Diritto all’immagine e alla riservatezza dell’ex calciatore

Corte di Cassazione, sez. I civile, 16 giugno 2022, ord. n. 19515

L’esimente prevista dall’art. 97 della legge 22 aprile 1941 n. 633, secondo cui non occorre il consenso della persona ritratta in fotografia quando, tra l’altro, la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, ricorre non solo allorché il personaggio noto sia ripreso nell’ambito dell’attività da cui la sua notorietà e scaturita, ma anche quando la fotografia lo ritrae nello svolgimento di attività a quella accessorie o comunque connesse, fermo restando, da un lato, il rispetto della sfera privata in cui il personaggio noto ha esercitato il proprio diritto alla riservatezza, dall’altro, il divieto di sfruttamento commerciale dell’immagine altrui, da parte di terzi, al fine di pubblicizzare o propagandare, anche indirettamente, l’acquisto di beni e servizi.

 

Sommario: 1. Il caso controverso – 2. La decisione della Cassazione. – 3. Basi giuridiche alternative al consenso. – 4. L’esenzione giornalistica e i dati sensibili. – 5. La normativa privacy.

 

  1. Il caso controverso

Qualche anno fa una società editoriale metteva in commercio alcuni DVD, in allegato a un quotidiano, nei quali comparivano immagini e filmati di un famoso sportivo, non solo in “azioni di gioco” o insieme alla propria squadra o con la maglia della stessa, ma anche in momenti di vita quotidiana e privata.

L’ex campione, che non aveva prestato uno specifico consenso all’edizione e distribuzione dei DVD, si ribellava tuttavia a quello che percepiva come un indebito sfruttamento della propria immagine (avendo nel corso degli anni peraltro intrapreso anche una carriera politica) e chiedeva il risarcimento dei danni (verosimilmente perché, all’epoca dell’azione, la commercializzazione dei DVD era già avvenuta e non poteva più essere inibita).

In primo grado il Tribunale accoglieva la richiesta di risarcimento, ma solo con riferimento alle immagini del giocatore che esulavano dall’ambito delle sue gesta sportive. In appello, poi, la decisione risultava sostanzialmente confermata e i giudici ribadivano l’illecito sfruttamento da parte della società editrice delle immagini che ritraevano lo sportivo nell’ambito della sua vita privata, in abiti “borghesi” e al di fuori del mondo calcistico[1].

Avverso tale decisione proponeva impugnazione di legittimità la società editrice, ritenendo di aver invece pieno diritto di pubblicare tutte le immagini contenute nei DVD, in ragione della notorietà del campione del passato e dell’interesse pubblico alla conoscenza e alla cronaca[2]. Efficacemente la ricorrente argomentava che il semplice fatto di vendere i propri prodotti d’informazione in cambio di un compenso (il prezzo del quotidiano, il prezzo del suo allegato) non ne snaturava l’attività, che era espressione della libertà d’informazione e che consentiva l’uso di fotografie e filmati di un indimenticato campione sia laddove ritratto nelle sue performance sportive, sia in altri momenti comunque d’interesse per il pubblico.

L’ex atleta si opponeva con ricorso e ricorso incidentale, lamentando viceversa l’intrusione nella propria vita privata e lo sfruttamento a fini di lucro d’immagini non coperte dalla sua notorietà di sportivo.

 

  1. La decisione della Cassazione

La Suprema Corte affronta la delicata questione rammentando tutte le norme che reggono il caso di specie e dando delle stesse una lettura combinata.

Nello specifico, i giudici di legittimità ricordano che, in base all’art. 10 c.c.[3], la regola fondamentale è quella del “consenso” del soggetto del quale si utilizza l’immagine: consenso, peraltro, sempre e comunque revocabile, perché l’immagine costituisce inalienabile diritto della personalità[4].

È ben vero che l’art. 97 della legge sul diritto d’autore (l. 633/1941, la “l.d.a.”) enumera alcune “esimenti”[5], in base alle quali si può utilizzare l’immagine altrui in assenza di consenso, ma si tratta comunque di ipotesi “eccezionali” e di stretta applicazione[6]. Peraltro, tali ipotesi eccezionali cedono il passo e non possono essere utilizzate laddove l’uso dell’immagine produca pregiudizio all’onore, alla dignità e al decoro del soggetto ritratto[7].

