Promulgata la nuova Costituzione ungherese: brutte notizie per le libertà di espressione e di informazione

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In Ungheria, il livello di tutela riconosciuto alla libertà di espressione e al diritto ad essere informati continua a formare oggetto di preoccupazione, alla luce delle ultime riforme, sia quelle di livello costituzionale sia quelle relative alla legislazione ordinaria rilevante, adottate del governo di centro-destra.

La nostra corrispondente ungherese Judit Bayer ci ha già spiegato, qualche settimana fa, perché  non possono essere considerate soddisfacenti le revisioni che il governo ha apportato alla nuova legge sui media dopo il duro intervento della Commissione europea.

In questo breve spazio ci si intende concentrare sul nuovo testo costituzionale che il presidente ungherese Pal Schmitt ha firmato il 25 aprile scorso. Testo costituzionale che è espressione di una sola forza politica, quella del governo populista e conservatore del Premier Viktor Orban che ha ottenuto in Parlamento i numeri necessari per approvare la revisione costituzionale con la maggioranza necessaria dei due terzi. La nuova Costituzione entrerà in vigore il 1 gennaio 2012.

Da più parti (si vedano, per esempio, le critiche della Hungarian Civil Liberties Union) sono state avanzate delle serie riserve sulla conformità della nuova Carta fondamentale con i principi, perno del costituzionalismo occidentale, della rule of law e della separazione dei poteri.

Come anticipato, qui ci si vuole concentrare più specificatamente sulle forti perplessità che il nuovo disposto costituzionale solleva in relazione alla libertà di espressione e di informazione, sia sotto il profilo attivo (libertà di informare), che sotto quello mediano (libertà di informarsi) e passivo (diritto di essere informati).

Sono almeno tre i profili problematici che emergono da una semplice lettura del nuovo parametro costituzionale (ringrazio per la traduzione delle parti rilevanti l’amica e collega Katalin Kelemen; il nuovo testo è disponibile, al momento, soltanto in ungherese).

Il primo profilo attiene alla enunciazione e declinazione costituzionale del principio della libertà di espressione, il secondo alla previsione di un organismo di garanzia per l’imparzialità dei media ed il terzo alla giustiziabilità, di fronte alla Corte costituzionale, delle libertà ed i diritti costituzionalmente garantiti, con particolar riguardo, ovviamente, alla libertà di espressione.

A questo proposito può essere utile comparare quanto previsto dalla disposizione rilevante che entrerà in vigore, insieme a tutto il nuovo testo costituzionale, a gennaio del 2012 con quella attualmente vigente, frutto di una revisione costituzionale ad hoc del 2010 da parte del Governo in carica, che a sua volta va confrontata con la previsione rilevante preesistente la revisione costituzionale appena menzionata.

Con riferimento al primo profilo, confrontiamo il disposto dei tre testi che in poco tempo si sono succeduti.

Testo in vigore fino al 2010:

Art. 61

(1) Nella Repubblica Ungherese tutti hanno diritto alla libera manifestazione d’opinione, nonché a conoscere e divulgare i dati di interesse pubblico.

(2) La Repubblica Ungherese riconosce e tutela la libertà della stampa.

(3) Per l’approvazione della legge sulla pubblicità dei dati di interesse pubblico e della legge sulla libertà di stampa è necessaria una maggioranza dei due terzi dei voti dei deputati presenti.

(4) Per l’approvazione della legge sulla sorveglianza della radio, della televisione e dell’agenzia di stampa di servizio pubblico, sulla nomina dei loro presidenti, nonché sull’autorizzazione delle radio e delle televisioni commerciali e sulla prevenzione del monopolio dell’informazione è necessaria una maggioranza dei due terzi dei voti dei deputati presenti.

Testo vigente (fino al 31 dicembre 2011)

Articolo 61

(1) Nella Repubblica Ungherese tutti hanno diritto alla libertà di manifestazione d’opinione e di parola, nonché a conoscere e divulgare i dati di interesse pubblico.

