Recepimento della direttiva copyright: a che punto sono gli Stati?

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Il 26 marzo 2019 è stato approvato il testo definitivo della proposta di “Direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale”, che riformula taluni principi e introduce novità – di cui alcune discusse – in tema di diritto d’autore applicato al web.

Il testo definitivo della direttiva 790/2019 dovrà essere recepito entro due anni dalla sua approvazione, ma gli Stati hanno dimostrato – ancora una volta – eterogeneità di procedure, tempistiche e approcci al procedimento di accoglimento. Come osservato già in altre occasioni – nonché previsto dal diritto dell’Unione Europea – in questi casi, i testi finali ed efficaci nei singoli Paesi hanno una struttura organica unitaria, seppur esista uno spettro di interpretazione e manipolazione modellabili dai legislatori nazionali.

Come si avrà modo di osservare nel corso dell’analisi, sono già sorti i primi dubbi applicativo-interpretativi relativamente ad alcune categorie di soggetti (quali, ad esempio, l’estensione della direttiva alla fotografia in Germania). Più in generale, l’Europa è divisa in due categorie di situazioni di fatto: da un lato vi sono Belgio, Francia, Germania, Irlanda,  Italia, Olanda, Repubblica Ceca, Ungheria con un procedimento di recepimento già avviato (seppur si attestino in fasi differenti); dall’altro, Danimarca, Finlandia, Polonia, Regno Unito, Slovacchia, Spagna, Svezia e gli altri Stati firmatari, non hanno ancora intrapreso l’iter di ricezione.

Belgio, Spagna

In Belgio, il 2020 si è aperto con i primi lavori dell’IntellectualPropertyCouncil, l’organo preposto alla valutazione e redazione dei testi di legge in tema di copyright. Il Consiglio ha tentato di intavolare i primi confronti tra gli schieramenti politici registrando il placet del partito conservatore, unica forza politica ad essersi sbilanciata per dare seguito repentino alle disposizioni della direttiva.
Anche in Spagna si sono registrati i primi approcci alla disciplina in esame a partire da gennaio 2020, con l’insediamento del nuovo Governo; al pari di quanto già detto per il Belgio, tuttavia, non si registrano passi in avanti significativi.

Francia

Prima ancora della Germania, la Francia si è mobilitata rispetto alle tematiche della direttiva; tuttavia, come osservato dal vicepresidente del Parlamento Europeo – il cecoslovacco Marcel Kolaja –, il legislatore francese ha interpretato erroneamente alcuni passaggi della direttiva, finendo per sviarla dalle originarie rationes giuridico-economiche verso cui essa era proiettata.

Con la legge 24 luglio 2019 n. 2019-775, la direttiva è stata recepita a tutti gli effetti. L’art. 15, attraverso la predisposizione di nuovi articoli al già presente codice della proprietà intellettuale, ha confermato i dubbi già avanzati in tutte le sedi dagli oppositori della direttiva.

Il nucleo dei nuovi articoli predispone una “scia” di diritti connessi in favore degli editori e autori della stampa la cui durata è pari a due anni a partire dal primo gennaio dell’anno successivo a quello della pubblicazione, così come previsto dalla direttiva; nonché, subordina all’approvazione preventiva qualsiasi riproduzione totale o parziale dell’opera da parte di aggregatori di notizie (information society service provider).

Non va, poi, taciuto lo scetticismo provocato dalla previsione secondo cui le royalties andrebbero distribuite in favore degli aventi diritto valutando, da un lato, l’apporto dell’informazione e quello economico sostenuto per produrla e, dall’altro, l’ampiezza della platea raggiunta dal contenuto tramite l’aggregatore di notizie. In sostanza, Google (tra tutti) dovrebbe assicurare un regime di “flat-rate basis” da ridiscutere di volta in volta in base ai guadagni generati dal contenuto, sottratti dalle spese e dalla copertura dello stesso nel mondo (rectius ovunque esso raggiunga il pubblico).

