Il bilanciamento tra diritto all’oblio, libertà di espressione e conservazione della memoria collettiva in una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo

Corte europea dei diritti dell’uomo, 28 giugno 2018, M.L. e W.W. c. Germania, ric. 60798/10 e 65599/10

 

Non è in contrasto con il diritto alla tutela della vita privata, riconosciuto dall’art. 8 CEDU, il diniego da parte delle autorità nazionali di imporre a tre testate giornalistiche di rendere anonimi alcuni reportage pubblicati e archiviati online, qualora il loro contenuto sia di interesse pubblico e a condizione che i media abbiano agito in conformità alla loro etica e deontologia professionale. In questi casi, operando un bilanciamento degli interessi, il diritto alla libertà di espressione, contenuto nell’art. 10 CEDU, e quello alla formazione e conservazione della memoria collettiva, devono prevalere sul “desiderio di essere dimenticati” dei ricorrenti.

 

Sommario: 1. Condanna penale e “diritto all’oblio”. – 2. La tutela della libertà di espressione: l’intervento della Corte federale di giustizia tedesca. – 3. Il valore degli archivi online: un tassello fondamentale nella costruzione della coscienza democratica delle società contemporanee. – 4. La rilevanza della protezione dei dati personali: il distinguo tra motori di ricerca e testate giornalistiche operato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. – 5. L’individuazione dei criteri per operare il bilanciamento degli interessi. – 6. Considerazioni conclusive: la rilevanza del diritto alla memoria e dell’interesse collettivo a essere informati

 

  1. Condanna penale e “diritto all’oblio”

Il “diritto all’oblio” in quanto tale non è espressamente riconosciuto né negli strumenti internazionali a tutela dei diritti umani né nelle costituzioni nazionali. Invero, anche oggi che esso ha ricevuto una prima legittimazione con l’entrata in vigore del Regolamento (UE) 2016/679 del 26 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riferimento al trattamento dei dati personali e alla libera circolazione degli stessi, avvenuta il 25 maggio 2018[1], iI suo ambito rimane in gran parte indefinito: va dal diritto tutelato dalle normative sulla protezione dei dati personali a nozioni più ampie, che comprendono la protezione della reputazione, dell’onore e della dignità. La suaratiorisiederebbe, invece, nell’argomento per cui una data informazione può perdere importanza nel tempo e, pertanto, l’accesso ad essa dovrebbe essere limitato, a vantaggio di diritti come quello al rispetto della vita privata.

Nel recente casoM.L. e W.W. c. Germania, deciso dalla quinta sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo con sentenza resa il 28 giugno 2018[2], i giudici di Strasburgo hanno avuto modo di pronunciarsi sul bilanciamento tra il presunto “diritto all’oblio” dei ricorrenti, giustificato dal richiamo alla tutela della vita privata garantita dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), e la libertà di espressione dei giornalisti tutelata dall’art. 10 CEDU.

Il caso ha preso le mosse dal ricorso di due cittadini tedeschi per presunta violazione dell’art. 8 CEDU, a causa della decisione della Corte federale di giustizia tedesca di non accogliere la loro richiesta di imporre l’anonimizzazione dei reportage rinvenibili negli archivi onlinedi alcune testate giornalistiche(Spiegel online, Deutschlandradioe Mannheimer Morgen), riguardanti un processo penale che si era svolto nei loro confronti venticinque anni prima. Il 21 maggio 1993, infatti, alla fine di un processo indiziario i due ricorrenti erano stati condannati all’ergastolo per l’assassinio, avvenuto nel 1991, di un attore molto popolare in Germania, W.S.

Le prime decisioni interne risalgono al 2008: dapprima, il 29 febbraio, si era pronunciato il tribunale regionale, accogliendo l’istanza dei richiedenti in quanto, decorso così tanto tempo dai fatti che avevano dato origine alle condanne, ad avviso dei giudici doveva prevalere l’interesse dei condannati a non dover più confrontarsi con il loro passato, su quello pur meritevole del pubblico a essere informato. Il 29 luglio dello stesso anno era stata poi la volta della Corte di appello di Amburgo, la quale aveva ravvisato nella messa a disposizione negli archivi online dei dossier che riguardavano l’omicidio per il quale avevano già scontato la loro condanna, una violazione del loro diritto al rispetto della vita privata. Inoltre, la Corte aveva ritenuto che il diritto a non dover fare più i conti con il proprio passato potesse dirsi funzionale anche al reinserimento dei due ricorrenti nella società: ad avviso dei giudici, infatti, l’essere stati condannati e la circostanza per cui il pubblico era stato, negli anni, ampiamente informato sui fatti, costituivano di per sé già una sanzione sociale di non poco rilievo.

