Il ruolo delle collecting societies nella protezione del diritto d’autore: due casi a confronto   

Con la liberalizzazione dell’attività di intermediazione nel campo dei diritti d’autore, il ruolo delle collecting societies appare di importanza crescente nella tutela dei diritti di autori e performers. Tale circostanza trova conferma non solo nelle varie iniziative giudiziarie instaurate di recente da varie collecting in Italia e all’estero a tutela dei soggetti rappresenti, ma anche negli interventi regolatori che l’AGCOM ha effettuato a più riprese, allo scopo di disciplinare vari aspetti contenuti nella Legge sul Diritto d’Autore con riferimento ai rapporti tra autori, utilizzatori dei contenuti protetti e organismi di gestione collettiva.

As a result of the liberalisation of intermediation activities in the field of copyright, the role of collecting societies is of increased importance in protecting the rights of authors and performers.  This circumstance is confirmed not only by the various legal initiatives recently instituted by various collecting societies in Italy and abroad to protect the subjects they represent, but also by the regulatory interventions carried out by AGCOM on several occasions to regulate various aspects contained in the Copyright Law with reference to the relationships between authors, content users and collective management bodies.

 

Sommario: 1. L’attività delle collecting societies. – 2. Le recenti iniziative di Artisti 7607. – 3. Il nuovo intervento dell’AGCOM. – 4. La sentenza europea sulla nozione di comunicazione al pubblico: il       ruolo della società di gestione collettiva MPLC Deutschland GmbH. – 5. Conclusioni.

 

  1. L’attività delle collecting societies

È noto che il diritto d’autore conferisce al suo titolare, oltre ai c.d. diritti morali (diritto di rivendicare la paternità dell’opera, diritto al mantenimento dell’integrità dell’opera, diritto di pubblicazione o ritiro dal commercio), i diritti di sfruttamento economico della propria creazione.

Si tratta della componente più rilevante del diritto d’autore, che si articola nelle numerose facoltà attribuite all’autore dell’opera per il solo fatto della creazione: si pensi al diritto di riproduzione, di esecuzione, rappresentazione, recitazione o lettura pubblica, al diritto di diffusione, di distribuzione o di elaborazione dell’invenzione creativa.

I diritti patrimoniali di sfruttamento economico delle opere dell’ingegno risultano difficilmente esercitabili individualmente da parte degli autori, data la facilità con cui i contenuti protetti sono in grado di circolare ed essere fruiti dal pubblico senza possibilità di un effettivo controllo da parte degli autori.

Ciò rende necessario per autori e artisti, ma anche per interpreti ed esecutori con riferimento ai diritti connessi al diritto d’autore, avvalersi di strutture organizzative in grado di assicurare il pagamento dei compensi legati allo sfruttamento delle loro opere.

Si parla, pertanto, di società di gestione collettiva (o anche collecting societies) con riferimento a quei soggetti giuridici deputati alla determinazione, riscossione e ripartizione dei proventi legati all’utilizzo da parte di terzi delle opere dell’ingegno di autori, produttori, artisti, interpreti ed esecutori[1].

In Italia le società di gestione collettiva operano in virtù del d.lgs. 15 marzo 2017, n. 35 recante “Attuazione della direttiva 2014/26/UE sulla gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l’uso online nel mercato interno” (Direttiva Barnier).

A seguito della liberalizzazione dell’attività di intermediazione nel campo dei diritti d’autore, per anni gestiti esclusivamente da SIAE, con il d.l. 148/2017 sono stati inseriti nella Legge sul Diritto d’Autore (l. 633/1941, L.D.A.) riferimenti anche ad “altri organismi di gestione collettiva” diversi dalla Siae che oggi operano dunque accanto a questa per la gestione collettiva dei diritti d’autore e diritti connessi.

