Qualche riflessione sul recente takedown delle piattaforme streaming

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Doverosa premessa, questo post mira ad un’analisi ex post “a freddo”  ad ormai quasi un mese dal take down dei server facenti capo al celeberrimo network MegaUpload/Video/Porn e non ad una semplice verifica dei fatti. Cercheremo di addentrarci, in primo luogo in un’analisi di quello che, in grandi linee, rappresentava nei confronti dell’utenza web; in secondo luogo verificando cosa sia effettivamente successo e concluderemo ponendovi una domanda (alla quale gradiremmo ottenere tutte le possibili risposte) e fornendo una nostro parere (più o meno condivisibile) in merito a quello che si è fatto e a quello che non si è fatto.

Incominciamo subito addentrandoci nell’essenza del network che non c’è più e nella enorme popolarità acquisita in anni di numerose e sanguinose violazioni del diritto d’autore.

Sede e Proprietà: Hong Kong e tutto facente capo alla società “Megaupload-Limited”

Ciclo di Vita: 21/03/2005 – 19/01/2012 = 2495 giorni di attività pressoché indisturbata fino al giorno del sequestro.

Peso e Popolarità:  “Secondo uno studio del Dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti, il dominio Megaupload.com con oltre 1 Miliardo di visite quotidiane, 150 milioni di utenti registrati e 50 milioni di visitatori al giorno, rappresentava più del 4% di tutto il traffico internet mondiale.”

Il Dipartimento di Giustizia USA ritiene che durante il periodo di attività, il sito abbia generato profitti pari a circa 175 Milioni di Dollari e un danno pari a 500 Milioni di Dollari.

Sistema: Attraverso il Network i gestori riuscivano a riscuotere notevoli risultati economici attraverso un sistema scientificamente studiato per :

1.     Incentivare la sottoscrizione di abbonamenti Premium (limite dei 72 minuti di visualizzazione etc…)

2.     Incentivare l’upload di materiale popolare attraverso un sistema premiale interno all’utenza.

3.     Rendere fruibili i materiali segnalati dai detentori dei diritti d’autore disattivando, a seguito della segnalazione, solo un unico link e lasciano a disposizione migliaia di duplicati facilmente reperibili sul web o all’interno del network stesso.

Azione del Dipartimento di Giustizia USA: Sequestro e Incriminazione di 7 soggetti ritenuti colpevoli di gestire la società ai fini di lucro in totale e palese violazione di qualsiasi normativa sulla tutela del Copyright esistente sul globo.

Link di approfondimento: http://www.justice.gov/opa/pr/2012/January/12-crm-074.html

ANALISI EX POST:

Le Alternative –

scomodando qualcuno che ne sapeva più di noi: “chi non ha peccato scagli la prima pietra” e di pietre se ne vedono veramente poche e soprattutto chi non l’ha scagliata, tra noi utenti/lettori/navigatori appassionati di musica, film e fantastici e-book fruibili direttamente dal web in maniera gratuita, non porrà certamente termine alla condotta illecita…anzi, si attiverà subito per cercare valide alternative.

Ebbene sì, alternative, molte delle quali preesistevano alla clamorosa quanto inutile e ritardata azione della tanto famigerata Copyright Task Force.

In giro per il web se ne trovano con estrema facilità e molti di voi avranno già effettuato questa Google Search: “alternative megavideo” ma questo è un palese invito a chi ancora non abbia provato l’ebbrezza e lo stupore di rendersi conto che ne esistono almeno 120 (ottimisticamente parlando).

La verità è che il famoso  4% del traffico web mondiale che fruiva dei contenuti di MegaUpload , oggi non è svanito nel nulla ma è andato a rafforzare le posizioni ed i profitti delle piattaforme alternative, aumentando la concorrenza su un mercato che continuiamo ad additare quale “pirata”.

Chiamatemi dissidente, ribelle, chiamatemi scomodo o irragionevole.

La verità è che un’autorità come quella americana, in collaborazione con una miriade di altre speciali divisioni istituite in paesi di tutto il mondo (dalla Nuova Zelanda al Regno Unito) è stata in grado di porre termine all’attività criminosa di MegaUpload solo dopo 5 lunghi anni di violazioni, danni e condotte abusive.

Un simile approccio: rigido, lento e inefficace è la panacea di tutti i potenziali criminali, un invito a nozze a chi si prepara a scalare le vette della pirateria approfittando del take down di MegaUpload.

Qualcosa che nel mondo reale sarebbe inaccettabile, qualcosa che deve far riflettere sull’approccio che la giustizia ha e dovrebbe avere in un mondo, quello del web, che vive su presupposti diversi rispetto a quelli del mondo reale.

Che web vogliamo?