Posto che, nel caso sottoposto a giudizio, era pacifico che nessuna lesione dell’onore potesse riscontrarsi, ne discende, per la Cassazione, che il punto focale per la soluzione del thema decidendum risiede nella definizione dell’ambito applicativo di dette esimenti ex art. 97 l.d.a. e, ancor più precisamente, nel perimetro della facoltà di utilizzare l’immagine altrui qualora «la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico».

In proposito la Cassazione ricorda che, per giurisprudenza costante, l’anzidetta esimente non opera mai quando si sfrutti “a fini pubblicitari” un fatto d’interesse pubblico (ad es. una competizione sportiva) o la notorietà della persona (un campione sportivo), perché la ratio dell’esimente è la protezione del diritto di cronaca, non una guarentigia ad personam a favore delle società editoriali[8].

In questo senso, la l.d.a. si salda con la disciplina sulla data protection e, precisamente con all’art. 136 del d.lgs. 196/2003[9] (Codice privacy) che contempla la cd. esenzione giornalistica[10], ossia la possibilità di utilizzare dati personali di terzi in assenza di consenso e in deroga ad alcune norme privacy altrimenti applicabili, ma solo quando ricorra l’interesse costituzionale all’espressione del pensiero e al diritto di cronaca[11].

Del resto, lo stesso diritto all’oblio previsto dall’art. 17 GDPR (regolamento (UE) 679/2016) cede dinanzi all’interesse pubblico, di rango costituzionale, a informare e informarsi, ma sempre subordinatamente ai principi di continenza, essenzialità e proporzionalità dell’attività informativa[12].

Quindi, nel caso di specie, non essendoci potenziale pregiudizio al decoro e all’onore dell’ex sportivo e trattandosi, all’evidenza, di un personaggio noto, raccontato nella sua parabola di atleta, gli ermellini hanno concluso che rientrano nell’ambito della legittima pubblicazione (pur in assenza di consenso) non solo le immagini in cui l’atleta vestiva la maglia della sua squadra, ma anche quelle in cui esprimeva la sua vita di calciatore (ad esempio innalzando al cielo un trofeo)[13], restando di converso esclusa solo la pubblicazione, in assenza di consenso, delle fotografie del personaggio in occasioni private, prive di collegamento, anche indiretto, con l’attività che ne aveva determinato la celebrità.

I giudici di legittimità hanno espresso la loro massima di diritto ricostruendo “a sistema” le norme tradizionalmente invocate per dirimere le questioni afferenti il diritto di immagine (gli artt. 10 c.c. e 97 l.d.a.) e rafforzando le tradizionali interpretazioni cogliendo spunti e conferme dal Codice privacy (d.lgs. 196/2003, rivisto nel 2018 a seguito dell’entrata in vigore del GDPR).

Ne viene fuori un articolato concettuale che dispone:

– la necessità del consenso (sempre revocabile) del soggetto ritratto come “regola di base” e

– l’esenzione “eccezionale” dall’obbligo di consenso solo se: (a) la fattispecie rientri nell’esimente dell’art. 97 l.d.a. (notorietà/fatto svoltosi in pubblico/di interesse pubblico), (b) il diritto d’informazione sia esercitato in maniera corretta e misurata (continente), (c) non vi sia sfruttamento pubblicitario/commerciale e (d) non sia arrecato vulnus a onore e reputazione.

La soluzione della Suprema Corte è convincente, ma, a parere di chi scrive, è opportuno approfondirla, coordinando con più precisione l’art. 10 c.c. e la l.d.a. con la normativa di data protection.

 

  1. Basi giuridiche alternative al consenso

Si è già ricordato che l’art. 10 c.c., accanto alla regola del “consenso”, opera un rinvio mobile a tutti gli altri casi in cui l’uso dell’immagine sia consentito dalla legge.

Ebbene, ancorché fino al 2018 a buon diritto si poteva ritenere che la fattispecie principale alla quale tale riferimento si agganciava fosse quella dell’art. 97 l.d.a., non è più così dall’entrata in vigore del General Data Protection Regulation (GDPR).