(2) La Repubblica Ungherese riconosce e tutela la libertà e la policromia della stampa.

(3) Nell’interesse della formazione di un’opinione pubblica democratica tutti hanno diritto a un’adeguata informazione relativamente agli affari pubblici.

(4) Nella Repubblica Ungherese il servizio pubblico mediatico contribuisce alla coltivazione e all’arricchimento dell’identità nazionale e dell’identità europea, e della cultura e delle lingue ungherese e delle minoranze, nonché a rinforzare il senso di appartenenza nazionale, e soddisfare le necessità delle comunità nazionali, etniche, famigliari e religiose. Il servizio pubblico mediatico è vigilato da un’autorità amministrativa autonoma, composta di membri nominati dal Parlamento, e da un organo indipendente dei proprietari, mentre la realizzazione degli obiettivi prefissati sono sorvegliati dalle comunità dei cittadini determinate dalla legge.

(5) Per l’approvazione della legge sulla pubblicità dei dati di interesse pubblico, della legge recante le regole fondamentali relative alla libertà di stampa e al contenuto dei servizi mediatici, nonché la legge sulla vigilanza dei servizi mediatici è necessaria una maggioranza dei due terzi dei voti dei deputati presenti.

Nuova Costituzione (in vigore dal 1 gennaio 2012)

Articolo IX

(1) Tutti hanno diritto alla libertà di manifestazione d’opinione.

(2) L’Ungheria riconosce e tutela la libertà e la policromia della stampa, garantisce le condizioni dell’informazione libera necessaria per la formazione di un’opinione pubblia democratica.

(3) Le norme concernenti la libertà di stampa e l’organo che vigila sui servizi mediatici, sui prodotti della stampa e sul mercato dell’informazione sono determinate con legge organica.

Volendo comparare la disposizione vigente fino al 2010 con il portato della prima revisione costituzionale rilevante ai nostri fini adottata dal governo in carica, sono almeno due le novità evidenti.

La prima è che, nonostante la disposizione rilevante sia molto più lunga ed intrisa di inquietanti rigurgiti nazionalistici, scompare il riferimento al diritto di informarsi che era invece chiaramente tutelato dalla disposizione originaria, nella sua declinazione più assiologicamente orientata del diritto di accesso, laddove si riconosceva il diritto “a conoscere e divulgare i dati di interesse pubblico”. Non sembra superfluo ricordare a questo proposito che, sulla base di tale disposto costituzionale, l’Ungheria è stato il primo tra gli Stati dell’Europa centro-orientale appena usciti dall’oppressione sovietica a dotarsi di una legislazione ordinaria che rendesse effettivo e giustiziabile il diritto di accesso dei singoli agli atti della pubblica amministrazione.

La seconda è che si attribuisce un fondamento costituzionale alla già esistente autorità amministrativa competente a vigilare sul «servizio mediatico» e si codifica, anche a livello super-primario, il meccanismo alla base della nomina dei suoi componenti, di provenienza parlamentare.

Guardando adesso, invece, alla formulazione della disposizione rilevante presente nella Costituzione appena promulgata, non si può non notare come, se per un verso si è tornati all’antico, con un disposto molto più conciso rispetto a quello caratterizzante le revisione del 2010 e più vicino, sotto questo profilo, alla disposizione “originaria”, per altro verso non solo sono stati confermati i passi indietro, sotto il profilo della tutela della libertà di espressione e di informazione, della prima riforma costituzionale del 2010, ma si è assistito ad un ulteriore, per certi versi inquietante, involuzione.

Assai sinteticamente, tre punti sopra gli altri meritano di essere sottolineati.

In primo luogo il diritto ad informarsi, sotto il profilo dell’accesso agli atti di interesse pubblico, rimane nel dimenticatoio.

