Se si dovesse definire in termini non prettamente giuridici il rapporto tra gli italiani e la televisione occorrerebbe partire dalla fine dicendo che si è trattato senz’altro di un grande amore.
Un legame che ha avuto diverse fasi e che ha contribuito a modificare i costumi individuali e familiari, che ha determinato un mutamento della comunicazione politica ed, infine, anche del rapporto tra cittadini e rappresentanti, che ha insomma accompagnato – nella buona e nella cattiva sorte – l’evoluzione della nostra comunità.
Il filo conduttore di questa evoluzione lunga oramai più di cinquanta anni è stato senz’altro l’entusiasmo con cui i cittadini hanno accolto le innovazioni tecnologiche. I bar pieni per le puntate settimanali di Lascia e raddoppia, le prime dirette, la televisione che diventa status symbol nelle case degli italiani e si sposta con loro per la villeggiatura estiva. E, poi, il secondo ed il terzo canale RAI inframmezzati dal contrastato avvento del colore.
Il movimento di opinione per la cd. libertà d’antenna negli anni settanta ed il successo immediato delle tv private nel decennio seguente, con una nuova programmazione dedicata da principio prevalentemente allo spettacolo (ma anche serie tv come Dallas, sport e cartoni animati pomeridiani) poi generalista con un palinsesto sostanzialmente analogo alla tv pubblica. Negli anni novanta l’esplosione della tv via satellite con le pay tv, cinema e soprattutto calcio, ogni sera tra anticipi, posticipi, champions league, europa league e coppe nazionali.
Un idillio – quello tra gli italiani e la televisione – che, da un punto di vista legislativo, ha comportato e per alcuni anche giustificato (infine) numerose forzature.
Non è l’oggetto di questo breve approfondimento, ma è arcinota la travagliata vicenda legislativa della radiotelevisione italiana: dalla liberalizzazione de facto, alla nascita del duopolio, dalla concentrazione delle risorse pubblicitarie ai tenui limiti antitrust. Un continuo rincorrersi tra innovazioni legislative e sentenze (di rigetto, accoglimento, accoglimento parziale e differito) della Corte Costituzionale e, da ultimo, anche della Corte di Giustizia.
In questo contesto, si è lentamente inserito – a partire dai primi anni del 2000 – un nuovo medium: Internet. Prima, discretamente, come strumento di nicchia o di lavoro per alcune categorie di utenti giovani o tecnologicamente avanzati; in seguito, come mezzo di comunicazione privilegiato per la generazione dei cosiddetti natives, innanzitutto, e per una fetta sempre più ampia dei cd. migrants.
Internet ha conquistato attenzione e, dunque, quote di mercato pubblicitario sottraendolo almeno in parte ai media tradizionali; in prima battuta, alla carta stampata, poi in misura crescente, anche alla radiotelevisione.
Da qui, inizia a svilupparsi una concorrenza in parte latente tra i due media.
Per molti questa concorrenza è destinata a risolversi nel futuro prossimo con l’integrazione tra Internet e TV: in questo senso, le televisioni di nuova generazione con accesso ad Internet sono già a disposizione degli utenti.
Prima che questo accada, occorrerà tuttavia sciogliere alcuni nodi che si profilano all’orizzonte.
Il primo nodo – potenzialmente dirompente – di cui ci si occupa in questo breve approfondimento riguarda l’assegnazione delle frequenze della banda 800 MHz.
La legge n. 220 del 2010 (legge di stabilità 2011) ha, infatti, stabilito ex art. 1, comma 8, ed in conformità a quanto previsto a livello europeo, che tali frequenze debbano essere assegnate agli operatori mobili entro il 31 dicembre 2012.
La medesima norma ha, inoltre, previsto che l’AGCOM avviasse immediatamente le procedure per l’assegnazione delle frequenze ai sensi di quanto previsto nel Codice delle comunicazioni elettroniche. L’Autorità ha, di conseguenza, messo a consultazione con la delibera 127/11/CONS lo schema per le procedure di assegnazione. Da questo schema emergono chiaramente gli indirizzi che caratterizzeranno la procedura. In particolare – fermo restando gli esiti della consultazione e le eventuali modifiche – il meccanismo proposto è quello dell’asta a offerta multipla simultanea ascendente. Un sistema idoneo secondo l’AGCOM a massimizzare le offerte.
Si dà il caso, però, che, ad oggi, circa 160 TV locali (in particolare tv locali di Lombardia, Veneto ed Emilia) trasmettano legittimamente proprio utilizzando alcune frequenze della banda a 800 MHz.
La legge di stabilità prevede, di conseguenza, che esse restituiscano le frequenze ricevendo in cambio altre frequenze, resesi disponibili dalla switch off della televisione analogica, nonché una compensazione da un fondo alimentato dal dieci per cento dei ricavi (per un totale comunque non superiore ai 240 milioni) derivanti dall’assegnazione delle frequenze della banda 800 MHz agli operatori mobili.
L’obiettivo di fondo, in parte condivisibile è quello di spingere per la trasformazione delle TV locali da operatori di rete a fornitori di servizi radiotelevisivi. Questa trasformazione si fonda sul presupposto che ogni singola frequenza digitale garantisce oggi una capacità trasmissiva eccessiva rispetto alle necessità proprie dei networks locali.
Di conseguenza si immagina che essi siano “ospitati” – ovviamente a pagamento – sui multiplex degli operatori di rete nazionali. I quali, vale la pena di ricordare, hanno già l’obbligo imposto dall’AGCOM di cedere il 40 per cento della capacità trasmissiva delle loro reti digitali terrestri.
