- Introduzione
L’evoluzione e la pervasività delle tecnologie digitali hanno rivoluzionato radicalente il modo in cui le informazioni vengono create, trattate, condivise e conservate. Nell’era digitale, in cui la scienza ha conquistato una vera e propria egemonia, è dunque necessaria una riflessione sul concetto di libertà di manifestazione del pensiero per analizzare i molteplici aspetti che ad essa si riconnettono in materia costituzionale.
La rivoluzione digitale inizia con il passaggio da una tecnologia di tipo meccanico ed analogico ad una tecnologia di tipo elettronico per lo stoccaggio, il trasferimento e l’utilizzo delle informazioni. Dalla seconda metà del 1900 si è assistito ad una notevole diffusione di computer digitali ed un incremento del loro utilizzo.
La rivoluzione digitale ha inizio nel 1947, quando ci fu l’invenzione di un rivoluzionario transistor a partire dal quale sono stati creati sistemi informatici sempre più efficienti dal punto di vista energetico e con bassi costi di produzione. Di conseguenza, si è arrivati allo sviluppo di un computer con un processore complesso, capace di gestire più task nello stesso momento e di risulare versatile. Nel 1969 venne inviato attraverso l’ARPANET (Advanced Research Projects Agency Network) un messaggio e si iniziarono a connettere tra di loro i primi computer e fu allora che nacque internet. Nel 1989 Tim Berners-Lee creò una serie di protocolli e regole standard per facilitare la comunicazione tra i sistemi, venne installato un server per lo stoccaggio delle informazioni e la creazione di un browser.
Alla fine degli anni 90, quindi, Internet diventa parte della cultura di massa e molte imprese aprono un sito web, tanto che si arriva al 2000 che più della metà della popolazione mondiale risulta composta da utenti attivi di internet.
Lo sviluppo di Internet, come particolare mezzo di comunicazione, ha inciso sulla struttura dello Stato, facendogli assumere la connotazione di “Stato Digitale”[1]. Lo Stato Digitale è caratterizzato da due elementi: in primis l’attività pubblica risulta trasformata nel suo complesso in conseguenza dello sviluppo della tecnologia, che ne determina una articolazione e una riorganizzazione; in secondo luogo, la constatazione che lo sviluppo tecnologico permea in modo così profondo i rapporti economici e sociali da rendere spesso inidonee e obsolete le regole vigenti e da richiederne un necessario aggiornamento.
La rivoluzione tecnologica dei nostri giorni ha, quindi, suscitato un forte senso di disorientamento nei cittadini, in considerazione della velocità con cui le tecnologie stanno modificando il mondo. Le grandi innovazioni tecnologiche hanno preteso una nuova organizzazione della società, che non sempre riesce ad adattarsi, cosi velocemente, all’evolversi della tecnologia. Pertanto, in questo scenario, gli Stati nazionali si impegnano a dare vita ad una nuova regolamentazione, che tenga conto dei cambiamenti imposti da questa nuova rivoluzione, che sebbene inizialmente accolta con ottimismo e senza porre limiti alla scienza, ad oggi è maggiormente attenzionata a seguito dell’enorme progresso, continuo ed irreversibile ed in virtù dei pericoli ad esso connessi. Dalla Dichiarazione di indipendenza del cyberspazio di Barlow del 1996 si è ormai pervenuti ad una situazione in cui dominano poteri privati ed in cui la libertà dell’utente è sempre più messa alla prova. L’affermarsi della società digitale ha portato, quindi, a nuove sfide, tra cui la costruzione di un nuovo costituzionalismo digitale e la necessità di una nuova forma di regolazione.
- Le nuove sfide della società digitale ed il costituzionalismo digitale
La trasformazione digitale pone il mondo delle informazioni di fronte a nuove sfide, tra cui le politiche di moderazione dei contenuti per contrastare la disinformazione. Si pone il problema di evitare la diffusione di informazioni non corrette, anche coerentemente all’esigenza di mantenere un ambiente mediatico sano, collegato al buon funzionamento della democrazia.