Infatti tale regolamento europeo (di diretta applicabilità in Italia) e il novellato codice privacy ha ampliato significativamente le ipotesi di trattamento dei dati personali (incluse le immagini) al di fuori di qualsiasi consenso. Tali ipotesi non si riducono perciò più alla diade: consenso / esimenti ex art. 97 l.d.a. Anzi, come osserviamo sotto, l’art. 97 l.d.a. è divenuta quasi una species di un più vasto genus di esimenti previsto dal GDPR.

Non si può non osservare, in verità, che, dal punto di vista della data protection, il GDPR e il “nuovo” codice privacy hanno “spodestato” il consenso dal suo ruolo di “causa di legittimazione principale” per il trattamento dei dati: eliminando il requisito del consenso scritto[14] e, soprattutto, introducendo numerose “basi giuridiche” alternative[15], che giustificano il trattamento delle immagini, tra le quali:

– il “legittimo interesse” di chi utilizza/comunica tali immagini (anche se «a condizione che non prevalgano gli interessi e le libertà fondamentali dell’interessato»[16] e che le altre condizioni previste siano state onorate: informativa privacy, balancing test, etc.) (art. 6, par. 1, lett. f), GDPR);

– la necessità del trattamento delle immagini per “eseguire un contratto” (art. 6, par. 1, lett. b), GDPR)[17];

– la circostanza che i dati siano stati resi «manifestamente pubblici» dall’interessato (art. 9 par. 2, lett. e), GDPR).

Ogni qual volta si tratti di uso dell’immagine/dati personali altrui, l’esercizio concettuale da condurre non è più dunque quello di verificare solo se ricorra l’esimente dell’art. 97 l.d.a., ma più precisamente di vedere se ricorra una qualsiasi delle basi giuridiche previste dal GDPR. Così, laddove sia stato stipulato un contratto per l’uso di una fotografia o di un filmato, andrà verificato se ricorra la base giuridica che consente l’uso di quel materiale per eseguire tale contratto; e, laddove non vi sia contratto, andrà vagliato se la società editrice/distributrice abbia un legittimo interesse alla pubblicazione e commercializzazione che prevalga su quello del soggetto fotografato o filmato oppure se l’interessato abbia reso lui stesso pubblici i propri dati personali.

Ed è proprio qui che, a nostro avviso, entra in gioco l’art. 97 l.d.a.: non come esimente atomisticamente considerata, ma come esempio/fattispecie tipica in cui il legittimo interesse sussiste (ossia come species del genus legittimo interesse[18]).

 

  1. L’esenzione giornalistica e i dati sensibili

Detto che il trattamento dell’altrui immagine riposerà dunque sulla base giuridica del legittimo interesse (di cui l’art. 97 l.d.a. è una esplicazione), va fatto un caveat importante. Mentre infatti il legittimo interesse può valere per tutti i dati personali cosiddetti “comuni”, questa base legittimante non opera quando si tratti di dati “particolari” ai sensi dell’art. 9 GDPR[19].

Soccorrono però le regole speciali dettate per l’attività giornalistica e per le manifestazioni del pensiero in generale «anche nell’espressione […] artistica […]» (art. 85 GDPR e art. 136 del nuovo Codice privacy)[20], che consentono di superare il dogma del consenso anche con riferimento ai dati “particolari”.

Non senza limiti, naturalmente.

Infatti, come già ricordato, andranno applicate le regole deontologiche del giornalismo (art. 139 Codice privacy richiamato dall’art. 137, c. 1) e la triade di limiti “classici” al diritto di cronaca (utilità sociale, verità e continenza[21]), combinati ai criteri della minimizzazione e proporzionalità del GDPR in associazione ai principi della Carta di Nizza e della Convenzione Europea sui Diritti Umani[22] (richiamati dall’art. 137, c. 3, Codice privacy).

