Un approfondimento sul documento d’intesa in materia di informazione giudiziaria firmato presso il Tribunale di Milano, che pone al centro il difficile equilibrio tra il diritto a un’informazione completa e veritiera e la tutela della presunzione di innocenza.
An in-depth analysis of the agreement document on judicial information signed at the Court of Milan, which focuses on the difficult balance between the right to complete and truthful information and the protection of the presumption of innocence.
Sommario: 1. Premessa. – 2. Giustizia e informazione: una convivenza (im)possibile?. – 3. Il documento d’intesa in materia di informazione giudiziaria: una collaborazione senza precedenti tra le diverse categorie professionali. – 4. Verso una definizione “condivisa” di interesse pubblico. – 5. La comunicazione istituzionale da parte dell’autorità giudiziaria. – 6. Il decalogo volto a migliorare la previsione di accesso agli atti. – 7. Qualche riflessione conclusiva.
- Premessa
Il documento di intesa in materia di informazione giudiziaria, firmato il 9 dicembre 2024 presso il Tribunale di Milano dal suo Presidente, dal Procuratore della Repubblica di Milano, dal Presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, dalla Presidente della Camera Penale di Milano e dal Presidente dell’Ordine dei giornalisti, si propone quale strumento di collaborazione che, partendo dal dato normativo, mira ad armonizzare il rispetto della presunzione di innocenza e il diritto-dovere ad un’informazione completa e veritiera.
A tal fine, come apertamente dichiarato nella parte introduttiva sulla genesi e sulle finalità del documento, il gruppo di lavoro si è posto l’obbiettivo di elaborare una serie di principi comuni e regole operative, in coerenza con quanto previsto, a livello normativo, dal decreto legislativo dell’8 novembre 2021, n. 188 e dal codice di procedura penale.
Resta estraneo al documento d’intesa l’ambito della diffusione illecita di atti coperti da segreto o per i quali sussista un divieto di pubblicazione (artt. 114 e 329 c.p.p.), per i quali è stato espressamente concordato che «le condotte in violazione delle norme penali (artt. 326 e 684 c.p.), salve le eventuali responsabilità in sede disciplinare, dovranno essere perseguite con assoluta fermezza e attivazione investigativa, nell’interesse delle persone coinvolte, del procedimento penale e del sistema dell’informazione».
Il documento non si presta ad uno statico riconoscimento di principi e regole condivise, ma assume l’obiettivo di evolvere costantemente attraverso il continuo perfezionamento del testo sottoscritto. A tale scopo, il gruppo di lavoro si impegna a proseguire nell’interlocuzione e nel monitoraggio dei comunicati emessi dalle autorità e delle conferenze stampa con l’eventuale indizione di incontri semestrali, su iniziativa di uno dei sottoscrittori. Da ultimo, si specifica che i principi condivisi verranno fatti oggetto di diffusione anche culturale da parte degli aderenti nei confronti di ogni soggetto terzo coinvolto, quali forze di polizia, personale amministrativo e cittadini.
- Giustizia e informazione: una convivenza (im)possibile?
Il documento, per certi versi ambizioso, si colloca nel quadro del dibattito circa la convivenza tra la presunzione di innocenza – espressione privilegiata nel diritto sovranazionale in luogo della perifrasi negativa adottata dal testo costituzionale[1] – e il diritto dei cittadini ad un’informazione quanto più completa possibile, a piena realizzazione della libertà di manifestazione del pensiero quale «pietra angolare dell’ordinamento democratico»[2].
L’esigenza di una simile convivenza, definita non senza ragione «difficile, ma necessaria»[3], non emerge certo ora. Un magistrato, in tempi lontani, osservava come «giustizia e stampa, che in un’ideale isola di utopia, o in una felice Città del Sole sarebbero affettuose sorelle, concordemente affaccendate nella costante ricerca della verità, allo scopo di perseguire il bene comune e il castigo dei malvagi, sono invece, nel concreto del mondo in cui viviamo, naturalmente nemiche fra di loro»[4].
In effetti, sia la presunzione di innocenza sia la libertà di informazione costituiscono pilastri fondamentali dello Stato costituzionale di diritto che, in un mondo ideale, dovrebbero rafforzarsi vicendevolmente. Tuttavia, non è difficile rilevare l’esistenza di criticità[5] nel mantenere in equilibrio «due esigenze oggettivamente confliggenti»[6].
Questa conflittualità sprigiona tutta la sua forza soprattutto nel contesto dell’informazione giudiziaria che impone una serie di delicate valutazioni sul “se”, “che cosa” e “come” pubblicare. In linea di principio, le notizie non dovrebbero essere veicolate in modo tale da suggerire nell’opinione pubblica convinzioni colpevoliste, non fondate sull’obiettivo materiale probatorio disponibile[7]. La verifica dell’ipotesi accusatoria[8], d’altronde, si afferma nel processo davanti ad un giudice terzo ed imparziale e non nel corso delle indagini preliminari, fase in cui tipicamente si concentra l’attenzione mediatica. Come è noto, il pubblico ministero – a prescindere dal controverso dovere espresso dall’art. 358 c.p.p., che prevede la necessità per il p.m. di svolgere accertamenti anche a favore della persona sottoposta alle indagini – tende a raccogliere solo una verità parziale, cioè di parte, senza il necessario apporto del contradditorio con chi potrebbe avere un alternativo punto di vista[9].
Al tempo stesso, però, la collettività deve essere posta nelle condizioni di potersi rappresentare una propria verità, che è il necessario frutto di un’attività informativa che talvolta supporta l’azione giudiziaria e talora la incalza, la critica e persino la scardina[10]. La circolazione ed il commento dei dati concernenti l’attività giudiziaria e i suoi esiti rispondono, infatti, a esigenze essenziali in una società democratica, ma ciò non toglie che debba essere ricercato un ragionevole contemperamento tra interessi contrapposti[11].
In generale, si tratta di aspetti piuttosto noti, quasi scontati, anche perché i grandi processi penali, da quando esistono i giornali, hanno sempre suscitato l’attenzione dell’opinione pubblica, con conseguenti riflessi reputazionali sui diversi soggetti coinvolti.
Invece, ciò che è apparso come fenomeno degno di riflessione è che, in epoca attuale, si assiste ad un’amplificazione senza precedenti degli effetti derivanti dall’esposizione mediatica: l’informazione sul processo sta progressivamente lasciando spazio al c.d. «processo celebrato sui mezzi dell’informazione»[12], il quale, con una logica spesso bulimica, tende a captare – e talvolta a distorcere – ogni elemento disponibile, alimentando narrazioni fuorvianti[13]. In questo contesto, le notizie non vengono soltanto diffuse e discusse, ma si formano: il processo giudiziario ed i suoi protagonisti vengono valutati e giudicati in un’aula “virtuale” e da una giuria pubblica.