Quanto alla limitazione del diritto di espressione delle testate, in questo caso la stazione radio, ad avviso della Corte di appello era minima poiché non si imponeva di eliminare il materiale dall’archivio, ma semplicemente di rendere anonime le generalità dei due condannati. Ciò perché, si riteneva che non importasse quanto vecchia fosse la notizia perché potesse crearsi un pericolo per la risocializzazione dei ricorrenti: la presenza in rete di notizie sull’omicidio, contenenti dati sensibili quali le loro generalità, avrebbero potuto essere facilmente reperibili da persone che potevano trovarsi a vario titolo a contatto con i ricorrenti, contribuendo così a ‘stigmatizzare’ nuovamente gli stessi e limitando, di fatto, la possibilità di un più agevole reinserimento nel tessuto sociale.

In seguito, la Corte di appello autorizzava il ricorso in Cassazione.

 

  1. La tutela della libertà di espressione: l’intervento della Corte federale di giustizia tedesca

Con due sentenze del 15 dicembre 2009, la Corte federale aveva accolto il ricorso della stazione radio e aveva cassato le decisioni del tribunale regionale e della Corte di appello di Amburgo.

In primo luogo, essa aveva affermato che la messa a disposizione delle informazioni relative alle generalità dei due ricorrenti effettivamente costituisse un’ingerenza nell’esercizio della protezione del loro diritto all’identità personale e di quello al rispetto della vita privata, protetti sia dalla Costituzione federale (artt. 1, par. 1 e 2 par. 1) che dalla CEDU (art. 8), ma che questi diritti dovessero essere messi in rapporto alla libertà di espressione, garantita dall’art. 10 CEDU, al fine di operare il doveroso bilanciamento degli interessi alla luce delle circostanze del caso concreto[3].

Ad avviso della Corte federale, il giudice d’appello non aveva debitamente preso in considerazione il diritto alla libertà di espressione della stazione radio e il connesso interesse pubblico ad essere informati sui fatti. La Corte aveva poi ricordato che nell’ordinamento tedesco la stessa Corte costituzionale aveva in passato già affermato che alcuni reportage relativi a fatti veri avrebbero potuto arrecare danni a diritti della personalità quando il pregiudizio causato fosse stato superiore a quello dell’interesse del pubblico a conoscere la verità, per esempio qualora la diffusione avesse avuto una portata considerevole o quando gli stessi avessero stigmatizzato la persona e avessero prodotto l’effetto di isolarla socialmente. La Corte federale aveva però poi evidenziato come i reportage relativi a reati penali facessero parte, in quanto tali, della storia contemporanea, relativamente alla quale i media hanno il compito di rendere conto. Inoltre, più i fatti di attualità esulano dalla c.d. “criminalità ordinaria”, più crescerebbe l’interesse del pubblico ad essere informato.

La Corte federale, infin, aveva rilevato che con il tempo l’interesse della persona coinvolta a non dover più fare i conti con fatti del passato acquisisse, invero, un peso maggiore: una volta che l’autore di un crimine fosse stato condannato e il pubblico fosse stato sufficientemente informato, ingerenze ripetute nel diritto alla protezione della propria identità e personalità non potevano essere più facilmente giustificate alla luce dell’interesse dell’individuo a essere reintegrato nel tessuto sociale. In ogni caso, citando anche una sentenza della CEDU[4], la Corte aveva affermato che non esisteva un diritto “assoluto” a non dover mai fare più i conti con i propri errori. Applicando questo principio al caso sottoposto al suo esame, il giudice federale aveva rilevato che il diritto dei richiedenti alla protezione della loro personalità dovesse cedere, da un lato, di fronte al diritto alla libertà di espressione dei giornalisti, diritto che era stato comunque esercitato con obiettività e accuratezza e, dall’altro, rispetto al diritto del pubblico a conoscere i fatti attraverso il libero accesso agli archivi online.

