Il Senato della Repubblica ha approvato nella seduta antimeridiana del 29 ottobre 2014 il d.d.l. S. 1119 recante Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale e al codice di procedura penale in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante nonché di segreto professionale. Ulterori disposizioni a tutela del soggetto diffamato.
L’articolato normativo presenta significative modifiche rispetto al testo del d.d.l. C. 925 approvato dalla Camera dei deputati il 17 ottobre 2003. Questo richiede, come noto, che esso sia ritrasmesso alla Camera affinchè possa pronuciarsi sulle modifiche introdotte dal Senato.
Rispetto al testo giunto dalla Commissione Giustizia del Senato, l’Aula ha apportato modifiche molto limitate, respingendo quasi tutti gli emendamenti proposti. Per tale ragione, da un lato è certamentente possibile rinviare al commento al d.d.l. S. 1119 (nella versione licenziata dalla Commissione Giustizia) già pubblicato in un precedente post su Medialaws; dall’altra parte, appare opportuno porre in luce, qui di seguito, le due novità introdotte dall’Aula.
La prima riguarda l’ulteriore estensione della fattispecie penale prevista nell’art. 13 della legge n. 47 del 1948 alla diffamazione compiuta attraverso le testate giornalistiche online registrate. Essa prevede la pena della multa fino a diecimila euro se si tratta di diffamazione semplice e della multa da diecimila a cinquantamila euro se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato falso, la cui diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della sua falsità.
La seconda modifica rispetto al testo della Commissione Giustizia attiene, invece, alla tutela del convenuto in giudizio o del querelato qualora l’azione civile o la querela penale risultino infondate e temerarie.
L’art. 4 del d.d.l. prevede ora che in sede di giudizio civile per risarcimento del danno nei casi di diffamazione commessa col mezzo della stampa o della radiotelevisione, il giudice possa, su richiesta del convenuto, condannare l’attore al pagamento a favore del richiedente di una somma in via equitativa. La condanna è, tuttavia, subordinata all’accertamento da parte del giudice della “mala fede o della colpa grave” di chi ha agito in giudizio.
L’art. 4 bis riguarda, invece, il giudizio penale in tutti i casi di diffamazione e prevede che il giudice, qualora assolva l’imputato “perché il fatto non sussiste o l’imputato non l’ha commesso”, possa su richiesta dell’imputato stesso e valutata la temerarietà della querela condannare il querelante al pagamento a favore del querelato di una somma in via equitativa.