Com’era nell’aria da alcune settimane, Facebook e la Federal Trade Commission hanno concluso un accordo per definire l’istruttoria sulle politiche della privacy praticate dal social network. Il settlement è modellato su quello già stipulato dalla FTC con Google, in relazione all’utilizzo dei dati personali degli utenti Gmail per il lancio dell’effimero Google Buzz.
In particolare, Facebook ha accettato di sottoporre ogni futura modifica delle opzioni di privacy al vaglio degli utenti, secondo un modello opt-in, nonché di consentire per vent’anni il periodico monitoraggio della propria gestione dei dati personali da parte di un organo indipendente.
È evidente che la vicenda in esame si colloca in un più ampio quadro di attivismo governativo sui temi della privacy, non certo circoscritto all’altro lato dell’Atlantico. In modo alquanto bizzarro, però, l’atteggiamento dei pubblici poteri nei confronti della riservatezza dei cittadini varia drasticamente quando vengono in esame le proprie prerogative tipiche.
Per rimanere negli Stati Uniti, è utile far riferimento alla campagna trasversale per l’aggiornamento dell’Electronic Communication Privacy Act, che mira ad estendere la necessità di un provvedimento giudiziario per l’accesso – ad esempio – a dati conservati nel cloud o al tracciato GPS.
Quanto al caso italiano, basterà por mente agli strumenti impositivi di più recente invenzione, che vanno sotto nomi – dal discutibile valore letterario – quali redditometro e spesometro; nonché, più in generale al dibattito sulla fuga dal contante in una prospettiva di ostacolo all’evasione.
Sebbene la repressione dei reati e la tutela dell’erario siano obiettivi di lampante rilevanza, questa divaricazione tra una privacy modellata per l’occhio del privato e una destinata al cospetto del pubblico non può che destare preoccupazione. La riservatezza non è un valore frazionabile ed è opportuno che le sue violazioni vengano limitate ai casi in cui si rendano strettamente necessarie, e solo a fronte delle garanzie minime dello stato di diritto.
È allora auspicabile che le autorità di garanzia inizino a riservare all’attività dei governi il medesimo zelo con cui scandagliano l’operato delle aziende del web. Senza dimenticare che, diversamente da Google o Facebook, lo stato non ammette logout.