La scienza ha conquistato una vera egemonia che incide nei comportamenti sociali e personali e determina lo sviluppo dell’economia, ma al tempo stesso comprime i territori della libertà. Se fin ora c’è stata una rivendicazione nei confronti del potere, verso il potere scientifico c’è una forma di sottomissione data dal desiderio di sicurezza, dalla necessità di benessere espressi da ciascuno e sentiti fortemente dalla società. In questo scenario, l’affermarsi dell’intelligenza artificiale e delle sue conseguenze incerte rende la rivoluzione tecnologica sempre più complessa e poco comprensibile per il cittadino comune e consolida questo nuovo potere immenso e con caratteristiche che lo rendono sfuggente rispetto alle tradizionali forme di controllo e di limitazione. Di fronte a questa terza rivoluzione (quella dell’intelligenza artificiale), che viene dopo quella del personal computer degli anni ottanta che ha diffuso l’informatica nella società e quella di Internet degli anni novanta che ha collegato computer e persone in una rete globale, ci troviamo in una situazione in cui molte attività, che fin ora erano svolte dalle persone possono essere affdiate a macchine che hanno acquistato capacità di ragionare, apprendere e agire. Pertanto si pongono nuovi problemi, ad esempio ci si interroga sul modo in cui garantire che i diritti fondamentali della persona, il buon funzionamento della democrazia e la libertà di mercato non siano sopraffatti da gli algoritmi, i big data, i processi decisionali automatizzati. Si cerca di capire come, di fronte ai piu recenti sviluppi della scienza informatica, si possa garantire una legalità algoritmica.
La questione da analizzare è quella di capire fino a che punto la scienza informatica può incidere nella sfera fisica, psichica e relazionale della persona umana senza comprometterne la natura, e nello specifico, dove l’utilizzo delle macchine può essere un aiuto e un arricchiamento per la sfera delle libertà e dove, invece, questo impiego si può mutare in un pericolo ed in un freno alla sfera delle persone umane. Di fronte a queste domande si è creato anche un nuovo costituzionalismo, c.d. digitale. Il costituzionalismo ha attraversato diverse fasi: c’è stato il costituzionalismo settecentesco e ottocentesco dell’età liberale, il costituzionalismo novecentesco dello Stato sociale, il costituzionalismo garantista dello Stato costituzionale del secondo dopoguerra, oggi a seguito del processo di digitalizzazione si può parlare forse di un costituzionalismo digitale ovvero quello che si sta oggi delineando come effetto diretto delle trasformazione che la scienza e la tecnica hanno determinato e stanno determinando nella sfera relazionale degli esseri umani.
Cosi come affermato da Stefano Rodotà, al soggetto fisico si aggiunge un soggetto digitale, costituito dalla combinazione dei dati raccolti e elaborati dalle macchine, mentre la comunicazione interpersonale e di massa favorisce la nascita di strutture aggreganti diverse da quelle apprese in passato.
In questo quadro le libertà tradizionali, come la libertà personale, domiciliare, di comunicazione e informazione e d’impresa, assumono forme del tutto nuove che la scienza e la tecnica, se ben guidate, possono concorrere ad arricchire e rafforzare come strumenti di consolidamento di una democrazia costituita dal basso, ma che se mal orientate, possono anche limitare e seriamente pregiudicare lo spazio della libertà fino a favorire sbocchi di tipo autoritario. Il nuovo mondo digitale presenta, quindi, vantaggi e rischi, richiedendo sia a livello normativo che giurisprudenziale, di elaborare un modello di costituzionalismo in grado di rileggere e riequilibrare il sistema dei poteri e delle libertà nella cornice di questo mondo che scienza e tecnica stanno sviluppando attraverso l’impiego dell’intelligenza artificiale.
In futuro questo costituzionalismo si svilupperà su due piani: quello dell’esperienza, di natura costituente, che oggi l’Europa sotto la spinta dell’emergenza sanitaria sta affrontando; e sul piano dell’azione che le autorità amministrative indipendenti da tempo stanno sviluppando, sia nel contesto europeo che nazionale, a difesa delle libertà della persona.
- La libertà di manifestazione del pensiero
La libertà di manifestazione del pensiero, riconosciuta dall’articolo 21 della Costituzione, è tradizionalmente qualificata come la pietra angolare del sistema democratico, come la definì la stessa Corte Costituzionale nella storica sentenza n. 84 del 1969. Si tratta, dunque, di uno dei principali cardini per la tenuta democratica di un Paese.
