Dopo la sostanzialmente inconcludente dichiarazione dell’eG8 di Deauville di qualche giorno fa che, nonostante l’elefantiaca attenzione mediatica, ha prodotto poco più di un topolino, vi era la speranza e l’attesa che una maggiore attenzione alla problematica della protezione più adeguata dei diritti fondamentali sul Web potesse giungere dal Rapporto del Commissario speciale delle Nazioni Unite alla tutela della libertà di espressione.
Il Rapporto pubblicato qualche giorno fa, effettivamente, non ha tradito le attese. Al contrario, infatti, della visione riduttiva di Deauville sulla natura e le potenzialità di Internet che ha messo esclusivamente l’accento sulla dimensione strumentale del Web, dalla lettura del Rapporto emerge nitidamente la dimensione costituzionalistica di Internet quale diritto fondamentale.
Un accento particolare è posto, ovviamente, sull’importanza cruciale che l’esercizio della libertà di espressione sul Web non sia soggetta ad improprie restrizioni.
Il punto merita un approfondimento. A ben vedere, grazie all’avvento di Internet, il diritto di ciascuno ad esprimere il proprio pensiero ritrova la sua caratterizzazione originaria di libertà individuale che si emancipa dal filtro necessario dell’impresa della comunicazione per poter raggiungere un uditorio diverso da quello presente fisicamente nel luogo in cui il pensiero è diffuso. In altre parole, nell’era analogica, infatti, se non ci si accontentava di esprimere il proprio punto di vista salendo sul piedistallo dell’Hide Park Speaker’s Corner, l’unico modo per l’individuo di poter dare una diffusione spaziale alle proprie idee al di là delle barriere fisiche e geografiche, era quello di accettare la mediazione e, conseguentemente, il filtro, dell’industria dei media. Questo è tutt’ora valido per la stampa, per la radio, la televisione ma non, a seguito del passaggio dall’atomo al bit, per Internet. Chiunque di fronte ad un pc collegato in rete è in grado di dare una dimensione potenzialmente globale alla diffusione del suo pensiero. È per questo che la libertà di espressione ritrova, grazie al Web, il suo significato più autentico e costituzionalmente orientato di libertà individuale.
Tutto questo però ad una condizione essenziale: l’accesso ad Internet deve essere disponibile, sia dal punto di vista tecnico ed economico, per tutti. È in questa prospettiva che si apprezza la promozione, bene evidenziata nel Rapporto ONU, del diritto di accesso al Web quale diritto fondamentale. Nello stesso senso, peraltro, si sono già pronunciate molte Corti costituzionali e supreme ed il principio è stato già codificato in numerose Costituzioni recentemente adottate.
Il Rapporto, molto opportunamente, non si sofferma esclusivamente sui problemi riguardanti l’accesso all’infrastruttura fisica quale condicio sine qua la possibilità di esprimere la propria opinione sul Web, ma guarda anche al profilo relativo al contenuto delle opinioni espresse, sottolineando come sia illegittima ogni limitazione o restrizione arbitraria da parte degli Stati.
Anche in questo caso emerge, a differenza di quanto risultava dalla dichiarazione dell’eG8, la dimensione costituzionalistica della problematica. D’altronde se, come ha più volte ribadito la nostra Corte costituzionale, la libertà di espressione è “uno dei principi caratterizzanti del vigente sistema democratica” e “il più alto, forse, dei diritti fondamentali”, la carica innovativa, se non rivoluzionaria, che tale diritto assume grazie al suo esercizio sul Web ne amplifica, se possibile, la sua portata fondamentale e direi inviolabile. Tale posizione privilegiata di partenza fa sì che, nel caso di scontro tra la libertà di espressione sul Web ed altri diritti, pur di rilevanza costituzionale, la prima abbia spesso la meglio.
Ovviamente, molto dipende dalla natura del diritto in gioco con cui si scontra la libertà di espressione sul Web. Come il rapporto chiarisce puntualmente, nel caso in cui il contrasto sia con un diritto a vocazione economica, seppur da molte Costituzioni tutelato espressamente, quale il diritto d’autore, può dirsi che non ci deve essere partita e la libertà di espressione deve prevalere quasi incondizionatamente. Da qui si spiegano le critiche presenti nel Rapporto a molte legislazioni europee che non escludono la possibilità di una disconnessione da Internet in caso di ripetute violazioni, da parte dell’utente, dei diritti di proprietà intellettuale altrui.
Discorso evidentemente diverso va fatto nei casi in cui a scontrarsi con la libertà di espressione sul Web sia un altro diritto di natura eminentemente personale, e di forza costituzionale equivalente, come il diritto alla privacy in Internet. In tale ipotesi solo il bilanciamento caso per caso operato da un organo giurisdizionale (e non amministrativo) sulla base del super parametro costituzionale della migliore protezione possibile della dignità umana, sembra rappresentare la risposta più adeguata.
Infine, due notazioni conclusive.
La prima: il Rapporto ben fa a sottolineare come sia estremamente pericoloso per la protezione della libertà di espressione la tendenza, da parte degli organi politici e giurisdizionali degli Stati, a criminalizzare dell’attività degli Internet service providers nel caso in cui non si prestino a filtrare o bloccare contenuti diffusi sul Web. E’ evidente, infatti, come ciò non possa non portare a fare degli operatori del web dei censori privati che, per evitare di essere soggetti a responsabilità, decidono arbitrariamente cosa possa o non possa essere diffuso su Internet. Attenzione però: questo principio vale soltanto, come del resto è previsto dalla normativa europea rilevante, soltanto per chi si limita a diffondere contenuti altrui senza in nessun modo avere la possibilità di selezionare, automaticamente o meno, tale contenuti. Una deresponsabilizzazione degli Internet providers che siano, in qualsiasi modo, anche editori o co-editori, insieme agli utenti, dei contenuti diffusi sul Web, lungi dal proteggere la libertà di espressione, avrebbe come effetto quello di legittimare, e quindi rafforzare, con grave nocumento per il pluralismo informativo, indebite posizioni dominanti già presenti su Internet.
La seconda: se si volesse muovere un rilievo critico all’ottimo Rapporto si potrebbe sottolineare come esso faccia propria una visione esclusivamente negativa della libertà di espressione, in forza della quale unico intento di chi ha redatto i principi, a livello internazionale e costituzionale, a protezione di tale libertà, sarebbe di impedire che il potere pubblico possa in alcun modo restringerne o limitarne l’esercizio.
Ma, come ci insegnano le giurisprudenze della Corte suprema sul Primo Emendamento e della Corte costituzionale italiana sull’articolo 21 della Costituzione, esiste anche una dimensione positiva della libertà di espressione, in forza della quale obbligo dello Stato non è soltanto quello dell’astensione minimalista, ma anche quello dell’intervento attivo per evitare che i poteri privati, facendo leva sulle posizioni di dominanza economica, possano, in qualsiasi modo, abbassare gli standard di protezione della liberta di diffusione del pensiero.
Pensandoci un attimo ho difficoltà ad identificare un “luogo” in cui, in misura più urgente del Web sia indispensabile l’applicazione di una visione anche positiva, e non soltanto negativa, della tutela costituzionale della libertà di espressione