Si consideri, poi, che i processi celebrati sui mezzi dell’informazione (o, anche, “processi mediatici”) procedono in parallelo ai processi ordinari, ma sono scanditi da due ritmi diversissimi: «da un lato, vi è l’“andatura” del processo, con i suoi tempi “geologici”: la sentenza giunge di regola quando i media e la società hanno già da anni emesso la loro pronuncia e “archiviato” il fatto; dall’altro, vi è l’incalzante rapidità dell’informazione: la notizia è ormai prodotto effimero e i riflettori mediatici si possono attardare soltanto sulle primissime indagini»[14].
A complicare ulteriormente il quadro, interviene il peculiare meccanismo di funzionamento dei social media (ben distinto da quello dei media tradizionali): da un lato, esso consente a soggetti abitualmente estranei al mondo dell’informazione di diffondere “notizie”, spesso frutto di ricostruzioni parziali e semplificate; dall’altro, alimenta con costanza il flusso telematico-informativo che si dipana in ogni angolo della rete, senza possibilità concreta di essere neutralizzato[15].
Di conseguenza, la compressione dei diritti fondamentali degli indagati e imputati, tra i quali rientra la presunzione di innocenza, appare oggi suscettibile di essere enormemente amplificata. Ciò con riguardo non solo alla dimensione spaziale, con le implicazioni già menzionate, ma anche a quella temporale: le informazioni, anche se false, sono ormai agevolmente reperibili per chiunque, anche a distanza di molti anni[16].
Ora, passate brevemente in rassegna le problematiche che incidono sui rapporti tra giustizia e informazione, occorrerà volgere un rapido sguardo alle soluzioni adottate sul piano normativo.
Già nel 1988 il legislatore, allo scopo di ricercare un equo bilanciamento tra gli interessi coinvolti, aveva tentato di dare una puntuale e articolata regolamentazione al tema del segreto investigativo e dei limiti alla pubblicazione degli atti di indagine attraverso gli artt. 114, 115 e 329 c.p.p. Questa regolamentazione, però, è stata immediatamente travolta da prassi devianti[17].
In tempi più recenti, la soluzione individuata prende le mosse dal d.lgs. 188/2021[18], e dal novellato art. 5 del decreto legislativo del 20 febbraio 2006, n. 106 in materia di rapporti con gli organi di informazione. Le innovazioni normative sono state animate dal perseguimento di un obiettivo condivisibile[19]: porre un freno ai deplorevoli giudizi anticipati di colpevolezza e agli eccessi di spettacolarizzazione delle inchieste giudiziarie[20].
Tuttavia, come vedremo, nonostante l’ottimo intendimento e il fondamentale passo in avanti compiuto sul terreno giuridico e culturale, le soluzioni adottate non si sono rivelate particolarmente soddisfacenti e in linea con gli obbiettivi dichiarati[21].
Ciò premesso, per meglio comprendere il contesto entro il quale il documento d’intesa intende esercitare i suoi effetti, giova richiamare brevemente il vigente quadro normativo, così come delineato dal d.lgs. 188/2021.
L’art. 2 del decreto ha inteso ridimensionare il perimetro comunicativo dell’autorità pubblica assegnando centralità al principio di non colpevolezza: viene, infatti, previsto il divieto per le autorità pubbliche[22] di indicare come colpevole la persona sottoposta ad indagini o l’imputato sino all’irrevocabilità della sentenza o del decreto penale di condanna. Tale prescrizione è assistita, oltre che da sanzioni di natura penale e disciplinare, dall’obbligo del risarcimento del danno derivante dalla lesione della presunzione di non colpevolezza e dal diritto per l’interessato di richiedere la rettifica della dichiarazione resa dall’autorità pubblica. Ove essa non venga disposta, ovvero non sia conforme alle stesse modalità della dichiarazione, l’interessato potrà rivolgersi direttamente al giudice a norma dell’art. 700 c.p.c.
Il successivo art. 3 ammette la diffusione di notizie sui procedimenti penali in corso solo se strettamente necessaria alla prosecuzione delle indagini o se giustificata da specifiche ragioni di interesse pubblico e unicamente per il tramite di comunicati ufficiali o, nei casi di particolare rilevanza, di conferenze stampa.
Infine, viene introdotto un apposito articolo 115 bis c.p.p. rubricato “garanzia della presunzione di innocenza” in base al quale “nei provvedimenti diversi da quelli volti alla decisione in merito alla responsabilità penale dell’imputato (…) l’autorità giudiziaria limita i riferimenti alla colpevolezza (…) alle sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti, i requisiti e le altre condizioni richieste dalla legge per l’adozione del provvedimento”.Sul piano deontologico-giornalistico, merita di essere segnalata la specifica norma posta a garanzia della presunzione di innocenza. Il Testo unico dei doveri del giornalista all’art. 8 recita “il giornalista rispetta sempre e comunque il diritto alla presunzione di non colpevolezza”[23]. Il linguaggio, chiaro e laconico, non lascia spazio ad alcuna interpretazione: la tutela dell’indagato e imputato trova, pertanto, una puntuale risposta sul piano deontologico, con la precisa assunzione di responsabilità da parte del giornalista.
- Il documento d’intesa in materia di informazione giudiziaria: una collaborazione senza precedenti tra le diverse categorie professionali
Conclusa la premessa dell’attuale quadro dei rapporti tra presunzione di innocenza e informazione giudiziaria e venendo all’esame delle questioni sollevate dal documento d’intesa, preme anzitutto inquadrare il processo che ha portato alla sua formazione.
In primo luogo, la volontà di avviare un percorso comune per garantire una corretta rappresentazione delle vicende giudiziarie è emersa con evidenza, oltre che nel dibattito pubblico, anche nei vari momenti di confronto tra gli appartenenti alle diverse categorie coinvolte (in primis giornalisti, avvocati e magistrati). Questi incontri hanno fornito un fondamentale punto di riferimento nell’elaborazione documentale, non solo dal punto di vista contenutistico ma proprio di impostazione metodologica: l’apporto di soggetti qualificati appartenenti alle diverse categorie risulta, infatti, la modalità preferibile al fine di pervenire a conclusioni adeguate circa la complessità̀ del tema affrontato[24].
Alla luce di tali considerazioni, nel giugno del 2023 è stato avviato un tavolo di discussione su iniziativa del Presidente del Tribunale di Milano che ha coinvolto anche l’Ordine dei giornalisti della Lombardia, la Procura di Milano, l’Ordine degli avvocati di Milano e, da ultimo, la Camera Penale di Milano, con il proposito di dar vita ad un documento condiviso sul delicatissimo tema della corretta informazione giudiziaria.
Il documento, frutto di un confronto definito dal Presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia «aperto e leale»[25], rappresenta un importante passo avanti nel tentativo di superare e, in qualche modo, “correggere” le rigidità imposte dal d.lgs. 188/2021.
Una simile metodologia rappresenta, a tutti gli effetti, un’innovazione in Italia nella sperimentazione regolativa dei rapporti tra uffici giudiziari, giornalisti e avvocati: in precedenza, infatti, si assisteva per lo più a protocolli operativi calati “dall’alto” da parte dei Tribunali, primi fra tutti quelli relativi all’individuazione di priorità nella trattazione degli affari penali.
