Con la sentenza 258/2022 la Corte di Appello Civile di Roma si è pronunciata con una interessante pronuncia in materia di risarcibilità del danno derivante da illecito trattamento dei dati personali. Nel caso di specie, un importante quotidiano italiano aveva pubblicato una notizia relativa ad una truffa perpetrata ai danni di decine di investitori privati. Tra gli investitori truffati risultava anche il congiunto di un importante politico italiano, assistito dal nostro Studio. In ragione del legame di parentela con il noto politico, il quotidiano pubblicava la notizia, dando conto del fatto che tra le vittime vi fosse anche il congiunto del noto politico indicato con nome e cognome, indicando la somma investita e perduta dal congiunto di quest’ultimo. L’interessato adiva il Tribunale Civile di Roma, domandando il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla pubblicazione della citata notizia.
Il Tribunale rigettava la domanda dell’interessato, reputando che l’attore non avesse dato la prova del danno subito, sulla scorta di un consolidato orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale la risarcibilità del danno da lesione al diritto alla protezione dei dati personali non è mai automatica (in re ipsa). Colui che propone la domanda, infatti, ha l’onere di allegare la serietà della lesione e la gravità del pregiudizio subito.
Sotto tale profilo, deve rilevarsi come l’onere della prova richiesto agli interessati sia di difficile – per non dire impossibile – assolvimento, almeno in quei casi (come quello di specie), in cui la lesione al diritto della personalità non è medicalmente accertabile.
Sarebbe tuttavia incongruo se l’ordinamento contemplasse sanzioni rilevantissime in caso di inosservanza delle norme in materia di dati personali, senza preoccuparsi di assicurare anche un’adeguata ed effettiva tutela risarcitoria ai soggetti di volta in volta danneggiati.
In realtà il rischio di incoerenza del sistema non sussiste, qualora i principi che sovrintendono il diritto alla protezione dei dati personali siano applicati correttamente, e la sentenza in commento è un esempio di corretta applicazione.
Riformando interamente la pronuncia del Tribunale di Roma, la Corte di Appello di Roma accoglieva la domanda dell’interessato, condannando il quotidiano a corrispondere all’attore un congruo risarcimento pecuniario, oltre alle spese del doppio grado di giudizio.
La Corte d’Appello, chiamata a bilanciare il diritto alla protezione dei dati personali con il diritto di cronaca, riteneva come nel caso di specie il mero vincolo di parentela con un importante politico non consentisse di ritenere integrato il requisito dell’interesse pubblico alla pubblicazione del suo nominativo. Sotto questo profilo la Corte accertava anche la mancanza di essenzialità di tale pubblicazione rispetto al concreto interesse sociale.
Inoltre, consapevole della difficoltà probatoria del caso di specie, la Corte di Appello fondava l’accoglimento della domanda ricorrendo alla prova presuntiva, ben potendosi ritenere provato, in forza della comune esperienza, che la violazione dei dati personali nel caso di specie avesse causato un pregiudizio serio all’interessato.
L’impossibilità di quantificare con esattezza l’ammontare del danno apre all’applicabilità della liquidazione in via equitativa da parte del giudice, ai sensi degli articoli 2059 e 1226 del Codice Civile, come in effetti è avvenuto nel caso di specie.