Il contrasto europeo alla disinformazione nel contesto della guerra in Ucraina: riflessioni a margine del caso RT France

Tribunale UE, 27 luglio 2022, causa T-125/22 RT France c. Consiglio dell’Unione europea

Dal momento che la propaganda e le campagne di disinformazione sono tali da mettere in discussione i fondamenti delle società democratiche e fanno parte integrante dell’arsenale di guerra moderna, le misure restrittive di cui trattasi [divieto temporaneo di radiodiffusione di contenuti]si inseriscono anche nel contesto del perseguimento da parte dell’Unione degli obiettivi assegnatile dall’art. 3, parr. 1 e 5, TUE.

Tenuto conto del fatto che l’esercizio della libertà di espressione comporta doveri e responsabilità, che sono tanto più importanti per quanto riguarda gli organi d’informazione audiovisivi, non si può sostenere che il trattamento delle informazioni in questione, che comporta iniziative di propaganda intese a giustificare e sostenere l’aggressione militare illegale, non provocata e ingiustificata dell’Ucraina da parte della Federazione russa, sia tale da richiedere la tutela rafforzata che l’art. 11 della Carta conferisce alla libertà di stampa, specialmente laddove tale tutela è invocata da un organismo d’informazione che sostanzialmente è sotto il controllo diretto o indiretto dello Stato aggressore, come avviene nel caso di specie.

Sommario: 1. Premessa. – 2. Ricostruzione dei fatti. – 3. Sulla violazione della libertà di espressione e informazione della ricorrente. – 4. Gli altri motivi di ricorso. – 5. RT France quale legittimazione giurisprudenziale delle politiche di contrasto europee alla disinformazione? – 6. Rilievi conclusivi.

  1. Premessa

La decisione analizzata, resa dal Tribunale dell’Unione europea nel luglio 2022, si pone nel contesto della strategia euro-unitaria di contrasto alla disinformazione e alla propaganda originate da e a favore di Paesi terzi. In particolare, la decisione concerne la conformità delle misure restrittive adottate dal Consiglio a carico dell’emittente ricorrente con i diritti e le libertà fondamentali oggetto di tutela da parte della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza).

In tal senso, di particolare interesse sono le riflessioni operate dai giudici di Lussemburgo con riferimento al rapporto tra la libertà di espressione e di informazione, da una parte, e il perseguimento delle finalità di interesse pubblico promosso dalle misure limitative adottate, dall’altra parte. Con riferimento a questo punto, la decisione riveste un ruolo significativo in quanto sembra offrire una copertura di carattere “costituzionale” alle opzioni e scelte operate dalle istituzioni euro-unitarie nel campo del contrasto alla disinformazione mediatica. Tematica, questa, che ha del resto trovato terreno sempre più fertile nel dibattito politico e legislativo interno all’Unione non solo nel contesto dell’adozione di misure sanzionatorie nei confronti della Federazione russa (almeno a partire dal 2014), ma, più in generale, nell’ambito della regolamentazione dei servizi audiovisivi.

  1. Ricostruzione dei fatti

Il 1° marzo 2022, a seguito delle ostilità avviate dalla Federazione russa nei confronti dell’Ucraina a partire dal precedente 24 febbraio, il Consiglio dell’Unione europea adottava, su proposta dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, la decisione (PESC) 2022/351[1], la quale, nel modificare la precedente decisione 2014/512/PESC[2], adottava alcune misure e sanzioni volte a sostenere «senza riserve la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina»[3].

In particolare, rilevando l’attuazione in anni recenti di una «sistematica campagna internazionale di manipolazione dei media e di distorsione dei fatti»[4], la Decisione del Consiglio mira per l’appunto a contrastare tali pratiche da parte della Russia e l’impatto delle stesse sulla società civile dell’Unione europea e dei Paesi a quest’ultima limitrofi: a tal fine, essa introduce all’interno della decisione 2014/512/PESC un art. 4-octies, il quale vieta agli operatori «la radiodiffusione, ovvero il conferimento della capacità di diffondere, l’agevolazione della radiodiffusione o altro concorso a tal fine, dei contenuti delle persone giuridiche, delle entità e degli organismi elencati nell’allegato IX, anche sotto forma di trasmissione o distribuzione»[5] attraverso qualsiasi mezzo tecnico (cavo, satellite, IP-TV, fornitori di servizi internet, piattaforme o applicazioni di condivisione di video su internet). Inoltre, la nuova norma prevede la sospensione di qualsiasi licenza o autorizzazione di radiodiffusione, nonché qualsiasi accordo di trasmissione e distribuzione con tali soggetti[6]. Per di più, la nuova Decisione ha previsto la modifica dello stesso allegato IX, contenente la lista di quei fornitori di informazione ritenuti espressione della propaganda di regime russa e, quindi, ritenuti passibili delle nuove misure[7]. Contestualmente alla decisione (PESC) 2022/351, il Consiglio adottava altresì il regolamento (UE) 2022/350[8] il quale modificava in maniera conforme anche il precedente regolamento (UE) n. 833/2014[9].

