Nel fair play concorrenziale, il marchio rappresenta uno strumento necessario alla tutela dell’imprenditore e del consumatore, secondo la disciplina europea, però, ciò è subordinato all’esistenza di una sua forza distintiva.
La sentenza T – 193/13 del Tribunale dell’Unione Europea, Marques de l’Etat de Monaco contro UAMI, rappresenta una pronuncia importante nella complessa disciplina nella proprietà intellettuale, nello specifico della tutela del marchio su scala comunitaria.
Prima di vagliare le regole poste alla base della normazione sovranazionale in questo particolare ambito delle opere dell’ingegno, canoni che verranno posti dai Giudici di Lussemburgo a fondamento della decisione, è opportuno ricostruire i fatti.
Tutto inizia nel 2010, con la registrazione internazionale, a favore del Principato di Monaco, del marchio denominativo “MONACO” rilasciata dall’OMPI, ossia l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale, nata nel 1967 come Agenzia specializzata delle Nazioni Unite la quale, come è noto, incentiva lo sviluppo della proprietà intellettuale nel mondo, garantendone, altresì, la tutela.
Tale registrazione è stata successivamente trasmessa all’UAMI (Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno), organismo deputato alla realizzazione, da un punto di vista procedurale, dell’armonizzazione, in termini di unitarietà, del marchio sul territorio europeo.
L’UAMI, però, opponeva un rifiuto a tale richiesta, basando il relativo diniego su elementi valutati tra loro strettamente connessi: il carattere descrittivo e la forza distintiva, assente, del marchio “MONACO”.
L’Ufficio, infatti, riconosceva nella terminologia usata, “MONACO”, un effetto fuorviante, in quanto nell’accezione generale del termine, l’automatica riconducibilità all’omonimo Stato poteva, con buone possibilità, portare a concludere che il marchio designasse l’origine o la destinazione geografica dei prodotti o dei servizi che con esso venivano identificati.
Nelle more della procedura, al Principato di Monaco succedeva, nella titolarità del segno in questione, La Marques de l’Etat de Monaco (MEM), società per azioni di diritto monegasco che impugnava il rifiuto dell’UAMI davanti al Tribunale dell’UE chiedendone l’annullamento.
Il Tribunale ha respinto il ricorso e ha confermato quanto deciso dall’Ufficio per l’ Armonizzazione nel Mercato Interno. Vediamo perché.
Per marchio, concettualmente parlando, si intende qualsiasi segno rappresentabile graficamente (parole, disegni, suoni, confezioni, combinazioni cromatiche, forma del prodotto), utilizzato da una determinata impresa per distinguere i propri beni o servizi da quelli offerti da soggetti concorrenti.
Nella definizione di marchio comunitario si aggiunge, quale caratteristica, una sua capacità di estensione territoriale, ossia la possibilità per le imprese di beneficiare della tutela tipica del marchio sull’intera zona europea, la quale si concretizza nel diritto esclusivo, riconosciuto in capo al titolare del marchio, di vietarne a terzi l’utilizzo per fini commerciali.
Va ricordato che le garanzie fruibili dall’ottenimento della registrazione di un marchio operano su un duplice piano; oltre a quello imprenditoriale, infatti, viene a crearsi un effetto generale operante su un piano conoscitivo, nel rapporto produttore-consumatore, riducendo la asimmetria informativa a vantaggio dell’ affidabilità nei consumi.
La protezione efficace, uniforme e rilevante nello spazio del libero mercato si deve alla modalità di registrazione, basata sulla presentazione di una domanda c.d. unica presso l’UAMI.
Proceduralmente, la domanda può essere inoltrata sia da parte di un Paese membro che da un Paese terzo, come nel caso di specie dal Principato di Monaco, e ciò comporta, oltre all’ottenimento del marchio comunitario, anche l’assoggettabilità dello Stato terzo al diritto dell’Unione, non potendo l’estraneità essere opposta alle sue regole.
Il Tribunale dell’Unione Europea, dopo aver ribadito il principio appena esposto, garantendo, in questo modo, la piena operatività delle norme nei confronti del Principato di Monaco, ha confermato il diniego dell’UAMI sulla base delle disposizioni vigenti in tema di marchi.
La disciplina comunitaria prevede, infatti, delle ipotesi di esclusione: non possono essere registrati come marchi, segni che non posso essere ad essi ricondotti, marchi di privi di carattere distintivi, marchi composti da segni o da altre indicazioni ritenute comuni ne linguaggio corrente o nelle pratiche commerciali, i segni contrari all’ordine pubblico ed al buon costume ed, infine, i marchi che possono ingannare il pubblico, ad esempio sulla natura, qualità, o provenienza del prodotto.
E’ proprio l’assenza di carattere distintivo, la motivazione sulla quale si regge la pronuncia dalla Corte: secondo un pensiero consolidato nella giurisprudenza della Comunità, tale caratteristica è condizione necessaria per la registrazione del marchio in quanto preordinata alla univoca identificazione tra prodotto ed imprenditore, una relazione, questa, discendente dalla stessa ratio della protezione accordata.
Nel necessario bilanciamento di valori, quindi, la tutela dei consumatori e dell’affidabilità di un marchio o segno distintivo, è riconosciuto come interesse preminente rispetto alle ragioni private ed imprenditoriali della tutela dei prodotti, beni o servizi che, in questo caso, venivano indicati con un termine privo di forza distintiva e meramente descrittivo di un determinato territorio conosciuto a livello mondiale.