La consultazione pubblica dell’AGCOM sulla net-neutrality: uno spunto per brevi riflessioni di carattere costituzionale

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1. Il 3 febbraio 2011, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) ha deliberato l’indizione di una consultazione pubblica concernente il principio della neutralità della rete.  La delibera n. 40/11/CONS individua le principali tematiche oggetto di discussione e propone, in primo luogo, agli stakeholders una serie di quesiti sul principio della neutralità della rete, con particolare riferimento alle nuove logiche commerciali; alle tecniche di gestione del traffico ed alle future azioni regolamentari in materia.

Per definizione, il  principio di neutralità richiede che nessuna restrizione sia imposta al traffico dei dati, in ragione del contenuto trasmesso del tipo di servizio utilizzato oppure della tecnologia di accesso. Esso ha assunto nel corso del tempo – occorre, infatti ricordare che la questione della net-neutrality è sorta più di dieci anni fa negli Stati Uniti d’America –  una pluralità di significati, varianti a seconda del contesto in cui la questione è stata posta.

Con il suo intervento, l’AGCOM si pone tra le Autorità nazionali di regolazione (ANR) che si interrogano sull’evoluzione della regolazione e sulla concreta declinazione del principio di neutralità. Rimanendo nell’ambito dei Paesi Membri dell’Unione Europea occorre ricordare in proposito: il contributo della Swedish Post and Telecom Agency su “Open Networks and Services”; il Discussion Document dell’OFCOM su “Traffic Management and net neutrality; ed il documento dell’ARCEP su “Neutralitè l’intervent et des réseaux: propositions et orientations”.

Ad essi deve essere necessariamente aggiunti la Consultazione della Commissione Europea “On the Open Internet and net-neutrality” ed il contributo del BEREC  in risposta a tale consultazione.

L’approccio dell’AGCOM, così come quello delle altre ANR europee e del BEREC, è assolutamente pragmatico, ma consente partendo da alcuni casi particolari di riflettere su questioni di enorme rilevanza per il diritto pubblico sia sul versante della tutela della concorrenza sia sul versante dei diritti fondamentali

2. La prima questione che emerge riguarda il rapporto tra neutralità della rete e promozione della concorrenza.

Il principio di neutralità fonda, infatti, un divieto di discriminazione tra i fornitori di servizi o tra i fornitori di applicazioni che può essere posto a carico sia degli operatori di rete sia degli Internet Services Providers.

Se posto in capo agli operatori di rete può trattarsi di un divieto di discriminazione esterna oppure di un divieto di discriminazione interna. Nel primo caso consiste nell’obbligo per l’operatore di praticare le medesime condizioni per l’utilizzo della rete a tutti i fornitori di servizi. Nel secondo caso consiste nel divieto per l’operatore verticalmente integrato (cioè al tempo stesso operatore di rete e fornitore di servizi) di differenziare le condizioni di accesso in favore delle proprie divisioni commerciali.

Se posto in capo agli Internet Services Providers, il divieto di discriminazione impedisce loro di selezionare le applicazioni, bloccandone alcune e permettendone altre; di prevedere tempi di risposta differenziati dando così priorità ad alcuni dati rispetto ad altri; di diversificare i costi e la qualità dell’accesso.

L’obbligo di neutralità può avere anche in questo caso una funzione pro-concorrenziale soprattutto qualora i blocchi e le prioritarizzazioni abbiano lo scopo di orientare i consumatori verso i servizi propri dell’ISP o verso alcuni partner commerciali.

In questa ottica, l’applicabilità del principio di neutralità risponde ad una questione di regolazione dei mercati. Sulla base della normativa europea oggi in vigore i divieti di discriminazione sono imponibili dalle Autorità Nazionali di Regolazione nel caso in cui esse rilevino che in un mercato rilevante (tra quelli individuati dalla Commissione europea) vi sia un operatore in posizione di dominanza.

Questo significa che ai sensi dell’attuale legislazione, i divieti di discriminazione sono più facilmente applicabili agli operatori e molto meno agli ISP e, comunque, sempre subordinati all’accertamento di una posizione di significativo potere di mercato.

Da questo punto di vista, l’iniziativa dell’AGCOM – ed in particolare le domande avanzate agli operatori sulle aspettative della regolazione – appaiono quindi quanto mai rilevanti e strategiche. Non vi è dubbio, infatti, che le ANR dovranno sviluppare strategie – il più possibile comuni  – per adattare la regolazione ad un contesto in rapida ed incerta evoluzione tanto sotto il profilo del business quanto sotto il profilo dell’innovazione tecnologica (applicazioni, reti NGN, IPTV e VOIP).

3. La seconda questione è quella del legame tra principio di neutralità e diritti fondamentali.

Qui il rischio che la questione diventi ideologica appare certamente maggiore.

