(Dal Sole 24 Ore di domenica 12 giugno 2011)
Si trasferisce in Europa il dibattito sulle regole italiane per le reti di nuova generazione. Dopo gli operatori alternativi (si veda il Sole 24 Ore del 9 giugno), questa volta è Franco Bernabè, presidente esecutivo di Telecom Italia, a scrivere al commissario per l’Agenda digitale, Neelie Kroes. L’oggetto dei cahiers de doléances è sempre lo stesso, pur in una prospettiva opposta rispetto ai concorrenti: la delibera 301/11 dell’Agcom che stabilisce il complesso schema di regole per la realizzazione dell’Ngn (Next generation network).
Una lettera, quella di Telecom, già anticipata a voce da Bernabè alla Kroes, che Il Sole 24 Ore ha potuto visionare. Un documento dettagliato e pungente nei confronti dell’Autorità italiana, che smonta punto per punto l’impianto dell’Agcom evidenziando alla Commissione – ed è la tesi di Telecom Italia – come la portata dei nuovi obblighi previsti non abbia eguali nel contesto europeo e che, se confermata nel provvedimento finale, avrebbe effetti negativi sullo sviluppo degli investimenti dell’azienda in tutto il complesso ecosistema delle reti di accesso in fibra ottica.
Bernabè sostiene che l’Agcom ha introdotto e impropriamente modificato gli obblighi regolamentari al di fuori di una precisa analisi di mercato, come invece richiesto dalla direttiva quadro, imponendo per esempio l’obbligo a Telecom di fornire “su richiesta” agli operatori alternativi componenti di rete passiva, anche quando questo si traduce nella loro realizzazione ex novo. E quindi la realizzazione di costose tratte di rete punto-punto, quando tutto il network di Telecom è multi-punto (Gpon, come nella maggior parte d’Europa). Secondo Bernabè in questo modo Telecom diventerebbe una sorta di costruttore di reti per terzi, svolgendo un ruolo non previsto dalla raccomandazione europea. A proposito, nel documento si ricorda come il gruppo abbia già aperto agli operatori alternativi le sue infrastrutture passive (per esempio nel caso del Trentino) e siglato accordi di coinvestimento con i concorrenti.
L’altro punto “caldo” è il regime asimmetrico che l’Authority ha imposto per quanto riguarda l’offerta dei bottleneck di rete (le così dette tratte di adduzione per l’ingresso negli edifici e il cablaggio verticale della fibra), nonostante siano già entrate in vigore dallo scorso 25 maggio le nuove direttive che prevedono l’introduzione di un regime “simmetrico” per questi obblighi. Il risultato potrebbe essere, secondo Bernabè, la creazione di «nuovi monopoli degli operatori alternativi» in relazione proprio alle reti che arrivano e che “scalano” gli edifici delle città. Senza contare che «dal momento che gli operatori alternativi stanno già fornendo servizi di ultra-broadband in molte città italiane (il riferimento è ai 100 megabit di Fastweb, ndr), gli obblighi di fornire informazioni sui piani di investimento al fine di promuovere accordi di coinvestimento dovrebbero essere imposti in modo simmetrico a tutti gli operatori e non solo a Telecom». Inoltre, si legge nella lettera, l’Agcom pur riconoscendo la necessità di segmentare il territorio distinguendo le aree in competizione da quelle in monopolio, «non ha ritenuto di differenziare, corrispondentemente, l’obbligo di fornitura del bitstream su fibra, disincentivando, in tal modo, la competizione infrastrutturale promossa dalle nuove direttive europee».
Gli operatori alternativi, invece, si lamentano proprio del contrario e sostengono che le regole dell’Agcom potrebbero portare a una nuova monopolizzazione dei servizi di banda ultralarga. Il primo schema di regole sulle reti di nuova generazione era stato licenziato dall’Authority in gennaio e prevedeva che, fino al 2013, Telecom Italia offrisse agli alternativi un servizio di interconnessione di traffico all’ingrosso (bitstream) e solo in seguito, cioè dopo il 2013, un vero e proprio unbundling della fibra. Ipotesi stralcialta nell’ultimo provvedimento, che prevede però molti altri obblighi proprio sulle infrastrutture di rete da fornire ai concorrenti.