Presentazione del volume: “50 serie tv da guardare in famiglia”

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LE SERIE TV TRA PRODOTTO CULTURALE E MEZZO DI SOCIALIZZAZIONE di Marianna Sala*

1. LE SERIE TV TRA PRODOTTO CULTURALE E MEZZO DI SOCIALIZZAZIONE

Il nostro è il secolo delle serie TV, come il romanzo è stato la forma d’arte principale del XIX secolo e il cinema del XX secolo. È innegabile che esse siano diventate una parte importante della cultura contemporanea, riscuotendo grande attenzione da parte non solo del grande pubblico[1], ma anche dell’accademia, tant’è vero che università come Harvard e Paris Nanterre e, in Italia, università come la Cattolica[2], lo IULM[3] e l’Alma Mater Studiorum[4], vi hanno dedicato specifici programmi di studio, affrontando l’argomento dal punto di vista sociologico e da quello degli studi letterari. E non di rado si sentono riferimenti a serie tv perfino nel dibattito pubblico.

Nonostante per lungo tempo siano state considerate un genere minore, ora le serie hanno raggiunto un notevole miglioramento della loro qualità, complici anche il fatto che vengano sempre più coinvolti registi[5] e attori[6] di altissimo livello. Sarebbe un errore continuare a pensare alle serie TV come a un prodotto di livello scadente. Anzi, la differenza di qualità tra le più recenti serie e quelle degli anni ’80-’90 del secolo scorso[7] è tale, che c’è chi ha proposto anche una distinzione terminologica, tra i vecchi “telefilm” e le più recenti “serie”[8], che per la complessità narrativa e l’accuratezza della realizzazione rappresentano “il cinema prodotto per la TV”[9].

Le serie sono, dunque, un prodotto culturale in senso pieno, guardate molto e da molti, non solo per la notevole qualità estetica, ma anche come mezzo di socializzazione[10]. Il loro impatto oltre lo schermo e soprattutto la loro presenza sempre maggiore nelle interazioni sociali impongono delle riflessioni quando si parla di tutela di minori e audiovisivo.

2. LA PROTEZIONE DEL MINORE NEL SISTEMA AUDIOVISIVO

La facilità di fruizione delle serie TV – che non sono “confinate” allo schermo televisivo, ma si estendono a tablet e smartphone – se da un lato aumenta le opportunità di “consumo” del prodotto anche per le generazioni più giovani, dall’altro lato solleva con ancora più urgenza la questione della tutela degli utenti ed in particolare dei minori in considerazione soprattutto della presenza crescente dei nuovi media nel processo di formazione e di educazione.

Due sono i rischi principali legati a una fruizione incontrollata delle serie TV da parte dei minori: da un lato l’accesso a contenuti non adatti all’età; dall’altro lato il rischio della visione compulsiva (c.d. binge watching[11]).

2.1. “VIETATO AI MINORI”: QUANDO IL CONTENUTO NON È ADATTO A UN PUBBLICO GIOVANE

2.1.1. IL SISTEMA NORMATIVO VIGENTE

Il tema della tutela del minore rispetto a contenuti audiovisivi non adatti alla loro visione è stato da tempo preso in considerazione dal Legislatore. Soffermiamoci a analizzare brevemente la disciplina vigente.

L’attuale Testo Unico della radiotelevisione, agli articoli 3 e 4 prevede una generale tutela degli utenti e, oltre a garantire la trasmissione di programmi che rispettino i diritti fondamentali della persona, vieta le trasmissioni che, anche in relazione all’orario di messa in onda, possano nuocere allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori. Sono altresì vietate opere che presentano scene di violenza gratuita, insistita o efferata, ovvero pornografiche salve le norme speciali per le trasmissioni ad accesso condizionato che comunque impongono l’adozione di un sistema di controllo specifico e selettivo (pay tv/ Parental control)

In materia di tutela dei minori è fondamentale poi il Codice di autoregolamentazione Tv e minori, approvato il 29 novembre 2002, recepito dalla legge 112/2004 e dal Testo Unico della radiotelevisione (art. 34), che ha contribuito, in particolare, ad introdurre un sistema di tutela differenziata per fasce orarie. Le violazioni alle disposizioni del Codice di autoregolamentazione Tv e minori e del Testo Unico della radiotelevisione sono sanzionate dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM), su proposta del Corecom territorialmente competente, oltre che dal Comitato di applicazione del Codice.

