SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. I fatti all’origine della vicenda e la prima sentenza della Corte di giustizia. – 3. La causa: Le conclusioni dell’avvocato generale e la decisione della Corte. – 4. Considerazioni e possibili sviluppi futuri.
1. – Con sentenza del 1° marzo 2017 (causa C-275/15) la Corte di giustizia dell’Unione europea (d’ora in avanti la Corte di giustizia o, più semplicemente, la Corte) si è pronunciata in relazione a un rinvio pregiudiziale sottoposto alla sua attenzione dalla Court of Appeal inglese[1] nell’ambito di un giudizio che, a più riprese, ha visto come parti la ITV Broadcasting e la TVCatch-up.
Per gli appassionati della materia la sentenza in esame si pone come una delle (presumibilmente) ultime puntate di un’avvincente serie tv. Com’è noto, infatti, la causa all’origine del rinvio si inserisce nel quadro di un contenzioso più ampio, che peraltro ha già portato a una precedente pronuncia della Corte di giustizia[2], e che si caratterizza per vedere da anni contrapporsi dinanzi alle giurisdizioni inglesi l’emittente televisiva ITV Broadcasting, insieme anche ad altre emittenti televisive commerciali, al fornitore via internet di servizi di diffusione di programmi televisivi TVCatch-up. In una delle prime puntate, e precisamente con una sentenza pregiudiziale del 2013, la Corte di giustizia ha stabilito che le emittenti televisive possono vietare la ritrasmissione via internet dei loro programmi da parte di un’altra società laddove, per le sue caratteristiche, tale ritrasmissione costituisca una “comunicazione al pubblico” delle opere; in simili ipotesi è necessaria l’autorizzazione alla ritrasmissione da parte del loro autore.
La sentenza in esame, peraltro, non si presenta come indipendente rispetto alla decisione del 2013, il cui fulcro era l’interpretazione della nozione di comunicazione al pubblico, trovando invece la sua origine proprio nella decisione con la quale il giudice del rinvio, la High Court inglese[3], ha fatto applicazione della sentenza pregiudiziale.
Questo “intreccio” di giudizi si caratterizza per vedere sempre contrapposte nelle controversie principali, da un lato, talune emittenti televisive commerciali titolari – in base al diritto nazionale – dei diritti d’autore su programmi, film e altri contenuti televisivi presenti nel proprio palinsesto[4] e, dall’altro lato, la TVCatchup, una società che fornisce su internet servizi di diffusione gratuita e in tempo reale (cioè in streaming) di programmi televisivi, tra cui quelli offerti dalle ricorrenti sui propri canali[5], senza autorizzazione. La posizione delle ricorrenti si fonda sul fatto che la ritrasmissione, da parte della TVCatchup, di opere incluse in una radiodiffusione televisiva terrestre possa avvenire solo in virtù di autorizzazione (e di pagamento di un compenso per l’utilizzo delle opere) da parte di loro stesse, essendo esse titolari dei diritti d’autore sui contenuti televisivi trasmessi.
Da tale situazione di fatto e dal relativo inquadramento giuridico alla luce del diritto d’autore sono dunque scaturiti due giudizi dinanzi alla Corte di giustizia. Il primo può essere sinteticamente riassunto in questi termini.
2. – La prima controversia che ha visto contrapporsi alcune televisioni commerciali britanniche alla TVCatchup in merito alla diffusione realizzata da quest’ultima dei propri programmi, come accennato, aveva ad oggetto la presunta violazione dei diritti d’autore delle prime, e ciò segnatamente in relazione all’istituto della comunicazione al pubblico, della cui nozione (ai sensi dell’art. 3 della direttiva 2001/29/CE[6]) si chiedeva al giudice dell’Unione la corretta interpretazione.
