Ogni anno si eseguono in Italia circa 181 milioni di intercettazioni e il numero di utenze messe sotto controllo è cresciuto del 22,6% negli ultimi cinque anni. Sono dati diffusi di recente dall’Eurispes e che documentano un’innegabile “bulimia intercettatoria”, soprattutto se rapportata alla realtà di altri Stati. Tra il 2008 e il 2010 la spesa per intercettazioni è cresciuta del 6,8%, passando da 266.165.056 a 284.449.782 di euro. Ma al di là degli abusi nell’utilizzo di uno strumento sicuramente utile per le indagini e che spesso ha portato a smascherare trame occulte di corruzione e malaffare, si pone il problema della pubblicazione sui media di brogliacci di telefonate riguardanti spesso soggetti non indagati, quando non le più alte cariche dello Stato. Il caso Napolitano è emblematico, ma già prima, all’epoca del precedente governo, si erano registrati abusi sul piano del diritto. Da noi continuano ad uscire sui giornali fiumi di intercettazioni riguardanti la vita privata di soggetti pubblici, senza che questi ultimi si vergognino delle proprie disarmanti nefandezze ma anche nel silenzio assordante di authorities e organismi disciplinari, che invece dovrebbero denunciare alcune palesi violazioni del diritto di cronaca. Un conto sono le conversazioni che provano reati e che consentono all’opinione pubblica di acquisire consapevolezza sui fatti, altra cosa sono le confidenze che il Presidente della Repubblica o il Presidente del Consiglio o un ministro fanno ad un boiardo di Stato o a un collega e che non dovrebbero per nessuna ragione essere pubblicate poiché, pur nutrendo la curiosità morbosa di qualche lettore, non incidono in alcun modo sulla completezza della notizia, non aggiungendo particolari essenziali né penalmente rilevanti.
Appare eccessivo mettere sotto controllo le utenze telefoniche del Presidente della Repubblica mentre parla con il Ministro dell’Interno dell’epoca, o le utenze del Presidente del Consiglio, che dovrebbero essere liberi di fare gli interessi dell’Italia al riparo da orecchie indiscrete, soprattutto quando affrontano delicate questioni che mettono in gioco segreti di Stato, per esempio negli affari internazionali o nei rapporti con altre istituzioni, o delicati equilibri tra poteri dello Stato. Può capitare che i magistrati, per condurre alcune indagini, mettano sotto controllo telefoni di persone che parlano con il capo del governo o con il Presidente della Repubblica e a quel punto è inevitabile che vengano ascoltate anche quelle conversazioni. Ma un conto è assicurare il diritto dei pubblici ministeri di indagare anche attraverso le intercettazioni, altra cosa è pubblicare in forma completa o in estratto quelle telefonate. Nel caso Napolitano, peraltro, l’ipotesi distruzione dei nastri andrebbe seriamente presa in considerazione, per svelenire il clima istituzionale e impedire che telefonate, peraltro irrilevanti sul piano penale, possano produrre effetti destabilizzanti sulle istituzioni, rappresentando, allo stato, una sottile arma di ricatto nelle mani di qualche forza piu’ o meno occulta.
Per garantire il diritto alla privacy e alla dignità delle persone coinvolte e, in questo caso, anche il prestigio e l’onore dell’istituzione, bisognerebbe prima concludere le indagini e divulgare i contenuti delle conversazioni registrate solo se contenessero chiari indizi di reato. E’ auspicabile che una nuova legge sulle intercettazioni, senza impedire alla magistratura di usarle per smascherare violazioni di legge, ne regoli meglio la divulgazione attraverso la stampa e gli altri mezzi d’informazione. Una normativa sulle intercettazioni, che ne regolamenti l’uso e soprattutto la pubblicazione, dovrebbe stare a cuore a tutte le forze politiche attente ad un sano bilanciamento tra diritto all’informazione e tutela della privacy e della dignità umana. E dovrebbe stare ancor più a cuore ad un mondo dell’editoria e delle comunicazioni italiano con scarsissimi margini di autonomia e invischiato in grumi di potere che ne minano la credibilità.