Come spesso accade, sono le vicende cautelari a produrre precedenti giurisprudenziali che finiscono col condizionare le decisioni dei giudici e, prima di tutto, a suggestionare l’opinione pubblica su argomenti che interessano molto da vicino: il diritto d’autore è sacrosanto, sì, ma è indubbio che la propagazione di notizie circa l’esistenza di “trucchi” per aggirare i blocchi informatici rappresenti un vero e proprio fenomeno di massa.
E quanto detto è avvenuto anche nel delicato campo delle diffusissime console elettroniche per i giochi informatici: una recente pronuncia della III sezione della Corte Suprema di cassazione (la n. 8791/11) sembra, infatti, aver chiarito che sono sanzionati – perché violerebbero i beni protetti dalla legge 633/41 – anche i dispositivi « principalmente finalizzati a rendere possibile l’elusione delle misure tecnologiche di protezione apposte su materiali ed opere protette dal diritto d’autore, non richiedendo la norma incriminatrice la loro diretta apposizione sulle opere o sui materiali tutelati ».
Ergo, sebbene la console sia indubbiamente un hardware e non un software, è comunque elaboratore progettato esclusivamente per scopi ludici e per consentire l’esecuzione solo di softwares originali: ogni sua modifica o manomissione è, pertanto, da ritenersi come una violazione della protezione del programma.
In realtà, la vicenda processuale sottoposta all’attenzione dei giudici di legittimità può consigliarci di leggere questo dictum alla luce di quanto avvenuto nel caso concreto.
Nel 2009 veniva operato un sequestro preventivo di urgenza da parte della polizia giudiziaria, successivamente convalidato dal magistrato del pubblico ministero presso il Tribunale di Firenze, di materiale rinvenuto nel corso di una perquisizione del domicilio di un imprenditore toscano, che aveva pubblicizzato su internet, e successivamente commercializzato, programmi per aggirare il blocco all’installazione di giochi non originali così come la modifica di console videoludiche anche di altre marche, tra cui Nintendo, Microsoft e Playstation. Ad avviso dell’ufficio inquirente, era ravvisabile il fumus del reato di cui all’art. 171-ter, comma 1, lett. f bis), della L. n. 633 del 1941.
L’indagato, C. F., nella sua qualità di legale rappresentante della Società XYZ s.r.l. e della ZYX.com s.r.l., avrebbe pertanto commercializzato dispositivi attraverso i quali era possibile utilizzare su console videogiochi non originali, a loro volta frutto di illecita attività di duplicazione o comunque illegittimamente scaricati da internet; avrebbe offerto, cioè, « i servizi tecnologici necessari a modificare le medesime apparecchiature ».
Per il tramite del suo difensore, l’indagato proponeva istanza di riesame al Tribunale della Libertà di Firenze, che, il 12 gennaio 2010, escludeva il fumus del reato, ritenendo che il meccanismo inserito dal produttore sulla console, finalizzato a limitarne la funzionalità, non potesse essere inquadrato in quei dispositivi previsti dalla L. n. 633 del 1941, art. 102-quater: ad avviso del Tribunale, la norma farebbe riferimento, in realtà, alle sole tecnologie apposte direttamente sulle opere o su materiali protetti dal diritto di autore. Nel caso di specie, l’indagato avrebbe consentito la disattivazione dei sistemi di protezione delle diverse console con dispositivi posti « al di fuori del supporto contenente l’opera oggetto di tutela ». Inoltre, non era certo che la rimozione della limitazione della console avesse come fine principale quello di violare il diritto di autore, in quanto scopo della modifica « pareva essere di più generale portata », consentendo la possibilità di utilizzo della console come un vero computer.
Avverso tale pronuncia, la Procura della Repubblica di Firenze proponeva ricorso per cassazione, che veniva accolto, con conseguente annullamento dell’ordinanza del Tribunale del Riesame e rinvio degli atti allo stesso tribunale perché adottasse una nuova decisione che tenesse conto del principio secondo cui « rientrano nella fattispecie penale prevista dall’art. 171-ter, comma primo, lett. f-bis), L. 22 aprile 1941, n. 633, tutti i congegni principalmente finalizzati a rendere possibile l’elusione delle misure tecnologiche di protezione apposte su materiali od opere protette dal diritto d’autore, non richiedendo la norma incriminatrice la loro diretta apposizione sulle opere o sui materiali tutelati » (Sez. 3, Sentenza n. 23765 del 11/05/2010, Rv. 247793).