Questo nuovo approccio partecipativo, al di là dei rilievi futuri allo stato impronosticabili, sembra accogliere positivamente l’auspicio che già nel 2018 il Consiglio Superiore della Magistratura aveva formulato in occasione di una delibera assunta sul tema della comunicazione istituzionale[26]. Infatti, in quella circostanza, l’organo di governo autonomo della magistratura sottolineava la necessità di sviluppare «forme appropriate di cooperazione» nei rapporti tra magistrati e mass media.
Non solo, l’iniziativa lombarda non si limita a fornire un modello locale, ma ambisce a diventare un punto di riferimento per l’intero territorio nazionale[27].
Infatti, ad oggi non si registrano documenti analoghi in altri tribunali. L’unica iniziativa meritoria di menzione, per la quale non si può evidentemente parlare di “analogia” ma che condivide con quella lombarda gli intenti apprezzabili, è quella umbra del marzo 2022. In quell’occasione, è stato istituito in via sperimentale un osservatorio regionale permanente composto da giornalisti con il compito di monitorare, di concerto con la Procura generale di Perugia, la comunicazione ufficiale concernente procedimenti penali. Anche in questo caso l’obiettivo, stante l’esplicito riferimento alla volontà di migliorare la qualità dell’informazione giudiziaria, suole concretizzarsi attraverso l’avvio di un percorso comune tra giornalisti e Procure dal quale, però, a differenza dell’iniziativa lombarda, restano esclusi gli organi rappresentativi dell’avvocatura.
- Verso una definizione “condivisa” di interesse pubblico
Una delle grandi discussioni che si sono aperte tra i vari soggetti partecipanti al gruppo di lavoro è quella riguardante la nozione di «interesse pubblico» e, in particolare, la minore o maggiore latitudine del concetto, posto alla base della comunicazione istituzionale delle Procure.
Sul punto, com’era presumibile, le opinioni si sono rivelate piuttosto polarizzate. In un primo momento, come dichiarato da uno dei protagonisti del gruppo di lavoro[28], la discussione ha persino rischiato di arenarsi definitivamente, a causa delle tensioni manifestatesi nella ricerca di un valido compromesso interpretativo.
Prevedibilmente, il momento di maggiore frizione si è manifestato tra inquirenti ed avvocati. Il problema, dal punto di vista degli avvocati, sarebbe il danno reputazionale dei cittadini coinvolti in un’inchiesta, in virtù del quale occorrerebbe rigidamente intendere il parametro-guida della comunicazione. All’opposto gli inquirenti, e ovviamente i giornalisti, si sono dimostrati favorevoli ad un approccio più ampio e flessibile nello scioglimento del nodo interpretativo.
Superata l’iniziale stasi, gli aderenti al gruppo di lavoro hanno inteso soffermarsi, con il precipuo intento di addivenire ad una definizione condivisa della nozione, sulla ratio dell’intervento riformatore.
Ma procediamo con ordine.
Come anticipato, l’art. 3 del d.lgs. 188/2021, che costituisce il cardine della normativa introdotta, interviene sul d.lgs. 106/2006 dedicato alla organizzazione degli uffici di Procura. In particolare, le modifiche si sono concentrate sull’art. 5 dedicato ai “rapporti con gli organi di informazione” incidendo sul quomodo della divulgazione delle informazioni circa procedimenti penali e, prima ancora, sull’an. Rinviando ad un secondo momento la trattazione delle modalità di diffusione delle informazioni (quomodo), ci si concentrerà prima di tutto sulle ragioni legittimanti la diffusione delle informazioni (an).
Si prevede che la diffusione di informazioni sui procedimenti penali sia consentita esclusivamente al sussistere di un presupposto giustificativo per la comunicazione. Tale presupposto si ricaverebbe nella presenza di due condizioni tra loro alternative: una specifica esigenza investigativa oppure un rilevante interesse pubblico.
Orbene, all’indomani dell’entrata in vigore del decreto, le maggiori criticità si sono manifestate proprio in relazione al concetto di «interesse pubblico», posta l’evidente complessità di operare una precisa delimitazione del criterio, ritenuto particolarmente sfuggente. In particolare, ci si è chiesti come debba essere interpretato e se si debba far leva su un criterio modulato sul “tipo” di provvedimento oppure su una valutazione in concreto e caso per caso[29].
Un altro versante critico sarebbe poi rappresentato dal fatto che, nonostante l’apparente perentorietà della prescrizione («la diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando (…)»), all’atto pratico, la divulgazione di informazioni riguardanti procedimenti penali dipenderebbe essenzialmente dalla discrezionalità di chi le detiene (cioè il p.m. titolare delle indagini), il quale ben potrebbe sostenere, a suo insindacabile giudizio[30], la ricorrenza del criterio[31]. Eppure, difficilmente contestabile appare l’affermazione che sia «sempre inoppugnabilmente sostenibile»[32] un interesse pubblico alla conoscenza o conoscibilità di un processo penale. In altre parole, ogni processo e ogni indagine rivestirebbe, per sua natura, un interesse pubblico e la segretezza non può che costituire un’eccezione, stabilita per rendere efficace l’azione investigativa[33].
Spostando l’attenzione sul fronte della disciplina europea, è facile notare come la norma italiana sembri ricalcare in maniera acritica il testo della direttiva[34], anch’essa poco nitida, di cui è attuazione[35]. Infatti, per meglio comprendere i termini dell’«interesse pubblico», in sede di confronto tra gli aderenti è parso opportuno esaminare anche l’ambito di applicabilità della disciplina europea.
Così, a partire dalle disposizioni europee legittimanti la comunicazione delle Procure e nell’ambito della corretta individuazione della nozione di «interesse pubblico», si è convenuto di operare una sorta di separazione tra la comunicazione caratterizzante l’attività dei giornalisti e quella delle «autorità pubbliche»[36]. Solo nei confronti di quest’ultime si applicherebbe lo specifico parametro di cui al d.lgs. 188/2021 che presiede alla divulgazione delle informazioni sui procedimenti penali, come conferma la scelta del legislatore europeo di escludere dal campo di applicazione della direttiva i giornalisti[37] e come del resto dimostra il fatto che nel decreto legislativo l’attività giornalistica non è mai menzionata.
La ragione della non sovrapponibilità dell’interesse pubblico che deve improntare la comunicazione delle autorità pubbliche da quello che deve muovere l’attività giornalistica viene ricondotta alla diversità di ruolo e di funzioni che caratterizza le due figure: da un lato il giornalista che, in ragione della sua essenziale funzione di controllo dell’operato dei pubblici poteri, non può e non deve limitarsi ad una presa d’atto delle informazioni provenienti dall’ufficio requirente[38]; dall’altro il pubblico ministero che, in ragione della sua funzione istituzionale, è chiamato a rappresentare e tutelare gli interessi oggettivi dell’intero ordinamento giuridico[39].
Alla luce di queste considerazioni, il parametro legislativo cui devono riferirsi le autorità pubbliche non coincide con l’interesse pubblico che consente[40] ai giornalisti[41] di invocare, in sede sia civile che penale, l’esimente del diritto di cronaca in presenza di lesioni all’onore e alla reputazione di un individuo.