Le TV locali hanno avanzato perplessità – che meritano di essere tenute in considerazione – sia sul meccanismo di compensazione sia sulle tempistiche di rilascio delle frequenze.
Riguardo al meccanismo di compensazione, esse ritengono che il fondo di indennizzo previsto sia insufficiente (nonché aleatorio) a compensare tutte le TV locali. In particolare, esse rilevano di aver compiuto investimenti in conformità ad un diverso calendario e che, dunque, l’accelerazione imposta dalla legge non consente loro si sostenerli.
Riguardo alle tempistiche di rilascio delle frequenze, il problema sta nel fatto che lo switch off presumibilmente non avverrà in tempo per consentire a tutte le TV locali che oggi trasmettono sulla banda 800 MHz di ricevere effettivamente le nuove frequenze.
Di conseguenza c’è il concreto rischio che la gara e l’assegnazione delle frequenze a 800 MHz possa avvenire prima che esse siano effettivamente rilasciate e, dunque, disponibili.
Questo scenario presenta innumerevoli problemi di natura tanto legale quanto economica.
Per quanto riguarda il profilo legale, la mente non può che tornare al caso EUROPA 7 e, quindi, alla situazione in cui un operatore di rete utilizza frequenze assegnate ad un altro; in quel caso, la Corte di Giustizia adita in via pregiudiziale dal Consiglio di Stato, aveva specificamente contestato la procedura italiana di assegnazione. In questo caso, occorre aggiungere che non si tratta certamente di occupazione de facto e considerare il legittimo affidamento delle tv locali sulla disponibilità delle frequenze almeno fino allo switch off.
Per quanto riguarda il profilo economico, i rischi sono se possibile addirittura maggiori.
Il costo di una possibile e lunga battaglia legale diminuisce evidentemente il valore delle frequenze poste a gara. Gli operatori mobili interessanti potrebbero di conseguenze ridurre le offerte. Il che significa minori entrate per lo Stato ed anche – alla luce del meccanismo di indennizzo su ricordato – minori risorse a disposizione per le TV locali.
Il tutto evidentemente rischia di determinare un allungamento delle procedure di assegnazione delle nuove frequenze e, di conseguenza, un ritardo nella costruzione delle nuove reti di comunicazione mobile. Questo ritardo appare senz’altro pericoloso poiché diminuisce il potenziale di crescita di un settore che è in forte e tumultuosa espansione. Le statistiche dimostrano, infatti, che l’Italia è tra i Paesi leader al mondo per numero di schede SIM pro-capite (quasi 160 ogni 100 persone). Inoltre, quasi undici milioni di italiani dispongono di una connessione mobile. Solo nell’ultimo anno, sono stati venduti circa cinque milioni di telefonini di smartphones ed il trend sembra nettamente superiore nell’anno in corso.
Questo dimostra, inequivocabilmente, il forte gradimento popolare per questa nuova tecnologia e dunque la pressante richiesta di connessioni mobili su banda larga.
Il Governo è intervenuto sulla questione con il d.l. 31 marzo 2011, n. 34 (cd. decreto correttivo del decreto milleproroghe) che è attualmente in corso di conversione.
L’art. 4 del d.l. rubricato “Misure di razionalizzazione dello spettro radioelettrico” prevede da un lato una proroga per la definizione del calendario definitivo della transizione al digitale terrestre e dall’altro stabilisce che l’assegnazione delle frequenze della banda 800 MHz dovrà avvenire entro il 31 giugno del 2012. Il che chiaramente non garantisce che a quella data esse saranno effettivamente libere, posto che, la legge di stabilità, poneva come termine per la liberazione il 31 dicembre 2012.
In seconda battuta, il d.l. prevede anche che il Ministero dello Sviluppo Economico prepari una graduatoria delle emittenti locali legittimamente esercenti l’attivista in vista dell’assegnazione delle frequenze di altre bande che progressivamente si renderanno disponibili.
Infine, stabilisce che l’AGCOM debba definire le modalità per obbligare le emittenti locali a cedere una quota della capacità trasmissiva ad esse assegnata, comunque non inferiore a due programmi, a favore dei soggetti legittimamente operanti in ambito locale alla data del 1° gennaio 2011 e non destinatari di diritti d’uso sulla base delle citate graduatorie.
La norma così come formulata – ma l’iter è ancora in corso – solleva alcuni dubbi riguardo alla compatibilità con il diritto comunitario sia per la definizione legislativa dei criteri di riassegnazione e sia per l’obbligo – posto legislativamente in capo alle tv locali – di cedere una quota parte della capacità trasmissiva. Occorrerebbe, infatti, al fine di evitare censure europee esplicitare almeno che si tratta di una deroga fondata su uno dei criteri di deroga che il diritto comunitario prevede per la radiotelevisione (ad es. il pluralismo o la difesa delle istanze locali).
Aldilà di questa specifica osservazione, quello che più, in generale, emerge è la volontà del Governo sia di proseguire – senza indugi e con tutti rischi che ne derivano – nell’assegnazione delle frequenze agli operatori mobili prima che esse siano effettivamente liberate sia, al tempo stesso, di cercare di salvaguardare l’esigenze della TV locale.
In altre parole, il tentativo appare quello di salvaguardare il vecchio amore (anche se si tratta di quello un poco dimenticato delle tv locali) senza però pregiudicare quello nuovo.
Il che certamente può essere apprezzabile nel caso concreto, ma rimanda l’obiettivo di definire con chiarezza un orizzonte complessivo di sviluppo e di gestione di una risorsa fondamentale come lo spettro radio, identificando quelle che si ritengono essere le priorità per il prossimo futuro.