Con una serie di delibere, poi, AGCOM ha implementato le forme di controllo all’accesso dei contenuti video da parte degli adulti (il c.d. parental control)[12] e ha individuato i criteri di classificazione delle trasmissioni televisive che possono nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori[13].

Tornando al Codice di autoregolamentazione TV e minori, è opportuno evidenziare il grande impegno profuso volontariamente dalle stesse Imprese televisive, che si impegnano ben oltre il mero rispetto delle leggi vigenti, al punto da darsi strumenti propri di valutazione, molto più selettivi, circa l’ammissibilità in televisione dei film, telefilm, tv movie, fiction e spettacoli di intrattenimento vario, a tutela del benessere dei minori.

In base a detto Codice, le imprese TV hanno tracciato una c.d. fascia protetta di programmazione, tra le ore 16.00 e le ore 19.00, durante la quale va in onda la c.d. “Televisione dei minori”, con un palinsesto particolarmente attento sia sulla programmazione sia sui promo, i trailer e la pubblicità trasmessi, impegnandosi a non trasmettere spettacoli che:

  1. a) usino in modo strumentale i conflitti familiari come spettacolo creando turbamento nei minori, preoccupati per la stabilità affettiva delle relazioni con i loro genitori;
  2. b) nelle quali si faccia ricorso gratuito al turpiloquio e alla scurrilità nonché si offendano le confessioni e i sentimenti religiosi.

La protezione generale invece si applica in tutte le fasce orarie di programmazione e pertanto rispetto ai messaggi pubblicitari trasmessi, gli stessi:

  1. a) non devono presentare minori come protagonisti impegnati in atteggiamenti pericolosi (situazioni di violenza, aggressività, auto aggressività, ecc.);
  2. b) non debbono rappresentare i minori intenti al consumo di alcol, di tabacco o di sostanze stupefacenti, né presentare in modo negativo l’astinenza o la sobrietà dall’alcol, dal tabacco o da sostanze stupefacenti o, al contrario, in modo positivo l’assunzione di alcolici o superalcolici, tabacco o sostanze stupefacenti;
  3. c) non debbono esortare i minori direttamente o tramite altre persone ad effettuare l’acquisto, abusando della loro naturale credulità ed inesperienza;
  4. d) non debbono indurre in errore, in particolare, i minori: – sulla natura, sulle prestazioni e sulle dimensioni del giocattolo; – sul grado di conoscenza e di abilità necessario per utilizzare il giocattolo; – sulla descrizione degli accessori inclusi o non inclusi nella confezione; – sul prezzo del giocattolo, in particolare modo quando il suo funzionamento comporti l’acquisto di prodotti complementari.

La disciplina a tutela dei minori rispetto ai programmi televisivi “tradizionali” è, dunque, articolata. Tuttavia, come si è già detto, la nostra società sempre più mediatizzata tende a abbandonare il tradizionale schermo televisivo, per spingersi verso nuove frontiere legate allo sviluppo dei prodotti su internet. E sul punto occorre osservare la difficoltà di applicazione delle misure previste per le trasmissioni televisive anche ai prodotti audiovisivi che sono trasmetti attraverso il web.

Il problema è più sentito, quando si pensi che la maggior parte delle serie TV più in voga tra i ragazzi sono trasmesse da piattaforme on line o che, comunque, i loro contenuti vengono rimbalzati sui social network.

2.1.2. I CASI SQUID GAME E SEX EDUCATION.

Per meglio chiarire la portata della constatazione, è opportuno citare due esempi di serie TV che hanno fatto tanto discutere.

Il primo è Squid Game, la serie sudcoreana in onda su Netflix che racconta la disperazione di una fetta della società, quella dei poveri, gli indebitati, persone sole e fallite disposte a mettere in gioco la loro vita pur di riscattarsi. E proprio di gioco si parla. Un due tre stella, il tiro alla fune, le biglie, tutti divertimenti che ci riportano all’età della prima infanzia ma che in Squid Game diventano pretesto per parlare di altro: violenza cruda e soprattutto morte.