Rileva, inoltre, il d.lgs. 177/2021 che ha trasposto nell’ordinamento italiano la direttiva (UE) 2019/790 (c.d. Direttiva Copyright), apportando a sua volta varie modifiche alla l. 633/1941, tra cui l’introduzione dell’art. 110 quater che prescrive, in favore di artisti, interpreti ed esecutori e nei confronti degli utilizzatori di opere e prestazioni artistiche, obblighi informativi circa le modalità di sfruttamento di tali opere, i ricavi generati dai relativi sfruttamenti (ivi inclusi introiti pubblicitari e di merchandising), nonché, con riferimento specifico ai fornitori di servizi di media audiovisivi non lineari, i numeri di acquisti, visualizzazioni e soggetti abbonati.

Il c. 4 della disposizione citata stabilisce, infine, che la violazione degli obblighi di comunicazione e di informazione è sanzionabile dall’AGCOM con una sanzione amministrativa pecuniaria a carico del soggetto inadempiente fino all’1 per cento del fatturato realizzato nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notifica della contestazione.

 

  1. Le recenti iniziative di Artisti 7607

In Italia l’attività delle collecting societies si è posta di recente all’attenzione, in considerazione dell’azione instaurata dinanzi al Tribunale di Roma da Artisti 7607 – società cooperativa che tutela e gestisce i diritti connessi di attori e doppiatori in Italia e nel mondo – nei confronti dell’operatore di streaming Netflix, al fine di ottenere il pagamento delle retribuzioni dovute dalla piattaforma ad artisti, interpreti e doppiatori rappresentati dalla collecting.

L’art. 84 della Legge sul Diritto d’Autore prevede, sul punto, il pagamento del c.d. equo compenso – attualmente definito come “remunerazione adeguata e proporzionata” a seguito della novella dell’articolo apportata con il d.lgs. 177/2021[2] – ad artisti, interpreti ed esecutori (AIE), per l’utilizzo delle opere protette da parte degli organismi di emissione. Stessa previsione è contenuta all’art. 46 bis con riferimento alle opere cinematografiche e/o assimilate.

La questione è molto rilevante per ciò che attiene ai diritti connessi al diritto d’autore, posto che in questo caso lo sfruttamento di tali diritti è nella maggior parte dei casi regolato da accordi tra utilizzatori (ad es. le piattaforme streaming) e Organismi di Gestione Collettiva, una volta che i diritti di trasmissione dell’opera protetta siano stati ceduti.

Nella prassi, infatti, gli AIE, mantenendo il diritto al compenso per le successive utilizzazioni, cedono i propri diritti a produttori o distributori che concludono a loro volta contratti di licenza con le piattaforme per la trasmissione dei contenuti audiovisivi.

Ciò rende necessario l’intervento degli Organismi di Gestione Collettiva, una volta che i contenuti siano stati resi disponibili, al fine di instaurare trattative con gli operatori streaming per ottenere il pagamento dei compensi spettanti agli interpreti rappresentati.

In questo senso, l’art. 23 del d.lgs. 35/2017, prescrive che «entro novanta giorni dall’utilizzazione, gli utilizzatori devono far pervenire agli organismi di gestione collettiva, nonché alle entità di gestione indipendente, in un formato concordato o prestabilito, le pertinenti informazioni a loro disposizione, necessarie per la riscossione dei proventi dei diritti e per la distribuzione e il pagamento degli importi dovuti ai titolari dei diritti, e riguardanti l’utilizzo di opere protette».  

Completa la previsione l’art. 22 del d.lgs. 35/2017, il quale prevede un obbligo per utilizzatori, da un lato, e OGC, dall’altro, di condurre in buona fede le negoziazioni per la concessione di licenze sui diritti, scambiandosi a tal fine tutte le informazioni necessarie al fine di addivenire ad un accordo negoziale.

Il c. 2 specifica, inoltre, che «Gli organismi di gestione collettiva rispondono per iscritto senza   indebito   ritardo   alle   richieste   degli    utilizzatori specificando, fra l’altro, le informazioni che devono essere loro fornite per concedere una licenza. Ricevute tutte le informazioni pertinenti, tali organismi, senza indebito ritardo, concedono una licenza o forniscono agli utilizzatori una dichiarazione motivata in cui spiegano i motivi per cui non intendono sottoporre a licenza un determinato servizio».

