C’è un lamento che si ode in tutt’Europa: sì, perché quello che un tempo era il suo formidabile settore delle telecomunicazioni oggi sta perdendo sempre più posti nelle classifiche mondiali. Gli investimenti nella banda larga senza fili arrancano dietro a quelli di Asia e Stati Uniti, mentre i fornitori europei di reti sono preda, persino a casa propria, delle controparti cinesi. Il punto è che anche se il leader di mercato resta pur sempre Ericsson, la minaccia delle società asiatiche si fa sempre più consistente e la leadership della multinazionale svedese è dovuta al fatto che il suo sfidante più temibile, Huawei, sta avendo delle enormi difficoltà a penetrare il mercato statunitense, al momento il più remunerativo.
Allo stesso tempo un altro colosso dell’hi-tech europeo come la finlandese Nokia, dopo aver perso la leadership nel mercato dei cellulari, ha dovuto cedere la sua unità ‘Devices and Services’ a Microsoft. Il servizio offerto ai consumatori, benché migliorato grazie alla nuova normativa sul roaming, sconterà dei ritardi per quanto riguarda la compattezza e la copertura continentale, a differenza di quanto avviene per i clienti di Stati Uniti, Giappone e Cina. Bisogna ammettere che taluni mercati, come quelli di Regno Unito, Francia o Italia, sono pur sempre caratterizzati da un’offerta mobile dai costi molto contenuti. C’è chi critica quella che è una vera e propria conquista della normativa che tutela la concorrenza nelle telecomunicazioni – i bassi costi gravanti sul consumatore – per aver portato gli operatori di rete mobile a non avere alcuna capacità di investimento. Inoltre, all’interno di mercati quale quello statunitense i consumatori riescono a “pagare meno per ogni unità di prodotto utilizzato” – così godendo di un migliore rapporto dal momento che impiegano i servizi di telefonia mobile in modo molto più estensivo. Per fare un esempio, i consumatori del mercato statunitense usano voce e dati rispettivamente cinque e due volte in più alla media dei consumatori europei.
Frattanto, le autorità garanti della concorrenza e gli esecutivi di diversi paesi europei – alla luce dello scontro in atto – si arrovellano per trovare la giusta risposta a una serie di domande cruciali: qual è il numero ottimo di operatori all’interno di ciascun paese, 3 oppure 4? Le autorità dovrebbero permettere o persino incoraggiare le concentrazioni all’interno di un singolo mercato? È ammissibile il controllo straniero di determinati operatori? Quanto ho appena esposto non può che riflettere la mancanza di una visione d’insieme e di una dottrina condivisa, nonché l’assenza della benché minima considerazione – al punto da poter quasi evocare la cecità – per i benefici che deriverebbero dall’esistenza di un mercato unico delle telecomunicazioni europeo. Mettendola senza mezzi termini: l’Europa deve poter disporre di un mercato di qualità che abbia dimensioni continentali e che offra servizi di abbonamento adeguati alla sua taglia.
Per questo motivo, i consumatori e i mercati dovrebbero combattere la tentazione di alcuni operatori di consolidare e restringere il numero dei fidati oligopolisti presenti all’interno di ciascun mercato, cosa che può unicamente produrre un innalzamento dei costi. Consumatori e mercati dovrebbero inoltre battersi contro le concentrazioni che finiscono per puntellare gli oligopoli stessi e favorire le alleanze su scala continentale.
Appare allora evidente come la frammentazione dei mercati impedisca ai gestori telefonici europei di avvalersi delle economie di scala e di scopo. Tanto per fare un esempio, ciascuno dei due più grandi gestori degli Stati Uniti è più grande dei primi tre gestori europei messi assieme. Bisogna inoltre considerare che sotto il profilo numerico Stati Uniti e Unione Europea presentano un numero simile di operatori all’interno dei rispettivi mercati chiave. Anche se è alquanto diffusa la percezione che gli Stati Uniti dispongano solamente di 4 operatori di telefonia mobile, osservando la realtà più da vicino noteremmo che il paese nordamericano presenta il maggior numero di operatori facilities-based del mondo – 191 secondo i dati più recenti della Federal Communications Commission – ed è uno degli unici due paesi Oecd ad averne più di 5 autorizzati per mercato (quale può essere quello di livello statale, ad esempio), nonché dozzine di Mvno (mobile virtual network operator) che offrono anch’essi i propri servizi ai consumatori. È facile paragonare questi numeri con quelli europei (dove operano più di 100 gestori), anche se l’industria della telefonia mobile statunitense è strutturata su diversi livelli, nazionali e regionali, i quali rispondono a mercati gerarchizzati che però non impediscono ai vari gestori di raggiungere la scala ottimale.