La Corte di giustizia, nella citata sentenza del 2013, ha interpretato tale norma ritenendo che la relativa nozione ricomprenda la ritrasmissione delle opere incluse in una radiodiffusione televisiva terrestre, laddove sia effettuata da un organismo diverso dall’emittente originale, attraverso un flusso Internet messo a disposizione degli abbonati di tale organismo, i quali possono ricevere detta ritrasmissione connettendosi al server di quest’ultimo sebbene si trovino nell’area di ricezione della radiodiffusione televisiva terrestre e la possano ricevere legalmente su un apparecchio televisivo[7]. Sicché, al fine di potere lecitamente effettuare tale comunicazione al pubblico, essa deve essere specificamente autorizzata dagli autori delle opere[8].
Tale interpretazione ha portato il giudice nazionale a ritenere che l’attività della TVCatchup fosse illegittima, in quanto violava i diritti d’autore delle emittenti televisive. Tuttavia, in relazione all’attività di tre dei canali della TVCatchup[9], i giudici inglesi hanno ritenuto che non si configurasse alcuna violazione e, pertanto, che la ritrasmissione fosse lecita, in virtù dell’art. 73, par. 2, lett. b) e par. 3 del Copyrights, Designs and Patent Act (CDPA)[10], come modificato per recepire la direttiva 2001/29.
Tali disposizioni normative prevedono, in sostanza, che pur in assenza di autorizzazione, la ritrasmissione non costituisca una violazione del diritto d’autore quando avvenga via cavo nella zona di ricezione delle opere. Le disposizioni sono state interpretate dai giudici inglesi nel senso che, quando siano soddisfatte tali condizioni relative alla modalità e al luogo della trasmissione, può consentirsi una eccezione alle regole sul diritto d’autore, ivi comprese quelle sulla comunicazione al pubblico. In altri termini, secondo l’approccio dei giudici inglesi, l’espressione “ritrasmessa via cavo” di cui all’articolo 73, par. 2, lett. b) e par. 3 del CDPA consentirebbe la ritrasmissione via internet agli abbonati che si trovano nella zona in cui la diffusione aveva origine, ma non la ritrasmissione mediante dispositivi mobili che si servono delle reti di telefonia mobile.
Con specifico riferimento all’attività di ritrasmissione condotta dalla TVCatchup, le regole di diritto inglese potrebbero dunque essere lette come idonee a legittimare una deroga all’obbligo di autorizzazione della comunicazione al pubblico, in quanto la ritrasmissione avviene in simultanea e limitatamente alle zone a cui le trasmissioni erano originariamente destinate, cioè il territorio del Regno Unito.
Tale linea interpretativa, tuttavia, non è stata condivisa dalle emittenti televisive coinvolte nella controversia, le quali hanno impugnato la decisione della High Court ed instaurato, dinanzi alla Court of Appeal, il giudizio nell’ambito del quale è stato proposto il nuovo rinvio pregiudiziale.
3. – La questione sulla quale, questa volta, sono stati chiamati ad esprimersi i giudici di Lussemburgo verte, in sostanza, sull’interpretazione dell’art. 9 della direttiva 2001/29[11], alla luce del quale vanno lette le disposizioni di diritto nazionale di cui all’art. 73 del CDPA.
La ragione per la quale la disposizione normativa di riferimento è stata individuata nell’art. 9 della direttiva è da ricondursi al fatto che, secondo tale previsione, i diritti e i principi tutelati dalla direttiva non devono pregiudicare l’applicazione delle norme relative all’accesso ai servizi di diffusione via cavo.
La nozione di “servizi diffusi via cavo” qui contemplata, dunque, va analizzata in relazione a quella di “ritrasmissione via cavo” di cui all’art. 73 CDPA. In altri termini, laddove tali espressioni potessero farsi rientrare nella medesima nozione, la comunicazione al pubblico avrebbe potuto (e potrebbe tuttora) essere effettuata da parte della TVCatchup anche in assenza di previa autorizzazione, in quanto la regola di cui all’art. 3 della direttiva sarebbe legittimamente derogata dall’art. 9 della stessa, rispetto al quale l’art. 73 CDPA costituirebbe una norma di attuazione nel diritto nazionale.
