a delineare essa stessa l’esatta definizione da attribuirgli, con la conseguente designazione dell’organo giudiziario chiamato a giudicare sullo stesso», così Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit., richiamando testualmente Cass. pen., sez. I, 26 gennaio 2022, n. 5610, in Ced Cass., n. 282724 (in materia di conflitti negativi di competenza).

[56] Come già evidenziato, il giudizio di merito vedeva imputati gli autori di un servizio televisivo andato in onda nella trasmissione “Le Iene”, accusati di aver leso la reputazione di tre arbitri di calcio a cui era stata attribuita un’ipotesi di frode sportiva.

[57] Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit., citando testualmente Cass. pen., sez. un., 28 febbraio 2013, n. 27343, in Ced Cass., n. 255345. In dottrina, sulla competenza per connessione come criterio originario e autonomo di attribuzione della competenza si veda, senza pretesa di completezza, G.M. Baccari, La cognizione e la competenza del giudice, cit., 269; F. Cordero, Procedura penale, cit., 147; O. Mazza, I soggetti, in Aa.Vv., Procedura penale, IX ed., 2024, Torino, 104; R. Casiraghi, Competenza per connessione e giudice naturale, in Cass. pen., n. 12, 2013, 4492 ss.

[58] Ai sensi del quale, come noto, è competente il giudice per il reato più grave e, in caso di pari gravità, il giudice competente per il primo reato.

[59] Cass. pen., sez. un., 16 luglio 2009, n. 40537, in Ced Cass., n. 244330.

[60] Secondo le Sezioni Unite solo qualora non sia possibile individuare il giudice competente ai sensi degli artt. 8 e 9, c. 1, c.p.p. troveranno applicazione i criteri suppletivi di cui ai c. 2 e 3 del medesimo art. 9 c.p.p. (presso il giudice della residenza, della dimora o del domicilio dell’imputato o, in subordine, presso il giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall’art. 335 c.p.p.).

[61] Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit., citando testualmente Cass. pen., sez. un., 16 luglio 2009, n. 40537, cit. Importante evidenziare come, secondo le Sezioni Unite, la regola di cui all’art. 9, c. 1, c.p.p. «risponde chiaramente alla ratio di affidare il giudizio ad un giudice che, per essere quello dell’ultimo luogo dove si è realizzata parte della condotta, risulta, probabilmente, il più vicino al contesto ambientale in cui si è perfezionato l’illecito».

[62] Secondo la Quinta Sezione, in ogni caso, anche a voler ritenere applicabile l’art. 8, c. 1, c.p.p. «nulla cambierebbe nella specie al fine della determinazione della competenza» in quanto, nel caso sottoposto al suo esame il luogo di consumazione del reato – ovvero il luogo in cui è avvenuta la percezione della trasmissione televisiva e del suo contenuto offensivo da parte di almeno due soggetti diversi dal soggetto agente e dalla persona offesa – non sarebbe individuabile e dovrebbe dunque farsi comunque applicazione dell’art. 9 co. 1 c.p.p.». Così Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit.

[63] Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit. La Corte ha evidenziato come rimanga «fermo il rapporto logico tra il medesimo art. 30, comma 5, cit. e l’art. 8 cod. proc. pen., nel senso che il primo costituisce norma speciale la cui operatività esclude l’applicazione del secondo. Ragion per cui, in tali ipotesi — tra le quali rientra ovviamente la presente — non si rispande la sfera di operatività delle regole generali poste dall’art. 8 cod. proc. pen. Il che non determina alcuna impossibilità di determinare la competenza, perché l’art. 30, comma 5, l. n. 223 del 1990 non deroga alle regole suppletive poste dall’art. 9 cod. proc. pen.».

[64] A tal proposito, la Corte sembra affermare che l’art. 30, c. 5, l. 223 del 1990 non troverebbe applicazione «nei casi in cui, come nel presente, sono diversi i luoghi di residenza degli offesi», così Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit. In realtà, proprio seguendo il ragionamento della Quinta Sezione, nei casi di connessione di cui all’art. 12, c. 1, lett. b) c.p.p. non potrà mai trovare applicazione, a prescindere dalla diversità o meno del luogo di residenza delle persone offese, tale criterio dovendo piuttosto applicarsi quello, del tutto autonomo, di cui all’art. 16 c.p.p. (facendo ricorso, semmai, al criterio di cui all’art. 9, c. 1, c.p.p.).