Tra gli altri, a essere inserita nella lista di persone giuridiche cui “chiudere” tutti i possibili canali di trasmissione di notizie false o manipolatorie, vi è precisamente Russia Today France (RT France), parte ricorrente nel caso in discussione. RT France è una società per azioni semplificata a socio unico, con sede in Francia, il cui capitale sociale è detenuto interamente dall’associazione senza scopo di lucro TV Novosti, priva essa stessa di capitale sociale e finanziata quasi interamente dallo Stato russo[10]. Di conseguenza, ai sensi del nuovo art. 4-octies della decisione 2014/512/PESC, la convenzione conclusa da RT France con il Conseil Supérieur de l’Audiovisuel (CSA), oggi confluito nell’Authorité de Régulation de la Communication Audiovisuelle et Numérique (ARCOM), in data 2 settembre 2015, finalizzata alla diffusione da parte della ricorrente dei propri servizi televisivi, veniva sospesa. La sospensione di tale convenzione, che concerneva peraltro la trasmissione del programma non solo in Francia ma, altresì, in tutti i Paesi francofoni[11], ha pertanto portato al temporaneo divieto di radiodiffusione dei contenuti provenienti da RT France in tutti gli Stati membri dell’Unione[12].

A fronte di tali sanzioni, RT France proponeva ricorso innanzi al Tribunale dell’Unione europea, richiedendo l’annullamento sia della decisione (PESC) 2022/351 sia del regolamento (UE) 2022/350. Il ricorso di RT France, in particolare, si fondava su quattro motivi addotti: violazione del diritto di difesa; violazione della libertà di espressione e di informazione; violazione della libertà di impresa; e violazione del principio di non-discriminazione sulla base della nazionalità.

 

  1. Sulla violazione della libertà di espressione e informazione della ricorrente

Il secondo, e più rilevante, motivo di ricorso proposto attiene alla supposta violazione, da parte del Consiglio dell’Unione europea, della libertà di espressione e di informazione della ricorrente. Secondo RT France, le misure implementate dagli atti impugnati non sarebbero state adeguate all’effettivo perseguimento degli obiettivi addotti dal Consiglio, ovverosia, da un lato, il contrasto alla “minaccia ibrida” proveniente dalla Federazione russa e, dall’altro lato, la preservazione della pace e il rafforzamento della stessa sicurezza internazionale. Invero, tali misure comporterebbero un pregiudizio eccessivo alla libertà di espressione e di informazione della ricorrente perché il divieto «temporaneo, generale e assoluto di radiodiffusione» renderebbe il servizio di informazione da essa reso inaccessibile in tutto il territorio dell’Unione[13]. Inoltre, secondo RT France, «le misure restrittive di cui trattasi non sarebbero accompagnate da alcun limite temporale chiaro ed oggettivo, in quanto la loro revoca sarebbe subordinata a una valutazione aleatoria, se non addirittura arbitraria, del Consiglio»[14].

Con riferimento a tale motivo di ricorso, i giudici sottolineano innanzitutto le peculiarità del mezzo espressivo utilizzato, ponendo in luce come «i media audiovisivi hanno spesso effetti molto più immediati e potenti della carta stampata»[15] e, pertanto, come il loro utilizzo determini un incremento nella diligenza richiesta ai fornitori di tali servizi audiovisivi nell’espletamento dei doveri e delle responsabilità che l’esercizio della libertà di espressione comporta[16]. Successivamente, la riflessione del Tribunale si concentra sul rispetto, da parte del Consiglio, delle condizioni individuate dall’art. 52, par. 1, della Carta di Nizza per la predisposizione di eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta stessa: ovverosia, la preventiva sussistenza di una legge sulla base della quale le misure siano state adottate; il rispetto del contenuto essenziale del diritto o della libertà soggetto o soggetta a limitazione; il perseguimento di un obiettivo di interesse generale riconosciuto dall’Unione o dell’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui; nonché il rispetto del requisito della proporzionalità[17].