Sia l’avvocato generale che la Corte, tuttavia, hanno ragionato in termini diversi da come appena prospettato, giungendo ad evidenziare che l’espressione “via cavo” ha una portata diversa nelle due disposizioni e, pertanto, che la ritrasmissione nell’area originaria di destinazione della diffusione non può essere ricompresa nell’ambito di applicazione dell’eccezione dell’art. 9.
In particolare, nelle conclusioni alla sentenza è stato messo in evidenza come l’art. 9 vada interpretato alla luce del considerando 60[12] onde verificarne l’esatto significato. All’esito di un tale percorso ermeneutico emerge che la norma non si riferisce alle disposizioni della direttiva stessa bensì a quelle di altri settori. In altri termini, ha precisato l’avvocato generale, “L’obiettivo perseguito con l’articolo 9 è invece quello di mantenere l’efficacia delle disposizioni applicabili in taluni settori diversi da quello armonizzato da detta direttiva. Tale lettura trova conferma nell’elenco dei settori di cui al citato articolo 9 che contempla, fra gli altri, i marchi, i disegni o modelli, la protezione dei beni appartenenti al patrimonio nazionale, le norme sulle pratiche restrittive e sulla concorrenza sleale, la tutela dei dati, il rispetto della vita privata e il diritto contrattuale”[13]. Partendo da tale analisi, l’avvocato generale ha altresì evidenziato che tale impostazione non può essere messa in discussione dal fatto che la ritrasmissione avvenga via cavo (invece che mediante flusso internet), in quanto la comunicazione al pubblico – disciplinata dall’art. 3 – è protetta indipendentemente dal mezzo tecnico utilizzato. La conseguenza di tale ragionamento è che ogni trasmissione o ritrasmissione di un’opera che utilizzi uno specifico mezzo tecnico dev’essere autorizzata individualmente dall’autore dell’opera di cui trattasi.
La Corte di giustizia ha seguito il percorso interpretativo tracciato già dall’avvocato generale.
Più precisamente, la Corte ha stabilito che non può farsi rientrare nella nozione di “accesso ai servizi di diffusione via cavo” un’attività – come quella condotta dalla TVCatchup – che consiste nella “ritrasmissione immediata via cavo, eventualmente anche mediante Internet, nella zona di trasmissione iniziale, di opere diffuse su canali televisivi”, la quale costituisce pertanto una violazione del diritto d’autore che non può essere autorizzata in virtù dell’art. 9[14].
Alla luce di siffatta interpretazione, dunque, previsioni di diritto nazionale come quelle dell’art. 73 CDPA devono ritenersi in contrasto con il diritto dell’Unione europea.
La Corte ha fondato il proprio ragionamento sul fatto che la direttiva 2001/29 rappresenta uno strumento di piena armonizzazione del diritto d’autore. La ratio dell’art. 9 è quella di garantire l’efficacia delle disposizioni applicabili in altri settori del diritto, non potendosi invece consentire una sua applicazione – trattandosi di una norma di natura derogatoria – proprio in relazione alle previsioni della stessa materia oggetto della direttiva di armonizzazione del diritto d’autore.
A sostegno di tale interpretazione ricorre anche un’altra norma della medesima direttiva, cioè l’art. 5, il quale nel disciplinare le cosiddette “libere utilizzazioni” fornisce un elenco esaustivo delle eccezioni e limitazioni alle regole previste dalla direttiva e, in particolare, al diritto di riproduzione e al diritto di comunicazione al pubblico[15]. Nell’ambito di tale elencazione di ipotesi per cui non è richiesto il consenso dei titolari dei diritti non figura la ritrasmissione né via cavo né via internet di canali televisivi, mentre il considerando ad essa collegato, il 32, sancisce espressamente il carattere esaustivo di detto elenco di eccezioni. A ragionare diversamente invece, evidenziano i giudici della Corte, si “pregiudicherebbe la realizzazione dell’obiettivo principale di tale direttiva di stabilire un livello elevato di protezione in favore degli autori”[16].