La delibera AGCOM n. 220/23, riferita ad un procedimento avviato da Artisti7607 nei confronti di Netflix nell’ambito di un’altra vicenda relativa alla richiesta di pagamento dei compensi spettanti agli artisti rappresentati dalla collecting, ha stabilito che l’art. 22 si riferirebbe alla fase precontrattuale finalizzata alla concessione di licenza da parte degli OGC, laddove l’art. 23 avrebbe ad oggetto la fase esecutiva, una volta che il contratto sia stato concluso.

In tal senso, laddove le parti si trovino nella fase prenegoziale delle trattative, vigerebbe per entrambe l’obbligo di scambiarsi reciprocamente informazioni rilevanti, secondo il dettato dell’art. 22. La precisazione non è di poco conto, considerando che introduce un dovere di comunicazione tra le parti prima che sia reso attuale l’obbligo degli utilizzatori di fornire entro il termine di 90 giorni dall’utilizzazione dei contenuti le informazioni richieste dalle collecting.

Accedendo a tale ricostruzione, nel caso esaminato dalla delibera AGCOM, a fronte della domanda di Artisti 7607 che aveva invocato l’art. 23, l’Autorità ha invece ritenuto applicabile l’art. 22 dal momento che le parti non avevano ancora concluso alcun accordo. In tal modo l’AGCOM ha imposto anche all’OGC di fornire le informazioni che erano state richieste da Netflix – nello specifico tariffe applicate dall’OGC e livello di rappresentatività sul mercato – al fine di giungere a un successivo accordo negoziale.

 

  1. Il nuovo intervento dell’AGCOM

Anche sugli obblighi informativi è intervenuta recentemente, il 15 maggio 2024, la delibera AGCOM n. 95/24/CONS “Regolamento recante attuazione degli articoli 18-bis, 46-bis, 80, 84, 110-ter, 110-quater, 110-quinquies, 110-sexies, 180-ter della legge 22 aprile 1941, n. 633 come novellata dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 177”, con l’obiettivo di consolidare e modificare il testo originario della delibera n. 44/23/CONS, del 22 febbraio 2023, recante “Consultazione pubblica sullo Schema di regolamento recante attuazione degli articoli 18-bis, 46-bis, 80, 84, 110-ter, 110-quater, 110-quinquies, 110-sexies, 180-ter della legge 22 aprile 1941, n. 633 come novellata dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 177”.

Il regolamento, entrato in vigore il 14 giugno scorso, è stato adottato allo scopo di dettagliare aspetti già disciplinati dalla Legge sul Diritto d’Autore con particolare riferimento i) alle disposizioni riguardanti l’assistenza dell’AGCOM in sede di negoziazione di contratti di licenza tra autori, AIE e utilizzatori delle opere audiovisive su servizi di video on demand ai sensi dell’art. 110 ter L.D.A., ii) al meccanismo di aggiustamento dei compensi in caso di remunerazione sproporzionatamente bassa rispetto ai proventi originati nel tempo dallo sfruttamento delle opere o prestazioni artistiche (art. 110 quinquies L.D.A.), iii) alla risoluzione delle controversie aventi ad oggetto gli obblighi di trasparenza di cui all’articolo 110-quater e il meccanismo di adeguamento contrattuale di cui all’articolo 110-quinques, iv) alla determinazione dei criteri di maggiore rappresentatività degli organismi di gestione collettiva del settore, le misure di pubblicità volte ad informare della possibilità di concedere le licenze, di cui all’art. 180 ter L.D.A.

Per quanto rileva in questa sede, particolarmente rilevanti risultano le previsioni relative agli obblighi di trasparenza di cui all’art. 110 quater L.D.A.

Sul punto, l’Autorità ha precisato, innanzitutto, come la norma tuteli il diritto degli autori e degli AIE di ricevere informazioni aggiornate, pertinenti e complete da parte dei soggetti a cui gli stessi hanno concesso in licenza o trasferito i diritti nonché dai loro aventi causa, specificando che tale diritto presenta quale contraltare due diverse categorie di obbligazioni gravanti sugli utilizzatori.