Infatti, mentre l’esercizio del diritto di cronaca deve essere il più ampio possibile, in conformità all’art. 21 della Costituzione, e può rispondere a criteri di rilevanza pubblica generale, la facoltà del Procuratore di divulgare informazioni su procedimenti penali è legata unicamente alle esigenze del procedimento penale e alla particolare gravità del fatto reato.
Fatte queste premesse, il documento procede a enumerare, senza pretesa di tassatività, i casi in cui è consentita la divulgazione di informazioni concernenti procedimenti penali, vale a dire: a) la sussistenza di motivi connessi all’indagine (ad esempio allorché sia utile per identificare il presunto autore del reato); b) la sussistenza di motivi di sicurezza (ad esempio in caso di rischio ambientale o di altre situazioni di pericolo per la collettività); c) quando sia necessario fornire informazioni oggettive sullo stato del procedimento penale al fine di prevenire turbative dell’ordine pubblico ovvero quando la diffusione circa le modalità della condotta oggetto del procedimento penale sia utile a evitare la commissione di ulteriori reati. Da ultimo, si specifica che anche al di fuori dei casi menzionati e nel caso in cui la notizia sia già stata diffusa dagli organi di stampa e abbia assunto rilevanza pubblica, possono essere forniti alla stampa chiarimenti sullo stato del procedimento.
Ciò detto, lo sforzo di individuare casi emblematici ove la sussistenza del pubblico interesse è già di per sé accertata, appare senz’altro lodevole. Per la verità, tale elenco nulla aggiunge allo stato dell’arte in quanto si limita a riprodurre pedissequamente quanto già affermato in sede europea[42]. In questo senso, sarebbe risultato preferibile ravvisare nuovi elementi da considerare in sede di valutazione della sussistenza dell’interesse pubblico, essendo quest’ultimo, come rilevato in precedenza, parametro di difficile interpretazione.
- La comunicazione istituzionale da parte dell’autorità giudiziaria
Venendo ora alla trattazione delle modalità di diffusione delle informazioni circa procedimenti penali, l’art. 5 del d.lgs. 106/2006, nella formulazione precedente, si limitava a disporre, al primo comma, che il Procuratore della Repubblica mantiene i rapporti con gli organi di informazione personalmente o tramite delegato. Veniva, dunque, attribuita una notevole centralità al ruolo del Procuratore in qualità di unico soggetto legittimato ad intrattenere rapporti con gli organi dell’informazione, potendo al massimo avvalersi di un magistrato dell’ufficio appositamente delegato[43].
A seguito delle modifiche intervenute nel 2021 questa centralità viene rafforzata attraverso l’individuazione degli strumenti di comunicazione che possono essere a tal fine impiegati. Infatti, si prevede che la comunicazione debba avvenire esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa[44]. Anche in questo caso, la formulazione ha disvelato significative criticità sintetizzabili nella considerazione che per contrastare la “cattiva” informazione (obiettivo che, in senso lato, si propone il decreto) risulterebbe maggiormente efficace focalizzare l’attenzione sulle modalità attraverso cui promuovere una corretta informazione, non certo sulla pretesa di ingessare le modalità di diffusione delle notizie[45].
Mettendo però da parte le questioni che attengono strettamente al dato normativo, è opportuno comprendere lo spazio d’intervento operativo del documento d’intesa riconducibile essenzialmente a due versanti, uno relativo alle tempistiche e uno relativo alle modalità.
In primo luogo, viene opportunamente prevista la non pubblicabilità dei comunicati prima che gli interessati e i loro difensori abbiano ricevuto le notifiche dell’atto o, in caso di conclusione delle indagini, abbiano avuto l’opportunità in concreto di visionare gli atti (indicazione valevole anche per la convocazione delle conferenze stampa). Ciò, come si vedrà più avanti, in coerenza con quanto sancito dall’art. 329 c.p.p. in tema di segreto investigativo.
In secondo luogo, viene stilato un elenco delle caratteristiche che devono improntare la comunicazione istituzionale, sia essa manifestata attraverso comunicati o conferenze stampa[46]. In realtà, l’elencazione si risolve in una mera riproduzione di norme previgenti dalla più svariata natura: basti pensare alla necessità di attribuire l’attività in modo impersonale all’ufficio escludendo ogni riferimento ai magistrati assegnatari del procedimento, contenuta nell’art. 5, comma 2, del d.lgs. 106/2006, all’esigenza di assicurare il diritto dell’indagato/imputato a non essere indicato come colpevole fino a sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili, prevista dal successivo comma 2 bis, o al divieto di diffondere immagini di minori e di persone in vinculis stabilito dall’art. 114 commi 6 e 6 bis del c.p.p.
Certo è che non si poteva pretendere alcuna novità nell’enumerazione degli elementi ivi previsti, posta la valenza solo orientativa e non normativa di un simile documento. Pertanto, in questo caso, risulta apprezzabile lo sforzo ricognitivo degli aderenti al gruppo di lavoro nel guidare i protagonisti della comunicazione istituzionale.
Proseguendo nella disamina del documento, non può che rilevarsi il pregevole intento di soffermarsi anche sull’annosa questione dei presupposti per l’eventuale rilascio di copia ai giornalisti di ordinanze applicative di misure cautelari personali e reali disposte dall’autorità giudiziaria. L’intento, pur apprezzabile, è rimasto tale poiché, nel lasso di tempo intercorrente tra la pubblicazione del documento d’intesa e la stesura del presente contributo, è stato definitivamente approvato il decreto legislativo del 10 dicembre 2024, n. 198 con cui si prevede un nuovo adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni europee sul rafforzamento della presunzione di innocenza.
L’intervento, risoltosi peraltro in un’unica disposizione di natura sostanziale, ha inteso modificare l’art. 114 c.p.p. con la definitiva consacrazione del divieto di pubblicazione delle ordinanze cautelari fin quando non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare[47]. L’effetto di tali modifiche, per quel che qui rileva, rischia di determinare il prematuro superamento delle previsioni operative espresse nel documento d’intesa.
- Il decalogo volto a migliorare la previsione di accesso agli atti
Alla luce di quanto esaminato sinora, si rileva che il passaggio più significativo e maggiormente ambito dalla categoria giornalistica è rappresentato dal c.d. “decalogo ai fini dell’applicazione dell’art. 116 c.p.p.”.
Procedendo con ordine, giova preliminarmente richiamare quanto previsto dalla disposizione processuale: quest’ultima, al primo comma, prevede la possibilità, riconosciuta a chiunque vi abbia interesse, di ottenere il rilascio a proprie spese di copie, estratti o certificati di singoli atti.
Gli atti ai quali si fa riferimento sono quelli per i quali sia venuto meno il segreto interno[48], quel segreto, cioè, finalizzato esclusivamente al buon esito dell’indagine (non alla dignità dell’imputato o alla riservatezza dei terzi), la cui regola fondamentale è espressa dal primo comma dell’art. 329 c.p.p. Tale disposizione prevede che gli atti investigativi della polizia e del pubblico ministero non siano accessibili ad altre persone, finché l’imputato o il suo difensore non ne possano avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.