Di particolare rilievo risultano essere, nella presente sede, i rilievi effettuati dal Tribunale con riferimento al criterio del rispetto del contenuto essenziale del diritto in gioco, nonché quelli relativi alla proporzionalità delle misure adottate. Con riferimento al primo aspetto, i giudici dell’Unione rigettano primariamente l’argomentazione della ricorrente secondo cui gli atti impugnati non sarebbero accompagnati da confini temporali ben precisi: infatti, sostiene il Tribunale, le misure restrittive esaminate avrebbero carattere sia temporaneo sia reversibile soprattutto alla luce delle condizioni, cumulative, richieste per la loro proroga (da un lato, la cessazione dell’aggressione russa ai danni dell’Ucraina e, dall’altro lato, la cessazione da parte della Federazione russa e degli organi di informazione associati della conduzione di iniziative di propaganda contro l’Unione e gli Stati Membri)[18]. Inoltre, i giudici ritengono che gli atti impugnati non siano tali da incidere sul contenuto essenziale della libertà di espressione e di informazione in quanto, da un lato, essi non impediscono alla ricorrente di svolgere attività diverse dalla radiodiffusione (per esempio, svolgimento di attività di ricerca e di interviste) e, dall’altro lato, non vietano la diffusione di contenuti al di fuori dell’Unione: cosicché «alla ricorrente non è stato impedito né di produrre trasmissioni e contenuti editoriali né di venderle a entità non interessate dalle misure in questione […] che avrebbero potuto quindi diffondere tali contenuti al di fuori dell’Unione»[19].

Per quanto concerne, invece, il rispetto del requisito di proporzionalità, il Tribunale, dopo aver analiticamente appurato la pertinenza e sufficienza degli elementi di prova forniti dal Consiglio per iscrivere RT France nell’elenco delle persone giuridiche sottoposte alle misure restrittive adottate negli atti menzionati[20], si focalizza su tre punti: se le limitazioni siano appropriate; se esse siano, altresì, necessarie; infine, se il Consiglio abbia operato un corretto bilanciamento degli interessi in gioco. In primo luogo, i giudici, dopo aver rilevato l’ampio potere discrezionale di cui il Consiglio gode in materia di definizione della politica estera e di sicurezza comune ai sensi degli artt. 3, par. 5, 21, 23 e 24 del Trattato sull’Unione europea (TUE)[21], sottolineano che «il divieto temporaneo di diffusione dei contenuti della ricorrente, in quanto misura rientrante nell’ambito di una risposta rapida, unificata, graduale e coordinata» rappresenta invero «una misura appropriata per conseguire l’obiettivo di esercitare la massima pressione sulle autorità russe, affinché pongano fine alle loro azioni e politiche che destabilizzano l’Ucraina nonché all’aggressione militare contro tale paese»[22]. In secondo luogo, il Tribunale considera il menzionato divieto necessario alla luce della natura del canale di informazione a ciclo continuo caratterizzante il servizio offerto dalla ricorrente stessa: secondo i giudici, cioè, altre misure meno restrittive non avrebbero consentito di «raggiungere altrettanto efficacemente gli scopi perseguiti dagli atti impugnati […] dal momento che alcune di esse, come il divieto di diffusione di taluni contenuti […] sarebbero state praticamente impossibili da attuare, mentre altre, come l’obbligo di apporre un banner o un’avvertenza, avrebbero avuto efficacia limitata»[23].

