Il Tribunal de Grande Instance di Parigi il 24 gennaio scorso ha emesso una ingiunzione contro il celebre mini-blogging Twitter che farà molto discutere nei prossimi mesi, soprattutto per quel che riguarda la protezione e la conservazione dei dati personali degli utenti della celebre piattaforma.
Il caso scoppiò lo scorso ottobre, quando una serie di associazioni capitanate dall’Union Des Étudiants Juifs de France, avevano minacciato la società americana di intraprendere un’azione legale contro i cinguettii antisemiti con l’hashtag #unbonjuif e #unjuifmort. A seguito di un incontro tra alcuni manager di Twitter e i rappresentanti delle associazioni, la società aveva consegnato a queste ultime un elenco di tweet offensivi dei quali chiedevano la rimozione. L’incontro – e la successiva decisione di rimuovere i messaggi da parte della società – avveniva a margine del primo precedente europeo di chiusura di un account Twitter. In quel caso veniva bloccato, solo per gli utenti di Twitter in Germania, un account appartenente a un gruppo neonazista dichiarato illegale dalle autorità tedesche.
Ma alle associazioni non è bastato quanto ottenuto. Chiedevano infatti, attraverso l’avvocato di SOS Racisme Alexander Braun, di entrare in possesso dei dati degli utenti al fine di individuare e perseguire davanti alle autorità francesi gli autori dei tweet incriminati. Rivolgendosi al Tribunal de Grande Istance con una procedimento d’urgenza, lo stesso Braun aveva sostenuto che, dato il contenuto antisemita dei tweet analizzati, questi erano perseguibili secondo l’ordinamento francese per i reati di apologia di crimini contro l’umanità e incitamento all’odio raziale, reati previsti nella legislazione d’oltralpe. Sostengono che il caso sia di competenza della Francia in quanto la società è si americana, ma ha una sede sul suolo francese ed è quindi assoggettata alla giurisdizione del paese.
Alexandra Neri, legale di Twitter, dal canto suo si difendeva ammettendo che si c’è una succursale della società in Francia, ma è solo un ufficio vendite, facente capo alla sede legale di San Francisco.
Oltre a ciò, sosteneva che i dati degli utenti non potevano essere ceduti senza un provvedimento della giustizia statunitense, in quanto la raccolta e la conservazione degli stessi avviene negli Stati Uniti, ed è a questa giurisdizione che devono sottostare, ribadendo ulteriormente l’incompetenza dei giudici francesi in materia.
Inoltre, secondo la stessa Neri, la richiesta delle autorità francesi violerebbe il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, secondo il quale “Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the Government for a redress of grievances”, andando a ledere fortemente la libertà di espressione degli utenti del mini-blogging.
Per tutte queste ragioni la pronuncia della 17esima Camera Penale del Tribunal de Grande Istance fa così tanto scalpore. Secondo quanto stabilito dai giudici francesi “la société Twitter doit communiquer les données en sa possession de nature à permettre l’identification de quiconque a contribué à la création des tweets manifestement illicites, et aussi mettre en place dans la cadre de la pateforme française du service Twitter un dispositif facilement accessible et visible permettant à toute personne de porter à sa connaissance des contenus illicites, tombant notamment sous le coup de l’apologie des crimes contre l’humanité et de l’incitation à la haine raciale”.
Twitter ha quindi due settimane di tempo, rischiando una multa di 1.000 euro per ogni giorno di ritardo, per consegnare gli indirizzi IP associati agli account che hanno pubblicato i post a sfondo raziale, al fine di identificare gli autori e perseguirli secondo la legge francese. Oltre a doversi dotare di un sistema per la segnalazione degli abusi facilmente identificabile dagli utenti francofoni.
La decisione dei giudici francesi sancisce un precedente importante, costringendo di fatto Twitter – e probabilmente un altro collegio, magari statunitense – a pronunciarsi chiaramente in materia di gestione dei dati personali degli utenti e regolamentazione dei contenuti, dovendo sotto questo aspetto fare un ulteriore passo avanti nelle proprie policy dopo le modifiche dello scorso gennaio che hanno portato al caso tedesco di cui sopra, dove veniva introdotta una sorta di censura di contenuti segnalati dopo una valida richiesta dell’autorità del paese competente.