Un argomento di particolare interesse, inoltre, è legato alla circostanza, evidenziata nelle proprie memorie dalla TVCatchup e dal Regno Unito (oltre che dalla Virgin Media), che i canali per i quali era stata consentita la ritrasmissione senza autorizzazione fossero soggetti a determinati obblighi di servizio pubblico. Né l’avvocato generale né la Corte hanno ritenuto che la natura di servizio pubblico dei canali potesse incidere sulla soluzione del giudizio[17]. Più precisamente, è stato osservato che non vi è alcun fondamento nella direttiva (e nemmeno nei suoi lavori preparatori) che legittimi un affievolimento della tutela del diritto d’autore, in quanto per potersi consentire una deroga alla disciplina di armonizzazione (come detto sopra) è necessaria una specifica previsione, neanche in questo caso contemplata dall’art. 5. In altri termini, anche laddove si ritenesse che la deroga potrebbe giustificarsi in ragione di eventuali obblighi per i canali che svolgono attività di servizio pubblico di consentire la diffusione della programmazione su tutte le piattaforme distributive (cosiddetto must offer), sarebbe necessaria una espressa previsione in tal senso nella direttiva. Per di più, in assenza di una specifica clausola di armonizzazione minima (al contrario, la direttiva 2001/29 persegue obiettivi di armonizzazione totale del diritto d’autore), non potrebbe ritenersi compatibile con il diritto dell’Unione neanche una disposizione nazionale che disciplini espressamente l’ipotesi della libera trasmissione di canali di servizio pubblico in assenza di autorizzazione dei titolari del diritto d’autore. Una siffatta diposizione, in ogni caso, non è presente nel CDPA e, quand’anche dallo stesso prevista, non sarebbe legittima per le ragioni sinora evidenziate.
4. – La sentenza analizzata si pone in un filone di giurisprudenza consolidata della Corte in cui le disposizioni della direttiva 2001/29 vengono interpretate alla luce dell’obiettivo, perseguito dalla stessa, di garantire il più elevato livello possibile di tutela del diritto d’autore. In particolare, in riferimento all’istituto della comunicazione al pubblico, i giudici di Lussemburgo hanno sempre messo in evidenza gli aspetti legati alla tutela degli autori, fornendo parametri interpretativi che consentono di adattare la nozione di comunicazione al pubblico – e la protezione delle opere che ne fanno oggetto – ai nuovi scenari della società moderna, partendo dalla diffusione di opere musicali negli hotel e negli studi medici sino allo sfruttamento di contenuti televisivi su internet o di fotografie offerte tramite linking[18]. Questo approccio della Corte è emerso anche nel caso in esame, sebbene apparisse piuttosto evidente che, al contrario, la possibilità di far rientrare la ritrasmissione online senza autorizzazione nel novero delle eccezioni rappresentasse una forzatura alle previsioni degli art. 5 e 9 della direttiva, nonché dei suoi considerando, come ha evidenziato anche l’avvocato generale.
In tale contesto, è pur vero, d’altro canto, che linee interpretative della disciplina sul diritto d’autore fornite dalla Corte di giustizia sono state disattese – o, quantomeno, applicate erroneamente – dai giudici nazionali che si erano in precedenza rivolti ad essa, tuttavia proprio da questo “incidente” nell’applicare la sentenza interpretativa è scaturita una nuova decisione pregiudiziale. Quest’ultima decisione aggiunge un ulteriore tassello nella definizione delle regole che tutelano il diritto d’autore anche in un mercato in continua evoluzione dal punto di vista tecnologico. Nel caso di specie, dunque, non vi sono state conseguenze negative per il raggiungimento dell’uniforme applicazione delle regole comunitarie sul diritto d’autore negli ordinamenti dell’Unione europea.
Con specifico riguardo alla materia qui di interesse, in questa fase storica dell’integrazione europea, è però naturale chiedersi cosa ne sarà della protezione dei diritti riconosciuti ai titolari delle opere in seguito alla Brexit.