Ergo e per concludere sul punto, il combinato disposto di l.d.a. e disciplina sui dati personali ci consegna le seguenti regole:

(i) il consenso resta una base giuridica per l’uso dell’immagine e il consenso è sempre revocabile;

(ii) esistono casi in cui l’immagine è utilizzabile senza consenso e in queste ipotesi la revoca del consenso è irrilevante;

(iii) i casi in cui il consenso non è necessario sono quelli previsti dal GDPR (artt. 6 e 9);

(iv) il legittimo interesse e l’esecuzione del contratto rientrano in tale casistica, per quanto riguarda i dati comuni; anche i dati particolari ex art. 9 GDPR si possono trattare senza consenso;

(v) le basi giuridiche alternative al consenso presuppongono tuttavia che l’intera normativa privacy sia stata rispettata.

 

  1. La normativa privacy

Detto che il consenso non è più indefettibilmente la “regola” per usare le altrui immagini (e che, in taluni casi, la revoca di detto consenso non impedisce il loro sfruttamento), va ribadito che l’intera normativa privacy si deve applicare all’uso di dette immagini (dati personali di terzi).

Si devono dunque applicare ex professo gli obblighi che derivano dai principi generali di cui all’art. 5 GDPR:

– liceità, correttezza e trasparenza del trattamento;

– limitazione delle finalità per cui il trattamento è legittimo;

– minimizzazione del trattamento;

– esattezza e aggiornamento dei dati trattati;

– limitazione dei tempi di conservazione; protezione dell’integrità e riservatezza delle informazioni;

– autoresponsabilità di chi effettua il trattamento (art. 5 GDPR).

Il che a sua volta si traduce in estrema sintesi nell’obbligo di:

  1. a) informare preventivamente i soggetti su modalità e finalità del filmato/fotografia (artt. 12, 13, 14 GDPR)[23];
  2. b) usare solo le immagini necessarie, conservare le immagini in modo sicuro e per periodi limitati (artt. 32 ss. GDPR);
  3. c) rispettare i diritti dei soggetti immortalati (accesso, rettifica, oblio, deindicizzazione, opposizione, limitazione, revoca del consenso, etc. – artt. 15 ss. GDPR[24]).

Oltre a ciò, laddove si intenda avvalersi dell’esenzione giornalistica ex art. 136 Codice privacy, andranno anche rispettate le norme deontologiche sul giornalismo e i principi di continenza nell’esercizio di cronaca.

Insomma, in una fattispecie simile a quella che qui si commenta, la definizione della controversia doveva essere affidata (in sede di merito) anche alle seguenti verifiche:

– se la società editrice aveva inviato l’informativa privacy all’ex calciatore (indicando finalità e modalità del trattamento e identificando la base giuridica ritenuta appropriata);

– se l’uso delle immagini era basato su consenso, legittimo interesse della società editrice o esecuzione del contratto a suo tempo concluso dall’ex calciatore per l’uso delle immagini;

– se era stato effettuato il balancing test nel caso di legittimo interesse;

– se era stato rispettato il codice deontologico dei giornalisti;

– se erano rispettate le altre condizioni di continenza nel dare l’informazione;

– se il calciatore aveva il diritto alla rettifica o alla cancellazione o alla limitazione del trattamento o diritto di opposizione (artt. 16, 17, 18 e 21 GDPR).

Naturalmente la Suprema Corte ha dovuto giudicare solo sulle questioni di legittimità oggetto del ricorso e del ricorso incidentale, ma nel caso di una nuova fattispecie sottoposta a una Corte di merito sono le questioni dianzi esposte sono quelle da tenere in considerazione, spostando il focus dall’art. 97 l.d.a. alla normativa privacy in generale.


[1] «Secondo la Corte territoriale, le fotografie che ritraevano il notissimo calciatore e successivamente uomo politico (omissis) erano state pubblicate lecitamente solo quando [il sig. x]era stato ripreso in abiti sportivi, ma non quando figurava in abiti borghesi, ipotesi nella quale si era in presenza di una finalità commerciale, con automatica esclusione dell’esimente di cui all’art. 97 l.d.a.».

[2] Sosteneva incisivamente la società editrice che non bisognava concentrarsi sul “tema” delle fotografie (maglia della squadra vs. abiti borghesi) – come avevano fatto i giudici di primo e secondo grado – ma, viceversa, sull’“uso” delle immagini, ossia sul fatto che le immagini non erano state utilizzate a fini pubblicitari perché erano parte di prodotto/opera editoriale con finalità didattico-culturali.