Le politiche di regolamentazione dell’Unione Europea hanno portato a una struttura di mercato frammentata che impedisce agli operatori telefonici di avvalersi dei benefici delle economie di scala e di scopo e che rallenta la crescita dell’offerta mobile wireless. Nonostante siano numericamente paragonabili e a causa di una struttura di mercato subottimale, l’Unione Europea è in grave ritardo rispetto agli Stati Uniti nella realizzazione delle infrastrutture wireless di prossima generazione e dei servizi più avanzati che queste renderebbero disponibili. A tutto svantaggio dei consumatori europei.
Al di là di considerazioni retrograde o fuorvianti, gli imperativi non potrebbero essere più chiari: fornire servizi di abbonamento continuato ai consumatori di tutta Europa e a questo scopo disporre di gestori telefonici forti in grado di operare su scala continentale e capaci, grazie al semplice numero dei propri abbonati, di riscrivere gli standard globali. Si tratterà di far emergere società sufficientemente grandi e capaci di impressionare quei fornitori di telefonia mobile solitamente influenzati da operatori come Verizon e China Mobile, che a loro volta vantano centinaia di milioni di clienti concentrati all’interno di mercati unici con standard comuni. Eventuali consolidamenti dovrebbero così avvenire esclusivamente su scala europea: giustamente, le concentrazioni nazionali insospettiscono le autorità garanti della concorrenza. Per un mercato unico delle telecomunicazioni europeo sarebbe meglio avere a che fare con poche ma grandi società presenti all’interno di svariati paesi, con fino a 4 operatori per ogni mercato nazionale.
Come mai tutto ciò non avviene? Gli operatori di telecomunicazioni europei sono sottoposti a una serie di prescrizioni paradossali che finiscono per metterli in un doppio impaccio. In primo luogo, 28 diversi apparati di tutela della concorrenza si focalizzano esclusivamente sul proprio mercato di riferimento, facendo sì che diversi attori locali finiscano per essere troppo piccoli per avvalersi delle economie di scala. In secondo luogo, le norme che regolamentano in maniera tanto stringente la concorrenza sono definite da ciascuno Stato membro al punto che i singoli operatori riescono a mantenersi appena al di sopra del pelo dell’acqua senza disporre di alcuna capacità di investimento. E pensare che ce ne sono, in Europa, di grandi operatori telefonici: Vodafone nel Regno Unito, Orange in Francia, Telefonica in Spagna, Deutsche Telekom in Germania, Telecom Italia in Italia. Il punto è che non intendono confrontarsi con i governi nazionali e le autorità di regolamentazione, preferendo condurre la propria partita all’interno dei singoli mercati nazionali a costo di godere dei modesti vantaggi derivanti dalla frammentazione del mercato unico. Sono inoltre presenti all’interno di svariati mercati del globo pur non potendovi investire adeguatamente e nella stessa misura, a differenza di quanto fanno gli operatori statunitensi e asiatici che hanno alle spalle un approccio ben più conservativo fondato sulla crescita all’interno del proprio mercato di riferimento dove riescono ad allocare ingenti risorse.
L’appello è rivolto a tutti i soggetti interessati, a chi dirige i gestori di telecomunicazioni, alle amministrazioni e agli investitori affinché prendano in mano la situazione e facciano del mercato unico delle telecomunicazioni europeo una vera e propria potenza da cui possano trarre giovamento semplici cittadini e società. Né dovremmo temere i capitali esteri, a differenza di quanto ha fatto la Francia nell’accordo GE-Alstom, dal momento che abbiamo ugualmente a cuore la crescita globale delle società europee. In fin dei conti il capitale è un’entità globale: ciò verso cui dovremmo veramente puntare sono gli investimenti locali e la vera creazione di posti di lavoro.
Gérard Pogorel è Professore Emerito di Economia e Gestione Aziendale, Telecom Paris Tech. ed ex-consigliere del primo ministro Letta
(Articolo già pubblicato ne Il Foglio del 28-10-2014)