Da una parte vi è un obbligo di informazione proattiva, da adempiere indipendentemente da qualsivoglia richiesta degli aventi diritto, che ricade sui cessionari e sui licenziatari con i quali autori ed AIE abbiano sottoscritto un contratto, ovvero le prime controparti contrattuali di autori/AIE. Dall’altra, vi è l’obbligo gravante sui sub-licenziatari ai quali i diritti di sfruttamento siano stati successivamente trasferiti, di trasmettere informazioni supplementari su richiesta degli aventi diritto.

L’Autorità osserva sul punto che qualora i sub-licenziatari fossero assoggettati all’obbligo di fornire agli aventi diritto le informazioni anche in assenza di un’“apposita richiesta”, il meccanismo informativo potrebbe risultare sproporzionato in quanto i sub-licenziatari si ritroverebbero nella difficoltà di identificare e quindi informare gli autori e gli AIE che detengono diritti per una determinata opera, non avendo con gli stessi un rapporto contrattuale diretto.

Pertanto, con specifico riferimento all’ambito soggettivo dell’obbligo di rendicontazione proattiva, l’Autorità ha precisato che esso ricada solo sui diretti cessionari o licenziatari dei diritti, nella loro qualità di prime controparti contrattuali di autori ed AIE, implicando che il soggetto obbligato trasmetta le informazioni in maniera automatica e senza ricevere alcuna richiesta da parte dell’avente diritto per un periodo minimo di tre anni decorrenti dalla conclusione del contratto (su tale punto si tornerà infra).

Quanto ai destinatari delle informazioni, l’Autorità non ha accolto la proposta avanzata da alcuni stakeholders di circoscrivere la comunicazione delle informazioni ai soli organismi di gestione collettiva (o entità di gestione indipendente), in quanto tale limitazione si porrebbe in contrasto con la norma primaria, la quale chiaramente menziona questa possibilità come aggiuntiva e non già alternativa rispetto alla trasmissione diretta delle informazioni ad autori ed AIE.

Tale conclusione, osserva l’Autorità, si giustifica, peraltro, tenuto conto che una simile modalità sarebbe potenzialmente discriminatoria nei confronti di tutti gli aventi diritto che hanno liberamente esercitato il proprio diritto di non conferire mandato ad alcun OGC, stante la non obbligatorietà della gestione collettiva prevista dal nostro ordinamento, come risulta dall’art. 180, c. 4, LDA.

Con riferimento al dies a quo a partire dal quale deve essere calcolata la cadenza semestrale della rendicontazione, l’Autorità ha precisato che esso vada individuato nella data di stipula del contratto tra l’autore o l’AIE e la sua controparte. Ciò in quanto quella del contratto si pone come unica data di cui si può avere certezza, essendo altri riferimenti temporali, quali, ad esempio, quelli legati alla prima utilizzazione o al primo sfruttamento dell’opera o della prestazione artistica, difficilmente accertabili.

Come sopra accennato, l’Autorità ha infine confermato la previsione, già contenuta nella delibera di consultazione, del termine di tre anni dalla data di conclusione del contratto al fine di procedere alla rendicontazione obbligatoria gravante sui cessionari o primi licenziatari delle opere.

Come già chiarito nella delibera n. 44/23/CONS tale termine si rende necessario al fine di garantire il principio di proporzionalità ed effettività degli obblighi previsti dalla normativa sul diritto d’autore a tutela di autori e AIE. Infatti, il principio in esame non fa in alcun modo cessare il diritto dell’autore o dell’AIE di ricevere le informazioni a cui essi abbiano diritto, mantenendo integra la facoltà di questi ultimi di ottenere tali informazioni dietro richiesta. Tuttavia, osserva ancora l’Autorità, considerando che, specialmente con riferimento ad alcuni settori, gli sfruttamenti economici di un’opera o di una prestazione artistica tendono a concentrarsi nei primi anni del ciclo di vita del prodotto, per poi ridursi nel corso del tempo, anche le relative informazioni detenute dalla prima controparte contrattuale sono destinate a diventare negli anni meno rilevanti  con conseguente perdita di significatività della rendicontazione relativa ai ricavi generati dai relativi sfruttamenti.