[3] L’art. 10 c.c. prevede che «Qualora l’immagine di una persona, o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero [enfasi aggiunta]con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni». Ergo, l’intervento inibitorio e/o risarcitorio dell’A.G. è escluso solo se ricorrono entrambe le circostanze di cui alla norma: in primis, l’esposizione o pubblicazione sono avvenute in casi consentiti dalla legge e, in secondo luogo, non v’è pregiudizio a decoro o reputazione della persona la cui immagine è utilizzata. Viceversa e a contrario: anche nei casi in cui la legge permettesse “in astratto” l’esposizione/diffusione dell’immagine altrui, tale esposizione/diffusione sarebbe comunque vietata nel caso in cui “in concreto” fosse inferto un vulnus a decoro o reputazione; e, allo stesso modo, resta interdetto l’esporre o pubblicare l’immagine altrui anche in assenza di effettivo pregiudizio, se non si rientri anche in una casistica permessa dalla legge.

[4] Come ricorda la sentenza commentata: «Il consenso alla pubblicazione della propria immagine costituisce un negozio unilaterale, avente ad oggetto non il diritto, personalissimo ed inalienabile, all’immagine ma soltanto l’esercizio di tale diritto, sicché, sebbene possa essere occasionalmente inserito in un contratto, il consenso resta distinto ed autonomo dalla pattuizione che lo contiene ed è sempre revocabile, qualunque sia il termine eventualmente indicato per la pubblicazione consentita ed a prescindere dalla pattuizione convenuta, che non integra un elemento del negozio autorizzativo» (Cass. civ., sez. I, 29 gennaio 2016, n. 1748, in Danno e resp., 2017, 47, con nota di E. Barni). V. anche Trib. Milano, 21 gennaio 2015, in giurisprudenzadelleimprese.it

[5] «Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell’immagine è giustificata – dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, – da necessità di giustizia o di polizia, – da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico».

[6] Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2010, n. 11353, in Foro it., I, 2011, 534 ss., con nota di R. Pardolesi. Trib. Milano, 30 giugno 2015, in giurisprudenzadelleimprese.it: «Lo sfruttamento dell’immagine dell’attore, a fini di lucro e senza la sua autorizzazione, è violazione del diritto dell’immagine ai sensi dell’art. 10 c.c., nonché degli artt. 96 e 97 l.d.a. La notorietà del soggetto rappresentato non rende di per sé lecito lo sfruttamento dell’immagine altrui senza consenso, in assenza di esigenze di cronaca o di pubblica informazione. Le scriminanti previste dall’art. 97 L. n. 633/1941, che consentono lo sfruttamento dell’immagine altrui in mancanza del consenso dell’interessato e che vanno collegate all’esistenza di un interesse pubblico alla divulgazione dell’immagine e non a finalità di lucro, vanno interpretate in senso restrittivo e non analogico». Trib. Torino, 27 febbraio 2019, in giurisprudenzadelleiprese.it: «Le ipotesi previste dall’art. 97 della legge n. 633 del 1941, nelle quali l’immagine della persona ritrattata può essere riprodotta senza il consenso della persona stessa, sono giustificate dall’interesse pubblico all’informazione, con la conseguenza che, avendo carattere derogatorio del diritto all’immagine, sono di stretta interpretazione: il predetto interesse pubblico non ricorre ove siano pubblicate immagini tratte da un film e la pubblicazione avvenga in un contesto diverso da quello proprio dell’opera cinematografica e della sua commercializzazione. L’illecito utilizzo della immagine altrui, ai sensi dell’art. 10 c.c., infatti, si configura quando la sua divulgazione, in fotografia o in filmati pubblici, non trova ragione in finalità di informazione, ma nello sfruttamento – in difetto di consenso dell’interessato – commerciale o pubblicitario. Non è mai ammissibile la diffusione non assentita dell’immagine altrui laddove la stessa sia avvenuta per finalità di lucro, per esempio finalità pubblicitarie e promozionali, venendo in tal caso evidentemente a mancare l’interesse pubblico alla divulgazione prevista dall’art. 97 l. n. 633 del 1941».