Come accadde in Germania e Spagna a cavallo tra il 2013 e il 2014, Google è stata già costretta a contrattare i compensi in favore di autori ed editori – relativamente all’attività di aggregazione delle notizie fornita da Google News – in seguito ad una segnalazione per abuso di posizione dominante avanzata nel 2019. Sul punto, si attende la decisione della competente Autorità.

Relativamente all’art. 17 della direttiva, invece, non si sono ancora registrate novità rilevanti tali da permetterci di avanzare considerazioni.

Germania

Tra le realtà che, per prime, hanno affrontato il tema del recepimento della direttiva, vi è senz’altro la Germania. La scelta tedesca muove i propri passi dalla previsione del “Gesetzüber die urheberrechtlicheVerantwortlichkeit von DiensteanbieternfürdasTeilen von Online-Inhalten” (UrhDaG), un vero e proprio testo normativo che si sviluppa dall’art. 17 della direttiva e che andrà a formare una fonte alatere rispetto alle più generali norme sul diritto d’autore già presenti, in un rapporto di genusspecies che tanto è caro ad alcune scuole giuridiche.

Il legislatore tedesco, infatti, ha già annunciato di non voler compromettere l’ecosistema di norme in tema di copyright, con le nuove disposizioni europee; del resto, nel testo della proposta si notano alcune peculiarità che saranno al centro di copiosi dibattiti interni (ma, crediamo, anche esterni). È stato recepito il punto 7 dell’art. 17, nella parte in cui afferma che la parodia, le caricature e le pastiche formano oggetto di esclusione dalla remunerazione; è stata, altresì, riconosciuta una remunerazione de minimis per riproduzioni ai fini non commerciali di estratti di film di durata non superiore a venti secondi; stesso discorso dei film varrà per gli audio e per le riproduzioni di testi – purché nei limiti di mille caratteri –.

L’ultima eccezione di rilievo è la previsione di una procedura di “pre-flag”, grazie alla quale l’uploader potrà segnalare i contenuti da lui caricati in rete non tutelati dal diritto d’autore. In questo caso, anche nell’eventualità che un terzo faccia ricorso alla procedura di notice and take-down, il contenuto non verrà rimosso automaticamente, ma solo successivamente al controllo umano (cd. “human review”).

Il controllo automatizzato per tutti i contenuti non flaggati dagli utenti è attivabile dal singolo prestatore (hosting provider) restando disatteso l’obbligo di controllo preventivo di cui inizialmente si era discusso. L’UrhDaG includerà, inoltre, la previsione di particolari sanzioni nella duplice ipotesi di segnalazioni infondate o eccessivi blocchi preventivi.

Se l’introduzione di un safeharbour per le riproduzioni e sincronizzazioni entro i 20 secondi, nonché le citazioni entro i mille caratteri destano qualche dubbio, quest’ultima previsione anti-censura è sicuramente più pacificamente condivisibile. Circa il regime di remunerazione de minims ci si domanda se e come tale previsione possa applicarsi alla totalità delle opere, considerando che non tutte le opere hanno pari durata (il riferimento è tra i cortometraggi e i lungometraggi; le composizioni musicali e la differenza tra jingle e brano od intera opera; opere letterarie quali romanzi od opuscoli in prosa o versi). Sul punto, ci si riserva il diritto di intervenire ex post, dall’avvenuto recepimento, da parte di tutti gli Stati.

Irlanda

Con l’avvio della procedura di recepimento, l’Irlanda, ha intavolato quattro consultazioni, sviscerando le motivazioni e le finalità dietro le disposizioni della direttiva 790/2019, nonché accogliendola favorevolmente (in particolare, in riferimento agli articoli 15 e 17). Secondo quanto emerso, la novella assicurerebbe l’armonizzazione del sistema di tutela del diritto d’autore già sperimentato in Irlanda in tema di tutela della libertà di espressione. Nella parte in cui la direttiva prevede l’utilizzo dei flag – sostengono al di là della Manica – si assicurerebbe la permanenza di contenuti da segnalazioni pretestuose o infondate.