Nulla di male forse, se tutto finisse lì. Ma quando un contenuto di questo tipo, che inneggia alla violenza in modo così diretto, viene visto da un bambino di 9 o 10 anni che per sua natura è incapace di filtrarne gli aspetti di fiction e distinguerli dalla realtà, la questione assume ben altri contorni. Non possiamo allora stupirci se insegnanti e genitori si mobilitano a gran voce per lanciare un allarme: se i ragazzini emulano le scene di Squid Game, allora la Serie TV va vietata. O addirittura, cancellata dal palinsesto di Netflix. [14]

La serie Squid Game accende i riflettori sul problema della rappresentazione della violenza. L’esposizione ripetuta a scene di violenza nelle serie TV (ma lo stesso può dirsi rispetto ai film e ai videogiochi) abbassa, infatti, il livello di empatia verso situazioni reali di sofferenza; in termini scientifici, la riduzione di questa competenza nell’essere umano è definita “desensibilizzazione” e il rischio che avvenga nei minori è estremamente elevato, posto che il loro cervello è in fase di sviluppo e, dunque, non idoneo a rielaborare certi dati in modo razionale[15]. Più che un problema di emulazione di scene di violenza, sorge allora un problema di capacità di elaborazione delle immagini e di interpretazione dei messaggi.

Altro esempio di serie TV con contenuto non adatto ai minori di anni 14 è la britannica Sex education, in onda su Netflix già dal 2019. La vicenda è ambientata in un immaginario liceo inglese nel quale i protagonisti fanno i conti con le prime esperienze col sesso. Buona certamente l’idea di trattare di temi legati alla sessualità, spesso considerati un tabù nella nostra società. Ma ci si domanda se il modo in cui sono stati trattati davvero educativo e dunque se la serie sia consigliabile agli adolescenti (comunque che abbiano compiuto almeno 14 anni).

Gli esperti si dividono sul punto[16]: da un lato vi è chi la sconsiglia, non solo per le scene di sesso esplicite, ma anche per una sorta di banalizzazione della sua rappresentazione, come se il sesso fosse sempre possibile e accessibile allo scopo di procurare piacere, al di fuori di un contesto relazionale emotivo e intimo; viceversa, dall’altro lato c’è chi riconosce alla serie il merito di puntare l’attenzione sulla carenza di una educazione sessuale per i preadolescenti e adolescenti, sia all’interno delle scuole come materia curriculare, sia nelle famiglie, dove ancora oggi rimane un rigido tabù[17]. Educazione sessuale la cui necessità è maggiormente sentita oggi che i ragazzi, con uno smartphone in mano, hanno accesso a infiniti contenuti a sfondo sessuale, che non sono in grado di capire e rispetto a cui dovrebbero imparare a autogestirsi e autoregolarsi.

2.2. IL C.D. BINGE WATCHING (LA DIPENDENZA DA SERIE TV)

Il secondo rischio connesso a una visione incontrollata delle serie TV da parte dei minori è il c.d. binge watching[18]. Si tratta della visione compulsiva delle puntate di una serie, una dietro l’altra. Il fenomeno è favorito dal modo in cui vengono costruite e distribuite le puntate, con la tecnica del finale in sospeso e il rilascio di tutte le puntate di una stagione nello stesso momento, senza rispettare la cadenza settimanale tipica dei palinsesti televisivi.

Quando il fenomeno è ripetuto nel tempo e non ha più carattere occasionale si parla di dipendenza. La persona tende a trascurare altri ambiti della propria vita, come le relazioni sociali o l’attività fisica: è così che la visione di serie tv passa dall’essere un passatempo ad essere un comportamento di dipendenza. Altra caratteristica spesso associata al comportamento dipendente riguarda la tendenza ad isolarsi per compiere l’attività[19].

  1. PERCHE’ GUARDARE LE SERIE TV IN FAMIGLIA

I genitori e, più in generale, l’intera comunità educante si trova a disagio rispetto alle nuove problematiche sollevate dai prodotti audiovisivi distribuiti on line, che si è tentato ora di sintetizzare. Del resto, gli adulti si sentono spesso inadeguati nel loro compito educativo.