[7] Cass. civ., sez. III, 27 agosto 2015, n. 17211, in Rep. Foro It., 2015, Responsabilità civile, n. 146.

[8] Come scritto nella sentenza commentata: «Ai sensi dell’art. 10 cod. civ., nonché degli artt. 96 e 97 l.d.a., la divulgazione dell’immagine senza il consenso dell’interessato è lecita soltanto se e in quanto risponda alle esigenze di pubblica informazione, non anche quando sia rivolta a fini pubblicitari» (Cass. civ., sez. I, 6 febbraio 1993, n. 1503, in Resp. civ., 1994, 739 ss., con nota di R. Frau).

«La giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, Sez. 1, 29.1.2016 n.1748) e ferma nell’escludere la liceità dell’utilizzo dell’immagine o del ritratto del personaggio famoso a fini pubblicitari o propagandistici, agganciandola, cioè, anche suggestivamente, ad un prodotto o un servizio al fine di incentivare i consumatori all’acquisto».

[9] Non v’è dubbio alcuno, in effetti, che l’immagine di una persona fisica sia un “dato personale” ai sensi dell’art. 4.1) del GDPR, né che la sua utilizzazione all’interno di una videoripresa o una fotografia sia un “trattamento” ai sensi dell’art. 4.2) GDPR (B. Ferri – M.L. Priori, Contenuti digitali e social network: tra GDPR e Legge sul Diritto D’Autore, in Privacy &, 2019, 93, con ricca nota di richiami).

[10] Per l’esercizio del giornalismo (latamente inteso) e con riferimento alle espressioni accademiche, artistiche e letterarie, il sistema di riferimento è disegnato:

– dall’art. 85 del regolamento (UE) 679/2016 (GDPR), che rimette agli Stati membri di dettare regole speciali, e

– dagli artt. 136 e 137 del nuovo Codice privacy, che introducono lo specifico regime italiano.

Più nello specifico, l’art. 85, par. 1, GDPR richiama l’esigenza di riconciliare diritto alla privacy e diritto di manifestazione del pensiero, mentre il par. 2 enumera le possibili eccezioni che i legislatori nazionali possono introdurre, rispetto ai generali requisiti di data protection posti dal GDPR, a salvaguardia del diritto di cronaca e di espressione artistica, accademica o letteraria. Dev’esser qui subito notato che tali norme non si riferiscono solo all’attività del giornalista, pur ampiamente intesa per ricomprendervi il blogger o il citizen journalism, ma a qualsiasi forma di manifestazione del pensiero “anche” (ma non solo) occasionale.

Recita infatti l’art. 136 del Codice privacy (rivisto a seguito dell’art. 85 GDPR) che le disposizioni “speciali” del Titolo XII (Giornalismo, libertà di informazione e di espressione) si applicano ai seguenti tre casi: (a) trattamento dati effettuato «nell’esercizio della professione di giornalista» e «per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità»; (b) trattamento dati effettuato da «pubblicisti» e «praticanti»; e (c) trattamento dati «finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o diffusione anche occasionale di articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero anche nell’espressione accademica, artistica e letteraria».

In tutte queste ipotesi, ai sensi del successivo art. 137 Codice privacy, i dati particolari ex art. 9 GDPR (cioè quelli per i quali non può valere la base giuridica del legittimo interesse) possono essere comunque trattati, anche in assenza di consenso, purché nel rispetto delle regole deontologiche relative alle attività giornalistiche (art. 139 Codice privacy) e non si applicano: le misure di garanzia per dati genetici, biometrici e relativi alla salute (art. 2 septies Codice privacy), i provvedimenti generali per trattamenti con rischi elevati compiuti per interessi pubblici (art. 2 quinquiesdecies Codice privacy), le limitazioni al trasferimento dati al di fuori dello Spazio Economico Europeo (artt. 44 e ss. GDPR).

Restano tuttavia fermi (e la norma lo ribadisce espressamente) i limiti generali al diritto di cronaca, specie con riferimento all’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti d’interesse pubblico.