Infine, il Tribunale considera corretto il bilanciamento tra gli interessi coinvolti operato dal Consiglio: infatti, la sentenza argomenta che i summenzionati obiettivi di interesse pubblico perseguiti dagli atti impugnati sono tali da prevalere sulle conseguenze negative prodotte a carico della libertà di espressione e di informazione della ricorrente[24]. In particolare, secondo i giudici, la diffusione di contenuti di disinformazione e propaganda a favore della Federazione russa non può essere oggetto della speciale tutela accordata dalla Carta di Nizza alla libertà di stampa, «specialmente laddove tale tutela è invocata da un organismo d’informazione che sostanzialmente è sotto il controllo diretto o indiretto dello Stato aggressore, come avviene nel caso di specie»[25]. Peraltro, il Tribunale argomenta altresì che l’attività di propaganda operata dalla ricorrente, essendo riferita a un contesto bellico in corso, ove l’azione della Federazione russa è stata riconosciuta nel contesto internazionale quale un atto di aggressione, costituisce potenzialmente un atto di propaganda di guerra, proibito dall’art. 20, par. 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966[26].

Alla luce di tali argomentazioni, pertanto, il Tribunale respinge il secondo motivo di ricorso, concludendo che gli atti impugnati non costituiscano una violazione della libertà di espressione e informazione della ricorrente ai sensi dell’art. 11 della Carta di Nizza.

 

  1. Gli altri motivi di ricorso

Con riferimento al primo motivo di ricorso, relativo alla violazione del diritto di difesa a norma degli artt. 41 e, soprattutto, 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, RT France muoveva, in particolare, dalla mancata previa notifica, da parte delle istituzioni dell’Unione, dell’adozione delle misure restrittive comportate dagli atti impugnati. Considerato il grave e irreversibile pregiudizio comportato da tali misure[27], l’assenza di una tale notificazione (o di una qualsiasi presa di contatto, anche informale, da parte dei rappresentanti politici e istituzionali dell’Unione) avrebbe privato la ricorrente della possibilità di esercitare efficacemente il proprio diritto di difesa, in particolare nella sua dimensione del diritto ad essere ascoltati nel corso del procedimento di adozione delle misure contestate[28]. Inoltre, a parere della ricorrente, la motivazione contenuta negli atti impugnati sarebbe stata «circolare e tautologica nonché insufficiente rispetto ai requisiti della giurisprudenza del giudice dell’Unione»[29]. Con riguardo alla violazione del diritto della parte a essere ascoltata nel corso del procedimento di adozione degli atti impugnati, peraltro, il Tribunale giustifica l’assenza di una previa comunicazione alla parte ricorrente sottolineando, da un lato, il preciso contesto storico, di straordinaria ed estrema urgenza, in cui il procedimento stesso si era inserito[30] e, dall’altro lato, l’apprezzamento delle necessità connesse alle minacce “ibride” rappresentate dal potenziale inquinamento informazionale operato da organi di informazione finanziati dalla Federazione russa e ritenuti, in quanto tali, «essere la fonte di un’attività continua e concertata di disinformazione e manipolazione dei fatti», il cui contrasto sarebbe essenziale per «tutelare l’integrità del dibattito democratico in seno alla società europea»[31]. Allo stesso tempo, con riferimento alla supposta insufficienza delle motivazioni addotte dagli atti impugnati, il Tribunale ritiene tale parte del primo motivo infondata, in quanto il tenore letterale dei considerando contenuti negli atti stessi «non costituiscono affermazioni generiche e astratte, bensì motivazioni che si ricollegano direttamente alla ricorrente e alle sue attività e che espongono in modo sufficientemente specifico le ragioni per le quali le misure restrittive in questione sono state adottate nei suoi confronti»[32]. Pertanto, il Tribunale respinge il primo motivo di ricorso[33].

Parimenti, anche il terzo e il quarto motivo di ricorso, concernenti rispettivamente la violazione della libertà d’impresa e la violazione del principio di non discriminazione su base nazionale, sono rigettati dal Tribunale. Per quanto riguarda il terzo motivo di ricorso, infatti, i giudici ritengono il divieto impugnato pienamente giustificato dagli obiettivi di interesse generale perseguiti anche alla luce della libertà d’impresa[34]. Il quarto motivo di ricorso, a sua volta, viene rigettato alla luce del rilievo che la soggezione di RT France alle misure adottate dal Consiglio, sebbene certamente influenzata dall’appartenenza della stessa a un’associazione avente sede legale in Russia, sia stata in realtà determinata primariamente su due criteri differenti rispetto alla nazionalità della ricorrente, vale a dire, da un lato, la sussistenza di un provato controllo della rete televisiva da parte del governo russo e, dall’altro lato, la rilevata attuazione di atti di propaganda favorevoli all’aggressione dell’Ucraina. Pertanto, conclude il Tribunale, «contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la struttura del suo capitale o l’origine del suo finanziamento non costituisce l’unico motivo che ha indotto il Consiglio ad adottare gli atti impugnati», cosicché l’adozione delle discusse misure non è in alcun modo da imputarsi a un atto discriminatorio su base nazionale[35].

