Corte di Cassazione, sez. III civile, ord. 26 giugno – 5 novembre 2018, n. 28084
Il bilanciamento del diritto di cronaca, posto al servizio dell’interesse pubblico all’informazione, e del diritto all’oblio, posto a tutela della riservatezza della persona, costituisce una tematica che ha formato oggetto, diretto o indiretto, di alcune decisioni della Prima e della Terza Sezione della Corte di Cassazione. La relazione fra questi due diritti, che presuppone una ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale, sia dell’ordinamento interno che di quello sovranazionale, ha determinato la remissione della questione alle Sezioni Unite.
Con l’ordinanza interlocutoria n. 28084/2018 la Cassazione ha demandato alle Sezioni Unite l’individuazione dei criteri di riferimento per delineare il bilanciamento delle due posizioni di interesse, alla informazione pubblica da un lato e alla riservatezza privata dall’altro, al fine di tracciarne la relativa prevalenza, in una riconsiderazione sistematica di tipo assiologico.
Il caso che ha condotto alla devoluzione dell’intervento delle Sezioni Unite, attiene alla rievocazione da parte di un quotidiano di un episodio di cronaca nera, avvenuto ventisette anni prima e terminato con una sentenza di condanna, a dodici anni di reclusione, che l’uomo condannato aveva espiato per essersi reso responsabile dell’omicidio della moglie.
L’uomo propone ricorso in Cassazione, avverso una sentenza della Corte d’Appello che (in conformità agli esiti del giudizio di prima istanza) aveva respinto la domanda proposta dal ricorrente nei confronti del quotidiano nazionale e della giornalista che avevano, rispettivamente, pubblicato e scritto l’articolo.
Specificatamente, il quotidiano aveva inserito l’episodio all’interno di una rubrica settimanale, dedicata agli avvenimenti più rilevanti della città accaduti negli ultimi trenta/quarant’anni; con questa rubrica, dunque, il giornale aveva inteso rievocare alcuni fatti di cronaca nera che, a causa di diverse ragioni (quali l’efferatezza del delitto, la giovane o giovanissima età della vittima o degli assassini, il particolare contesto nel quale era maturato e si era svolto l’omicidio, la straordinarietà della decisione giudiziaria), avevano profondamente colpito e turbato la collettività della piccola città di riferimento.
A detta dell’attore, la rievocazione dell’episodio di cronaca nera, a distanza di così tanto tempo dall’accaduto, si poneva in violazione del suo diritto all’oblio, poiché una rievocazione siffatta realizzava “di per sé un trattamento disumano per qualsiasi persona (per quanto colpevole di un grave delitto)”. In particolare, l’attore lamentava che da questa riproposizione dell’accaduto sorgeva in lui una nuova angoscia per essere nuovamente esposto alla “gogna mediatica”.
I convenuti avevano contestato la domanda attorea rilevando, soprattutto, che la rievocazione dell’avvenimento a distanza di ventisette anni non integrava una violazione del diritto all’oblio dell’uomo, poiché la pubblicazione, collocata in una rubrica settimanale dedicata al ricordo di alcuni avvenimenti (non con lo scopo di riportare alla memoria una tragica vicenda di cronaca, ma per offrire ai lettori una riflessione su temi così delicati), accaduti nella stessa città negli ultimi trenta/quarant’anni, non presentava il carattere della illiceità; ed, infine, i convenuti facevano notare che l’attore aveva altresì promosso un procedimento contro il quotidiano davanti al Garante per il trattamento dei dati personali, ma che questo procedimento si era concluso con la mancata adozione di provvedimenti sanzionatori.
Sia in prima istanza che in appello, dunque la domanda del ricorrente è stata rigettata sul presupposto che, nel caso di specie, sia prevalente l’interesse pubblico alla conoscenza della notizia, in quanto la pubblicazione espletata in una rubrica volta a contenere casi circoscritti ma avvinti tra loro, sia per un determinato arco temporale (trenta/quarant’anni) e sia per la rilevanza negativa che il caso ha rappresentato per la cittadina coinvolta, non eccede il principio di continenza espositiva della notizia.