Inoltre, in assenza di tale limite, con il passare del tempo, il ciclo di vita dell’opera potrebbe generare una “coda lunga” di sfruttamenti di valore economico minore, se non addirittura trascurabile, per cui le stesse informazioni su tali sfruttamenti perderebbero di pregio.

Per queste ragioni viene confermata la previsione per cui trascorso il termine di tre anni le informazioni costituiscono oggetto di un’apposita richiesta agli utilizzatori da parte dell’autore o dell’AIE avente diritto.

 

  1. La sentenza europea sulla nozione di comunicazione al pubblico: il ruolo della società di gestione collettiva MPLC Deutschland GmbH

A livello europeo l‘azione delle società di gestione collettiva ha sollecitato una recente pronuncia della Corte di giustizia (sentenza dell’11 aprile 2024, causa C-723/22), chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla nozione di “comunicazione al pubblico” ai sensi della direttiva 2001/29/CE relativa all’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione.

La questione risulta rilevante nell’ottica di garantire un’ampia portata della tutela fornita dal diritto d’autore, estendendo la nozione di “comunicazione al pubblico” e quindi dell’ambito di protezione concessa alle opere trasmesse.

Nello specifico, la domanda, avanzata dalla società di gestione collettiva MPLC Deutschland GmbH nei confronti di Citadines Betriebs Gmbh, società tedesca avente la gestione di strutture alberghiere in Germania, verteva sull’asserita violazione da parte di quest’ultima del diritto esclusivo di comunicazione al pubblico che la MPLC deteneva su un episodio tratto da una serie televisiva che una delle strutture gestite da Citadines aveva reso disponibile ai suoi clienti mediante trasmissione nelle camere e in alcune zone comuni.

In sintesi, a fronte della tesi sostenuta da MPLC secondo cui la messa a disposizione nei locali dell’hotel di apparecchi televisivi comunicanti tramite una specifica rete di distribuzione via cavo costituisse una “comunicazione al pubblico”, come tale necessitante l’autorizzazione degli autori al fine della trasmissione, nella prospettazione di Citadines, si trattava di una messa a disposizione meramente interna che si limitava a ritrasmettere il segnale televisivo tramite un sistema di distribuzione via cavo e doveva considerarsi quindi sottratta alla nozione di “comunicazione al pubblico”[3].

La convenuta eccepiva, peraltro, di essere titolare di una licenza di ampia portata conclusa con le società di gestione competenti per la ritrasmissione di contenuti via cavo, in virtù della quale la stessa doveva considerarsi legittimata alla messa a disposizione del contenuto televisivo a favore dei propri clienti.

La Corte di giustizia viene pertanto chiamata a pronunciarsi, ai sensi dell’art. 267 TFUE, sulla corretta interpretazione della nozione di “comunicazione al pubblico” ai sensi dell’art. 3, par. 1, della direttiva 2001/29/CE, secondo cui «Gli Stati membri riconoscono agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi comunicazione al pubblico, su filo o senza filo, delle loro opere, compresa la messa a disposizione del pubblico delle loro opere in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente».

La Corte sancisce innanzitutto l’irrilevanza del contratto di licenza al fine di stabilire se le ritrasmissioni effettuate dall’albergo costituiscano una “comunicazione al pubblico”, osservando che l’esistenza di un tale contratto è semmai idonea a stabilire se una tale comunicazione sia stata autorizzata dall’autore dell’opera.

Preliminarmente all’individuazione dei criteri volti a stabilire quando si configuri la comunicazione al pubblico dell’opera creativa, il Giudicante passa in rassegna una serie di principi elaborati dalla giurisprudenza per delineare la nozione in esame.

In primo luogo, si osserva come risulti imprescindibile partire dal ruolo dell’autore della pubblicazione e dal carattere intenzionale o meno del suo intervento; si realizza in tal senso un “atto di comunicazione” quando tale soggetto, intervenendo con piena cognizione rispetto alle conseguenze del suo comportamento, dia a soggetti terzi accesso a un’opera protetta, consentendo una fruizione del contenuto che non sarebbe altrimenti possibile.