 

  1. RT France quale legittimazione giurisprudenziale delle politiche di contrasto europee alla disinformazione?

La decisione del Tribunale in RT France c. Consiglio si inserisce, in realtà assai coerentemente, all’interno del quadro della strategia dell’Unione di contrasto alla disinformazione.

Tale strategia affonda le proprie radici nel marzo 2015 con l’invito, rivolto dal Consiglio europeo all’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, a costituire un piano d’azione in materia di comunicazione strategica, nonché a istituire una squadra ad hoc[36]. L’invito, il cui prodotto fu la costituzione della task force “East StratCom”, era stato non a caso motivato proprio dallo scoppio, nel 2014, del conflitto russo-ucraino che aveva portato all’occupazione e alla successiva annessione della penisola di Crimea da parte della Federazione russa[37]. La task force, orientata in particolare a promuovere forme di comunicazione efficaci nel contesto del vicinato orientale, a rafforzarne il contesto mediatico generale e a migliorare le strategie europee di contrasto alla disinformazione estera, era il frutto della raggiunta consapevolezza, da parte delle istituzioni euro-unitarie, della minaccia insita nel fenomeno della disinformazione e, in particolare, nell’utilizzo della disinformazione da parte di Paesi terzi quale strumento di politica estera ovvero di strategia bellica.

Del resto, sulla scorta delle interferenze riscontrate nel 2016 in occasione del referendum britannico sulla Brexit e delle elezioni presidenziali statunitensi, gli anni successivi hanno visto un incremento sostanziale delle politiche dell’Unione di contrasto alla disinformazione, in particolare laddove originata da Paesi terzi, sia nel contesto dei tradizionali servizi massmediali, sia nel contesto del nuovo scenario di internet, contesto quest’ultimo ove la particolare rapidità di diffusione dei contenuti, unita alle dinamiche tipiche della comunicazione online (creazione di camere dell’eco, filter bubbles e polarizzazione delle posizioni)[38], ha aperto a nuove e significative sfide[39]. Da ultimo, anche la recente proposta della Commissione per un nuovo regolamento sulla libertà dei media (European Media Freedom Act, “EMFA”)[40] si muove nella medesima direzione di contrasto al fenomeno della disinformazione, soprattutto laddove operato da fornitori di servizi professionali di informazione. La proposta, in particolare, è volta a incentivare e promuovere l’autonomia e l’indipendenza dei fornitori di servizi di media al fine di garantire il pluralismo e la correttezza dell’informazione, nonché di contrastare la diffusione di disinformazione. A tal fine, la proposta riconosce espressamente i rischi connessi al finanziamento delle testate e/o al loro assoggettamento da parte di Paesi terzi[41] e mira, pertanto, a limitare l’ingerenza di tali Paesi nel processo di formazione dell’opinione pubblica e, di conseguenza, nei processi democratici interni all’Unione e ai Paesi Membri[42].

La decisione del Tribunale per il caso RT France in esame, in questo senso, rappresenta un significativo tassello all’interno del quadro del contrasto europeo alla disinformazione e, in particolare, alla disinformazione originata da Paesi terzi. Nel rigettare le censure avanzate dalla ricorrente, motivate dal riferimento al plesso di norme della Carta di Nizza, la sentenza offre chiaramente una copertura, sotto il profilo del quadro europeo di tutela dei diritti fondamentali, non soltanto agli atti impugnati nel caso di specie ma, più in generale, all’insieme delle politiche europee nel settore in esame. In particolare, nell’operare un giudizio relativo alla proporzionalità delle misure adottate rispetto alla supposta violazione dei diritti della ricorrente, il Tribunale sembra offrire un ampio margine di discrezionalità e di azione al Consiglio (e, implicitamente, alle altre istituzioni), in virtù della sostanziale preminenza degli interessi generali perseguiti attraverso tali politiche.