I sostenitori più accaniti della net-neutrality ritengono, infatti, che ogni intervento sulla circolazione dei dati comporti una limitazione della libertà dei cittadini – utenti. Il che è certamente vero, così come è altrettanto innegabile che nessuna libertà, possa essere considerata in un sistema democratico come assoluta ed illimitata.

La questione deve essere, quindi, posta diversamente.

Occorre infatti partire dalle singole limitazioni tecnicamente possibili e valutare l’impatto di esse sui diritti costituzionalmente garantiti. Da questo punto di vista, l’approccio della delibera dell’AGCOM è particolarmente significativo, anche se evidentemente sul punto dovranno essere i legislatori (nazionali e quello comunitario) ad intervenire per definire più propriamente i necessari paletti

La prima discriminazione possibile è il blocco di taluni dati, in ragione del loro contenuto.

È intuitivo che l’imposizione di filtri possa teoricamente impattare con una pluralità di diritti costituzionali tra cui occorre ricordare, in primo luogo, la libertà di espressione ed il diritto alla riservatezza dei propri dati. Nel primo caso, l’impatto è diretto poiché idoneo ad impedire che una manifestazione del pensiero, un’opinione o un’informazione circolino. Nel secondo caso, l’impatto è indiretto e dipende dal tipo di ispezione che viene compiuta sul dato (si parla in proposito di deep o light inspection a seconda che il pacchetto sia effettivamente aperto e letto oppure solamente analizzato sulla base di alcuni segni identificativi esterni) nonché dalle modalità di trattamento dei dati ispezionati.

Posta così la questione, il pensiero non può che andare ai sistemi di filtraggio e di blocco della circolazione dei dati (e trattamento degli stessi) messi in opera da alcuni Stati per controllare la diffusione di informazione ritenute pericolose per la stabilità nazionale. Limitazioni di questo tipo, fondate sulla selezione delle opinioni politiche – in senso ampio –  sono certamente illegittime ai sensi della nostra Carta Costituzionale così come ai sensi della CEDU nonché della Carta europea dei diritti fondamentali.

Diversa è la questione se il blocco si riferisce a dati che trasportano contenuti illegali ed integranti fattispecie di reato. Non vi è dubbio che l’utilizzo di una rete internet non possa essere considerata una causa di non punibilità e tanto meno che la rete possa essere considerata una zona franca in cui nessuna prevenzione e repressione sia possibile. Tuttavia è evidente che la questione tende a complicarsi.

In primo luogo, perché su Internet è sempre più difficile distinguere tra una comunicazione al pubblico ed una comunicazione interpersonale e, quindi, tra i relativi limiti (che nell’ordinamento costituzionale italiano sono nettamente differenziati).

In secondo luogo, perché non sempre è chiara la giurisdizione applicabile e quali siano i margini di intervento

In terzo luogo perché i meccanismi di controllo del traffico internet appaiono particolarmente invasivi. Il che pone – più di quanto non avvenga con altri mezzi di comunicazione –  un problema di bilanciamento tra la necessità di prevenire e reprimere i reati e la compressione di libertà costituzionalmente garantite, non unicamente e solamente coincidenti con la libertà di espressione.

Come noto, il bilanciamento tra diritti, libertà e valori costituzionali è un compito primario dei legislatori ed è sottoposto allo scrutinio di legittimità delle Corti Costituzionali nazionali ed, in ambito europeo, della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e, nei limiti della sua giurisdizione, della Corte di giustizia dell’Unione Europea.

Senza voler entrare in un argomento la cui complessità è eccessiva rispetto a questo breve intervento, un criterio di bilanciamento che appare oggi irrinunciabile  (v. anche sentenza HADOPI e costante giurisprudenza CEDU in materia di libertà di espressione) è quello di proporzionalità. Questo significa che l’intervento repressivo (e preventivo, ove esso sia possibile e non illegittimo) deve essere orientato al criterio della ragionevolezza della restrizione rispetto all’obiettivo che ci si prefigge di raggiungere. In questo senso, il legislatore dovrà studiare meccanismi che coinvolgano – fermo restando la garanzia costituzionale dell’intervento del giudice – maggiormente i fornitori di servizi e di applicazione (come avviene, ad esempio, già in materia di protezione dati personali).

La seconda discriminazione possibile è la prioritarizzazione dei dati.

Gli ISP possono offrire una corsia preferenziale ai dati necessari per le applicazioni che richiedono tempi di risposta più brevi. Questa scelta impone una deroga al principio – finora invalso – del first come first served per cui i dati vengono ritrasmessi in base ad un ordine temporale. Per cui se il nodo è saturo, i dati sono posti in attesa e, qualora la memoria anche si saturi, cancellati sempre in ordine cronologico.