In motivazione, la S.C. aveva anche respinto le censure dell’indagato sui limiti della normativa comunitaria rispetto alla fattispecie penale, né riteneva che si potessero giustificare i dubbi di costituzionalità per l’asserita incertezza di quest’ultima. In una precedente decisione della stessa III Sezione della S.C., infatti, si era evidenziato anche che l’art. 171-ter, comma 1, lett. f-bis) della L. n. 633 del 1941 è stato introdotto dal D.Lgs. n. 68 del 2003 proprio per venire incontro alle convenzioni internazionali ed alla normativa comunitaria (cfr. la sentenza n. 33768/07).
A seguito dell’annullamento con rinvio, il Tribunale della Libertà di Firenze riteneva, comunque, di dover confermare il proprio provvedimento di annullamento dell’originario decreto di sequestro preventivo. Contro questa seconda decisione, veniva proposto nuovamente ricorso per cassazione da parte della Procura territorialmente legittimata, con l’esito che è stato reso noto agli inizi del mese di marzo (la sentenza è la n. 8791/11), ovvero un nuovo annullamento con rinvio al Tribunale della Libertà per un ulteriore esame nel merito dei presupposti legittimanti la permanenza del vincolo cautelare sui beni sottoposti a sequestro.
La vicenda, quindi, è ben lontana dal potersi definire conclusa: oltre ad essere stata resa in ambito cautelare, la decisione, seppur confermativa di un orientamento che la Suprema Corte sta ultimamente seguendo (tra l’altro, da parte di un’unica sezione), non ha ancora un carattere di definitività.
Bisognerà quindi attendere una nuova pronuncia del Tribunale della Libertà di Firenze (ed, eventualmente, anche la conferma o meno da parte della Corte di cassazione), per comprendere se debba prevalere la tesi secondo cui i dispositivi videoludici rappresentino un eccesso di difesa tecnologica operato dal produttore (che blocca sia programmi non originali per la sua console, sia software originali destinati però ad altre aree) o se la fattispecie penale prevista dall’art. 171-ter, comma 1 lettera f-bis si riferisca, come stabilito a marzo dalla Cassazione, a « tutti i congegni principalmente finalizzati a rendere possibile l’elusione delle misure tecnologiche di protezione apposte su materiali ed opere protette dal diritto d’autore, non richiedendo la norma incriminatrice la loro diretta apposizione sulle opere o sui materiali tutelati ».
A ciò si aggiunga che la più recente giurisprudenza di legittimità ha chiarito che i cd con videogiochi utilizzati sui personal computer o sulle consoles non costituiscono meri “programmi per elaboratore”, e cioè un software in senso proprio, bensì un prodotto diverso e più opportunamente riconducibile alla categoria dei supporti contenenti sequenze di immagini.
La Suprema Corte considera evidente che i videogiochi rappresentino qualcosa di diverso e di più articolato rispetto ai programmi per elaboratore comunemente in commercio. Essi si “appoggiano” ad un programma per elaboratore, che parzialmente comprendono, ma ciò avviene al solo fine di dare corso alla componente principale e dotata di propria autonomia concettuale, che è rappresentata da sequenze di immagini e suoni che, pur in presenza di molteplici opzioni a disposizione dell’utente (secondo una interattività, peraltro, mai del tutto libera, perché “guidata” e predefinita dagli autori), compongono una storia ed un percorso ideati ed incanalati dagli autori del gioco. Ma, anche qualora lo sviluppo di una storia possa assumere direzioni guidate dall’utente, è indubitabile che tale sviluppo si avvalga della base narrativa e tecnologica voluta da coloro che hanno ideato e sviluppato il gioco, così come nessuno dubita che costituiscano opera d’ingegno riconducibile ai loro autori i racconti a soluzione plurima o “aperti” che caratterizzano alcuni libri.
In altri termini, i videogiochi impiegano un software, ma non possono essere confusi con esso.
Essi, pertanto, sono soggetti alla normativa dettata in tema di copia personale dall’art. 71-sexies ed alla norma incriminatrice di cui all’art. 171-ter della legge sul diritto d’autore (cfr., da ultimo, Cass., Sez. III, 5 giugno 2007, n. 35133, Falihy, in C.E.D. Cass., 237196).
La partita, quindi, è ancora aperta.
1 Comment
Il fenomeno delle modifiche delle console per far girare giochi pirata è molto diffuso in Italia. Il fenomeno, secondo me, è dovuto anche dall’elevato costo dei giochi. Un gioco che costa più di 50 Euro è difficile che possa essere acquistato da un ragazzo di 14 anni!
Navigando in rete ho trovato un articolo molto interessante di un avvocato che, come in questo articolo, spiega che modificare una console come la Playstation o Nintendo DS è reato.
http://www.andreadagostini.it/articoli.asp?selezione=28
Capisco bene che dietro l’industria dei videogiochi c’è un grosso lavoro e capisco benissimo di perseguire coloro che per scopi di lucro fanno copie pirata di videogiochi, però non mi sembra giusto perseguire anche il privato che acquista la modifica ad uso personale.