In proposito, occorre qui richiamare la Convenzione per la protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato di dati personali, adottata dal Consiglio d’Europa (CoE) il 28 gennaio 1981, che prevede importanti garanzie per il trattamento dei dati personali. In particolare, per quanto concerne proprio i dati relativi a condanne penali, in essa si afferma che questi non potranno essere trattati automaticamente a meno che il diritto interno non preveda specifiche e ulteriori garanzie (art. 6)[5]. All’art. 5 si fa poi espresso riferimento alla necessità che i dati personali siano esatti e, se necessario, aggiornati (lett. d). Di recente, il 18 maggio 2018, tale Convenzione è stata novellata e il nuovo art. 9 menziona proprio la libertà di espressione quale possibile eccezione alle garanzie individuate negli articoli precedenti.

 

  1. Il valore degli archivi online: un tassello fondamentale nella costruzione della coscienza democratica delle società contemporanee

Come evidenziato, il giudice federale ha ritenuto che il diritto del pubblico di accedere agli archivi online per conoscere fatti di una certa rilevanza dovesse prevalere sulla tutela della vita privata dei ricorrenti.

A riguardo, un altro aspetto importante preso in considerazione, sono state proprio le modalità di accesso all’informazione da parte del pubblico, modalità che in questo caso permettevano una diffusione limitata del reportage: gli utenti interessati, infatti, avrebbero dovuto fare una ricerca molto accurata nell’archivio online in quanto non si trattava di notizie facilmente reperibili nella sezione “attualità” presente nel portale, ma di notizie appositamente identificate come “d’archivio”, e come tali trattate.

Con riferimento al valore degli archivi online, inoltre, si è rilevato come questi abbiano un ruolo fondamentale nelle società contemporanee in quanto il pubblico non ha solo un interesse legittimo ad accedere alle informazioni di stretta attualità, ma deve poter fare ricerche anche avvenimenti del passato. È anche attraverso il riconoscimento di un ampio margine di autonomia nella gestione degli archivi online, poi, che può compiutamente espletarsi il fondamentale ruolo di informazione del pubblico e di partecipazione alla formazione dell’opinione democratica proprio della stampa. Questo perché, alla luce delle pertinenti norme interne e internazionali, ovvero oltre al già menzionato art. 10, par. 1 CEDU, gli artt. 5, par. 1 della Costituzione federale e 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la libertà di espressione e di stampa deve essere esercitata non solo attraverso la messa a disposizione di notizie di stretta attualità, ma altresì attraverso la messa a disposizione durevole di materiale d’archivio.

Invero, se si imponesse alle testate giornalistiche di cancellare o modificare tutte le informazioni del passato o se si impedisse al pubblico di cercarle, si arriverebbe al risultato di cancellare la Storia e di produrre un beneficio all’autore di determinate condotte, comunque legittimamente dichiarate come illecite. Un tale privilegio non può essere riconosciuto, anche perché se si imponesse la cancellazione di notizie e informazioni presenti negli archivi online delle testate, ciò potrebbe avere un effetto dissuasivo e incidere negativamente sulla loro libertà di espressione e di stampa.

Altri due procedimenti simili erano stati intentati anche nei confronti del magazine Der Spiegel e del quotidianoMannheimer Morgen, nei cui archivi erano accessibili, a pagamento, informazioni sul caso dell’omicidio del famoso attore. In questi casi, la stessa Corte federale il 9 febbraio 2010 e il 20 aprile 2010, era giunta alle medesime conclusioni del caso della stazione radio.

Le conclusioni sugli archivi online cui era pervenuta la Corte federale in questi casi sono invero in linea con la Raccomandazione R(2000)13 rivolta agli Stati membri su una politica europea in materia di comunicazione degli archivi, adottata il 17 luglio 2000 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. In essa gli archivi vengono qualificati come una parte essenziale e insostituibile del patrimonio culturale e come mezzo per preservare la perennità della memoria dell’umanità. Inoltre, in un allegato, si legge che l’accesso agli archivi pubblici si configura come un vero e proprio diritto (punto III, par. 5).