Una volta determinata la caducazione del segreto previsto dell’art. 329 c.p.p., chiunque vi abbia interesse può acquisire atti del procedimento. E, poiché, pacificamente, non deve trattarsi di un interesse giuridicamente radicato nel procedimento de quo[49], anche il giornalista può chiedere ed ottenere l’accesso ad atti non più coperti da segreto interno.
Attenzione, però, il fatto che il giornalista possa chiedere copia degli atti non significa che egli vanti un correlativo diritto a veder soddisfatta la sua richiesta: quest’ultima, infatti, ottiene riscontro mediante autorizzazione del pubblico ministero (art. 116, co. 2 c.p.p.), rendendo il giornalista di fatto dipendente dall’arbitraria valutazione dell’ufficio di Procura[50]. Infatti, si ravvisano prassi distorsive: il pubblico ministero tende a favorire determinati giornalisti – a proposito dei quali si è parlato di giornalisti “questuanti” – dando luogo ad una «censurabile “fiera delle informazioni” dagli esiti poco edificanti»[51].
Proprio su questo versante critico si incentrano le proposte, avanzate nel tempo da alcuni giornalisti[52] – per le quali si rileva il favor anche di parte del ceto magistratuale[53] – di disciplinare legislativamente il loro accesso agli atti, al fine di annichilire la dipendenza da fonti portatrici di interesse e, contestualmente, preservare la libertà e professionalità dei giornalisti. In altre parole, l’accesso al giornalista «eviterebbe di perpetuare situazioni di sostanziale sudditanza in cui egli può venire a trovarsi» e, soprattutto, «consentirebbe un esercizio realmente più responsabile dell’informazione»[54].
A tal proposito, le circolari di alcune procure[55] si sono spinte al punto di inserire a pieno titolo il giornalista tra i soggetti titolari di un interesse qualificato a richiedere copia di atti processuali non più segreti. In questo senso, non sono mancate critiche da parte della classe forense nelle quali si evidenzia l’insorgere del rischio di abbattimento dei principi sulla presunzione di innocenza[56].
Fatte queste premesse, occorre ora soffermarsi sulla soluzione individuata dagli aderenti al tavolo di confronto, in cui si è chiaramente tenuto conto delle istanze provenienti dalla classe forense.
La proposta pervenuta dall’Ordine dei giornalisti, poi “recepita” dal tavolo di confronto, è stata quella di concedere al giornalista la possibilità di avanzare all’autorità giudiziaria una richiesta di accesso agli atti ogni qualvolta sia presente, a livello nazionale o locale, una delle seguenti situazioni: a) il crimine è molto grave o ha caratteristiche tali da incidere nella quotidianità di una comunità o nella visione del mondo dei lettori, anche sotto il profilo etico e di costume; b) c’è una connessione o una contraddizione tra un ufficio, un mandato, un ruolo sociale o una funzione anche professionale di una persona e l’azione per la quale è accusata; c) c’è una connessione tra la posizione di una persona nota, anche a livello locale o in ambienti ristretti ma rilevanti per la vita sociale, e il crimine di cui è accusato oppure se il crimine di cui una persona è accusata è contraria alla sua immagine pubblica; d) un crimine grave è commesso in pubblico; e) è stato effettuato un arresto in flagranza; f) è stato emesso un mandato d’arresto o un fermo su iniziativa della polizia giudiziaria; g) in tutti gli altri casi in cui l’attenzione del pubblico abbia inequivocabilmente mostrato una solida rilevanza sociale e civile per il procedimento; h) in tutti quei casi dove l’azione del potere giudiziario limita la libertà personale dell’individuo e dunque è soggetta all’interesse giornalistico in funzione democratica, sia in fase di indagine preliminare sia in fase processuale, anche con specifico riferimento alla tutela della presunzione di innocenza nel processo penale[57].
Si tratta di circostanze in cui è chiaramente ravvisabile un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti e delle modalità di gestione da parte dell’autorità giudiziaria. Tuttavia, è fondamentale precisare che la possibilità di accedere agli atti in tali contesti non implica automaticamente un diritto incondizionato alla loro pubblicazione. Al fine di evitare responsabilità derivanti dalla diffusione delle informazioni, il giornalista è tenuto a conformarsi ai principi di verità, pertinenza e continenza espressiva, garantendo altresì il pieno rispetto del principio di presunzione di innocenza. In ogni caso, si tratta di aspetti puntualmente richiamati nelle norme deontologiche contenute sia nel Testo unico dei doveri del giornalista, sia nel nuovo Codice deontologico della categoria che entrerà ufficialmente in vigore nel giugno del 2025.
- Qualche riflessione conclusiva
In conclusione, sembra certamente potersi apprezzare la modalità partecipativa impiegata dal documento milanese, a dimostrazione della reale volontà di creare sinergie virtuose tra categorie professionali tradizionalmente caratterizzate da posizioni divergenti.
Tuttavia, lo spazio d’intervento è severamente limitato in partenza. Le soluzioni suggerite incidono, ovviamente, a legislazione invariata poiché il fondamento di un simile documento è di natura “pattizia”: si tratta di una sorta di soft law, di una regolamentazione che nasce dal basso. La conseguenza è che non ha, ne può avere, alcuna forza cogente sui singoli giornalisti, magistrati o avvocati, pur avendo inevitabili riflessi anche su coloro i quali non vi hanno volontariamente aderito[58].
In ogni caso, le disposizioni contenute nel documento d’intesa, pur ricalcando in parte il controverso quadro normativo, offrono un’interpretazione estensiva delle modalità attraverso cui garantire una corretta rappresentazione delle vicende giudiziarie, lasciate normativamente nella disponibilità dei singoli magistrati.
Apprezzabile, nella direzione di un sistema comunicativo più equilibrato, appare soprattutto l’intento di soffermarsi sulla nozione di «interesse pubblico» e sull’individuazione di parametri oggettivi per l’accesso agli atti da parte della stampa. In entrambi i casi l’obbiettivo sullo sfondo è duplice: evitare tanto la spettacolarizzazione dei processi quanto l’oscuramento di informazioni di rilevante interesse pubblico.
Tuttavia, resta allo stato impronosticabile l’effettività dei principi espressi. Il contesto, costellato da prassi patologiche, certo non aiuta. Invero, se da un lato il documento d’intesa si propone come valido strumento di autodisciplina, dall’altro non si può ignorare la necessità di ulteriori interventi che rafforzino l’efficacia dell’impianto normativo, garantendo un più solido argine alle distorsioni del processo mediatico.
Ciononostante, il modello sperimentato a Milano potrebbe costituire un valido punto di riferimento per altre realtà territoriali, favorendo una più ampia riflessione a livello nazionale sul rapporto tra giustizia e informazione. La sua riuscita dipenderà non solo dall’impegno degli attori coinvolti nel rispettare le regole condivise, ma anche dalla capacità del sistema di recepire e valorizzare i principi espressi nel documento, trasformandoli in prassi consolidate e applicabili su larga scala.