Per risolvere il problema, si sarebbe tentati di seguire un approccio impositivo di divieto assoluto di accesso al digitale, perché la TV (ma anche lo smatphone e il tablet) sarebbe una “cattiva maestra”[20] e la sovraesposizione dei bambini al consumo di programmi (soprattutto quelli legati a violenza, sesso e sensazionalismo) potrebbe danneggiare la crescita delle menti infantili.

La strada del proibizionismo, tuttavia, non pare percorribile, anche perché occorre considerare che il minore da tutelare è un soggetto tecnologicamente esperto e dotato di uno strumentario tecnologico personale – PC e/o smartphone – che utilizza in autonomia nell’intero arco della giornata.

Ci si trova, pertanto, di fronte a un soggetto fornito di ampie competenze tecnologiche, ma sfornito (per ovvie ragioni di età) di una capacità di comprensione critica del contenuto trasmesso digitalmente. In altri termini, il minore da tutelare è un “nativo digitale” che tuttavia necessita di una forma di educazione per sviluppare le competenze critiche. Di conseguenza, sarebbe fallimentare un approccio al minore basato sul divieto di stampo autoritario alla fruizione dei contenuti audiovisivi. Molto più efficace, invece, è l’approccio di tipo educativo, volto a accompagnare il suo percorso di maturazione.

In una società sempre più mediatizzata, in cui le serie TV rappresentano un abituale argomento di conversazione, per non sentirsi esclusi dal gruppo gli adolescenti guardano quello che guardano tutti, non importa se si tratta di un prodotto non adatto alla propria età.

In questo contesto, la funzione di tutela dei minori da parte della comunità educante appare indifferibile e sempre più complessa. Complessa, perché si sviluppa attorno a molteplici elementi: non solo l’esigenza di ampliare le competenze tecnologiche degli utenti, ma anche di insegnare un uso responsabile dei media e una lettura critica dei prodotti audiovisivi.

Nel tentativo di fornire un aiuto a genitori e insegnanti nell’individuare un corretto approccio educativo, una Istituzione come il CORECOM (che ha tra i suoi compiti la tutela dei minori rispetto ai media) ha elaborato una serie di consigli per suggerire un “orientamento della visione” delle serie TV, allo scopo non solo di aiutare nella scelta dei prodotti più adatti alla visione dei minori, ma anche di consigliare elementi di discussione in famiglia, in modo tale da favorire all’interno del nucleo familiare quel ruolo di socializzazione che viene ormai riconosciuto alle serie tv.

Compito dell’adulto è di proteggere da stimoli e situazioni per le quali il minore non è pronto dal punto di vista emotivo e cognitivo. Non tutto va bene a tutti e comunque non a tutte le età. Per questo, con il sito Orientaserie.it (realizzato da AIART insieme all’Università Cattolica di Milano) si è pensato di realizzare una sorta di bussola capace di orientare la scelta delle serie TV indicando quelle che possano andare bene anche in base al criterio dell’età. Si tratta di uno strumento pensato per i genitori e, in generali, gli educatori.

L’auspicio è che sempre più minori escano dalla solitudine delle loro camere (e dei loro schermi personali) e guardino le serie TV in famiglia; l’auspicio è che sempre più genitori si aprano al dialogo con i loro figli, senza evitare – per pudore, per naturale riserbo o per senso di inadeguatezza – i temi più spinosi. Le serie TV possono diventare uno straordinario elemento di stimolo, tale da indurre gli adolescenti a parlare delle loro esperienze personali, magari simili a quelle rappresentate sullo schermo e del tutto ignorate da genitori inconsapevoli.

Ecco, dunque, perché guardare le serie TV in famiglia: perché in una società digitale, fatta di impulsi e di overload informativo, che mina la capacità di scegliere e chiude sempre più i giovani in bolle informative, l’esperienza condivisa della visione narrativa e delle emozioni suscitate è in grado di stimolare il dialogo intergenerazionale, che rappresenta un’importante tappa di crescita e di sviluppo del pensiero critico alla base dei giovani cittadini digitali.

