Il 3 ottobre 2011 la Corte d’Assise d’Appello di Perugia ha assolto con formula piena Raffaele Sollecito e Amanda Knox dall’accusa di omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, ribaltando così il giudizio del primo grado. Ciò premesso, non mi voglio soffermare sulle polemiche e sulle critiche che sono piovute, e stanno piovendo, addosso alla magistratura, ma vorrei invece fare una breve riflessione sull’aspetto mediatico del caso.
In Italia i mezzi di informazione, soprattutto negli ultimi anni, sono soliti dare largo spazio alle notizie di cronaca nera, offrendo al telespettatore, o lettore che sia, quelle emotivamente più coinvolgenti o di più difficile soluzione, in grado in somma di “commuovere” o “appassionare” le persone (non crederete infatti che finisca sui tg o sui giornali ogni fatto di cronaca nera?!).
Ogni anno c’è qualche omicidio in particolare che viene portato alla ribalta dai media, (penso alla Franzoni, al piccolo Mattei, a Stasi, etc.) che ne analizzano in lungo e in largo ogni dettaglio: il luogo del delitto, l’assassino o presunto tale, la sua famiglia, la sua casa, i suoi affetti e così via.
Così, regolarmente, nei giorni immediatamente successivi al fatto e durante le indagini preliminari le pagine dei giornali, le radio, i tg, i talk show, in sostanza, chiunque si occupa del caso, sviscerandolo e dicendo la sua. Dopodiché il silenzio. Ci vengono forniti brevi aggiornamenti nel corso delle varie udienze che scandiscono il processo per poi culminare con l’arrivo della sentenza, Tribunale, Appello o Cassazione che sia, in ulteriori paginoni di giornali e trasmissioni televisive di qualsiasi genere.
Ora, non vi è dubbio che il diritto di cronaca, sancito dall’art. 21 della Costituzione quale corollario della libertà di espressione, permetta, giustamente, ai giornalisti (o presunti tali) di indagare e riportare al pubblico quelli che sono gli accadimenti rilevanti.
È anche vero però che per rimanere all’interno del diritto di cronaca, la notizia in oggetto e le modalità con cui la stessa viene presentata devono rispettare determinati requisiti, stabiliti a suo tempo dalla Cassazione (Cass. 18.10.84, n. 5259) anche conosciuti come “il decalogo del giornalista”.
In particolare vi devono essere:
a) utilità sociale dell’informazione (e quindi l’interesse del pubblico per la stessa);
b) verità (oggettiva o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) dei fatti esposti;
c) forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione (c.d. continenza formale).
Mi sembra lecito a questo punto chiedersi se il circo mediatico che spesso circonda certe notizie (solitamente i reati più efferati) rientri nel di diritto di cronaca.
La domanda mi sorge spontanea a seguito degli avvenimenti antecedenti e successivi alla sentenza di Perugia.
Prima: tutti i mezzi di informazione nei giorni precedenti non hanno parlato d’altro. Spazi sulle prime pagine dei giornali ed aperture dei telegiornali e talk show dedicati (ma era veramente l’argomento più importante di cui parlare?).
Durante (sì perché c’è stato anche un durante): diretta televisiva per la lettura della sentenza.
Dopo: interviste a persone comuni, psicologi, criminologi, avvocati, magistrati, nonché, dulcis in fundo, al Presidente della Corte d’Assise d’Appello di Perugia (e fortuna che le motivazioni della sentenza devono ancora essere depositate).
Stiamo ancora parlando di diritto di cronaca?
C’era sul serio un interesse così grande da parte dei cittadini da giustificare tutto ciò o l’interesse è stato creato (o quantomeno aumentato) dai mezzi di informazione a loro uso e consumo? È stata utilizzata una forma civile nell’esposizione dei fatti e nelle valutazioni?
Ma soprattutto, quando si fuoriesce dal diritto di cronaca, dal diritto/dovere di informare ed essere informati su quello che accade nel mondo che ci circonda e si entra invece nella pura e semplice ossessione, nel pettegolezzo, scivolando a volte anche verso lo squallore?
Tralasciando qui ogni considerazione sulla classica diatriba sul necessario equilibrio tra diritto di cronaca e diritto alla riservatezza (per cui si è scritto e si scriveranno fiumi di parole), mi chiedo se fosse realmente necessario tutto questo oppure se sarebbe stato sufficiente fornire, in maniera più sobria, ai cittadini una semplice comunicazione della sentenza per informarli a dovere sull’esito di un fatto di cronaca.
Mi sorge il sospetto (leggi ironia) che storie (tragiche) come questa e la loro conseguente spettacolarizzazione siano solo un modo come un altro per vendere e/o fare share e poco abbiano a che vedere con l’esercizio del diritto di cronaca e la sua autentica finalità. O no?