È superfluo rilevare che, per quanto riguarda la causa principale, la sentenza esaminata troverà applicazione a breve, dunque ben prima del perfezionarsi dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea.
Per quanto riguarda, invece, gli effetti futuri e l’applicazione di regole comuni sia a tutti gli Stati membri sia alla Gran Bretagna, occorrerà vedere con quali modalità sarà finalizzata la Brexit e se le regole di armonizzazione che disciplinano taluni settori saranno estese anche allo Stato uscente. Va peraltro evidenziato, al riguardo, che pur in quadro di grande incertezza sui termini in cui lo strumento dell’art. 50 TUE sarà messo in esecuzione, è difficile immaginare che non si ricorrerà a un sistema di applicazione di regole uniformi tra l’Unione europea e la Gran Bretagna. Né, è chiaro, problemi di assenza di armonizzazione e/o di circolazione delle opere con i loro diritti d’autore potranno, nel futuro, essere risolti com’è avvenuto fino ad oggi, cioè grazie all’istituto del rinvio pregiudiziale, del quale i giudici inglesi si sono avvalsi di frequente.
In ogni caso, con specifico riferimento all’applicazione della direttiva 2001/29, i futuri problemi legati all’assenza di regole comuni potrebbero essere risolti, almeno in parte, già a monte, grazie all’adozione da parte del Parlamento inglese del Digital Economy Act, che a breve dovrebbe sostituire il CDPA.
[1] Corte giust., sentenza del 1° marzo 2017, ITV Broadcasting Limited e a. contro TVCatchup Limited e a., causa Causa C-275/15, sorta dal rinvio della Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division).
[2] Corte giust., sentenza del 7 marzo 2013, ITV Broadcasting Ltd e a. contro TV Catch Up Ltd, causa C-607/11.
[3] Si tratta, più precisamente, della High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division.
[4] Tale emittenti si finanziano grazie alla raccolta pubblicitaria che trasmettono nell’ambito dei programmi trasmessi. Si tratta di ITV Broadcasting Ltd, ITV 2 Ltd, ITV Digital Channels Ltd, Channel 4 Television Corporation, 4 Ventures Ltd, Channel 5 Broadcasting Ltd, ITV Studios Ltd.
[5] L’offerta di programmi cui la TVCatchup consente l’accesso gratuito in streaming è limitata a quei contenuti che i suoi abbonati sono legittimati a guardare nel Regno Unito in virtù della loro licenza televisiva, costituendo precondizioni alla diffusione il possesso, da parte dell’abbonato, di una valida licenza televisiva e la limitazione della fruizione al solo territorio Regno Unito. I programmi sono fruibili su apparecchi televisivi o computer portatili o smartphone.
[6] Direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, in GU L 167 del 22.6.2001, pagg. 10–19. Nel testo sarà indicata, più semplicemente, quale direttiva 2001/29.
[7] Sentenza Corte giust. causa C-607/11, cit., punto 40.
[8] Per un’analisi critica della decisione cfr. V. Bocchetti, Il diritto d’autore nell’era della tecnologia: la Corte di giustizia tutela la “comunicazione al pubblico” anche nelle trasmissioni diffuse su Internet, Diritto pubblico comparato ed europeo 2013 p.1022-1026, nonché, G. Campus, ITV Broadcasting: la Corte di Giustizia su un caso (apparentemente) molto inglese, 2013, disponibile al link https://www.medialaws.eu/itv-broadcasting-la-corte-di-giustizia-su-un-caso-apparentemente-molto-inglese/.
[9] Si tratta, per la precisione, di ITV, Channel 4 e Channel 5.
[10] Il Copyright, Designs and Patents Act 1998 (legge del 1988 in materia di diritto d’autore, modelli e brevetti) è stato modificato dal Copyright and Related Rights Regulations 2003 (decreto del 2003 in materia di diritto d’autore e diritti connessi), che ha recepito la direttiva 2001/29.