 

* di Marianna Sala, Presidente Corecom Lombardia

 

[1] Si pensi, ad esempio, che gli abbonati a Netflix, la più importante piattaforma che trasmette serie TV, sono nel mondo circa 210 milioni, di cui 4 milioni in Italia (dato aggiornato alla metà dell’anno 2021).

[2] Con l’insegnamento in “Writing producing for animation (mod.liter.cinema tv series)” presso la Facoltà di scienze linguistiche e letterature straniere dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

[3] Con l’insegnamento in “Analisi dei programmi TV Format e serie tv” presso lo IULM di Milano;

[4] Con l’Insegnamento di “Analisi delle serie televisive” presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

[5] A partire da David Lynch, che nel 1990 ha diretto l’indimenticabile Twin Peaks.

[6] Si pensi, ad esempio, a Olivia Colman, Helena Bonham Carter e Gillian Anderson in The Crown 3; Renée Zellweger in What/If; a Alessandro Borghi, in Diavoli.

[7] Come Dallas, o Dinasty.

[8] Lo studioso francese Franck Damour propone di chiamare “telefilm” le soap opera e i polizieschi degli anni ’80-’90, mentre semplicemente “serie” quelle più recenti o comunque artisticamente più pregiate.  Sul punto si veda F. Damour, Pourquoi regardons-nous les séries télévisées?, in Études, maggio 2015, 82.

[9] La definizione è di Matthieu Weiner, il creatore della serie Mad Men, che mette in evidenza la complessità narrativa delle serie.

[10] Il rilievo è di Manuel Lencastre Cardoso, che osserva che “le serie oggi hanno un impatto che va ben oltre gli schermi televisivi, dei computer, dei tablet e degli smartphone. (…) anche gli spettatori meno entusiasti spesso parlano con amici, familiari e colleghi delle serie che guardano. Le serie sono quindi un elemento sempre più presente e importante nelle interazioni umane delle società occidentali. Ciò è dovuto al fatto che quello di assistere a un episodio di una serie televisiva può essere il pretesto per riunire amici a casa di qualcuno, così come si va in gruppo al cinema per vedere un film.”; sul punto, si veda M. Lencastre Cardoso, Perché vediamo le serie tv? in La Civiltà Cattolica, Quaderno 4075, pag. 82 – 88, Anno 2020, Volume II

[11] Il binge watching è sicuramente favorito dal modo in cui vengono costruite e distribuite le puntate delle serie. Per far sì che il telespettatore non si stacchi dallo schermo, la serie tv è costruita come se fosse un lungo film di 10-15 ore, suddiviso in puntate. E grazie al finale in sospeso, l’utente è facilmente catturato dalla puntata successiva. Inoltre, tutte le puntate di una stagione vengono rilasciate nello stesso momento, senza rispettare la cadenza settimanale tipica dei palinsesti televisivi.

[12] Con la delibera n. 51/13/CSP l’Autorità ha adottato il Regolamento sulle misure tecniche per i servizi di video on demand dirette ad impedire che i minori accedano a programmi gravemente nocivi, prevedendo che i fornitori di tali servizi implementino la funzione di parental control che inibisca la visione di tali programmi ai minori, declinandone le caratteristiche

[13] Con la delibera n. 52/13/CSP AGCOM ha individuato i criteri di classificazione delle trasmissioni televisive che possono nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori. I contenuti trasmessi sono qualificati sulla base di due parametri: l’area tematica e le principali modalità rappresentative.