In secondo luogo, viene meno il riferimento alla composizione parlamentare dell’autorità di vigilanza, e la motivazione è evidentemente legata al goffo tentativo di legittimare costituzionalmente ex post l’istituzione, con la legge sui media del 2010, della National Media and Communications Authority (NMHH),  così contestata a livello europeo ed internazionale, dotata di poteri anche sanzionatori che non hanno precedenti negli organismi di vigilanza del settore in Europa e, ancor più inquietantemente, di fatto controllata dal partito di maggioranza.

In terzo luogo, e sembra la cosa più grave, sparisce il riferimento al quorum relativo alla maggioranza qualificata dei 2/3 per l’adozione della legislazione a tutela della libertà di stampa e di informazione che, nelle intenzione dei Padri costituenti, doveva rappresentare un argine ai tentativi di caratterizzare la normativa rilevante che, seppure di rango formalmente ordinario, assume evidentemente un valore sostanzialmente para-costituzionale, del colore politico di maggioranze di turno.

Più sinteticamente, il secondo aspetto problematico cui si faceva riferimento è relativo a quanto contemplato dall’articolo VI, par. 3 del nuovo testo costituzionale, in cui si prevede che un’autorità amministrava sostituisca, nel ruolo di “Garante per la protezione dei dati personali”, l’esistente “Data Protection and Freedom of Information Commissioner” che ha dimostrato fino ad ora il necessario livello di neutralità e professionalità. C’è una totale mancanza di chiarezza su quale sarà la composizione e la disciplina della nuova autorità, mentre quanto è certo è che essa non potrà avere, vista la sua matrice governativa, lo stesso livello di indipendenza su cui ha sempre potuto contare il “Data Protection and Information Commissioner” che è responsabile esclusivamente nei confronti del Parlamento.

Un ultimo punto assai problematico riguarda l’abbassamento del livello di giustiziabilità dei diritti e delle libertà fondamentali, a cominciare dalla libertà di espressione e di comunicazione.

E’ stato infatti eliminato quello che era il valore aggiunto previsto, a questo proposito, dalla Costituzione ungherese, vale a dire l’actio popularis, che garantisce a ciascun cittadino, indipendentemente da qualsiasi titolo od interesse ad agire, la possibilità di promuovere un giudizio di costituzionalità di una legge ritenuta in violazione dei diritti fondamentali garantiti dal testo costituzionale. Grazie a questo meccanismo la Corte costituzionale ha avuto la possibilità di annullare, nel corso degli anni, legislazioni che si ponevano in netto contrasto con le libertà fondamentali. Un esempio su tutti? La decisione della Corte di Budapest del 31 ottobre 1990 che ha dichiarato incostituzionale la pena di morte.

C’è quindi un’arma in meno a favore degli individui per far valere la contrarietà alla costituzione della legislazione ordinaria, a cominciare da quella appena adottata di riforma del sistema dei media. Sarà soltanto una coincidenza.

La domanda sorge spontanea: la nuova stagione del costituzionalismo europeo, con la Corte di Strasburgo molto più aggressiva nell’enforcement delle libertà previste dalla CEDU nei confronti degli Stati contraenti e la Corte di giustizia che può contare sul valore, finalmente vincolante, attribuito dal Trattato di Lisbona alla Carta europea dei diritti fondamentali di Nizza, sarà in grado di restituire al cittadino ungherese quello che gli è stato appena tolto dalla recente riforma costituzionale qui commentata?

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2 Comments

  1. Katalin Kelemen on

    Per quanto riguarda l’abolizione dell’actio popularis aggiungerei che allo stesso tempo è stato introdotto il ricorso costituzionale che prima non esisteva, almeno non nell’accezione tedesca, e che tale abolizione è stata richiesta in più occasioni da diversi giudici della stessa Corte costituzionale ungherese, dato che ha portato a un eccessivo carico di lavoro e un notevole arretrato nella decisione dei ricorsi, e molti ritengono che avendo concluso il periodo della transizione democratica non sia più necessario un accesso così vasto alla Corte costituzionale (per altro senza precedenti in altri modelli di giustizia costituzionale europei, con l’unica eccezione della Corte costituzionale del Land di Baviera).

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