La libertà di manifestare il proprio pensiero con qualsiasi mezzo di diffuzione, viene collocata tra i valori primari, assistiti dalla clausola dell’inviolabilità (art. 2 della Costituzione), i quali, in ragione del proprio contenuto in linea generale si traducono direttamente e immediatamente in diritti soggettivi dell’individuo di carattere assoluto[2]. Pur ammettendo che la libertà di manifestazione del pensiero rientra tra le libertà fondamentali proclamate e protette dalla Carta Costituzionale, la Consulta ha chiarito che la disciplina delle modalità di esercizio di un diritto non costituisce per sé stessa lesione del diritto medesimo e non è pertanto costituzionalmente vietata anche se possa derivarne indirettamente una qualche limitazione. Inoltre, la stessa Costituzione prevede che siano riconosciuti sia il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero sia quello di utilizzare liberamente i mezzi di divulgazione e che godano delle stesse garanzie costituzionali anche in virtù del nesso di strumentalità del secondo rispetto al primo.
La libertà di manifestazione del pensiero può essere intesa, definita e declinata in molteplici modi. Le differenze derivano non solo dal riconoscimento di una prevalenza della natura individualista o funzionalista della libertà, ma anche dai diversi modelli costituzionali.
Come tutte le libertà, quella di espressione non è assoluta, ma incontra diversi limiti che sono posti a tutela di altre libertà, al fine di evitare un possibile conflitto in virtù del fatto che l’ordinamento giuridico deve provvedere a bilanciare le libertà potenzialmente confliggenti. I limiti devono essere posti dalla legge e devono trovare fondamento in precetti e principi costituzionali, espressamente enunciati o desumibili dall’ordinamento. Ad esempio un limite ritracciabile nella stessa Costituzione è quello derivante dalla tutela del buon costume o dall’esistenza di beni o interessi diversi che siano parimenti garantiti o protetti dalla Costituzione, nonché dall’esigenza di prevenire e far cessare turbamenti della sicurezza pubblica, la cui tutela costituisce una finalità immanente del sistema. Nell’ambito dei limiti che in cocnreto si pongono alla libertà di manifestazione del pensiero la giurisprudenza della Corte costituzionale ha avuto modo di affrontare molteplici fattispecie, tra cui in primis quella del limite del buon costume, cosi come previsto al sesto comma dell’art. 21 della Costituzione. In relazione alla nozione di buon costume, sin dalla sentenza n. 9 del 1965, la Corte ha affermato che “il buon costume non puo’ essere fatto coincidere, come e’ stato adombrato dall’Avvocatura dello Stato, con la morale o con la coscienza etica, concetti che non tollerano determinazioni quantitative del genere di quelle espresse dal termine “morale media” di un popolo, “etica comune” di un gruppo e altre analoghe. La legge morale vive nella coscienza individuale e cosi’ intesa non puo’ formare oggetto di un regolamento legislativo. Quando la legge parla di morale, vuole riferirsi alla moralita’ pubblica, a regole, cioe’, di convivenza e di comportamento che devono essere osservate in una società civile. Non diversamente il buon costume risulta da un insieme di precetti che impongono un determinato comportamento nella vita sociale di relazione, la inosservanza dei quali comporta in particolare la violazione del pudore sessuale, sia fuori sia soprattutto nell’ambito della famiglia, della dignita’ personale che con esso si congiunge, e del sentimento morale dei giovani, ed apre la via al contrario del buon costume, al mal costume e, come e’ stato anche detto, puo’ comportare la perversione dei costumi, il prevalere, cioe’, di regole e di comportamenti contrari ed opposti.[3]”
La libertà di manifestazione del pensiero è strettamente connessa con l’espressione della personalità dell’individuo, perché gli consente di esternare sé stesso e le proprie convinzioni sia nel circolo primario delle proprie relazioni, (famiglia o il proprio ambiente lavorativo), sia in spazi più vasti, (la partecipazione al mondo sociale, culturale e politico).
Attraverso l’uso prima di Internet, con mail e forum, poi dei social network, come blog, Myspace, Facebook, Twitter, Flickr, ed adesso con l’avvento dell’intelligenza artificiale la libertà di manifestazione del pensiero ha assunto una valenza notevole e sconosciuta in precedenza, ovvero la consapevolezza che qualunque tipo di messaggio potesse vivere di vita propria indipendentemente dalla fonte che lo ha generato. Per tale motivo sono poste importanti sfide alla regolazione delle comunicazioni e alla disciplina della libertà di espressione, proprio in virtù della a-territorialità e della connaturata anarchia di tali mezzi di comunicazione.