[1] Sul tema della distinzione tra le due locuzioni, si rinvia a P. Ferrua, La prova nel processo penale, I, Struttura e procedimento, Torino, 2017, 92 ss.
[2] Corte cost., 17 aprile 1969, n. 84.
[3] In questi termini N. Triggiani, Introduzione. «E’ la stampa, Bellezza! E tu non puoi farci niente! Niente!» (…Neppure con il soccorso della presunzione di innocenza), in Id. (a cura di), Informazione e giustizia penale, Bari, 2022, 1.
[4] Così testualmente G. C. Romano Ricciotti, Dal processo giudiziario al processo giornalistico, in N. Lipari (a cura di), Giustizia e informazione, Roma-Bari, 1975, 272.
[5] Come puntualmente osserva P. Sammarco, Giustizia e social media, Bologna, 2019, 656.
[6] Così precisamente L. Ferrarella, Non per dovere ma per interesse (dei cittadini): i magistrati e la paura di spiegarsi, in Questione giustizia, 4, 2018, 310; Si noti, peraltro, come tale conflittualità emerga con chiarezza soprattutto nelle fonti sovranazionali. L’art. 19 del Patto internazionale sui diritti civili e politici specifica che la libertà di espressione può essere soggetta a limitazioni qualora ciò sia necessario, tra l’altro, per tutelare “il rispetto dei diritti o della reputazione altrui”. In senso analogo e più ampio, l’art. 10 CEDU afferma che l’esercizio della libertà d’espressione “può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica […] alla protezione della reputazione o dei diritti altrui”.
[7] Cfr. F. Perchiunno, Diritto all’informazione giudiziaria e altri interessi primari: un difficile bilanciamento, in N. Lipari (a cura di), Giustizia e informazione: dalla cronaca giudiziaria al “processo mediatico”, cit., 81.
[8] Quanto meno quella processuale poiché, com’è noto soprattutto nella dottrina processualpenalistica, una società civile non può e non deve perseguire “ad ogni costo” la verità storica. Sul punto, si v., G. Giostra, Prima lezione sulla giustizia penale, Roma-Bari, 2020, 250 ss.
[9] Cfr. Unione Camere Penali, La spettacolarizzazione dell’informazione giudiziaria oltre la presunzione di innocenza: un confine sempre più labile tra media e giusto processo, unione camere penali, in Osservatorio Informazione Giudiziaria, Media e Processo Penale, 2024.
[10] A tal proposito, è utile sottolineare che la cronaca giudiziaria non necessariamente si pone in conflitto con gli interessi degli imputati: «la diffusione di informazioni sui processi permette all’opinione pubblica non solo di conoscere il fatto di reato e il suo autore, ma anche di controllare l’operato degli organi giurisdizionali, per evitare che essi, lontano da occhi indiscreti, abusino del proprio potere», come osservato da. C. Melzi d’Eril-G. E. Vigevani, Informazione e giustizia, in Aa. Vv. (a cura di), Diritto dell’informazione e dei media, Torino, 2022, 92.
[11] Cfr. G. Mantovani, Informazione, giustizia penale e diritti della persona, Napoli, 2011, 3.
[12] G. Giostra, Un catechismo per atei, Una prima lettura del d.lgs. n. 188 del 2021, in questa Rivista, 2022, 5.
[13] G. Giostra, Processo penale e mass media, in Criminalia – Annuario di scienze penalistiche, 2007, 59.
[14] G. Giostra, Un catechismo per atei, cit., 11; In termini sostanzialmente analoghi L. Ferrarella, Non per dovere ma per interesse (dei cittadini): i magistrati e la paura di spiegarsi, cit., 310 in cui l’autore afferma l’esistenza di «tempistiche incompatibili» tra il processo mediatico e il processo ordinario, «tanto che proprio questa sfasatura di temi tra giustizia e suo racconto è tra le prime cause della disaffezione e dei pregiudizi dei cittadini»; Si v. anche C. Gabrielli, Presunzione di innocenza e informazione giudiziaria, in F. Cassibba-J. Della Torre-N. E. La Rocca-F. Zacchè (a cura di), Le nuove frontiere della presunzione di innocenza, Padova, 2024, 23.
[15] P. Sammarco, La presunzione di innocenza. Un nuovo diritto della personalità, Milano, 2022, 3, R. Orlandi, La giustizia penale nel gioco di specchi dell’informazione, Regole processuali e rifrazioni deformanti, in Giustizia penale e informazione giudiziaria, 3, 2017, 57.
[16] Cfr. Corte cost., 11 luglio 2021, n. 150.
[17] Messe ben in evidenza, fra i molti, da O. Mazza, Tradimenti di un codice, Torino, 2020, 55 ss.
[18] Recante disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343 in tema di rafforzamento della presunzione di innocenza. Peraltro, si rileva che in attuazione della direttiva sono state adottate due deleghe legislative: la prima, con l. 25 ottobre 2017, n. 163, che il governo ha deciso di non esercitare, ritenendo che l’ordinamento giuridico nazionale contemplasse già garanzie adeguate e conformi alle disposizioni della Direttiva; la seconda (adottata a seguito della presentazione di una relazione sullo stato di attuazione della Direttiva), con l. 22 aprile 2021, n. 53, con la quale si perviene definitivamente all’emanazione del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188. In ogni caso, per una compiuta genesi del decreto legislativo, si v., fra i molti, N. Rossi, Il diritto a non essere “additato” come colpevole prima del giudizio. La direttiva UE e il decreto legislativo in itinere, in Questione Giustizia, 2021.
[19] Ciononostante, è stato definito «improbo» da G. Giostra, Comunicare il processo penale. Interessi costituzionali in precario equilibrio, in C. Gabrielli (a cura di), Comunicare il processo penale, regole, patologie, possibili rimedi, cit., 17. Secondo l’autore, infatti, quando si tentano interventi sull’esercizio del diritto di informare e di essere informati «ci si incammina lungo un terreno scivolosissimo» e, infatti, tanto il legislatore italiano quanto quello europeo «hanno percorso pochissimi tratti in piedi».
[20] F. Elisei, Presunzione di innocenza: legge bavaglio o argine alla giustizia spettacolo?, in C. Gabrielli (a cura di), Comunicare il processo penale, regole, patologie, possibili rimedi, cit., 72.