È necessario poi che il contenuto sia reso disponibile ad un numero indeterminato benché sufficientemente rilevante di destinatari e che venga comunicato secondo modalità tecniche specifiche, diverse da quelle fino ad allora utilizzate o, in mancanza, rivolto ad un «pubblico nuovo», ossia non preso in considerazione dal titolare del diritto al momento della comunicazione iniziale della sua opera al pubblico.

Alla luce di tali considerazioni preliminari, la Corte passa a valutare se nel caso di specie la messa a disposizione della clientela dei contenuti audiovisivi protetti costituisca un atto di “comunicazione al pubblico”.

Sul punto la Corte afferma che:

  1. La messa a disposizione, mediante distribuzione di un segnale a mezzo di apparecchi televisivi, di opere protette da parte del gestore di un albergo alla sua clientela configura certamente un atto di comunicazione volontario e consapevole;
  2. I clienti di una struttura alberghiera costituiscono un numero indeterminato e sufficientemente rilevante di destinatari potenziali, soggetto a nessun altro limite se non la capacità ricettiva dell’albergo;
  3. I clienti della struttura costituiscono un pubblico nuovo che, pur trovandosi astrattamente all’interno della zona di copertura del contenuto trasmesso, non avrebbero avuto accesso allo stesso in assenza dell’intervento del gestore della struttura;
  4. È sufficiente che l’opera sia messa a disposizione del pubblico in modo da consentirvi l’accesso, essendo peraltro irrilevante la circostanza che gli apparecchi televisivi non siano stati messi in funzione dal personale alberghiero bensì dai clienti dell’albergo;
  5. L’atto con il quale il gestore dà ai suoi clienti accesso ad un’opera radiodiffusa costituisce una prestazione di servizio supplementare che incide sullo standing dell’albergo e quindi sul prezzo delle camere, di modo che tale atto riveste carattere lucrativo, incidente sulla nozione di “comunicazione al pubblico”[4];
  6. Infine, non si può ritenere che la fornitura di apparecchi televisivi nei locali della struttura costituisca una «mera fornitura di attrezzature fisiche» ai sensi del considerando 27 della direttiva 2001/29[5]. Infatti, sebbene la mera fornitura di attrezzature fisiche non costituisca di per sè un atto di comunicazione al pubblico, tuttavia tali installazioni possono rendere tecnicamente possibile l’accesso del pubblico alle opere radiodiffuse.

Pertanto, se mediante apparecchi televisivi in tal modo installati, l’albergo distribuisce il segnale ai propri clienti alloggiati nelle camere, si tratta di una comunicazione al pubblico ai sensi dell’art. 3, par. 1, della direttiva, senza che occorra accertare quale sia la tecnica di trasmissione del segnale utilizzata.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte conclude pertanto affermando che l’art. 3, par. 1, della direttiva 2001/29/CE, deve essere interpretato nel senso che «la fornitura di apparecchi televisivi installati nelle camere o nella palestra di un albergo, qualora un segnale sia inoltre ritrasmesso a tali apparecchi mediante una rete di distribuzione via cavo propria di tale albergo, costituisce una “comunicazione al pubblico” ai sensi di tale disposizione».

 

  1. Conclusioni

L’iniziativa giudiziaria instaurata da Artisti 7607 attualmente al vaglio del Tribunale di Roma e la  pronuncia in esame sono il segnale dell’attività sempre più incisiva delle collecting societies nella tutela dei diritti d’autore e dei diritti connessi dei soggetti rappresentati, ma anche della necessità per autori, artisti, interpreti ed esecutori di dotarsi di strutture organizzative in grado di garantire l’esercizio effettivo dei propri diritti attraverso un controllo efficace sull’utilizzo dei contenuti protetti dalle privative.

Tale esigenza risulta particolarmente rilevante nell’attuale contesto storico, in cui la fruizione di contenuti audiovisivi avviene principalmente attraverso i giganti dello streaming e le piattaforme VOD, aumentando la necessità di misure efficaci per affrontare le asimmetrie economiche e contrattuali tra le piattaforme, da un lato, e i performers, dall’altro.