 

  1. La rilevanza della protezione dei dati personali: il distinguo tra motori di ricerca e testate giornalistiche operato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo

Nella sentenza in commento, la Corte europea ha tenuto in debita considerazione il timore dei ricorrenti di essere stigmatizzati nuovamente in ragione della possibilità riconosciuta agli internauti di poter accedere agli archivi online delle testate coinvolte. Nell’era digitale, infatti, le notizie possono essere continuamente reperite anche dopo molti anni, a differenza di quanto accadeva quando il mezzo principale di comunicazione di massa era la TV, allorquando una trasmissione televisiva vertente su un determinato argomento aveva una eco limitata al giorno della messa in onda. Internet, dunque, rappresentava effettivamente per i ricorrenti una minaccia costante e duratura al rispetto della loro vita privata, e li rendeva protagonisti, loro malgrado e contro la loro volontà, della storia contemporanea, che era stata però “cristallizzata” in una decisione giudiziale resa in modo neutro e obiettivo.

Un primo aspetto messo in rilievo dalla Corte è stato che la nozione stessa di “vita privata” cui l’art. 8 CEDU fa riferimento è molto ampia e non è suscettibile di una definizione esaustiva in quanto ingloba in sé molteplici aspetti della personalità di un individuo, incluso informazioni di carattere strettamente personale che questi potrebbe non volere che vengano diffusi senza il proprio consenso (par. 86). In proposito, è stato riconosciuto lo stretto legame esistente tra la tutela della vita privata e la protezione dei dati personali (par. 87).

Quanto invece all’aspetto di possibili offese alla reputazione di un individuo, la Corte ha ricordato che perché l’art. 8 CEDU possa entrare in azione, tali offese devono raggiungere una soglia di una certa gravità e causare un pregiudizio concreto al godimento del diritto in parola[6]. Invero, in questi casi, la protezione non potrà essere invocata qualora la reputazione sia compromessa in seguito a un atto proprio di un individuo, quale un illecito di natura penale (par. 88). In proposito, rileva la Raccomandazione Rec(2003)13 del 10 luglio 2003 sulla diffusione di informazioni da parte dei media in riferimento a procedimenti penali, nella quale si evidenzia, tra l’altro, come quello di informare il pubblico sia un diritto-dovere dei media e che i reportage relativi a procedimenti penali espletano anche l’importante compito di rendere visibile a tutti la funzione dissuasiva del diritto penale e di far conoscere al pubblico il funzionamento del sistema giudiziario penale.

Ciò posto, la sentenza in esame, chiarisce una differenza fondamentale nella questione del bilanciamento tra legittima esigenza di tutela dei dati personali, che rientra nella tutela della vita privata ex art. 8 CEDU, e libertà di espressione nell’era digitale: nell’operare tale bilanciamento di interessi è necessario prendere in considerazione il soggetto titolare del diritto garantito dall’art. 10 CEDU. Come vedremo, infatti, le testate giornalistiche godono nel sistema di Strasburgo di una tutela “rafforzata” rispetto ad altri operatori.

Centrale nel ragionamento della Corte è stato il richiamo alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) del 2014, resa nel caso noto come Google Spain[7]. In quella sentenza, in sintesi, la CGUE aveva imposto al famoso motore di ricerca di deindicizzare contenuti considerati lesivi del “diritto all’oblio” da parte dei soggetti interessati, qualora un certo contenuto cui la ricerca sui siti europei rimandi, possa pregiudicare la dignità e la libertà degli individui. In definitiva, le informazioni personali possono essere rimosse dai motori di ricerca operanti nell’Unione europea se inadeguate, eccessive o non più pertinenti (par. 93).

Ciò detto, la CGUE aveva preso in considerazione anche la posizione degli editori sulle cui pagine le informazioni erano state originariamente pubblicate, ma aveva concluso affermando che era opportuno far ricadere sul motore di ricerca l’onere di non indicizzare più le pagine sgradite, piuttosto che richiedere al c.d. sito sorgente di non pubblicare o di rimuovere dal web la notizia considerata lesiva[8].

La Corte di giustizia, aveva poi concluso asserendo che il “diritto all’oblio” prevale, in linea di principio, sull’interesse del pubblico ad accedere all’informazione “incriminata” nel corso di una specifica ricerca avente ad oggetto il nome di questa persona, a meno che non risulti, per motivi specifici quali il ruolo ricoperto da essa nella vita pubblica, che un’ingerenza nei suoi diritti fondamentali deve giustificarsi alla luce della prevalenza, nel bilanciamento degli interessi, di quello prevalente del pubblico ad avere accesso a detta informazione (par. 99).