[21] In proposito, in questa Rivista cfr. M. Castellaneta, L’attuazione della direttiva sulla presunzione d’innocenza: atto dovuto o occasione per limitare la libertà di stampa?, 1, 2022 e C. Melzi d’Eril, Presunzione d’innocenza: un diritto leso, buone intenzioni, una disciplina inadeguata, 1, 2022. Cfr. inoltre N. Triggiani, Informazione e giustizia penale. Dalla cronaca giudiziaria al “processo mediatico, in Id (a cura di), Informazione e giustizia penale, cit., 38; Alle medesime conclusioni perviene anche G.M. Baccari, Le nuove norme sul rafforzamento della presunzione di innocenza, in Diritto penale e processo, 2022, 2, 160; Analogamente si vedano anche le Note dell’Unione Camere Penali sullo “Schema di decreto legislativo recante disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della Direttiva UE 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”, in Diritto di Difesa, 2021, secondo cui lo strumento in commento risulterebbe «inidoneo a raggiungere lo scopo di mitigare uno dei fenomeni maggiormente distorsivi della presunzione di innocenza e del giusto processo». Invece, con riguardo alle critiche maturate sul fronte giornalistico, si v., a titolo d’esempio, le valutazioni del Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, Riccardo Sorrentino, in occasione di un intervento tenuto nel corso di un incontro con l’ordine degli avvocati che si è svolto il 31 ottobre a Brescia sul tema dei ritocchi degli articoli 114 e 116 del Codice di procedura penale e del disegno di legge in tema di presunzione di innocenza, reperibile su www.odg.mi.it.
[22] Nel declinare il divieto in questione, l’art. 2 richiama una nozione ampia di «autorità pubblica». La relazione illustrativa dello schema di decreto evidenzia la notevole latitudine della nozione che, come testualmente desumibile anche dal considerando 17 della direttiva, oltre alle autorità coinvolte nel procedimento penale, quali le autorità giudiziarie, di polizia e altre autorità preposte all’applicazione della legge, ricomprende qualsiasi altra autorità investita di potestà pubblicistiche quali ministri e altri funzionari pubblici. Ciò, conformemente all’ampia casistica emergente dalla disamina della giurisprudenza della Corte Edu. Per approfondimenti, si v. la relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo recante “Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali” su www.giustizia.it.
[23] Si segnala che l’attuale formulazione verrà a breve sostituita a seguito della recentissima approvazione del nuovo Codice deontologico da parte del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti. Il nuovo Codice, che entrerà in vigore il primo giugno 2025, prevede all’art. 24 (rubricato “Cronaca giudiziaria”) che il giornalista «a) rispetta il diritto alla presunzione di non colpevolezza. In caso di assoluzione o proscioglimento, non appena informato, ne dà notizia con appropriato rilievo e adeguata tempestività̀; b) osserva la massima cautela nel diffondere nomi e immagini di persone accusate di reati minori o condannate a pene lievi, salvo i casi di particolare rilevanza sociale; c) si adopera affinché́ risultino chiare le differenze fra documentazione e rappresentazione, fra cronaca e commento, fra indagato, imputato e condannato, fra pubblico ministero e giudice, fra accusa e difesa, fra carattere non definitivo e definitivo dei provvedimenti giudiziari, inquadrandoli nell’evoluzione delle fasi procedimentali e dei gradi di giudizio; d) garantisce adeguato spazio alle parti coinvolte in inchieste giudiziarie e processi».
[24] Cfr. delibera del C.S.M., concernente le “Linee guida per l’organizzazione degli uffici giudiziari ai fini di una corretta comunicazione istituzionale” dell’11 luglio 2018.
[25] R. Sorrentino, Il presunto colpevole non diventi chi deve informare, in Informazione e giustizia, dialogo di interesse pubblico, New Tabloid – Periodico ufficiale del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, 2, 2024, 7.
[26] In questo senso, si v. delibera del C.S.M. concernente le “Linee-guida per l’organizzazione degli uffici giudiziari ai fini di una corretta comunicazione istituzionale” dell’11 luglio 2018.
[27] E. Fusco, “Il nuovo protocollo sull’informazione giudiziaria firmata dal Tribunale di Milano, la Procura, L’Ordine degli Avvocati, la Camera penale e l’Ordine dei giornalisti” che potrebbe diventare un riferimento per tutta Italia, Convegno La rappresentazione mediatica dei processi: profili giuridici, linguistici e deontologici, 16 gennaio 2025, Palazzo Reale Milano.
[28] R. Sorrentino, Il presunto colpevole non diventi chi deve informare, cit., 8.
[29] A. Malacarne, La presunzione di non colpevolezza nell’ambito del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188: breve sguardo d’insieme, in Sistema penale, 2022.
[30] La tesi dell’insindacabilità è sostenuta, fra i molti, da G. Vigevani, Riformare la riforma: le tre strade possibili, in Informazione, il tempo che fa: nuove strade e antiche minacce, in New Tabloid – Il periodico ufficiale dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, 2, 2023, 29.
[31] Pertanto, secondo alcuni, in questo modo si cancella tutta d’un colpo la funzione di controllo della stampa sull’attività delle pubbliche autorità. Si v., in tal senso, il contributo di F. Elisei, Presunzione di innocenza: legge bavaglio o argine alla giustizia spettacolo?, cit., 74.
[32] L’espressione è di G. Giostra, Presunzione di innocenza e tutela dell’immagine, in F. Cassibba-J. Della Torre-N. E. La Rocca-F. Zacchè (a cura di), Le nuove frontiere della presunzione di innocenza, cit., 5.
[33] In questi termini, Ordine dei giornalisti della Lombardia, Libertà di informazione, 1, 2022, 5; Si v. anche, sul fronte europeo, la Raccomandazione (2010) n. 12 del Consiglio d’Europa, secondo cui «I procedimenti giudiziari e le questioni relative all’amministrazione della giustizia sono di pubblico interesse».
[34] Frutto, a sua volta, della «sintesi dei dicta in materia della Corte europea dei diritti dell’uomo», come osservato da C. Gabrielli, Presunzione di innocenza e informazione giudiziaria, in Le nuove frontiere, cit., 26.
[35] Infatti l’art. 4 della Direttiva, dopo aver specificato che “fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità̀ pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non devono presentare la persona come colpevole”, afferma che le informazioni relative a determinati procedimenti penali possono comunque essere rilasciate dalle autorità pubbliche solo se ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all’indagine penale o per l’interesse pubblico.
[36] Invero, sebbene il pubblico ministero risulti il principale destinatario dell’attenzione legislativa, l’art. 2 del decreto si rivolge alla più estesa platea “delle autorità pubbliche”.
[37] Il Considerando 17, infatti, esplicita che per “dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche” dovrebbe intendersi «qualsiasi dichiarazione riconducibile a un reato e proveniente da un’autorità̀ coinvolta nel procedimento penale che ha ad oggetto tale reato, quali le autorità̀ giudiziarie, di polizia e altre autorità̀ preposte all’applicazione della legge, o da un’altra autorità̀ pubblica, quali ministri e altri funzionari pubblici, fermo restando che ciò̀ lascia impregiudicato il diritto nazionale in materia di immunità̀».
[38] In questo senso, si v. il contributo di G. Camera, Cosa è di «interesse pubblico» in tema cronaca giudiziaria, in odg.mi.it.
[39] F. Biondi-N. Zanon, Il sistema costituzionale della magistratura, Milano, 2024, 256.
[40] Congiuntamente al requisito della verità dei fatti esposti e della forma civile.
[41] Ma non solo: chiunque tramite, ad esempio, una semplice collaborazione occasionale con un periodico potrebbe, di fatto, esercitare l’attività giornalistica senza che gli sia richiesta l’iscrizione all’albo. Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, è attività giornalistica qualunque “attività di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento ed alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione” (Cass. civ. sez. lav., 20 febbraio 1995, n. 1827).