L’articolo 73, rubricato Ricezione di una trasmissione senza fili e ritrasmissione della medesima via cavo, dispone che: “1. Il presente articolo si applica ove una trasmissione senza fili effettuata da un luogo del Regno Unito sia ricevuta e immediatamente ritrasmessa via cavo.
2. Il diritto d’autore sulla trasmissione non è violato: (a) se la trasmissione via cavo risponde a un’esigenza di cui tenere conto, o (b) se e nella misura in cui la trasmissione è destinata alla ricezione nella zona in cui viene ritrasmessa via cavo e fa parte di un servizio qualificante.
3. Il diritto d’autore su qualsiasi opera inclusa nella trasmissione non è violato se e nella misura in cui la trasmissione è destinata alla ricezione nella zona in cui viene ritrasmessa via cavo (…)”.
[11] L’art. 9, dir. 2001/29/CE, rubricato Applicazione impregiudicata di altre disposizioni legali, dispone quanto segue: “La presente direttiva non osta all’applicazione delle disposizioni concernenti segnatamente brevetti, marchi, disegni o modelli, modelli di utilità, topografie di prodotti a semiconduttori, caratteri tipografici, accesso condizionato, accesso ai servizi di diffusione via cavo, la protezione dei beni appartenenti al patrimonio nazionale, gli obblighi di deposito legale, le norme sulle pratiche restrittive e sulla concorrenza sleale, il segreto industriale, la sicurezza, la riservatezza, la tutela dei dati e il rispetto della vita privata, l’accesso ai documenti pubblici, il diritto contrattuale” (enfasi aggiunta).
[12] La protezione prevista dalla presente direttiva non dovrebbe ostare all’applicazione delle disposizioni di diritto nazionale o comunitario in altri settori, come la proprietà industriale, la protezione dei dati, l’accesso condizionato, l’accesso ai documenti pubblici e la norma della cronologia dell’utilizzo dei media, che possono pregiudicare la tutela del diritto di autore o dei diritti connessi (sottolineatura aggiunta).
[13] Conclusioni dell’Avvocato generale Saugmandsgaard Øe, dell’8 settembre 2016, ITV Broadcasting e a., causa C-275/15, punto 38.
Al riguardo, nelle citate conclusioni, è stato altresì evidenziato che la ratio delle previsioni di cui all’art. 9 è quella di garantire certezza giuridica, evitando che dall’adozione della medesima possano derivare conseguenze giuridiche non previste, e non quella di delimitare il campo di applicazione della direttiva 2001/29 (ivi, punto 46).
[14] Sentenza Corte giust. causa C-275/15, cit., punto 29.
[15] L’art. 5 della dir. 2001/29/CE, rubricato Eccezioni e limitazioni, al par. 3.dispone che “Gli Stati membri hanno la facoltà di disporre eccezioni o limitazioni ai diritti di cui agli articoli 2 e 3 nei casi seguenti: (…)” e, al par. 5., dispone che “Le eccezioni e limitazioni di cui ai paragrafi 1, 2, 3 e 4 sono applicate esclusivamente in determinati casi speciali che non siano in contrasto con lo sfruttamento normale dell’opera o degli altri materiali e non arrechino ingiustificato pregiudizio agli interessi legittimi del titolare”.
[16] Sentenza Corte giust. causa C-275/15, cit., punto 28.
[17] Rispettivamente, conclusioni dell’avvocato generale causa C-275/15, cit., punto 45 e sentenza Corte giust. causa C-275/15, cit., punto 28.
[18] Ex pluris cfr. Corte giust. 7 dicembre 2006, SGAE, causa C-306/05; 4 ottobre 2011, Football Association Premier League Ltd, cause riunite C-403/08 e C-429/08; 8 settembre 2016, GS Media, causa C-160/15; 13 febbraio 2014, Svensson e a., causa C-466/12; nonché 26 aprile 2017, Stichting Brein, causa C-527/15.