- Quadro giuridico europeo sull’IA
L’elaborazione normativa in tema di intelligenza artificiale (di seguito IA) è cresciuta in modo esponeziale e velocemente. Basti pensare che nel luglio 2017, il Consiglio di Stato della Cina ha emesso un Piano di sviluppo dell’IA di nuova generazione, con fortissimi investimenti e con l’obiettivo dichiarato di raggiungere la supremazia nell’IA entro il 2030. Allo stesso modo, anche gli Stati Uniti hanno, nel febbraio 2019, firmato un executive ordere per creare un programma denominato The America AI Initiative. L’Unione europea, dopo la risoluzione del febbraio 2017, ha elaborato una strategia europea per l’IA e ad oggi ci sono stati molti documenti e interventi. Tra questi è noto il Regolamento sull’approccio europeo all’intelligenza artificiale, che la Commissione europea ha proposto inizialmente il 21/4/2021 prevedendo cosi un primo quadro giuridico europeo sull’IA[4]. Il regolamento UE n. 1689/2024, ad oggi legge dopo un lungo iter legislativo, ha l’obiettivo di migliorare il funzionamento del mercato interno e promuovere l’adozione di un’intelligenza artificiale affidabile e incentrata sull’uomo, garantendo, nel contempo, un elevato livello di protezione della salute, della sicurezza e dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta dell’UE, compresa la democrazia, lo Stato di diritto e la tutela dell’ambiente dagli effetti dannosi dei sistemi di intelligenza artificiale nell’Unione, nonché sostenendo l’innovazione. La nuova normativa non intende essere esaustiva e particolareggiata in ogni aspetto connesso all’IA, ma tiene conto che diversi profili della materia sono già riconducibili ad atti legislativi vigenti o in corso di adozione a livello UE. In particolare, il nuovo regolamento introduce delle regole armonizzate per l’immissione sul mercato, la messa in servizio e l’uso dei sistemi di intelligenza artificiale nell’Unione; il divieto di determinate pratiche di intelligenza artificiale; prevede dei requisiti specifici per i sistemi di IA ad alto rischio e obblighi per gli operatori di tali sistemi; prevede regole di trasparenza armonizzate per alcuni sistemi di IA; stabilisce delle regole di armonizzate specifiche per l’immissione sul mercato di modelli di IA di uso generale; dichiara regole sul monitoraggio del mercato, sulla governance e sull’applicazione della vigilanza del mercato stesso; prevede delle misure a sostegno dell’innovazione, con particolare attenzione alle piccole medie imprese, comprese le start-up. In questo quadro non è facile trovare una definizione di intelligenza artificiale. Ci sono state diverse definizioni e la tendenza è quella di adattare i principi consolidati del costituzionalismo alle applicazioni dell’IA. La definzione recepita al’interno del regolamento è quella di “un sistema automatizzato progettato per funzionare con diversi livelli di autonomia e che può mostrare capacità di adattamento dopo l’installazione e che, per obiettivi espliciti o impliciti, deduce, dagli input che riceve, come generare output quali previsioni, contenuti, raccomandazioni o decisioni che possono influenzare ambienti fisici o virtuali”. Il Regolamento si applica a tutti i soggetti pubblici e privati che producono strumenti con tecnologia di intelligenza artificiale rivolti al mercato europeo, indipendentemente dal fatto che le aziende siano o meno europee. Sia i fornitori che gli utilizzatori dovranno assicurarsi che il prodotto sia compliant. Il Regolamento non verrà applicato in alcuni casi, ad esempio per i sistemi di AI per scopi militari, di difesa o di sicurezza nazionale, a quelli per scopi di ricerca e sviluppo scientifico, o a quelli rilasciati con licenze free e open source, per l’attività di ricerca e per le persone fisiche che utilizzano i sistemi di AI per scopi personali. Tra i principi generali che evincono dall’analisi del testo normativo giova soffermarsi sugli articoli 3, 4 e 5. L’art. 3 prevede i principi fondamentali e stabilisce che il ciclo di vita dei sistemi e dei modelli di IA si basino sul rispetto dei diritti fondamentali e delle libertà dell’ordinamento italiano ed europeo oltre che sui principi di trasparenza, proporzionalità, sicurezza, protezione dei dati personali, riservatezza, robustezza, accuratezza, non discriminazione e sostenibilità. Lo sviluppo e la concreta applicazione devono avvenire nel rispetto dell’autonomia e del potere decisionale dell’uomo, come imposto dall’approccio antropocentrico che caratterizza il D.D.L. e il