[11] Scrivono i giudici di Cassazione: «In vari arresti, è stato anche precisato che la presenza delle condizioni legittimanti l’esercizio del diritto di cronaca non implica, di per sé, la legittimità della pubblicazione o diffusione anche dell’immagine delle persone coinvolte, la cui liceità è subordinata, oltre che al rispetto delle prescrizioni contenute negli artt. 10 cod. civ., 96 e 97, della l. n. 633 del 1941, nonché dell’art. 137 del d.lgs. n. 196 del 2003 e dell’art. 8 del codice deontologico dei giornalisti, anche alla verifica in concreto della sussistenza di uno specifico ed autonomo interesse pubblico alla conoscenza delle fattezze dei protagonisti della vicenda narrata, nell’ottica della essenzialità di tale divulgazione ai fini della completezza e correttezza dell’informazione fornita (Cass. 22 luglio 2015, n. 15360, in Nuova giur. civ., 2016, 89, con nota di Paglietti; Cass., 19 febbraio 2021, n. 4477, in Foro it., 2021, I, 2436, con nota di De Chiara; Cass., 9 luglio 2018, n. 18006, in Rep. Foro It., 2018, Persona fisica e diritti della personalità, n.° 122)».

[12] La Suprema Corte si esprime così: «Non viene in considerazione nella presente fattispecie neppure il tema del diritto all’oblio, su cui si è espressa la Sez. 1, n. 6919 del 20.3.2018, Rv. 647763 – 01 (Cass., 20 marzo 2018, n. 6919, in Resp. civ. e prev., 2018, 1180, con nota di Citarella), richiamata nelle conclusioni del Procuratore generale, secondo cui in tema di diritto alla riservatezza, dal quadro normativo e giurisprudenziale nazionale (artt. 2 Cost., 10 cod. civ. e 97 della l. n. 633 del 1941) ed europeo (artt. 8 e 10, comma 2, della CEDU e 7 e 8 della c.d. «Carta di Nizza»), si ricava che il diritto fondamentale all’oblio può subire una compressione, a favore dell’ugualmente fondamentale diritto di cronaca, solo in specifici presupposti: 1) il contributo arrecato dalla diffusione dell’immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico; 2) l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali); 3) l’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica del Paese; 4) le modalità impiegate per ottenere e nel dare l’informazione, che deve essere veritiera, diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione; 5) la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell’immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al pubblico». Vd. anche Cass. civ., sez. I, 24 dicembre 2020, n. 29583, in Rep. Foro It., 2020, Persona fisica e diritti della personalità, n. 229.

[13] Come scrivono i giudici di Cassazione: «Vi rientrano pertanto certamente le fotografie che ritraggono un noto calciatore in partenza o al rientro per una competizione sportiva, o mentre esibisce un trofeo vinto, o nell’atto di rilasciare a un giornalista una intervista legata alla sua attività, o ancora insieme ad altri calciatori, per di più se in un ritiro organizzato dalla sua squadra o dalla Nazionale. Ipotesi tutte in cui l’atleta, pur non indossando la divisa e non praticando attualmente il proprio sport, viene raffigurato in stretta connessione con l’ambito di attività per cui ha conseguito la notorietà, e in cui è oggetto di interesse da parte del pubblico proprio in quanto sportivo noto».

[14] Mantenendo la sola indicazione che debba essere “esplicito” ma solo per quanto riguarda i dati appartenenti a categorie particolari sensibili; art. 9, par. 2, lett. a), GDPR.

[15] In questi casi, posto che le fondamenta che legittimano l’uso dell’immagine non risiedono nel consenso, risulta altresì irrilevante l’eventuale revoca successiva del consenso, anche ove fosse stato dato.

