La Corte Costituzionale tedesca, in una recentissima pronuncia (1 Bvr 2365/11 del 21/03/2012) ha richiamato l’attenzione sul tema della responsabilità per violazione di copyright in relazione al fenomeno del filesharing e più in particolare, alla responsabilità dell’utente intestatario del contratto di connettività internet.
Nel curioso caso di specie il denunciato (un agente di polizia componente di un nucleo di indagine contro la pirateria telematica), intestatario di una linea di accesso internet domestica, era stato ritenuto responsabile dall’Oberlandesgericht di Colonia per violazione del diritto d’autore.
In realtà il materiale autore dell’illecito era un familiare (il figlio ventenne della convivente), poiché i files “incriminati” erano custoditi all’interno di una cartella privata che riportava il nome del ragazzo.
Il Bundesverfassungsgericht ha revocato la condanna della Corte d’appello di Colonia (sentenza del 24.11.2010 Az.: 28 O 202/10) nei confronti dell’agente di polizia, rinviandola nuovamente alla Corte d’appello e contestualmente sottolineandone il comportamento contra jus.
Il giudice d’appello infatti con la sentenza oggetto della pronuncia del Bundesverfassungsgericht, non aveva permesso il ricorso per “Revision” al Bundesgerichtshof (Bgh), la corte di ultima istanza nel sistema della Giustizia ordinaria, al fine di favorire una pronuncia che affermasse un principio di diritto omogeneo.
Tale ammissibilità, secondo la Corte, avrebbe dovuto operare obbligatoriamente, poiché nel caso di specie la decisione del tribunale di revisione era necessaria “ai fini dell’evoluzione del diritto o della garanzia dell’uniformità della giurisprudenza”, conformemente al disposto dell’ art. 543 Abs. 2 Satz 2 del ZPO.
Con questa illegittimo rifiuto inoltre, la Corte d’appello ha violato l’art. 101, Abs. 1 Satz 2 del Grundgesetz, sul diritto a un equo processo.
Infatti in Germania tale fattispecie è oggetto di numerose controversie ma presenta tuttora dei contorni poco nitidi (come d’altronde in altri ordinamenti nazionali), e necessiterebbe pertanto di un rinvio al Bgh ai fini della pronuncia di un’auspicata sentenza “chiarificatrice”.
Ancora il Bundesverfassungsgericht, nell’articolare la propria motivazione, ha richiamato l’unica sentenza in materia emessa dal Bundesgerichtshof (BGH 12.05.2010, I ZR 121/08, “Sommer unseres Lebens”), con la quale è stata disposta la condannato per violazione del diritto d’autore dell titolare di una connessione internet wirelessLan in uso nel proprio ufficio.
Essa era però era stata utilizzata a sua insaputa da un terzo, ad ufficio chiuso e durante un periodo di ferie, il quale aveva condiviso illegalmente files su internet.
Il Bgh, nel motivare la sua decisione, ha fatto riferimento ad un “ragionevole dovere di controllo” posto in capo all’intestatario della rete WLAN, che in questo caso sarebbe stato non adempiuto dall’intestatario in collegamento alla circostanza di aver lasciato tale connessione accessibile ai terzi, integrando così un tipo di condotta volontaria e adeguatamente causale (willentlich und adäquat kausal), sufficiente a configurare in capo allo stesso una fattispecie di responsabilità.
In realtà l’utente non aveva lasciato il proprio router wireless sprovvisto di una password: la connessione infatti era protetta dalla c.d. sequenza “madre”, stabilita dal produttore (e mai modificata dall’utente), che constava di una combinazione libera di 16 numeri stampata sul router stesso, ma che poteva esser stata dissimulata “a distanza” dal reale responsabile dell’illecito soltanto attraverso l’uso di software (attualmente disponibili in rete) che permettono di trovare le chiavi preimpostate di alcune marche di router.
Ciò che il Bgh non ha puntualizzato però è attraverso quale comportamento si espliciti, in via generale, la condotta omissiva giuridicamente rilevante ai fini della configurabilità della responsabilità in oggetto: il fatto di avere protetto (come quasi tutti d’altronde) il proprio router con una password a 16 numeri combinati casualmente o ancora il fatto che essa sia ancora la combinazione “madre” originaria e riportata fisicamente sopra il router stesso?
Anche nella sentenza della Corte d’Appello di Colonia i giudici hanno condannato l’agente di polizia facendo riferimento ad un “forfettario” dovere di controllo e di “fare”, senza però specificare di quali adempimenti e misure esso possa constare.
Inquadrate in un’ottica più ampia, i due casi descritti sembrano indirizzarsi verso un generale dovere di ragionevole vigilanza e controllo in capo all’intestatario della connessione e dunque su una presunzione di colpa a suo carico.
Ciò che non appare chiaro, anche alla luce della pronuncia in analisi del Bundesverfassungsgericht , è in che modo l’intestatario sia tenuto ad agire al fine di non incorrere in tale regime di responsabilità, sia con riguardo all’accesso di terzi “non autorizzato” alla propria connessione WLAN, sia nel caso si tratti di un familiare “autorizzato” ad avere accesso alla connessione internet domestica: se è vero che nel caso di connessione wireless potrebbe essere sufficiente crittografare il proprio router per impedire l’accesso a terzi non autorizzati (anche se come sottolineato sussistono anche su questo punto dubbi interpretativi di non poco conto), parrebbe irrealizzabile e non “ragionevole” imporre un dovere di “controllo” diffuso o ancora un “divieto” di accesso “autorizzato” ad internet nei confronti dei propri familiari.