La mediaconciliazione in materia di risarcimento del danno per diffamazione “a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità”

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Il 21 marzo 2011 è divenuta operativa in Italia la media-conciliazione, disciplinata dal d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 e dal d.m. 18 novembre 2010, n. 480. L’obiettivo principale di questo istituto, nelle intenzioni del legislatore delegato, è la riduzione delle future controversie dinanzi al giudice civile. Coerentemente con tale finalità la novella prevede che il ricorso alla mediazione, in alcune materie espressamente indicate, sia obbligatorio e come tale si ponga come condizione necessaria per poter successivamente proporre la medesima lite dinanzi alla giustizia ordinaria.

 Il d. lgs.  28/2010 ha indicato anche la “diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità” tra le materie per le quali la mediazione è obbligatoria, fatta eccezione per i casi in cui la relativa azione civile sia esercitata nel processo penale. Di conseguenza, chiunque intenda chiedere un indennizzo come risarcimento per articoli pubblicati su agenzie di stampa, quotidiani e periodici o mandati in onda da radio, tv ed internet e ritenuti diffamatori deve rivolgersi ad un mediatore e, solo in caso di insuccesso del tentativo di quest’ultimo di risolvere in forma conciliatoria la questione, può iniziare una vertenza dinanzi al giudice civile.

 L’inserimento del risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa tra le materie nelle quali il Legislatore auspica che la soluzione della controversia possa avvenire in via conciliativa trova presumibilmente il proprio fondamento non solo nell’elevato numero di cause civili in materia ma anche, e forse soprattutto, nell’estrema variabilità degli importi chiesti a titolo di risarcimento. Come viene da più parti sottolineato, la lesione della onorabilità – e per molti profili anche della privacy – di una persona presenta profili di elevata soggettività che rendono necessario il ricorso ad una significativa attività ricostruttiva dei fatti, dei contesti, della personalità. Ciò apre sicuri spazi per una attività di mediazione volta a condurre le parti verso l’individuazione di un punto di equilibrio che consenta di evitare il ricorso al giudice ma nel contempo fa emergere alcuni aspetti problematici.

 Il primo risiede nella necessità di valutare quale sia l’effettivo ambito di applicazione del dettato legislativo laddove parla di “stampa o altri mezzi di pubblicità”. Come prima sottolineato le forme di diffusione di notizie ed opinioni suscettibili di rientrare nella definizione sono molteplici. Innanzitutto al concetto di stampa possono ricondursi il giornale cartaceo, il telegiornale e il giornale on line registrato, anche se la giurisprudenza della Suprema Corte sta negli ultimi anni cercando di delimitare l’automatica assimilazione tra queste forme di informazione professionale. Nel “mezzo stampa” la Suprema Corte colloca però anche i volantini, ritenendo che l’art. 595 c.p. sanzioni la diffamazione a mezzo della «stampa» prescindendo dalla circostanza che si sia, o meno, di fronte ad una pubblicazione periodica, o che lo stampato rechi, o meno, la notazione “comunicato stampa” (cfr., da ultimo, (Cass. Civile, Sez. III, Sentenza 5 giugno 2007, n. 13089). La locuzione “altri mezzi di pubblicità” si presenta poi ancora più ampia: la radio, la televisione, Internet, i cartelloni affissi lungo la strada sono tutti in essa ricompresi.

In sede penale i due ambiti – il mezzo stampa e le altre forme di pubblicità – vengono di regola tenuti distinti, ritenendo ad esempio applicabile l’aggravante della condotta lesiva della reputazione altrui solo alle pubblicazioni che sono dalla legge qualificate come “giornalistiche” (e quindi giornale cartaceo e tele e radio-giornali) e sottolineando in questo modo l’aspetto non semplicemente quantitativo (il numero di persone che hanno letto o ascoltato la frase o l’immagine diffamatoria) bensì anche, e soprattutto, quello qualitativo, dato dalla “autorevolezza” della fonte. Anche in sede civile l’orientamento è nel senso del riconoscimento di un maggior danno, soprattutto non patrimoniale, nelle ipotesi di diffamazione a mezzo stampa rispetto alle altre forme di pubblicità. Non appare invece possibile prevedere quale sarà l’orientamento che si affermerà in sede di mediazione, dove l’obiettivo di comporre in forma equitativa la controversia potrebbe portare all’attribuzione di una pari rilevanza ad ipotesi sino ad ora giudicate in modo differente, come ad esempio la diffamazione avvenuta su un quotidiano cartaceo o su un sito web molto letto. Il che, per molti aspetti, darebbe riscontro ad una opinione, ormai molto diffusa, secondo la quale la capacità pervasiva dei nuovi mezzi di comunicazione, anche in tema di lesione di diritti, non è minore rispetto ai tradizionali mass media, ma nel contempo porrebbe l’attività di mediazione in una posizione sensibilmente diversa rispetto alla consolidata giurisprudenza in materia.