Il richiamo a questa sentenza adottata nell’àmbito dell’Unione europea è servito alla Corte europea dei diritti dell’uomo per precisare, in sostanza, che è necessario distinguere la posizione dei motori di ricerca da quella degli editori della notizia originale quanto alle conseguenze delle loro attività sulla vita privata dei singoli. Infatti, solo per le testate giornalistiche è possibile far prevalere la tutela del diritto sancito nell’art. 10 CEDU sulle garanzie rinvenibili nell’art. 8 CEDU.

Sul punto, la Corte ha poi opportunamente richiamato sia la direttiva 95/46/CE del 24 ottobre 1995 relativa alla protezione delle persone fisiche con riferimento al trattamento dei dati personali e alla libera circolazione degli stessi[9], applicabile ratione temporisai fatti contestati, che il già citato Regolamento 2016/679 che ha abrogato la suddetta direttiva. Nel nuovo regolamento generale sulla protezione dei dati, infatti, il “diritto all’oblio”, anche se riconosciuto nell’art. 17, incontra proprio il limite del rispetto della libertà di espressione e di informazione e della tutela degli archivi di pubblico interesse (par. 3). Inoltre, l’art. 85, inserito nel Capo IX (Disposizioni relative a specifiche situazioni di trattamento), è espressamente dedicato alla questione del rapporto tra il trattamento dei dati personali e la libertà di espressione e di informazione. In esso può leggersi che «1. Il diritto degli Stati membri concilia la protezione dei dati personali ai sensi del presente regolamento con il diritto alla libertà d’espressione e di informazione, incluso il trattamento a scopi giornalisticio di espressione accademica, artistica o letteraria. 2. Ai fini del trattamento effettuato a scopi giornalisticio di espressione accademica, artistica o letteraria, gli Stati membri prevedono esenzioni o deroghe rispetto ai capi II (principi), III (diritti dell’interessato), IV (titolare del trattamento e responsabile del trattamento), V (trasferimento di dati personali verso paesi terzi o organizzazioni internazionali), VI (autorità di controllo indipendenti), VII (cooperazione e coerenza) e IX (specifiche situazioni di trattamento dei dati) qualora siano necessarie per conciliare il diritto alla protezione dei dati personali e la libertà d’espressione e di informazione. […]» (corsivi aggiunti). La “tutela qualificata” cha la Corte ha voluto riconoscere alla libertà di espressione dei giornalisti è oggi, dunque, compiutamente affermata nell’importante strumento giuridico dell’Unione europea testé richiamato.

 

  1. L’individuazione dei criteri per operare il bilanciamento degli interessi

Sebbene la Corte europea abbia ricordato che nell’attuazione dei diritti garantiti sia dall’art. 8 CEDU che dall’art. 10 CEDU un ruolo centrale spetti alle autorità nazionali, in virtù del “margine di apprezzamento” loro riconosciuto, essa ha ribadito, ciò nonostante, di avere il dovere di verificare il rispetto di precisi criteri, già individuati in precedenti sentenze[10], utili a operare con accuratezza il bilanciamento degli interessi nel caso di specie. Questi sono il contributo dell’informazione al dibattito generale; la notorietà della persona coinvolta, l’obiettivo perseguito dal reportage; il comportamento tenuto in precedenza dalla persona coinvolta; il contenuto, la forma e le ripercussioni della pubblicazione; infine, le circostanze nelle quali sono state scattate le fotografie (parr. 92-98).

Nei passaggi in cui la Corte ha utilizzato i criteri da essa individuati per valutare l’attività delle giurisdizioni nazionali tedesche, essa ha rilevato che la tutela accordata da parte della Corte federale all’interesse pubblico a conoscere il passato, oltre che a confrontarsi con fatti di stretta attualità, è ampiamente condivisibile. Pertanto, il diritto di avere accesso ad archivi integrali è meritevole di tutela ai sensi dell’art. 10 CEDU. Ad avviso della Corte, limitazioni imposte alle testate giornalistiche rispetto al modo di conservare e gestire gli archivi potrebbero, invero, compromettere la capacità e la stessa volontà di questi attori fondamentali delle democrazie contemporanee di continuare a conservare importanti informazioni.