La fattispecie coinvolge il bilanciamento di due importanti e delicati diritti costituzionalmente garantiti. I diritti e le libertà costituzionali sono espressi come “principi” e, dunque, come tali essi presentano una elevata genericità, senza gerarchie o precedenze. Tuttavia, seppur in astratto questi principi non collidano fra loro, in concreto può accadere che, in una determinata situazione, si registri un contrasto tra due rispettivi diritti, costituzionalmente garantiti, che si ergono in modo diverso: questi diritti, infatti, sono incompatibili non su un piano astratto ma su quello riferibile alla loro concreta esplicazione, cioè alla conoscenza pubblica o alla riservatezza privata. Dunque, nella tensione dialettica dei due diritti, uno dei due subisce una limitazione a favore dell’altro; in questa spirale, perciò, le libertà costituzionalmente garantite subisco una “contrazione”, che l’ordinanza interlocutoria pone in rilievo attraverso una ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale, in materia di bilanciamento del diritto di cronaca e del diritto all’oblio.
In molti casi è la stessa Costituzione ad indicare quando il diritto può essere limitato: si pensi alla libertà personale nell’elezione del proprio domicilio che è “inviolabile” (art. 14, comma I, Cost.) a meno che le ispezioni, o le perquisizioni, o i sequestri siano giustificati da “casi e modi stabiliti dalle legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale” (comma I): cioè “per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali” (art. 14, comma II, Cost.).
La libertà di manifestazione del pensiero, espressiva di un ordinamento democratico, basato sul pluralismo ideologico, consente a qualsiasi soggetto di esprimere le proprie opinioni. Recita, infatti, l’art. 21 Cost. che: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Questa disposizione, soprattutto, legittima il comportamento professionale del giornalista, il cui fine è consentire alla collettività la fruizione di fatti e notizie socialmente rilevanti per l’opinione pubblica.
Il diritto alla cronaca, come evidenzia l’ordinanza in commento, «secondo l’unanime insegnamento della giurisprudenza di legittimità, è un diritto pubblico soggettivo, da comprendersi in quello più ampio concernente la libera manifestazione di pensiero e di stampa, sancito dall’art. 21 Cost., e consiste nel potere-dovere, conferito al giornalista, di portare a conoscenza dell’opinione pubblica fatti, notizie e vicende interessanti la vita sociale».
Per l’operatività di questo diritto, l’ordinanza interlocutoria n. 28084/2018 richiama innanzitutto l’importante sentenza della prima sezione civile della Cassazione, del 18 ottobre 1984, n. 5259, che subordina la legittimità del diritto di cronaca alla sussistenza di tre condizioni: l’«utilità sociale dell’informazione»; la «verità (oggettiva o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) dei fatti esposti, che non è rispettata quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente, taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato»; la «forma “civile” dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, cioè non eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire, improntata a serena obiettività almeno nel senso di escludere il preconcetto intento denigratorio e, comunque, in ogni caso rispettosa di quel minimo di dignità cui ha sempre diritto anche la più riprovevole delle persone, sì da non essere mai consentita l’offesa triviale o irridente i più umani sentimenti».
Su questa posizione si colloca anche la giurisprudenza penale (tra cui si ricorda Cass. pen., sez. V, 22 maggio 2000, n. 8894) che individua tre limiti o condizioni che conferiscono al diritto di cronaca efficacia scriminante rispetto al reato di diffamazione: si tratta, nello specifico, del rispetto dei limiti della “verità” del fatto divulgato, della “pertinenza” che i fatti narrati devono presentare per l’opinione pubblica e, infine, della “continenza” dei fatti esposti. Quest’ultima condizione, dunque, presuppone da parte del giornalista un comportamento corretto dell’esercizio della sua professione, che non significa non esprimersi ma che limita il giornalista dall’utilizzo di tono sproporzionati o artificiosi o frutto di personali insinuazioni.
Orbene, questi tre criteri legittimanti il diritto di cronaca sono, altresì, funzionali nel dirimere le conflittualità esistenti tra il diritto di cronaca e il diritto all’oblio, facendo prevalere quest’ultimo ogniqualvolta che: non vi sia un’apprezzabile utilità sociale alla diffusione della notizia; ovvero la notizia sia diventata “falsa”, giacché non aggiornata alla condizione hic et nunc della persona; infine, quando l’esposizione dei fatti non sia stata commisurata all’esigenza informativa, arrecando così un danno alla dignità del soggetto interessato.