Vogliamo un web sicuro e legale, un web in cui le informazioni e gli utenti siano liberi di sentirsi sempre in regola.

All’approccio coercitivo, a mio avviso, andrebbe gradualmente sostituito un sistema di programmi di clemenza, atti a rendere legali quelle piattaforme abusive su cui dominano i cyber criminali.

Un onda di legalizzazione potrebbe rappresentare una svolta flessibile e decisiva per la tutela dei diritti d’autore in tutto il web.

Nel mondo della musica la strada è stata aperta da una serie di piattaforme (spotify etc.) che offrono enormi database di mp3 in streaming retribuendo le case discografiche e gli artisti destinando una percentuale degli utili derivanti dalle inserzioni e dagli account premium.

Un approccio simile in larga scala, sarebbe auspicabile nei confronti di tutti i web hosting, le piattaforme streaming e le piattaforme destinate al file sharing (es. Motori di ricerca e Client Torrent).

Fino ad oggi sono stati compiuti solo piccoli passi in questo senso, in conclusione, l’augurio è che a compiere i prossimi siano le Autorità stesse nei confronti di piattaforme attualmente considerate (a giusta ragione) fuorilegge.

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About Author

Claudio Bruno is a law student at Bocconi Univesity. He is also Schedule Planning Manager at Radio Bocconi. His main interests include information technology and social networks. He has an in-depth knowledge of both legal and technical aspects.

2 Comments

  1. Eugenio Frasca on

    Condivido l’analisi di quanto accaduto, così come condivido il giudizio sull’inutilità – o, addirittura, pericolosità – del modo con cui le autorità si sono mosse. Mi permetterei di aggiungere qualche riflessione random, come d’altronde l’autore del post invita a fare.

    Anzitutto, il ruolo di Megavideo e simili “servizi” mi sembra indifendibile già per un semplice motivo: faceva profitti sulla distribuzione di contenuto caricato dagli utenti, promuovendo così una versione malata delle potenzialità di sharing, di commistione e diffusione culturali, che sono proprie dello strumento internet. Mi sembra quantomeno fuori luogo paragonare strutture di questo genere con le varie tipologie di sistemi p2p; qui non si è (era?) in presenza di una condivisione “pari a pari”, ma di un efficiente sistema di infrastrutture informatiche che generava profitti illeciti, non solo grazie alle subscription per eliminare limiti di visione, ma anche tramite la pubblicità. Insomma, credo che parlare di MegaConspiracy, come si fa nell’indictment, tutto sommato non sia poi campato in aria.

    In secondo luogo, «un’ondata di legalizzazioni» certo risolverebbe alcune tra le questioni più controverse – una fra tutte: l’eventuale responsabilità del ISP –, ma a mio parere la risposta dovrebbe arrivare in primo luogo da una riformulazione dei modelli di business legati allo entertainment video. Quale sistema? Spotify, che l’autore cita, è uno di questi; Prime di Amazon US può esserne un altro; in generale, una soluzione che preveda tariffe flat, magari accompagnate da strumenti di advertising simili a quelli che oggi troviamo su YouTube.

    Da ultimo, una notazione di prospettiva. Internet, ma in generale la fruizione di contenuti, oggi richiede soluzioni semplici per il consumatore. Spesso, infatti, la pirateria oggi è semplicemente la strada più semplice per ottenere un contenuto che, altrimenti, o avrebbe costi esagerati per il consumatore, o lo risulterebbe estremamente complicato comprare. [Penso che un’ottima sintesi del problema si possa leggere, con una risata, cliccando su questo link http://goo.gl/JH5uF ].

    In definitiva: diversificare il giudizio su uno sharing “tra pari” e un finto sharing che in realtà nasconde sistemi che fanno profitto sulla pirateria; prima di interventi normativi/legislativi, modifiche dei modelli di business; da ultimo, modelli di business orientati al consumatore e dunque semplici.

    Eugenio Frasca
    Studente di giurisprudenza presso l’Università di Roma – La Sapienza

  2. Claudio Bruno on

    Carissimo Eugenio ti ringrazio di aver espresso in modo così completo il tuo parere e non posso che allinearmi alla necessità di distinzione tra sistemi p2p e sistemi di condivisione facenti capo a server ed infrastrutture create ad-hoc per diffondere illecitamente file di qualsiasi genere.

    Stracondivido la tua affermazione ” Spesso, infatti, la pirateria oggi è semplicemente la strada più semplice per ottenere un contenuto che, altrimenti, o avrebbe costi esagerati per il consumatore, o lo risulterebbe estremamente complicato comprare. ”

    In conclusionee, le vie del signore sono infinite peccato che si scelga sempre quella più tortuosa e meno agevole ed efficiente per tutti.

    Claudio Bruno.

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