Inoltre, anche se la domanda dei ricorrenti non era espressamente volta alla cancellazione dei reportage, ma solo a renderli anonimi, la Corte ha affermato che la tutela offerta dall’art. 10 CEDU si estende sino al punto di lasciare piena libertà ai giornalisti circa i dettagli da pubblicare se si tratta di notizie di interesse generale[11], a condizione che questi agiscano in base alla loro etica e alla deontologia professionale (par. 105).

Quanto all’altro importante criterio, ovvero quello del contenuto, della forma e delle ripercussioni della pubblicazione dell’informazione, la Corte ha rilevato che i testi erano stati lecitamente redatti nel pieno esercizio della libertà di stampa e che, riguardando una decisione giudiziaria definitiva, essi rispecchiavano la verità dei fatti, circostanza che, tra l’altro, non era mai stata contestata dai ricorrenti.

Quanto alla diffusione delle informazioni, la Corte ha evidenziato che la circostanza per cui esse fossero accessibili a pagamento o riservate ai soli abbonati, facesse sì che la diffusione delle stesse fosse di fatto limitata.

La Corte europea, dunque, tenuto conto del margine di apprezzamento delle autorità nazionali e dell’importanza di mantenere disponibili dei reportage la cui liceità non era stata mai contestata nel momento della loro prima pubblicazione, ha deciso all’unanimità che la condotta delle autorità tedesche non aveva comportato una violazione dell’art. 8 CEDU.

 

  1. Considerazioni conclusive: la rilevanza del diritto alla memoria e dell’interesse collettivo a essere informati

Nelle democrazie contemporanee, sempre più assediate da populismi e distorsioni della realtà, lo scambio reciproco tra stampa e pubblico è vitale: la prima è uno dei mezzi principali attraverso cui si forma anche la coscienza collettiva di una società. In proposito, la Corte ha evidenziato lo stretto legame tra il diritto dei media di comunicare determinate informazione e quello del pubblico di riceverle. A ciò deve aggiungersi anche il diritto delle testate giornalistiche di costituire e mantenere archivi, e di metterli a disposizione del pubblico. L’utilizzo di internet perché tali archivi siano accessibili e diffusi, garantisce poi l’esistenza di una preziosa risorsa per la ricostruzione storica degli eventi. In questo contesto, la precisione nella tenuta degli archivi, sia cartacei che digitali, risulta cruciale anche per la costruzione della memoria collettiva e del dibattito pubblico.

Ciò posto, anche alla luce delle conclusioni cui la Corte europea è giunta nel caso qui commentato, ci pare di poter concludere che non sia possibile semplificare la realtà sino al punto di accettare l’idea che una data informazione che riguardi un determinato soggetto appartenga solo ad esso, o che questi possa su di essa avere sempre un controllo assoluto, un vero e proprio diritto di proprietà. Ovviamente resta il limite dell’informazione sulla vita privata o diffamatoria – che certo non gode di alcuna protezione – o qualora non vi sia una concreta giustificazione per la sua pubblicazione, vale a dire un interesse pubblico. Alcune informazioni sugli individui, dunque, potrebbero parimenti “appartenere” al pubblico, al quale non dovrebbe pertanto essere proibito di averne libero accesso.

Resta inteso, invero, come anche ricordato nella già menzionata Raccomandazione Rec(2003)13, che specifiche garanzie dovranno comunque essere messe in atto nei confronti di c.d. soggetti vulnerabili, quali ad esempio minori eventualmente coinvolti in procedimenti penali, vittime o testimoni di fatti criminosi, o agli stessi familiari di persone indagate o condannate (Annesso, Principio 8). In questi casi, nel bilanciamento degli interessi operato in primisa livello statale e poi, eventualmente, dalla stessa Corte europea, la tutela offerta dall’art. 8 CEDU si troverebbe a prevalere sulla libertà di espressione di cui all’art. 10 CEDU.

Inoltre, i media, qualora vi siano nuovi fatti che possano incidere sulla riabilitazione e risocializzazione dei soggetti le cui vicende siano state oggetto dei reportage contenuti nei loro archivi, potrebbero pubblicare aggiunte o precisazioni agli stessi, che consentano al pubblico di rileggere quegli eventi anche alla luce di eventuali avvenimenti successivi alla pubblicazione originale e di contestualizzare in modo completo le vicende di cui trattasi. Tali pratiche sono state già valutate positivamente dalla stessa Corte europea[12].

