Il cyberbullismo nel Decreto Legge n. 93

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Il Governo ha sottoposto alla Camera, durante la stagione estiva, un complesso decreto (nella vulgata nominato contro il femminicidio) che contempla una mesalliance di previsioni: aggravanti del reato di violenza sessuale e domestica, di stalking, previsioni di estremo garantismo ed incitazione alla denuncia per le vittime di questi reati, norme disparate e prive di alcuna relazione come: il furto di componenti metalliche di infrastrutture tecnologiche, la violenza negli stadi, l’accesso ai cantieri, e persino disposizioni sui Vigili del Fuoco e le calamità naturali.

Fra queste, due articoli riguardano l’utilizzo dell’informatica o della telematica:  la norma sul cyberbullismo (art. 1, co. 3, lett. a) e l’aggravante prevista per la frode informatica commessa con sostituzione d’identità digitale (art.9).

La prima disposizione prevede un aggravamento ordinario (di un terzo)  della pena  stabilita per il reato di atti persecutori – comunemente indicato come stalking – nel caso in cui  il fatto sia commesso “attraverso strumenti informatici o telematici”. L’introduzione di questa norma non mi pare sostenuta dal necessario disvalore del fatto, ma piuttosto dalla concezione di un diritto penale promozionale che si muove seguendo le mode e senza rispettare i limiti costituzionali dell’offensività e della necessità. E’ sufficiente, anche con il semplice buon senso, ragionare sullo spettro casistico del fenomeno dello stalking per avvedersi che i fatti commessi attraverso gli strumenti tecnologici sono tra i meno temibili per le vittime del reato. Il delitto previsto dall’art. 612 bis  si consuma, infatti, attraverso la minaccia o la molestia ripetute; pare, dunque, evidente che i fatti attuati direttamente siano più dannosi ed inducano  maggiore timore nella vittima, rispetto a quelli mediati da un’apparecchiatura. Il contatto personale (presente o telefonico, ad esempio) rende maggiormente prossimo il pericolo che la molestia o la minaccia trascendano in atti di reale violenza. E’ per tale ragione che la stessa condotta – se attuata a distanza e con modalità meno invadenti – dovrebbe determinare meno timori.

Non ravviso, per tali ragioni, alcuna esigenza – fondata sui principi  costituzionali – che sorregga l’aggravante prevista dal decreto. Peraltro, va ricordato che una recente sentenza della Corte di Cassazione (sent. 6 settembre 2012, n. 44855/12) ha escluso che il reato di molestie, previsto dall’art. 660 c.p., potesse essere commesso attraverso comunicazioni di posta elettronica, perché tale strumento non comporta il disturbo recato dal telefono o citofono. E’ vero che le fattispecie sono diverse e che non si intende negare che gli strumenti informatici e telematici possano essere mezzo di commissione dello stalking, ma pare altrettanto sensato che a questi non appartenga una capacità lesiva superiore ad altre modalità di commissione dello stesso fatto.

E’ da auspicare pertanto che il Parlamento non converta la disposizione.

 

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1 Comment

  1. La Corte di Cassazione può emettere le sentenze che ritiene opportuno, forse dovremmo osservare meglio le diverse fattispecie, infatti le molestie informatiche hanno ripercussioni già note da tempo, purtroppo pochi giorni fa, 11/02/2014, questo episodio ricorda cosa possa accadere:
    Ragazza di 14 anni suicida, istigata da coetanei sui social network
    http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2014/02/11/Ragazza-14-anni-suicida-istigata-coetanei-social-network_10051573.html

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