Google e i problemi con l’editoria in Francia e Australia: quali prospettive?

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Risale al primo mese del 2021 la notizia secondo cui, dopo una interminabile trattativa tra la compagnia di Mountain View e l’Alleanza della stampa francese (Alliance de la presse d’information générale, APIG), sia stato raggiunto un accordo finalizzato a riconoscere un compenso economico in favore dei quotidiani francesi da parte del colosso Google.

La rilevanza dell’accordo è tale da stabilire il quadro entro il quale la Big Tech company avrà la possibilità di poter stabilire specifici accordi di licenza (cosa che invece aveva precedentemente compiuto solo tramite accordi individuali con singoli quotidiani nazionali, come ad esempio Le Monde e Le Figaro).

Fra gli aspetti più importanti da registrare, c’è sicuramente la stipula di accordi di licenza volti a consentire la regolamentazione sia dei diritti connessi (neighbouring rights), sia dando la possibilità anche ai giornali di accedere al servizio Google News Showcase.

Cos’è Google News Showcase?

 Come riportato nello stesso sito web, Google, nel presentare questo suo nuovo servizio, sottolinea la volontà di “organizzare l’informazione globale e renderla universalmente accessibile ed utile”.

L’impegno di Google nel sostenere questo progetto è evidenziato dall’importante esborso economico (circa $300 milioni di dollari) compiuto a favore di piccole e medie imprese dell’editoria al fine di sostenere e accelerare la loro crescita economica.

In aggiunta, Google ha annunciato di voler investire $1 miliardo di dollari in partnerships con nuovi editori.

Ciò che emerge è un reale interesse da parte della big G nel collaborare attivamente con queste realtà al fine di dare una spinta al settore dell’editoria, vittima di ingenti perdite economiche dovute alla proliferazione di nuovi modi di fare notizia (dalla radio all’internet, passando per la televisione).

Per quanto riguarda il funzionamento di questo nuovo servizio, Google presenta una piattaforma con cui è semplice interagire, la quale mette in relazione i lettori consentendo loro di poter avere maggiori informazioni riguardo le notizie che leggono e, nel contempo dando la possibilità agli editori di poter sviluppare delle relazioni più profonde con il proprio bacino di utenza.

Attualmente il servizio è attivo in paesi come il Brasile e la Germania (laddove tra i quotidiani aderenti alla iniziativa spiccano i rinomati Der Spiegel e Die Zeit).

Francia

La disputa che era sorte nel paese d’Oltralpe riguardava la possibilità di Google News France di poter mostrare sul proprio motore di ricerca l’anteprima di un articolo, accompagnata da foto, titolo e un breve estratto (noto come “snippet”) solo previo consenso da parte dell’editore e senza che questo percepisse alcun compenso.

La base giuridica di questa scelta è da rinvenire all’interno della Direttiva 790/2019 (Direttiva europea sul copyright) più precisamente nell’articolo 15, il quale fa insorgere in capo agli editori il diritto ad ottenere un compenso economico nell’ipotesi in cui chi voglia usufruire del servizio di condivisione degli articoli di giornale online, qualora si tratti anche di mostrare snippet, è tenuto ad ottenere una licenza da parte degli editori stessi.

La soluzione al problema è stata raggiunta attraverso la stipula di un accordo tra Google e gli editori. Nonostante siano ancora incerti i dettagli di tale accordo, si ha piena certezza in merito ai criteri che saranno adottati per calcolare le somme di denaro che verranno versate dal colosso californiano in favore di questi.

Tra i più importanti, spiccano: il volume quotidiano di pubblicazioni, il traffico sul web calcolato mensilmente e il contributo fornito all’informazione politica e generale (quest’ultimo, piuttosto generico e incline ad essere interpretato nei modi più disparati).

Alla luce di quanto scritto, l’accordo raggiunto in Francia rappresenta un traguardo inimmaginabile solo poco tempo fa. Molti ritengono che questa soluzione possa essere considerata come “apripista” a possibili nuovi scenari in Europa, essendo la prima e unica misura simile adottata ad oggi.

Ciò che fa maggiormente riflettere è la possibilità che simili accordi possano essere raggiunti anche con altri leader del settore digitale, come ad esempio Facebook e Twitter.

Australia

 Se nel panorama europeo il quadro sembra delineato, lo stesso non può dirsi per quanto sta accadendo oltreoceano.

Infatti, in Australia, il governo è in procinto di adottare un provvedimento che vincolerebbe la Big G a versare somme di denaro a favore degli organi di informazione al fine di poter usufruire dei loro contenuti.

Il rifiuto a rispettare questa misura da parte di Mountain View genererebbe uno scenario apocalittico: un’intera nazione priva del più importante e utilizzato motore di ricerca a livello mondiale, costretta a rivedere le proprie abitudini di surfing on the web.

Diversamente da quanto previsto nel vecchio continente, qualora il colosso di Mountain View e i suoi “fellows” non riuscissero a negoziare un accordo economico con gli editori locali, un arbitrato nominato dal governo verrebbe incaricato di dirimere la questione in via stragiudiziale.

Inoltre, le piattaforme digitali sarebbero chiamate a:

  • dare un preavviso di 14 giorni prima di modificare gli algoritmi che potrebbero avere un potenziale impatto nell’ambito del traffico sui siti web,
  • pagare sanzioni pecuniarie in ipotesi di violazione di clausole di non discriminazione.

In merito a questo punto, il Primo Ministro australiano Scott Morrison è stato molto chiaro, ribadendo la sua intenzione di non volere scendere in alcun modo a compromessi.

La posizione di Morrison, ampiamente sostenuta da tutte le parti politiche coinvolte, si basa su di una ricerca che ha delineato come, dall’avvento di Google e Facebook all’interno dell’industria dei media, si è sottoposti ad una minaccia nei confronti della democrazia.

Il timore però è quello di uno G-exit che potrebbe comportare ingenti perdite, in particolare per gli small business che fanno affidamento sul servizio di ricerca offerto da Google per poter attirare potenziali clienti all’interno dei loro siti web.

Conclusioni

 Ciò che emerge dalle vicende che stanno interessando Francia e Australia è la mancanza di una stabilità nell’ambito della regolamentazione del mondo Tech.

La volontà di adottare soluzioni meramente nazionali sembra essere la scelta più ovvia.

Tuttavia, è proprio la frammentazione della disciplina il vero problema, in quanto pone in capo alle compagnie digitali l’arduo compito di dover adattarsi alla struttura normativa di ciascun paese in cui si trovano ad operare.

In aggiunta, è sicuramente da rifiutare l’approccio al problema adottato dalla Cina la quale, erroneamente, ritiene che la soluzione migliore per risolvere la questione sia quella di adottare un modello speculare a quello che viene utilizzato nel mondo offline.

Infatti, le peculiarità che caratterizzano il mondo online richiedono un modus operandi che sia “cucito su misura”, in quanto sarebbe inutile adottare misure che siano non convenzionali al mondo di Internet.

In conclusione, la soluzione migliore sarebbe quella di superare questa dispersione normativa, optando per un framework comune che possa garantire una applicazione uniforme.

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