L’ eccessivo e abusivo uso delle procedure di segnalazione dei contenuti, può senza alcun dubbio ledere la libertà di espressione e, di conseguenza, lederebbe anche interessi economico-patrimoniali degli utenti i cui contenuti siano stati ingiustamente bloccati o rimossi. Tale eventualità non è assolutamente remota, ma si presenta costantemente nel panorama globale con profili di responsabilità talvolta accentuatissimi.

Olanda

Fa riflettere (non poco) l’attuale stato decisionale rilevato in Olanda; infatti, se sugli articoli 12 e 16 pare sia stata percorsa la strada della pedissequa trasposizione nell’atto di recepimento, pari conclusioni non possono essere tratte per gli articoli 15 e 17.

Seguendo un diverso iter, il legislatore olandese ha preferito non esporsi ancora sui due punti nevralgici della direttiva. A dar ulteriore credibilità a questa sensazione, la Suprema Corte d’Appello ha completamente snobbato la nuova direttiva in una recente opinione di confronto tra quest’ultima e la direttiva e-commerce (che resta applicabile in tutte le parti non novellate dalla direttiva 790/2019). Fortunatamente, l’Avvocato Generale ha giustamente sottolineato che le due direttive non sono alternative, ma suppletive.

L’episodio genera, al contempo, sia curiosità (circa future scelte giuridiche olandesi), sia preoccupazione (che altri Stati non abbiano metabolizzato la finalità di armonizzazione che anche questa direttiva persegue).

Ungheria

È ufficialmente stato recepito quanto disposto dall’art. 5 della direttiva in tema di “utilizzo di opere e altri materiali in attività didattiche digitali e transfrontaliere”, quale primo passo verso la più completa armonizzazione dell’insieme di previsioni previgenti e neo-introdotte. A partire dal 18 giugno 2020, infatti, l’Ungheria ha consentito di utilizzare le opere e gli altri materiali esclusivamente per finalità illustrativa ad uso didattico, nei limiti di quanto giustificato dallo scopo non commerciale purché esso avvenga sotto la responsabilità di un istituto di istruzione (nei suoi locali o in altro luogo o tramite un ambiente elettronico sicuro accessibile solo agli alunni o studenti e al personale docente di tale istituto); nonché, la fruizione sia accompagnata dall’indicazione della fonte, compreso il nome dell’autore (tranne quando ciò risulti impossibile).

 

Le posizioni degli Stati “inerti”:

Polonia

La Polonia ha espedito l’azione di annullamento dell’art. 17 della direttiva, il 24 maggio 2019, con il Case C.401/19 “Republic of Poland v EuropeanParliament and Council of the European Union”. Nelle motivazioni della domanda, gli applicants, sostengono il contrasto tra quanto disposto dalla novella e il dettato delle direttive 96/9/EC e 2001/29/EC.

Le eccezioni mosse dalla Polonia si fondano sulla pretesa lesione della posizione dei prestatori di servizi, i quali si troverebbero nella condizione di dover fare tutto quanto in loro potere “best efforts”, al fine di raggiungere accordi con editori e autori e tenerli indenni dall’utilizzazione e riproduzione dei contenuti protetti circolanti in rete. Il punto di vista (e di diritto) non è totalmente errato ed– a dirla tutta – è generalizzata la sensazione che i legislatori nazionali possano mal interpretare e recepire questo delicato passaggio.

L’art. 17 della direttiva 790/2019 non introduce alcun obbligo di controllo preventivo in capo ai prestatori, ma li obbliga a sottoscrivere un accordo con gli aventi diritto; in caso di mancato accordo, il prestatore dovrebbe impedire la fruizione (e il caricamento?) dei contenuti di cui non è autorizzato all’indicizzazione, al fine di tenersi indenne da azioni di responsabilità. Torna, così, il sospetto (mai domo) che la Polonia ci abbia visto più lungo di altri Stati o, quantomeno, di una fetta ampia della platea.

