Internet e responsabilità: dal caos informativo al neofeudalesimo dei guardiani?

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Internet è un’infrastruttura tecnologica, materia di bit e di algoritmi.

La comunicazione si svolge a pacchetti di dati. La mission di ciascun “pacco” è quella di arrivare a destinazione schivando qualsiasi tipo di ostacolo: quello che arresti da una parte ritorna fuori da un’altra.

Ecco l’Internet: un pianeta acefalo senza capo né coda. Il pianeta del caos informativo dove l’unica esigenza garantita dalla tecnologia è la comunicazione. “Comunicare giustifica i mezzi” avrebbe detto il nostro buon Machiavelli se fosse vissuto nell’era digitale. Negli scenari di guerra in cui trasferire informazioni è una questione di vita o di morte, la comunicazione deve avvenire ad ogni costo. In prevalenza assoluta di ciascun altro diritto.

E come si fa a far predominare il messaggio su tutto? Si fabbrica un messaggio a diffusione ubiqua che arrivando da N parti giungerà senz’altro anche a destinazione.

Da qui il caos informativo dell’Internet, tecnologia di guerra ceduta alla Società dell’Informazione.

Il cittadino digitale in questa realtà non è altro che un patrimonio informativo prono ai condizionamenti tecnologici dell’infrastruttura e oggetto di offesa delle scorribande dei predoni elettronici. La partita sembra vinta: è l’infrastruttura che governa le dinamiche dei netizen. Il cittadino è prigioniero del caos informativo della Rete.

Ben presto però si affaccia una nuova realtà in cui il cittadino non è prigioniero della Rete ma dei Guardiani della Rete (A. Stazi, 2009). I gate-keeper ovvero i soggetti che forniscono l’accesso a Internet e alle piattaforme di senso allocate nel caos informativo. Le piattaforme galleggianti in questo mare magnum gettano le reti e iniziano a pescare riportando a terra quel che trovano. Inizialmente si tratta di indirizzi, di qualche vetrina, di siti porno e diavolerie varie. Poi organizzano il lavoro secondo i gusti e le richieste dell’utente portando a galla isole di contenuti “consumer driven”.

L’infrastruttura tecnologicamente anarchica subisce un processo di gerarchizzazione impresso dall’uomo. In questo oceano magmatico e caotico di informazioni si stagliano delle isole di terraferma originate dalle piattaforme intelligenti impiantate dai Guardiani. Gli internauti convergono su queste croste di senso per trovare e per essere trovati; per condividere e discutere. Chi delinque fa rotta nel mare aperto; evita le rotte comuni e costruisce nuovi scali e nuovi Guardiani. L’oceano informativo presenta affollate terre emerse pulsanti di vita comune e approdi occultati che su queste terre appuntano i loro strali malevoli.

Le piattaforme intelligenti impiantante dai pionieri-pescatori assurgono adesso alla dimensione di veri e propri regni. La piattaforma proprio come il Castello medievale è l’ambiente in cui si svolge la vita dominata dalle logiche impresse dal Guardiano-Signore del feudo elettronico.

Siamo nell’era del neofeudalesimo dei Guardiani.

Il cittadino-suddito digitale pare avere poche chances di riconoscimento giuridico. La sua vita elettronica può sperare nello stato di diritto solo laddove vi siano delle piattaforme che per proprio business ritengano di salvaguardare un po’ di data protection e di diritto di accesso. Pensiamo agli ultimi accordi tra Facebook e la Federal Trade Commision (USA) per l’adozione di una nuova e più adeguata policy privacy o a quella già concordata con Google. Si tratta di buoni investimenti commerciali sotto il profilo del ritorno di immagine e di “nuovi collegamenti” forse più forti dei precedenti.

In tutto questo comunque il netizen è solo una pedina , una merce di scambio: un dato.

Il patrimonio informativo del soggetto e la sua vita digitale non può essere ridotta all’essenza di un mero dato. Deve invece assumere la statura dei valori della persona giuridicamente tutelati a livello internazionale anche se con “sfumature” differenti.

In uno scenario siffatto l’istituto giuridico della responsabilità emerge quale unica arma di affrancamento feudale del cybernauta.

L’arma della responsabilità non come elemento distruttivo ma come elemento dialogico atto a mettere in comunicazione i dictat della libertà d’impresa con l’imperativo categorico delle libertà della persona. Un ponte levatoio gettato tra medioevo e civiltà democratica.

Non può evidentemente trattarsi di una responsabilità oggettiva atta a erodere la cinta fortificata del feudo elettronico stigmatizzando nel Guardiano una posizione di garanzia a cui ricorrere ogni qualvolta si verifichi l’evento lesivo. Dovrebbe trattarsi piuttosto di una figura giuridica declinata sul caso concreto e sulla valutazione dell’effettiva applicazione di nuovi protocolli di cautela forgiati dalle Autorità garanti e dagli Stati insieme agli stakeholder dell’Internet.

Mi spiego meglio. Tutti gli stakeholder della Rete insieme alle Autorithies competenti dovrebbero studiare dei protocolli in materia di tutela della persona. In particolare riguardo alla tutela dei minori, della data protection e del diritto di accesso.

Ogni qualvolta il giudice verifichi che nel caso concreto queste linee guida non sono state osservate avrà senza dubbio un elemento di valutazione cui ancorare un’eventuale pronunzia di responsabilità.

Nell’era della Società dell’Informazione i Castelli digitali ( che siano motori di ricerca, che siano social network o che siano cloud) dovrebbero tutti gettare il ponte levatoio di fronte alle istanze della persona secondo un meccanismo di balance tra tutele del soggetto e tutele dell’impresa.

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