[42] Invero, il considerando 18 della direttiva chiarisce già la casistica dell’interesse pubblico legittimante la comunicazione della Procura: «l’obbligo di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli non dovrebbe impedire alle autorità̀ pubbliche di divulgare informazioni sui procedimenti penali, qualora ciò̀ sia strettamente necessario: per motivi connessi all’indagine penale, come nel caso in cui venga diffuso materiale video e si invita il pubblico a collaborare nell’individuazione del presunto autore del reato, o per l’interesse pubblico, come nel caso in cui, per motivi di sicurezza, agli abitanti di una zona interessata da un presunto reato ambientale siano fornite informazioni o la pubblica accusa o un’altra autorità̀ competente fornisca informazioni oggettive sullo stato del procedimento penale al fine di prevenire turbative dell’ordine pubblico. Il ricorso a tali ragioni dovrebbe essere limitato a situazioni in cui ciò̀ sia ragionevole e proporzionato, tenendo conto di tutti gli interessi. In ogni caso, le modalità̀ e il contesto di divulgazione delle informazioni non dovrebbero dare l’impressione della colpevolezza dell’interessato prima che questa sia stata legalmente provata».
[43] C. Gabrielli, Presunzione di innocenza e informazione giudiziaria, in Le nuove frontiere, cit., 28.
[44] Pertanto, devono ritenersi escluse tutte le modalità di diffusione delle informazioni diverse da quelle menzionate, tra le quali, a titolo d’esempio, colloqui informali, interviste alla stampa e dichiarazioni rese nel contesto di trasmissioni televisive. Sul punto, cfr. C. Gabrielli, Presunzione di innocenza e informazione giudiziaria, in Le nuove frontiere, cit., 28.
[45] Cfr. E. Bruti Liberati, Delitti in prima pagina. La giustizia nella società dell’informazione, Milano, 2022, 364; Alle medesime considerazioni pervengono anche C. Melzi d’Eril-G. E. Vigevani, Informazione e giustizia, cit., 85, secondo cui «per scongiurare ipotesi di comunicazione distonica rispetto alla presunzione di non colpevolezza, infatti, si pretenderebbe di inaridirne una delle fonti, in particolare quella della Procura, rispetto ai fatti di notevole interesse pubblico».
[46] Si riporta l’elenco completo contenuto nel documento: «a) imparzialità̀, chiarezza e sobrietà̀: deve essere chiarita la fase in cui il procedimento pende, precisando che si tratta di un’ipotesi investigativa provvisoria; b) l’attività̀ deve essere attribuita in modo impersonale all’ufficio, escludendo ogni riferimento ai magistrati assegnatari del procedimento o agli operatori di polizia giudiziaria che hanno partecipato ad atti di indagine; c) deve essere assicurato il diritto dell’indagato/imputato a non essere indicato come colpevole fino a quando la colpevolezza non sia stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili; e) essenzialità̀ dell’informazione e sinteticità̀: salvo non sia assolutamente necessario ai fini della comunicazione, non devono essere riportati i nomi e le generalità̀ delle persone (anche giuridiche), coinvolte (indagato, persona offesa, testimoni) o riferimenti che consentano di fatto di identificare l’indagato, né eventuali dati sensibili relativi a soggetti coinvolti nel procedimento (o di terzi); f) è vietato diffondere immagini di minori e di persone in vinculis. Nelle conferenze stampa, non è ammessa la proiezione di immagini, video né altre forme di rappresentazione ad uso comunicativo e/o esplicativo».
[47] Sul tema si rimanda al recentissimo contributo di A. Zampini, Divieto di pubblicazione delle ordinanze che applicano misure cautelari personali: una scelta politica censurabile e costituzionalmente reprensibile, in Questione giustizia, 2024.
[48] Per una disamina sulla distinzione tra segreto interno e segreto esterno si v., in particolare, F. Trapella, La tutela del segreto investigativo, in N. Triggiani (a cura di), Informazione e giustizia penale, cit., 166.
[49] Cfr. P. Gaeta, Il problema della divulgazione delle notizie giudiziarie, in Questione giustizia, 2019.
[50] Cfr. G. Merlo, Il segreto interno ed esterno e nuove prospettive per la pubblicazione degli atti, in A. Camaiora-G. S. Bassi (a cura di), Il processo mediatico, Informazione e giustizia penale tra diritto di cronaca e presunzione di non colpevolezza, Padova, 2022., 71; C. Gabrielli, Pubblico ministero, informazione giudiziaria e presunzione di non colpevolezza, in Questione giustizia, la quale rileva l’esistenza di una certa resistenza culturale al riconoscimento di questo diritto quando a rivendicarlo sia un soggetto terzo rispetto al procedimento (come ad esempio il giornalista).
[51] R. Orlandi, La giustizia penale nel gioco di specchi dell’informazione, Regole processuali e rifrazioni deformanti, cit., 54.
[52] Spunti in tal senso in L. Ferrarella, Il ‘giro della morte’: il giornalismo giudiziario tra prassi e norme, in Diritto penale contemporaneo – Rivista trimestrale, 3, 2017 e, più di recente, Id., Il “vorrei ma non posso” di un legislatore che “potrebbe ma non vuole”, in questa Rivista, 1, 2018.
[53] Si veda, a titolo d’esempio, quanto espresso da A. Spadaro, Commento al Decreto Legislativo 8 novembre 2021, n. 188, in Giustizia Insieme, 2021.
[54] F. Palazzo, Note sintetiche sul rapporto tra giustizia penale e informazione giudiziaria, in Diritto penale contemporaneo – Rivista trimestrale, 3, 2017, 142; Cfr. anche E. Bruti Liberati, Delitti in prima pagina, cit., 255.
[55] In particolare, la Procura di Perugia che, nella circolare del 6 dicembre 2021, ha evidenziato la consapevolezza «che norme così rigorose potranno limitare il diritto degli operatori dell’informazione all’accesso alle notizie e persino, per una non voluta eterogenesi dei fini, incentivare la ricerca di esse attraverso canali diversi, non ufficiali o persino non legittimi» e ha individuato come possibile rimedio, l’accesso diretto dei giornalisti agli atti di indagine non più̀ coperti da segreto, in linea con l’art. 116 c.p.p.
[56] Unione delle Camere Penali Italiane, I principi di legge e le circolari di alcune Procure, in Osservatorio informazione giudiziaria media e processo penale, 2022.
[57] Il decalogo è stato stilato da un gruppo di lavoro di cui hanno fatto parte l’Avvocato Guido Camera, esperto di diritto dell’informazione, e Luca Rinaldi, giornalista di Milano Today e componente della Commissione Cronaca Giudiziaria dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia.
[58] Cfr. L. Ciafardini, Organizzazione degli uffici giudicanti e indipendenza funzionale del giudice, in N. Zanon – F. Biondi (a cura di), L’indipendenza della magistratura oggi, Milano, 2020, 216.