Tale prospettiva emerge in maniera particolarmente significativa dall’articolazione della motivazione resa dai giudici con riferimento al rigetto del secondo motivo di ricorso relativo alla supposta violazione della libertà di espressione e di informazione della ricorrente, laddove, come menzionato sopra, le esigenze legate alla necessità di tutelare l’ordine pubblico dell’Unione, nonché l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina, finiscono per essere preminenti rispetto all’esercizio della libertà di espressione.

Non solo: i giudici del Tribunale, infatti, nella loro riflessione negano esplicitamente che l’utilizzo dei sistemi di comunicazione massmediali per finalità collegate alla disseminazione propaganda in favore di Paesi terzi, soprattutto nel contesto di un conflitto bellico in corso, sia meritevole di tutela rafforzata in quanto espressione della libertà di stampa[43]. Si tratta, questa, di una conclusione particolarmente rilevante alla luce del trattamento privilegiato tradizionalmente accordato, soprattutto nel contesto della giurisprudenza di Strasburgo, alla stampa e ai giornalisti, quali “cani da guardia” della democrazia[44].

Invero, il Tribunale non manca di addurre, a sostegno delle proprie conclusioni, importanti argomentazioni relative allo specifico contesto di riferimento delle azioni adottate dal Consiglio. Così, per esempio, i giudici sottolineano come la comunità internazionale si sia pressoché unanimemente schierata contro l’offensiva russa, tanto che, con ordinanza del 16 marzo 2022, la Corte internazionale di giustizia sosteneva che «l’Ucraina avesse un diritto plausibile di non essere oggetto di operazioni militari della Federazione russa»[45], ordinando a quest’ultima di sospendere le operazioni militari. Inoltre, come menzionato sopra, il Tribunale mostra di valutare con attenzione quali siano i risvolti, sotto i profili pratici, determinati dalle misure adottate dal Consiglio in capo alla libertà di espressione della ricorrente: in particolare, il Tribunale nota come a RT France non sia stato vietato l’espletamento di qualsivoglia attività legata alla libertà di espressione e di stampa. I giudici dimostrano, così, di avere condotto un effettivo e approfondito giudizio di bilanciamento nel caso in oggetto.

Sotto questo profilo, è interessante peraltro notare come il Tribunale ponga l’accento sulla necessità di tenere in conto, nel contesto del giudizio di bilanciamento tra gli interessi coinvolti, anche le specifiche modalità comunicative utilizzate e il differente grado di impatto che esse possono determinare. Così, per i giudici, non può essere ignorato che i media audiovisivi hanno spesso effetti molto più immediati e potenti della carta stampata in quanto «attraverso le immagini, gli organi di informazione audiovisivi possono comunicare messaggi che lo scritto non è idoneo a trasmettere»[46]. Per questo motivo, i doveri e le responsabilità che l’esercizio della libertà di espressione comporta «sono tanto più importanti per quanto riguarda gli organi d’informazione audiovisivi […] come la ricorrente»[47].

Non può tuttavia essere ignorata la potenziale portata che la decisione esaminata potrebbe avere pro futuro in qualità di precedente giurisprudenziale. Se RT France è motivata da ampi riferimenti a elementi di fatto e di contorno che ne supportano e avvalorano le conclusioni, le riflessioni, in astratto, in termini di diritto rappresentano anch’esse un elemento caratterizzante l’ossatura della pronuncia. Invero, l’analisi non si limita a una semplice disamina della singola controversia in esame (sulla base di un approccio case-by-case), ma contiene una pluralità di enunciati di principi di diritto, sul piano del diritto costituzionale e dei diritti fondamentali, che potrebbero determinare significative conseguenze nell’ambito del dibattito dottrinario e giurisprudenziale sul rapporto tra disinformazione, libertà di stampa e libertà di informazione. La scelta di rimuovere RT France dall’ambito di protezione della libertà di stampa, in tal senso, suscita in particolar modo perplessità e preoccupazioni in quanto sembra aprire alla possibilità per i giudici di Lussemburgo e, indirettamente, per i giudici nazionali di determinare autonomamente (se non arbitrariamente) i limiti di applicazione della libertà stessa. In tal senso, sembra auspicabile che la decisione RT France venga addotta con cautela quale precedente e modello per future pronunce, tenendo in accurato conto il carattere straordinario ed eccezionale dei fatti cui essa si riferisce e, in particolare, alla luce del particolare contesto storico e geo-politico rappresentato dalla violazione da parte della Federazione russa dell’integrità territoriale dell’Ucraina.