[14] Una petizione per bloccare la visione di Squid Game. La proposta choc arriva da Fondazione Carolina, la Onlus dedicata a Carolina Picchio, prima vittima di cyberbullismo in Italia, che si occupa da anni del benessere dei minori sul web.“Ci riteniamo una realtà propositiva – spiega il Segretario generale, Ivano Zoppi – ma di fronte allo sgomento di mamme e maestre delle scuole materne non bastano i buoni propositi, serve un’azione concreta”. Quello di Fondazione Carolina non è un atto censorio, ma risponde alla necessità di far fronte alla sconfitta dei parental control e alla crisi della genitorialità. Una debacle messa nudo dai social e, soprattutto, dalle decine di segnalazioni che gli esperti per la sicurezza e il benessere digitale delle nuove generazioni hanno raccolto da tutta Italia. “Mio figlio ha picchiato la sua amichetta mentre giocava a Squid Game”. “A mia figlia hanno rovesciato lo zaino fuori dalla finestra dell’aula perché ha perso a Squid game, non vuole più uscire di casa. “I miei figli non sono stati invitati alla festa del loro compagno, perché non vogliono giocare a Squid Game”. Sono solo alcune delle testimonianze arrivate a Fondazione Carolina; un campione allarmante rispetto ad una serie che racconta violenza, alienazione e dipendenze con la semplicità dei giochi d’infanzia.

[15] Per un approfondimento del tema, anche su base medico-scientifica, si suggerisce di leggere l’interessante volume di Alberto PELLAI, Vietato ai minori di anni 14, ed. DeAgostini, anno 2021

[16] Per un approfondimento del dibattito in corso, si rinvia al webinar “Una serie al mese – Sex Education” organizzato dal Corecom Lombardia e disponibile sulla sua pagina Facebook al seguente link: https://it-it.facebook.com/320345804678296/videos/6398034740270717/?__so__=channel_tab&__rv__=all_videos_card. Si consideri che” Una serie al mese” è il progetto del Corecom Lombardia che si occupa di approfondire, attraverso un dibattito alla presenza di esperti – giornalisti, comunicatori, psicoterapeuti – i temi legati alla visione da parte dei minori di Serie Tv di grande successo. Tutti i webinar sono visionabili on line sulla pagina Facebook del Corecom.

[17] Proprio di tabù da scardinare parla lo psicoterapeuta Giuseppe Lavenia, in riferimento al sesso tra gli adolescenti e alla serie TV Sex Education. “Vorrei sottolineare il fatto che serie ben riuscite possono essere motivo di confronto con i coetanei e con i genitori oltre che avere una funzione educativa. Sex Education  è una di queste. Gli adolescenti la vedono, ne parlano. E credo che dovrebbero guardarla anche gli adulti, per iniziare a dialogare con i figli di sesso in modo meno inibito: per molti genitori affrontare il tema è ancora un tabù, per altri, invece, bisogna sì parlarne ma quando lo fanno temono di risultare impacciati” (v. Giuseppe Lavenia “Perché dovremmo guardare tutti Sex Education” articolo su L’espresso del 26 gennaio 2021).

[18] Letteralmente il termine binge watching si riferisce all’unione dei termini “guardare” (watching) e “abbuffata” (binge). Il fenomeno consiste nel guardare più puntate di una serie tv o puntate di un programma televisivo, una dopo l’altra.

[19] Kubey e Csikszentmihalyi (2004), in un lavoro pubblicato sulla rivista Scientific American Mind, precisano che la visione vorace di serie tv non è di per sé problematica se non quando al piacere di guardare un telefilm si sostituisce l’urgenza di doverlo fare e la difficoltà nell’interrompere l’attività. Ciò che più sorprende, secondo gli autori, riguarda lo stato d’animo della persona durante e dopo la visione della serie tv. Se, nel momento in cui si sta gustando la puntata della propria serie tv preferita, la persona sperimenta un senso di rilassamento, subito dopo la fine della puntata si sperimenta perlopiù un senso di passività e di vigilanza sempre più basso; gli intervistati riferiscono, inoltre, una difficoltà maggiore a concentrarsi in compiti diversi dopo aver trascorso diverse ore davanti alla tv. Per cercare di comprendere maggiormente il peso delle conseguenze negative del binge-watching, gli autori hanno indagato lo stato psicofisico delle persone dopo essere state coinvolte in un altro genere di attività, come attività sportive o altri hobbies: in questi casi, i soggetti riferivano uno stato emotivo maggiormente positivo ed attivo.

[20] L’espressione è di Karl Popper, Cattiva maestra televisione, 1994, il quale ipotizzava che gli operatori della televisione dovessero  avere un brevetto per lavorare, da togliere in caso di azioni in contrasto con certi principi etici e morali

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