[1] In Francia nel 1850 nasce la Société des Auteurs, Compositeurs et Editeurs de Musique (SACEM), costituita da un gruppo di autori ed editori a seguito di una serie di pronunce giurisprudenziali che sancirono per la prima volta il diritto esclusivo degli autori musicali sulle proprie esecuzioni.

Tra queste pronunce si segnala quella relativa al caso Bourget c. Morel nato dalle contestazioni del paroliere Ernest Bourget e dei compositori Victor Parizot e Paul Henrion, i quali sostennero di non essere tenuti a pagare il saldo delle proprie consumazioni presso il Cafè des Ambassadors di Parigi, in virtù dell’esecuzione delle loro opere da parte di alcuni musicisti all’interno del locale. Gli autori sostenevano il loro diritto di credito per il fatto di non aver ricevuto alcuna remunerazione in relazione all’esecuzione delle loro opere, nonostante lo spettacolo avesse contribuito all’intrattenimento della clientela nel corso della serata.

In Italia la nascita della prima collecting risale al 1882 con la Società Italiana degli Autori (SIA), che più tardi assumerà la denominazione di Società Italiana degli Autori e degli Editori (SIAE).

[2] Art. 84, c. 2 e 3, LDA: «Agli artisti interpreti ed esecutori che nell’opera cinematografica e assimilata, ivi inclusa l’opera teatrale trasmessa sostengono una parte di notevole importanza artistica, anche se di artista comprimario, spetta, per ciascuna utilizzazione dell’opera cinematografica e assimilata, ivi inclusa l’opera teatrale trasmessa a mezzo della comunicazione al pubblico via etere, via cavo e via satellite un equo compenso a carico degli organismi di emissione. Per ciascuna utilizzazione di opere cinematografiche e assimilate, ivi incluse le opere teatrali trasmesse diversa da quella prevista nel comma 2 e nell’articolo 80, comma 2, lettera e), agli artisti interpreti ed esecutori, quali individuati nel comma 2, spetta un compenso adeguato e proporzionato a carico di coloro che esercitano i diritti di sfruttamento per ogni distinta utilizzazione economica».

 

[3] È interessante segnalare che tale ricostruzione sembra essere quella seguita anche dalla delibera n. 95/24/CONS, secondo cui non sarebbero tenuti ad adempiere gli obblighi informativi gli utilizzatori c.d. “non analitici”, vale a dire quei soggetti che non dispongono delle informazioni sul contenuto della comunicazione al pubblico in quanto ritrasmettono contenuti protetti diffusi da altri (ad esempio, soggetti che ritrasmettono palinsesti di emittenti radiofoniche o televisive).

Come osservato nella delibera n. 396/17/CONS, questi soggetti, pur rientrando nella nozione di “utilizzatori”, non sono gravati dall’obbligo di rendicontazione dettagliata ai sensi dell’art. 23 del decreto, così come degli obblighi ex art. 110 quater LDA, che richiedono una conoscenza specifica delle informazioni sulle singole opere o prestazioni, al fine di poter correttamente fornire le informazioni necessarie agli aventi diritto. Si tratta, peraltro, di soggetti ai quali non viene rilasciata una licenza per l’utilizzo di un repertorio, bensì un permesso per l’utilizzo di opere o altri materiali protetti. Tali soggetti, quindi, non possono considerarsi né cessionari né licenziatari dei diritti.

 

[4] La direttiva 2001/29/CE prevede infatti che gli Stati membri possono prevedere delle eccezioni al divieto di riproduzione di opere protette, ma solo a favore di taluni organismi senza scopo di lucro, quali per esempio le biblioteche accessibili al pubblico e le istituzioni equivalenti nonché gli archivi.

[5] Ai sensi del considerando 27 della direttiva: «la mera fornitura di attrezzature fisiche atte a rendere possibile o ad effettuare una comunicazione non costituisce un atto di comunicazione ai sensi della presente direttiva».

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