 

  1. Rilievi conclusivi

Complessivamente, la decisione del Tribunale per il caso in esame promuove l’approccio dell’Unione europea al contrasto al fenomeno della disinformazione, soprattutto nella forma di atti di propaganda proveniente da Paesi terzi. Nel rigettare i motivi di ricorso, presentati dalla ricorrente ai sensi della Carta di Nizza, la sentenza opera un giudizio di bilanciamento che tende a operare una gerarchia in astratto tra le finalità di interesse pubblico, perseguite dagli atti impugnati, e gli interessi addotti dalla ricorrente quale organo d’informazione di carattere audiovisivo.

Di particolare rilievo è, in tal senso, la conclusione di non ritenere violata la libertà di espressione della ricorrente ai sensi dell’art. 11 della Carta, nonché l’affermazione, assai significativa, secondo cui disinformazione e propaganda non siano da ritenersi in alcun modo coperti dalla specifica declinazione della libertà di espressione rappresentata dalla libertà di stampa.

Sebbene la soluzione adottata dal Tribunale appaia pienamente comprensibile e, in linea generale, condivisibile alla luce dello specifico contesto di riferimento e alla luce dell’urgenza di reagire a un evento contingente quale la violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina da parte della Federazione russa, l’approccio adottato dai giudici di Lussemburgo non manca di sollevare altresì alcune preoccupazioni. In particolare, desta perplessità la scelta di rimuovere, apparentemente in toto, dal campo di applicazione della libertà di stampa la produzione di contenuti asseritamente integranti forme di disinformazione e propaganda a favore di Paesi terzi, atteso l’inevitabile carattere discrezionale legato alla definizione di determinati contenuti come tali. Più in generale, sembra dunque auspicabile un atteggiamento cauto da parte dei giudici della Corte di Giustizia (nonché dei giudici nazionali) nel seguire il modello offerto dalla decisione in esame: in particolare, dovranno tenersi in conto, pro futuro, le particolari e contingenti circostanze relative allo specifico caso affrontato dal Tribunale in RT France.

[1] Decisione (PESC) 2022/351 del Consiglio del 1° marzo 2022 che modifica la decisione 2014/512/PESC concernente misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina, OJ L 65/5.

[2] Decisione 2014/512/PESC del Consiglio, del 31 luglio 2014, concernente misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina, OJ L 229/13.

[3] Decisione (PESC) 2022/351, cit., considerando 2.

[4] Ivi, considerando 6.

[5] Decisione 2014/512/PESC, cit., art. 4-octies, par. 1.

[6] Ivi, art. 4-octies, par. 2.

[7] Decisione (PESC) 2022/351, cit., art. 1, n. 2.

[8] Regolamento (UE) 2022/350 del Consiglio del 1o marzo 2022 che modifica il regolamento (UE) n. 833/2014 concernente misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina, OJ L 65/1.

[9] Regolamento (UE) n. 833/2014 del Consiglio, del 31 luglio 2014, concernente misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina, OJ L 229/1.

[10] V. Tribunale UE, T-125/22, RT France c. Consiglio (2022), §2.

[11] Ivi, §3.

[12] Ivi, §27.

[13] Ivi, §§ 118-119. Così anche Ivi, §128: «In definitiva, qualunque sia la linea editoriale di un organo di informazione o il suo pubblico, un divieto generale e assoluto di radiodiffusione costituirebbe un vero e proprio atto di censura e non potrebbe essere considerato necessario né proporzionato al fine di conseguire efficacemente gli obiettivi invocati dal Consiglio».

[14] Ivi, §120.

[15] Ivi, §138.

[16] Ibid. Il tema della particolare rilevanza dei mezzi tecnologici utilizzati è di particolare interesse nel contesto della giurisprudenza, soprattutto di Strasburgo, relativa all’esercizio della libertà di espressione e di informazione. Così, con particolare riferimento all’utilizzo di sistemi digitali e di internet, si vedano inter alia CEDU, Editorial Board of Pravoye Delo e Shtekel c. Ucraina, ric. 33014/05 (2011); Stoll c. Svizzera, ric. 69698/01 (2007).