[65] Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit., richiama testualmente Cass. pen., sez. un., 16 luglio 2009, n. 40537, cit., secondo cui: «la radicazione della competenza nel luogo di manifestazione del reato esprime […] un valore di rilevanza costituzionale […] è quindi evidente, già sulla sola base di questi principi generali e valori costituzionali, che in caso di dubbio debba essere preferita quella interpretazione che privilegi comunque la necessaria presenza di un collegamento della competenza territoriale con il luogo di commissione di almeno uno dei diversi reati commessi, anche quando tale luogo non sia accertato con riferimento al reato più grave, rispetto ad altre interpretazioni che possano portare ad una competenza territoriale del tutto sganciata dal luogo di manifestazione di almeno una parte della complessa fattispecie criminale».

[66] Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit., secondo cui: «la determinazione della competenza ex art. 30, comma 5, l. n. 223 del 1990, in ragione del foro del “primo querelante” […] non è previsto dalla legge, a prescindere dal fatto che i tre offesi abbiano sporto congiuntamente un’unica querela; e non possono neppure avere rilievo la circostanza […] che sarebbe stato […] il primo degli offesi ad avere contezza del fatto in contestazione e ad attivarsi […] perché si procedesse, e tantomeno l’adesione di questi ultimi alla determinazione della competenza ratione loci alla luce della residenza del […], elementi tutti estranei alle regole di determinazione della competenza […] oltre che incompatibili con i parametri – indipendenti dalla volontà dei soggetti processuali – cui deve essere affidata l’individuazione del giudice naturale precostituito per legge che deve conoscere la regiudicanda».

[67] Corte cost., 23 febbraio 1996, n. 42, cit.

[68] Come già evidenziava autorevolmente T. Padovani, Art. 30, in E. Roppo-R. Zaccaria (a cura di), Il sistema radiotelevisivo pubblico e privato, Milano, 1991, 511.

[69] O. Mazza, I soggetti, cit., 100.

[70] Ibid. Cfr. G. Ubertis, “Naturalità” del giudice e valori socioculturali nella giurisdizione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1977, 1073 ss. Sulle diverse concezioni sviluppatesi in merito alla concezione di “giudice naturale”, senza pretesa di completezza in una vasta letteratura, A. Bellocchi, I requisiti di naturalità e precostituzione del giudice, in G. Dean (a cura di), Fisionomia costituzionale del processo penale, Torino, 2007, 73 ss.; F. Caprioli, Precostituzione, naturalità e imparzialità del giudice nella disciplina della rimessione dei processi, in Cass. pen., 2002, 2597 ss.; G. Conso, Limiti inerenti al principio della certezza del giudice e rimessione del procedimento per legittimo sospetto o gravi motivi di ordine pubblico, ivi, 1962, 241; A. Dalia, Sulla precostituzione del giudice naturale come fondamentale garanzia di certezza per l’imputato, con particolare riguardo ai rapporti tra la competenza penale dei consoli e dei comandanti di porto, in Riv. it. dir. proc. pen., 1965, 516; A. Diddi, La rimessione del processo penale, Milano, 2000, 125 ss.; L. Giuliani, Rimessione del processo e valori costituzionali, Torino, 2002, 101; V. Grevi, Davvero legittima la competenza del giudice non specializzato nei confronti del minore coimputato con maggiorenni?, in Giur. cost., 1966, 121 ss.; G. Ichino, Precostituzione e naturalità del giudice nello spostamento di competenza per materia previsto dalla legge 14 ottobre 1974, n. 497 (Nuove norme contro la criminalità), in Riv. it. dir. proc. pen., 1976, 578 ss.; M. Nobili, Commento all’art. 25 comma 1 Cost., in G. Branca (diretto da), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1981, 189 ss.; M. Pisani, La garanzia del «giudice naturale» nella Costituzionale italiana, in Riv. it. dir. proc. pen., 1961, 418 ss.; A. Pizzorusso, Giudice naturale, in Enc. giur. Treccani, XVI, Roma, 1989, 5; M. Ricciarelli, L’esercizio della funzione giurisdizionale: dalla competenza al riparto di attribuzioni, in G. Spangher (diretto da), Trattato di procedura penale, Torino, 2008, 44; G. Sabatini, La competenza surrogatoria ed il principio del giudice naturale nel processo penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1962, 947; E. Somma, «Naturalità» e «precostituzione» del giudice nell’evoluzione del concetto di legge, ivi, 1963, 826 ss.; G. Spangher, La rimessione dei procedimenti. – Vol. I – Precedenti storici e profili di legittimità costituzionale, Milano, 1984, 286; C. Taormina, Giudice naturale e processo penale, Roma, 1972. Si veda inoltre, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, G.M. Baccari, La cognizione e la competenza del giudice, cit., 123 ss.