Regolamento europeo. Si stabilisce che l’utilizzo dell’IA non deve danneggiare la vita democratica del Paese e delle istituzioni, non deve pregiudicare il rispetto della cybersicurezza lungo tutto il ciclo di vita dei sistemi e dei modelli di IA ed il pieno accesso delle persone con disabilità ai sistemi di AI, senza discriminazione. L’art. 4 in materia di informazione e riservatezza stabilisce che l’utilizzo dell’IA debba avvenire nel rispetto anche del pluralismo dei mezzi di comunicazione, della libertà di espressione e della imparzialità e completezza dell’informazione; le informazioni relative al trattamento dei dati personali devono essere chiare e accessibili a chiunque, al fine di garantire agli interessati la facoltà di opporsi al loro trattamento non corretto. L’art. 5, in materia di sviluppo economico, prevede che le autorità pubbliche promuovano l’utilizzo dell’IA per migliorare la produttività e avviare nuove attività economiche, al fine di accrescere la competitività del sistema economico nazionale. In questo quadro generale, l’IA non deve essere considerata come una minaccia, ma come uno strumento per migliorare la vita delle persone e per potenziare il godimento dei diritti fondamentali. Ad esempio, basta pensare all’importanza che questa assume in numerosi settori, dalla tutela della salute alla lotta contro il crimine, all’agricoltura ai trasporti. Se invece, si vuole pensare ai nuovi rischi che possono discendere dal suo utilizzo, c’è quello per cui un uso spergiudizievole dell’AI può causare effetto negativi nella dialettica politica. Infatti, i governi possono servirsi dell’IA per anticipare e controllare il comportamento dei cittadini in modi che limitano le libertà iindividuali e interferiscono con il processo democratico. La manipolazione dell’opinione pubblica basata sulla profilazione e l’invio di messaggi mirati puòportare alla polarizzazione e all’estremizzazione delle opinioni e quindi al deterioramento del dialogo pubblico. L’IA e i big dati combinati alla possibilità di disporre di ampie risorse informatiche hanno aumentatato le opportunità di profilazione degli individui, ovvero la possibilità di compiere inferenze sulla base dei dati rigurdanti gli stessi.
- Conclusioni
In sintesi, non c’è un parallelismo tra l’evolversi delle tecnologie e l’adeguamento degli ordinamenti alle novità, in quanto sono soggette a velocità diverse. L’Unione europea e, di conseguenza, gli Stati membri si stanno impegnando a dare vita a nuove regolamentazioni, tenendo conto dei cambiamenti imposti da questa nuova rivoluzione digitale. Il regolamento IA è la risposta dell’Unione europea all’ondata digitale, e cerca di fornire un quadro normativo coerente e comune a tutti gli Stati, al fine di creare un mercato digitale europeo sicuro. La legge vieta l’utilizzo i sistemi di intelligenza artificiale come la manipolazione comportamentale cognitiva e il punteggio sociale, perché il loro rischio è ritenuto inaccettabile. Cosi come è vietato l’uso dell’IA per la polizia predittiva, basata sulla profilazione e sui sistemi che utilizzano i dati biometrici per classificare le persone in base a categorie specifiche come razza, religione o orientamento sessuale.
In estrema sintesi, i punti salienti dell’IA Act sono questi: definire la nozione di sistema di intelligenza artificiale per distinguergli dai software più semplici e creare un quadro globale e sicuro per la sua implementazione, capace di rivolgersi a tutti gli attori coinvolti partendo da tutti gli utilizzatori, ai distributori, agli importatori, ai produttori e per finire con i fornitori di sistemi di AI che hanno un legame con l’Unione europea.
[1] L. Torchia, Lo Stato Digitale. Una introduzione, Bologna, 2013, p. 17, evidenzia come lo sviluppo dello Stato e dei suoi caratteri proceda da sempre di pari passo con quello tecnologico. Ciò che però caratterizza la tecnologia di Internet, è che essa sia divenuta «al tempo stesso una caratteristica del potere pubblico e un fenomeno la cui regolazione è centrale per i rapporti economici e sociali complessivamente intesi».
[2]Sentenza della Corte Costituzionale n. 112/1993 in https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=1993&numero=112
[3]https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1965/02/27/065C0009/s1#:~:text=Non%20diversamente%20il%20buon%20costume,dignita’%20personale%20che%20con%20esso;
[4] Proposal for a Regulation laying down harmonised rules on artificial intelligence ( COM 2021 206 final);