[17] RT France c. Consiglio, cit., §145.

[18] Ivi, §§ 154-155.

[19] Ivi, §§ 156-157.

[20] Ivi, §§ 170 ss.

[21] Ivi, § 193.

[22] Ivi, § 194.

[23] Ivi, § 197.

[24] Ivi, § 204.

[25] Ivi, § 206.

[26] Ivi, § 210. A tal proposito, il Tribunale sottolinea altresì che, sulla scorta di quanto detto sopra «risulta che, nell’ambito della sua attività durante il periodo precedente all’aggressione militare dell’Ucraina da parte della Federazione russa e, soprattutto, nei giorni successivi a tale aggressione, la ricorrente ha realizzato un’azione sistematica di radiodiffusione di informazioni «selezionate», comprese informazioni palesemente false o ingannevoli, che rivelavano un evidente squilibrio nella presentazione dei vari punti di vista opposti, al preciso scopo di giustificare e sostenere detta aggressione» (§ 211).

[27] Ivi, §66.

[28] Ivi, §67.

[29] Ivi, §68.

[30] Ivi, §86.

[31] Ivi, §88. Il Tribunale prosegue sottolineando che «l’intensa copertura mediatica dei primi giorni dell’aggressione militare dell’Ucraina, quale risulta dai diversi elementi tratti da fonti pubbliche, depositati agli atti di causa dal Consiglio, ha avuto luogo in un momento critico in cui le azioni di un organo di informazione, come la ricorrente, potevano avere un’influenza significativamente deleteria sull’opinione pubblica, creando altresì una minaccia potenziale all’ordine pubblico e alla sicurezza dell’Unione»

[32] Ivi, §109.

[33] Ivi, §115.

[34] Ivi, §228.

[35] Ivi, §239.

[36] Consiglio europeo, Conclusioni del 20 marzo 2015, EUCO 11/15.

[37] Cfr. European Union External Action, Domande e risposte sulla task force East StratCom, in eeas.europa.eu, 27 ottobre 2021. Sull’East StratCom task force, si veda tra gli altri C. Bjola – J. Pamment, Digital containment: Revisiting containment strategy in the digital age, in Global Affairs, 2-2, 2016, 131 ss., spec. 132-133.

[38] C.R. Sunstein, #Republic: Divided Democracy in the Age of Social Media, Princeton NJ, 2017.

[39] La nuova stagione di contrasto alla disinformazione in rete fu avviata, in particolare, dalla Comunicazione COM(2018) 236 final del 26 aprile 2018 della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Contrastare la disinformazione online: un approccio europeo, 26 aprile 2018, COM(2018)236, nonché dal rapporto dell’High Level Group on Fake News and Online Disinformation: M. de Cock Buning et al., A multi-dimensional approach to disinformation. Report of the independent High level Group on fake news and online disinformation, Lussemburgo, 2018. Si veda altresì, da ultimo, il nuovo Codice rafforzato di buone pratiche sulla disinformazione del 2022, in digital-strategy.ec.europa.eu, 16 giugno 2022, destinato a rappresentare un innovativo strumento di co-regolazione del fenomeno in discussione nel campo digitale grazie, soprattutto, al coordinamento con il Digital Services Act (regolamento (UE) 2022/2065 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022 relativo a un mercato unico dei servizi digitali e che modifica la direttiva 2000/31/CE (regolamento sui servizi digitali), GU L 277/1). Si veda, sul tema del nuovo Codice, il simposio dedicato all’interno del blog della presente rivista

[40] Comunicazione COM(2022)457 final del 16 settembre 2022 della Commissione, Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro comune per i servizi di media nell’ambito del mercato interno (legge europea per la libertà dei media) e modifica la direttiva 2010/13/UE.

[41] Ivi, considerando 4.

[42] Cfr. ivi, art. 17.

[43] RT France c. Consiglio, cit., §206. V. supra.

[44] Cfr., inter alia, CEDU, Observer e Guardian c. Regno Unito, ric. 33014/05 (1991); Jersild c. Danimarca, ric. 15890/89 (1994)

[45] RT France c. Consiglio, cit., §204.

[46] Ivi, cit., §138.

[47] Ivi, §206.

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