È evidente che vi sono applicazioni, come ad esempio i servizi di mailing che possono tollerare un ritardo (di norma pochi decimi di secondo) nell’instradamento ed altri, come ad esempio la IPTV ed il VOIP, che invece divengono inutilizzabili qualora il trasferimento non sia istantaneo.

Questa differenziazione spiega anche perché forme di prioritarizzazione dei dati possano incentivare l’efficienza nella gestione della rete (cd. politiche di traffic management ) nonché, come l’AGCOM riscontra nella sua delibera, possano condurre anche ad un ampliamento dell’offerta attraverso una distinzione di un accesso a più livelli, secondo i servizi offerti (cd. distinzione tra servizi best effort e managed services).

Tuttavia è evidente che le tecniche di prioritarizzazione possano avere un impatto sui consumatori/cittadini.

Innanzitutto, come l’AGCOM correttamente rileva, nel momento in cui gli ISP iniziano ad instradare i dati secondo criteri di priorità si apre un problema per il consumatore che utilizzava una connessione Internet per un’applicazione che – dopo l’adozione di priorità – diviene secondaria. L’esempio più evidente sono le restrizioni che impattano sui servizi VOIP. Infatti, se l’ISP decide che il VOIP non è un servizio prioritario, anche un piccolissimo ed impercettibile ritardo rende impossibile la comunicazione.

Di conseguenza, occorre prevedere meccanismi che informino il consumatore in maniera trasparente delle regole di priorità adottate dal singolo ISP e necessariamente anche meccanismi di rescissione contrattuale gratuita nel caso in cui le regole di priorità siano modificate durante la vigenza contrattuale.

In secondo luogo, l’adozione di regole di priorità potrebbe porre, in un futuro non così remoto, un problema di servizi essenziali. Occorre, infatti, ricordare che la normativa europea oggi in vigore si limita a considerare come elemento del servizio universale l’accesso alla rete fissa, con un riferimento piuttosto vago ad un accesso efficiente ad Internet. Non c’è alcun riferimento, né tanto meno l’individuazione, di specifici servizi essenziali forniti attraverso la rete. Di conseguenza dovranno essere gli Stati Membri a porsi il problema di valutare l’opportunità di fornire apposite garanzie per l’accesso a determinate applicazioni e servizi. Per comprendere il nocciolo della questione è sufficiente pensare allo sviluppo di forme di e-government a livello locale e nazionale, al processo telematico, all’e-learning. Se gli Stati decideranno di puntare realmente sull’innovazione non potranno non porsi il problema dell’accesso dei cittadini a tali servizi.

In terzo luogo, poiché per prioritarizzare è necessario analizzare il dato possono teoricamente sorgere problemi di riservatezza dei dati trattati. Nella pratica però non è assolutamente detto che il problema si ponga. Bisogna, infatti, sottolineare che perché si verifichi un problema di protezione dati, è necessario che il dato sia personale cioè che sia idoneo ad identificare direttamente o indirettamente un soggetto. Le tecniche oggi disponibili consentono che il dato sia trattato in forma anonima. Sul punto, occorre dire che l’impatto sul diritto alla riservatezza dei dati personali può essere certamente limitato imponendo normativamente l’utilizzo di strumenti tecnici che garantiscano l’anonimità.

4.  In conclusione, occorre dire che il dibattito sul principio di neutralità si è spostato da un versante prettamente ideologico ad un versante prevalentemente pragmatico. Questo non significa che, più in generale, la regolazione di Internet sia una questione prevalentemente di efficienza della rete o di traffic management.

La caratteristica di essere un potentissimo strumento per la diffusione di opinioni, idee e pensieri rende, infatti, costituzionalmente rilevante il modo con cui esso è disciplinato. Di norma si tende a collocare la questione solo all’interno ed in relazione alle fattispecie costituzionali che disciplinano la libertà di comunicazione.

Tuttavia, occorre sottolineare che tale collocazione appare oggi insufficiente. Il WEB è infatti già oggi molto di più che uno strumento di diffusione del pensiero. Si configura, infatti, come un mezzo  necessario per vivere compiutamente la modernità e per sviluppare la propria personalità.

Di conseguenza, è innegabile che accanto alle questioni suesposte emerga anche la necessità di un riflessione complessiva sulle modalità e sulle condizioni di accesso del cittadino alla rete.

Qui il compito è evidentemente non solo e non primariamente delle Autorità nazionali di regolazione, che pure stanno svolgendo un’importante funzione di stimolo. È, infatti, necessaria una strategia politica europea ed, al suo interno, scelte nazionali precise e rapide.

L’Agenda digitale europea traccia in proposito alcune direttrici e pone alcuni obiettivi; i Governi nazionali ed i Parlamenti sono chiamati, con urgenza, a fare la loro parte.

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