[71] Come evidenziato da Cass. pen., sez. V, 15 marzo 2024, n. 26919, cit.

[72] Evidente, a tal proposito, l’intenzione di anticipare, in un momento precedente l’accertamento processuale del reato la tutela della persona offesa, preparando il terreno a quella maggior tutela riparatoria che deriverà, in caso di pronuncia di condanna, dall’emissione della sentenza da parte del giudice del luogo di residenza della persona offesa. Cfr. Corte cost., 23 febbraio 1996, n. 42, cit.

[73] Cass. civ., sez. un., 13 ottobre 2009, ord. n. 21661, cit.

[74] Corte cost., 5 aprile 2006, n. 168, in Giur cost., 2006, 1489 ss.

[75] Cfr. F. Cordero, Procedura penale, cit., 109 ss., ove l’Autore evidenzia, con riferimento al giudice naturale quale «giudice individuato secondo criteri che includano riferimenti al locus delicti», che sussiste «un interesse costituzionalmente tutelato al processo in quella tal sede, davanti al “suo” pubblico, ma cede a interessi superiori: ad esempio, quando l’ambiente turbato imponga una rimessione (art. 45)».

[76] Si veda, a tal proposito, Corte cost., 5 aprile 2006, n. 168, cit., ove la Corte, a fronte di una questione di legittimità costituzionale dell’art. 45, c. 1, c.p.p. con riferimento agli artt. 3, 24, c. 2, 11, c. 2, Cost., ha evidenziato come «perché l’imputato possa ragionevolmente subire lo spostamento del processo dal suo “giudice naturale”, deve essere il “suo” processo (vale a dire quello penale) ad essere turbato da gravi situazioni locali. Quindi, solo i protagonisti necessari sono logicamente abilitati ad attivare il relativo ed eccezionale meccanismo di scrutinio, e non altri, che possono assumere soltanto la veste di cointeressati o controinteressati rispetto alle posizioni assunte dall’imputato e dal pubblico ministero».

[77] G. Corrias Lucente, Prime osservazioni sugli aspetti penali della legge di disciplina del sistema radiotelevisivo, cit., 432.

[78] T. Padovani, Art. 30, cit., 511 ss. A proposito della soluzione prescelta G. Corrias Lucente, Prime osservazioni sugli aspetti penali della legge di disciplina del sistema radiotelevisivo, cit., 433, evidenzia come tale criterio desti perplessità laddove la residenza «sia un dato meramente formale ed altrove (nel reale domicilio) si risentano in misura più estesa gli effetti della diffamazione. Ed altrettanto illegittima appare la determinazione speciale della competenza per altri due casi: che l’offesa venga trasmessa da un’emittente regionale e che l’offeso risieda fuori dal territorio in cui si riceve la trasmissione, o che l’offeso risieda all’estero; in questo caso non si vede come possa applicarsi il criterio speciale […] Non sembra in tali ipotesi (tutt’altro che eccezionali) rispettato il principio del giudice naturale».

[79] Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit. Come visto (supra, § 5) la Cassazione ha dovuto far ricorso a tale criterio a causa della sussistenza di un concorso omogeneo di reati nei confronti di una pluralità di persone offese. Sul punto, già F. Cordero, Codice di procedura penale commentato, Torino, 1989, 20, evidenziava l’empasse che avrebbe potuto crearsi quando siano contemporaneamente diffamate più persone residenti in luoghi diversi.

[80] Cfr. Cass. pen., sez. V, 21 aprile 2016, n. 33287, in Ced Cass., n. 267703, che richiama, con riferimento alla diffamazione “telematica” Cass. pen., sez. V, 21 giugno 2006, n. 25875, ivi, n. 234528. Sul punto si veda anche Cass. pen., sez. V, 10 ottobre 2024, n. 41956, cit.

[81] O. Mazza, I soggetti, cit., 91, evidenzia che la Corte costituzionale, nel privare il requisito della “naturalità” di cui all’art. 25 Cost. di un’autonoma considerazione rispetto alla precostituzione, compie un vero e proprio «suicidio interpretativo non conforme ai princìpi dell’ermeneutica, in particolare quella costituzionale, e soprattutto foriero di un’ingiustificata riduzione delle garanzie processuali». Cfr. F. Cordero, Relazione su «Connessione di procedimenti e giudice naturale», in Aa.Vv., Connessione di procedimenti e conflitti di competenza. Atti del X convegno di studio “E. De Nicola”, Milano, 1976, 54.

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