UK

In seguito alla brexit, il Regno Unito ha fatto sapere di volersi sottrarre dall’applicazione della direttiva sostenendo, altresì sostenendo che essa limiterebbe e comprometterebbe la libertà di espressione in maniera eccessivamente grave. A ulteriore conferma di tale volontà sottrattiva, i giuristi anglosassoni hanno preferito immaginare una rivisitazione dei principi già vigenti, eventualmente sfruttando le esperienze continentali dei prossimi anni.

Una riflessione pressoché identica è stata rilevata negli Stati Uniti (nella cui giurisdizione non si applica la direttiva 790/2019) dove l’Ufficio Centrale del Copyright, dopo cinque anni di studi e tavole rotonde, ha redatto un report di oltre duecento pagine in cui analizza i sistemi giuridici europei in ambito di diritto d’autore (anche in relazione alla direttiva 790/2019), concludendo di non voler adeguare il DMCA alle novità prospettate in Europa.

Secondo lo studio, infatti, sarebbe più conveniente una rimodulazione di talune fattispecie (tra cui anche quelle toccate dalla Direttiva), ma in ottica e con modalità differenti da quelle sperimentate nel nostro continente. In altre parole, gli Stati Uniti – al pari dell’Inghilterra – osserveranno l’esperimento europeo, prima di sbilanciarsi e adottare misure sulla medesima linea.

Italia

In Italia, infine, si registra una spaccatura sia all’interno del mondo dell’editoria, che al di fuori. Secondo gli editori e gli autori, la direttiva è la risposta alle istanze disattese da anni; gli oppositori italiani (ma anche quelli esteri) della direttiva, al contrario, continuano a temere la incapacità di offrire soluzioni realmente efficaci. Lo stato dei lavori e degli orientamenti ci fanno sospettare che, l’Italia, potrebbe non essere in grado di recepire la direttiva in tempi brevissimi, nonostante sia già passato oltre un anno dal 6 giugno 2019.

Relativamente alle modalità di recepimento, invece, l’orientamento più realistico suggerisce una vera e propria trasposizione del testo della direttiva nel testo di legge attuativo. Eventualità, questa, già frequentemente adottata dal legislatore italiano e che, a dirla tutta, continua a far discutere. La politica “minimalista” che giustifica la scelta di non apportare alcun tipo di interpretazione estensiva (se non, addirittura, manipolativa) della direttiva, alimenta il dispiacere per l’ulteriore chance persa.

Gli articoli 15 e 17, per la complessità delle previsioni, l’estensione dei testi e la copiosità dei meccanismi regolati, meriterebbero un’attenta analisi e una altrettanto acuta ponderazione degli interessi in gioco. Al momento, il disegno di legge è in cantiere e il testo finale potrebbe essere sottoposto a votazione entro la fine del 2020; nel frattempo, il Senato ha votato gli emendamenti al testo della direttiva che andranno a completare il testo finale della legge di recepimento.

Conclusioni

Ci si domanda, per l’ennesima volta – in tema di differenze tra regolamenti e direttive –, perché si continuino a recepire e a trasporre le direttive in maniera acritica. La diversa veste giuridica indossata dagli atti trova la propria ragione d’essere nelle finalità, modalità e peculiarità dello strumento normativo prescelto. Così facendo – recependo senza alcuna rilettura critica una direttiva come fosse un regolamento – si finisce per ottenere (almeno) due risultati negativi: il primo è sicuramente la limitata libertà di manipolazione e interpretazione delle disposizioni, come già accennato; il secondo malus risiede nelle tempistiche svantaggiose della direttiva, rispetto a quelle del regolamento (che, essendo immediatamente esecutivo, non necessita di inutili lavori di traduzione ed emendazione lunghi ventiquattro mesi).

L’Europa attendeva con ansia una risposta normativa che fosse in grado di regolare i rinnovati e perpetui moti del web, ma si è ritrovata con un testo (quale quello definitivo della direttiva) inadatto sotto troppi punti di vista e incapace di imparare dagli errori del passato. Al di là delle critiche aspre alle scelte letterali e giuridiche di alcuni passaggi, è davvero giunto il momento di prepararsi ad una stagione di cambiamento, soprattutto in tema di relazioni tra piattaforme ed editoria.

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