 Il secondo aspetto problematico, per molti versi legato al primo, riguarda invece il possibile approccio della mediazione nei confronti del rapporto tra libertà di informazione e tutela della dignità personale. E’ infatti indubbio che la ratio della media-conciliazione, ossia la ricerca di un punto di incontro – non secondo giustizia ma secondo equità – tra posizioni divergenti, possa portare ad un livellamento della rilevanza giuspubblicistica degli interessi coinvolti, che hanno tutti dignità costituzionale ma per i quali la Costituzione, e l’interpretazione di quest’ultima costantemente data nel tempo da dottrina e giurisprudenza, stabilisce comunque una sostanziale gerarchia, pur distinguendo anche in questo caso tra “stampa” e “altri mezzi di diffusione”. Infatti, come è noto, una consolidata giurisprudenza ritiene che nel bilanciamento tra libertà di stampa e tutela dell’altrui reputazione debba esservi una sostanziale prevalenza della prima, seppure a condizione che vengano rispettati i principi che la Corte di Cassazione riassunse in una sua nota sentenza del 1984 (sent. del 18 ottobre 1984, n. 5259, Cass. I civ., conosciuta anche come “Decalogo dei giornalisti”).  Con riferimento, invece, agli altri mezzi di pubblicità, comprese molte tipologie di siti Internet, la giurisprudenza – e parte della dottrina – non ritengono applicabile la medesima ponderazione dal momento che si tratta in questo caso di contemperare due situazioni giuridiche soggettive, la liberta di manifestazione del pensiero e il diritto alla tutela della propria dignità, che sono poste su un piano di sostanziale parità. Di conseguenza, in questi casi andranno verificati, al fine della definizione della controversia, le circostanze, il contesto nel quale si è prodotto l’evento e le conseguenze dell’offesa, prima fra tutte le ricadute della stessa sull’opinione o sulla stima di cui gode un soggetto in un determinato ambiente per qualità fisiche, intellettive e professionali. Anche su questo punto il compito del mediatore si presenta non facile, in quanto destinato a scegliere in che misura mantenere tale distinzione nelle proprie proposte di conciliazione.

 Vi è, infine ma non da ultima, una questione procedurale, che forse è tale solo in apparenza. In tema di diffamazione a mezzo stampa, l’art. 12 della l. 8 febbraio 1948, n. 47 prevede la possibilità per la persona offesa di richiedere, oltre al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 185 c.p. comprensivo sia del danno patrimoniale sia del danno non patrimoniale, anche una somma a titolo di riparazione che non costituisce una duplicazione delle voci di danno risarcibili, ma che integra una ipotesi eccezionale di pena pecuniaria privata prevista per legge, che come tale può aggiungersi al risarcimento del danno autonomamente liquidato in favore del danneggiato. In questi termini si è espressa la Cassazione che, sin dal 1991 (Cass. 23.4.1991, in Riv. pen., 1991 1081), ha ammesso la possibilità che l’applicazione della stessa possa essere richiesta anche in sede di giudizio civile. Sempre la Suprema Corte ha però chiarito che l’irrogazione di tale pena può essere inflitta solo in presenza di una diffamazione “a mezzo stampa” intesa nella sua accezione più restrittiva di stampa quotidiana e periodica e non anche nelle ipotesi di diffamazione compiute ad esempio mediante il mezzo televisivo (cfr. da ultimo Cass. Civ., sez. III, 10 maggio 2011, n, 10214), confermando il proprio orientamento volto a tenere distinta la “stampa” tradizionalmente intesa da tutti gli altri strumenti di diffusione del pensiero e di informazione. Occorre pertanto chiedersi se venga meno, in questo caso, l’obbligatorietà del preventivo tentativo di conciliazione e possa esservi l’immediato ricorso al giudice, partendo dalla convinzione che il mediatore non possa intervenire nella composizione di una lite qualora la parte offesa voglia esercitare il proprio diritto di chiedere anche l’irrogazione della pena pecuniaria privata ex art. 12 l. 47/48. La seconda ipotesi appare preferibile, dal momento che, in caso contrario, si chiederebbe all’interessato un passaggio inutile in se ipsa.

 Le questioni ora esposte, che peraltro non esauriscono la tematica, evidenziano come il contesto nel quale la mediazione si va ad innestare sia, non da oggi, caratterizzato da alcune criticità per certi aspetti inevitabili, in considerazione della rilevanza degli interessi in gioco e del progressivo affermarsi della network society, basata su forme sempre più dinamiche e accessibili di comunicazione in forma pubblica. Peraltro è ancora presto per valutare se la mediaconciliazione potrà avere nei prossimi anni uno sviluppo significativo in materia. In buona parte, ciò dipenderà anche dall’orientamento che prevarrà al suo interno in merito alla scelta di far propri i principi giurisprudenziali in materia, ponendosi quindi come reale alternativa al contenzioso giurisdizionale, o di ricercare soluzioni diverse. Di certo, se dovesse prevalere questo secondo orientamento, risulterà allora ancora più necessario e urgente (di quanto non lo si avverta già oggi) avviare una riflessione sull’intero tema dell’informazione, sia nel senso dell’opportunità di modificare e attualizzare la normativa sulla stampa, che non può che diventare disciplina dell’informazione professionale latamente intesa, sia di un più generale ripensamento dei reati di opinione, come da più parti si chiede.

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