Già con la sentenza n. 5525 del 5 aprile 2012 della Corte di Cassazione, sez. III civile, il diritto all’oblio non viene considerato solamente (in modo statico) come diritto alla cancellazione dei propri dati, ma anche come diritto (“dinamico”) volto alla contestualizzazione, all’aggiornamento ovvero all’integrazione dei dati contenuti nell’articolo.
In modo evolutivo, in questa direzione, è importante ricordare l’intervento della prima sezione della Corte di Cassazione, avvenuto con ordinanza del 20 marzo 2018, n. 6919. Attraverso questa ordinanza la Corte, dopo aver richiamato i principali precedenti della giurisprudenza di legittimità, della Corte di giustizia UE (specialmente le sentenze del 13 maggio 2014, C-131/12, Google Spain e 9 marzo 2017, C-398, Manni) e della Corte EDU (specialmente, la sentenza 19 ottobre 2017, Fuschsmann c. Germania), ha desunto, seppur “solo in presenza di specifici e determinati presupposti”, una “compressione” del “diritto fondamentale all’oblio” “a favore dell’ugualmente fondamentale diritto di cronaca”. In particolare, l’importanza di questa sentenza deriva dal fatto che attraverso essa si conferisce particolare rilevanza a delle linee direttrici, che vengono richiamate al fine di dirimere le controversie in caso di bilanciamento tra il diritto di cronaca ed il diritto all’oblio. Specificatamente l’ordinanza n. 6919/2018 prevede che il diritto all’oblio può essere compresso solo se sussistono questi presupposti: «1) il contributo arrecato alla diffusione dell’immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico; 2) l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali); 3) l’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica del Paese; 4) le modalità impiegate per ottenere e nel dare l’informazione, che deve essere veritiera, diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione; 5) la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell’immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al pubblico».
Con l’ordinanza qui in commento, il Collegio ritiene che i presupposti indicati dalla Cassazione nel 2018 con l’ordinanza n. 6919 (nonostante ciò non si evinca dal testo), vadano interpretati e, quindi, richiesti “in via alternativa” e non “in via concorrente”, poiché se tutti questi presupposti dovessero essere compresenti per determinare la prevalenza del diritto all’oblio rispetto al diritto di cronaca, allora sarebbero davvero residuali i casi di compressione del diritto di cronaca a favore del diritto all’oblio.
Non si può sottacere, a tal proposito, il nevralgico ruolo svolto dalla Carta di Nizza (artt. 7 e 8) e dalla CEDU (artt. 8 e 10), nel porre la protezione dei dati personali al vertice della gerarchia delle fonti, così di fatto contribuendo alla creazione di alcune basi funzionali al successivo intervento avvenuto con il Regolamento UE n. 2016/679 (entrato in vigore il 25 maggio 2018), sulla protezione dei dati “relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali” (c.d. “GDPR”), che regola il diritto all’oblio che, per la prima volta, viene normativamente contemplato all’art. 17 rubricato “Diritto alla cancellazione («diritto all’oblio»)”. La norma consente all’interessato di richiedere la rimozione dei dati personali che lo riguardano quando, per es., «i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati», «l’interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento (…)» o quando «i dati personali sono stati trattati illecitamente».
Del resto, il bilanciamento tra il diritto di cronaca e il diritto all’oblio, inteso come il diritto della persona alla rettificazione di fatti e notizie diffuse in rete, al fine che la persona possa essere “rappresentata” all’esterno per quello che “è oggi” e non per ciò che “è stato ieri”, rappresenta una fattispecie diversa dal diritto alla cancellazione di cui all’art. 17 GDPR, che consente all’interessato la sola cancellazione dei dati personali che lo riguardano e solo che non risulti prevalente il differente interesse legittimo del titolare a conservare quei dati.
Il diritto all’oblio, infatti, è volto a soddisfare l’interesse del soggetto affinché informazioni relative alla propria persona, ma riferite ad un passato non più pertinente, siano cancellate; l’affievolimento dell’interesse sociale alla rievocazione di determinati fatti personali, avvenuti molto tempo prima e resi di dominio pubblico, determina un rafforzamento della posizione dell’interessato alla mancata ripubblicazione della notizia.
Quanto fin qui esposto mostra la particolare importanza della rimessione della questione alle Sezioni Unite, per la necessità di ricevere univoci criteri di riferimento capaci di orientare gli operatori del diritto nella difficile contestazione dei due diritti costituzionalmente garantiti.