[16] Art. 6, par. 1, lett. f), GDPR. Il discrimen valutativo per orientare il giudizio di legittimità o illegittimità nell’uso delle immagini va posto, ai sensi delle norme sopra ricordate, sulla “necessità” di utilizzare quelle immagini e sulla modalità del loro uso per evitare pregiudizio a interessi e libertà fondamentali. Tali circostanze (necessità, assenza di pregiudizio) devono invero emergere in sede di balancing test, che il titolare deve condurre in regime di autoresponsabilità prima di avviare le riprese. Vd. Parere 6/2014 sul concetto di interesse legittimo del responsabile del trattamento ai sensi dell’articolo 7 della direttiva 95/46/CE, adottato il 9 aprile 2014. Vd. EDPB Guidelines 4/2019 on Article 25, Data Protection by Design and by Default, adopted on 13 November 2019. IAB, GDPR Guidance: Legitimate Interests Assessments for Digital Advertising, March 2021. L’esistenza di un legittimo interesse presuppone sempre e comunque un giudizio in concreto, tenendo conto del contesto, della natura dei dati trattati e delle modalità e finalità del trattamento (C. D’Agata, Il legittimo interesse del titolare o di un terzo nel quadro dei diversi presupposti di legittimità del trattamento, in R. Panetta (a cura di), Circolazione e protezione dei dati personali, tra libertà e regole del mercato, Milano, 2019, 83 e 85 ss.), ma libertà di espressione e informazione, essendo anche valori costituzionali, non possono non essere ricompresi nell’ambito degli interessi potenzialmente legittimi (sempre C. D’Agata, ivi, 88). D’altro conto va anche rilevato che il danno alla reputazione è considerato come uno dei casi in cui l’autoresponsabilità del titolare del trattamento è sollecitata alla massima prudenza (considerando 75 GDPR). Vd. anche, M. Massimi, Quali orizzonti per il marketing?, in R. Panetta (a cura di), Circolazione e protezione dei dati personali, tra libertà e regole del mercato, cit., 494.

[17] Art. 6, par. 1, lett. b), GDPR, come ad esempio laddove il soggetto ritratto abbia concluso un accordo per lo sfruttamento commerciale delle sue immagini. Anche la Suprema Corte sembra essersi posta questo tema, ma non ha potuto esaminarlo perché, sulla base delle carte del giudizio e delle domande delle parti «non si fa questione però di una cessione dei diritti di utilizzazione delle fotografie da parte dell’autore originario dello scatto».

[18] La circostanza che dell’immagine sia stato fatto uso pubblicitario, in questi termini, non esclude di per sé che vi sia un legittimo interesse (vd. considerando 47 GDPR), ma naturalmente rende molto più problematico dimostrare l’esistenza di un legittimo interesse ‘prevalente’ sui diritti del soggetto ritratto.

[19] Salute, sfera sessuale, opinioni politiche o filosofiche, etc.

[20] Secondo la Convenzione di Berna, art. 2, le opere letterarie e artistiche includono ogni produzione letteraria, scientifica e del settore artistico, qualunque sia la modalità o la forma della sua espressione.

[21] Cass. civ., sez. I, 22 luglio 2015 n. 15360, in Dir. Fam., 2016, 113.

[22] Vd. considerando 73 e art. 23 GDPR, in L. Bolognini – E. Pelino (a cura di), Codice della Disciplina Privacy, Milano, 2019, 470.

[23] Volendo applicare in modo brutalmente pratico le indicazioni che precedono, il produttore e il realizzatore delle riprese dovranno innanzitutto informare i soggetti le cui immagini possano essere catturate dalla telecamera. Il che implica anzitutto l’esigenza di fornire, con «misure appropriate», la cosiddetta informativa privacy «per iscritto o con altri mezzi anche, se del caso, elettronici» (art. 12 GDPR); ossia, nel caso che ci interessa, anche con cartelloni o pannelli che riportino le informazioni essenziali sulle videoriprese ed eventualmente riportino link a siti web con informative più estese e complete. In assenza di “appropriata” informativa, invero, qualsiasi trattamento delle immagini sarà illegittimo. Dunque, la prima indicazione operativa riguarda l’assoluta necessità di cartelli, indicazioni, informazioni. Queste ultime, peraltro, giocheranno un ruolo anche per giustificare il legittimo interesse del produttore/realizzatore delle riprese, come si vedrà subito qui di seguito.

[24] C. Marino, I diritti degli interessati, in Il processo di adeguamento al GDPR, Milano, 2022, 73 ss.

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