I giornalisti, come è noto, rivestono il ruolo essenziale e al contempo “scomodo” nelle nostre società e, con il loro operato, contribuiscono al dibattito democratico e alla formazione della memoria collettiva. Tale memoria, oggi più che mai, è un bene irrinunciabile e la sua tutela dovrà, salvo specifiche eccezioni, prevalere sul desiderio di alcuni ad essere dimenticati dalla storia.

 

 

[1] Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati), in GUUE, L 119/1 del 4 maggio 2016.

[2] CEDU, M.L. and W.W. v. Germany, ric. 60798/10 e 65599/10 (2018).

[3] Sulla libertà di espressione nella CEDU, vedi in particolare, M. Oetheimer-A. Cardone, Articolo 10, in S. Bartole-P. De Sena-V. Zagrebelsky (diretto da), Commentario breve alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2012, 397 ss. In generale, sulla libertà di stampa si rinvia, invece, aM. Castellaneta, La libertà di stampa nel diritto internazionale ed europeo, Bari, 2012.

[4] CEDU, Österreichischer Rundfunk v. Austria, ric. 35841/02 (2006), par. 68.

[5] Ratificata in Italia con l. 98/1989.

[6] In una sentenza della Grande Camera, la Corte aveva affermato che sebbene la stampa non debba oltrepassare certi limiti, con riferimento in particolare alla protezione della reputazione e dei diritti altrui, è invero suo dovere fornire informazioni e idee su tutto ciò che può essere di interesse pubblico. A tale dovere, che comunque deve essere esercitato nel rispetto degli obblighi e delle responsabilità che ad essa fanno capo, corrisponde il diritto del pubblico a ricevere tali informazioni, incluso quelle che riguardano procedimenti giudiziari (CEDU, Axel Springer AG v. Germany [GC], ric. 39954/08 (2012), parr. 79-80).

[7] CGUE, C-131/12, Google Spain(2014).

[8] Vedi par. 87: «l’inclusione nell’elenco di risultati – che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona – di una pagina web e delle informazioni in essa contenute relative a questa persona, poiché facilita notevolmente l’accessibilità di tali informazioni a qualsiasi utente di Internet che effettui una ricerca sulla persona di cui trattasi e può svolgere un ruolo decisivo per la diffusione di dette informazioni, è idonea a costituire un’ingerenza più rilevante nel diritto fondamentale al rispetto della vita  privata della persona interessata che non la pubblicazione da parte dell’editore della suddetta pagina web». Sull’onere del motore di ricerca la Corte di Giustizia è giunta a conclusioni perentorie: «gli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 devono essere interpretati nel senso che, al fine di rispettare i diritti previsti da tali disposizioni, e sempre che le condizioni da queste fissate siano effettivamente soddisfatte, il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dall’elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine Web sia di per sé lecita» (par. 88). In dottrina vedi, tra gli altri, O. Pollicino, Un digital right to privacypreso (troppo) sul serio dai giudici di Lussemburgo? Il ruolo degli artt. 7 e 8 della Carta di Nizza nel reasoningdi Google Spain, in Dir. Inf., 2014, 569 ss.; E. Frantziou, Further Developments in the Right to Be Forgotten: The European Court of Justice’s Judgment in Case C-131/12,Google Spain, SL, Google Inc v Agencia Española de Protección de Datos, in Hum. Rts. L. Rev., 2014, 761 ss.; G. Resta – V. Zeno-Zencovich (a cura di), Il diritto all’oblio su internet dopo la sentenza Google Spain, Roma, 2015.

[9] Direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, in GU, L 281 del 23 novembre 1995, recepita in Italia con l. 675/1996.

[10] CEDU, Satakunnan Markkinapörssi Oy and Satamedia Oy v. Finland [GC], ric. 931/13 (2017), par. 165.

[11] In una precedente sentenza, la Grande Camera della Corte aveva evidenziato l’importanza del ruolo attivo della stampa rispetto alla necessità di rivelare e portare alla ribalta del pubblico notizie che possano suscitare tale interesse e stimolare un dibattito sulle stesse all’interno della società (CEDU, Couderc and Hachette Filipacchi Associés v. France [GC], ric. 40454/07(2015), par. 114).

[12] CEDU, Wegrzynowski and Smolczewski v. Poland, ric. 33846/07 (2013),par. 66.

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