Dalla Rivoluzione Industriale a quella informatica, dalla catena di montaggio di Ford alla guida autonoma delle macchine Tesla, il processo di meccanicizzazione e automazione del lavoro non ha smesso di crescere esponenzialmente, soppiantando molteplici figure professionali. Sul fenomeno si è scritto tantissimo e sono state fatte infinite previsioni su quali attività presto non esisteranno più, su quali tipologie di lavoratori saranno sostituite dai “robot”.
Nonostante ciò, l’avvocato si è sempre erto al di sopra di tutto questo, orgogliosamente sicuro dell’insostituibilità del suo contributo alla società. In effetti, la realtà a lungo gli ha dato ragione, poiché a sparire sono stati principalmente lavori di tipo tecnico e operativo. Nel nuovo mondo delle Artificial Intelligences (AI), tuttavia, questo non è più vero: con le nuove tecniche di machine learning e deep learning, infatti, gli elaboratori non si limitano più ad eseguire alla lettera comandi imposti loro in fase di programmazione, ma sono capaci di trovare correlazioni anche non evidenti, imparano dall’esperienza e si interfacciano con modalità sempre più “umane”. Questa nuova capacità di reagire a degli stimoli non più solo informatici, ma anche, ad esempio, vocali, unita alla comune abilità dei computer di raccogliere dati ed elaborarli in maniera molto più veloce ed efficiente di qualsiasi essere umano, rende le intelligenze artificiali al contempo un enorme vantaggio e un’altrettanto grande minaccia per quasi tutti gli ambiti lavorativi, avvocati e giudici compresi.
Per comprendere meglio la portata di tale innovazione, basta fare alcuni esempi: nel 2016, un gruppo di ricercatori dello University College of London ha sottoposto ad una AI più di 500 casi relativi a violazioni della privacy, tortura e discriminazione decisi dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. Il risultato? Il sistema il 79% delle volte ha raggiunto una decisione analoga a quella della Corte, e nel restante 21% ha proposto dei risultati maggiormente aderenti al diritto positivo, da cui i giudici si erano invece distaccati perché più “realisti”. Sempre nel 2016, nello studio legale americano Baker & Hostetler è approdato per la prima volta un “avvocato-robot”: si sta parlando di Ross, una AI derivata dal cognitive system di IBM, Watson, il quale attualmente si occupa di diritto fallimentare, svolgendo da solo il lavoro stimato di 50 avvocati. Si pensi che Ross, il quale attualmente è sbarcato anche negli studi legali italiani, risulta costare mensilmente quanto la tariffa oraria (ripeto, oraria) di un senior partner! Infine, un ulteriore esempio di questa rivoluzione del diritto è il COIN: non si sta parlando della catena italiana di department stores, bensì di un software appositamente sviluppato da JP Morgan per la revisione dei contratti finanziari, il quale svolge in pochi secondi un’attività che, secondo le stime pubblicate, richiederebbe 360.000 ore di lavoro di avvocati specializzati.
Quali sono quindi le implicazioni delle moderne innovazioni tecnologiche in materia di AI rispetto al ruolo dell’avvocato del futuro? Sono due le aree principali che vengono toccate: da un lato tutta la parte relativa alle ricerche giurisprudenziali e legislative, oltre alla compilazione e produzione di contratti o atti processuali standardizzati, dall’altro l’area di regulatory & compliance. La prima, che è senza dubbio quella svolta in larga parte dai praticanti (in Italia) o dai first-year associates (nel sistema americano), possiede risvolti particolarmente rilevanti per gli studenti di legge. Come ha affermato il Professor David L. Faigman, Dean dell’Hastings College of the Law alla University of California, durante una recente conferenza tenutasi all’Università Bocconi, attualmente l’assunzione di associates da parte delle grandi law firms americane è diminuita proprio a causa dell’utilizzo di processori di ricerca giurisprudenziale, che hanno reso di fatto superflue le capacità dei neolaureati. D’altro canto, come ha invece sottolineato Claudio Rorato, direttore dell’Osservatorio professionisti e innovazione digitale del Politecnico di Milano, in questo ambito tale sistema aiuta l’avvocato che ormai pratica da diverso tempo, in quanto “un software di intelligenza artificiale può comprimere l’attività di istruttoria e consentire all’avvocato di poter impegnare più tempo nelle attività intellettuali importanti”.
L’innovazione tecnologica in materia regolatoria, la cosiddetta regtech, investe invece il profilo dell’avvocato a ogni livello di esperienza, mettendo a rischio il suo ruolo in un settore, come quello della consulenza in tema di compliance, che “tira” molti studi legali d’impresa. Deloitte, in uno dei primi report sulla regtech (2015), cita una frase del biologo Edward Wilson: “We are drowning in information, while starving for wisdom”. Questa affermazione si adatta perfettamente all’ambiente regolatorio, in cui le imprese si devono confrontare con una infinità di normative in continuo aggiornamento, che vanno raccolte e analizzate per poi prendere le adeguate contromisure. E chi può fare questo compito meglio di un computer? Più veloce, più efficiente, meno costoso.. e, presto, capace quanto un umano di reagire e imparare dall’esperienza. Si capisce bene che in uno scenario del genere lo spazio di movimento per il giurista diventa estremamente esiguo.
E allora cosa deve fare il moderno avvocato, limitarsi ad accettare di essere piano piano soppiantato dalle intelligenze artificiali (come sostengono alcune previsioni estreme) o addirittura combattere l’avvento delle nuove tecnologie in una sorta di anacronistico luddismo? Al contrario, l’avvocato dovrà evolversi, adattarsi, reinventarsi. Come sostengono Dana Remus, Professore di legge alla University of North Carolina, e Frank Levy, Professore Emerito al MIT, nel loro saggio “Can robots be lawyers?”, vi sono caratteristiche che un computer non potrà mai acquisire. Pur potendo fornire un eccellente supporto a livello di ricerca e organizzazione, un’AI, per quanto avanzata, non possiede né la discrezionalità, né quella capacità di innovare e interpretare che i clienti richiedono e in cui fanno affidamento, se si considera che la professione di avvocato è tutt’ora una di quelle attività caratterizzate da un rapporto intuitu personae.
Ecco che, allora, il futuro avvocato, più che trovarsi a costruire un mondo fatto di norme, casi, opinioni dottrinali e prassi varie, dovrà avere una visione più strategica e, trovandosi davanti un mondo di big data già organizzati da un computer, avrà il compito di muoversi (o di far muovere il suo cliente) all’interno di esso come solo una mente umana sa fare. È chiaro che questo tipo di scenario favorisce gli avvocati di alto livello, con alle spalle svariati anni di esperienza e pratica, mentre diminuisce drasticamente l’utilità di un praticante o di un avvocato fresco di esame. Ma allora, quali saranno le caratteristiche che uno studente di giurisprudenza dovrà avere per rispettare le nuove e differenti future richieste degli studi legali? Questo sarà il challenge delle facoltà di legge di tutto il mondo nel nuovo millennio.