Gli smart contract quale espressione dell’autonomia contrattuale: adeguamento del modello o degli ordinamenti?
di Camilla Silvestri*
Il c.d. capitalismo 4.0 richiama il concetto di modulo che trova propria espressione nella Blockchain Technology e, più in generale, nelle DLT, Decentralized Ledger Technologies. A riprova di ciò, il fatto che dal 2008, anno della creazione di Bitcoin (una tra le più famose e discusse piattaforme Blockchain), ad oggi, la reputazione di questi network è mutata; dall’essere considerati semplici “erogatori” di criptovaluta a motore stesso del sistema produttivo – Amazonne è uno degli esempi più tangibili.
Ogni qual volta viene introdotto all’interno dell’ecosistema prima tecnologico e poi giuridico un mezzo o uno strumento innovativo è inevitabile lo scontro con l’ordinamento di riferimento: la tecnologia, così come ogni fenomeno economico e sociale, anticipa il diritto esistente che deve adeguarsi.
Ciò a maggior ragione vale per il c.d. “smart contract”, o contratto intelligente, la più interessante e complessa applicazione della tecnologia blockchain, fosse solo per l’inerenza diretta con l’ordinamento giuridico che l’assonanza terminologica che la parola “contratto” immediatamente induce.
Dello smart contract si rinviene una prima definizione, in termini non giuridici, quale «insieme di promesse, espresse in forma digitale, incluse le regole che le parti vogliono applicarvi».
Tenuto conto, tuttavia, della loro funzione (confermata nella prassi prima ancora che dal diritto), pare più corretto definire«lo smart contract quale accordo automatizzato ed eseguibile. Automatizzato da un computer, sebbene alcune parti richiedano un input o un controllo umano. Eseguibile sia attraverso il ricorso all’autorità giudiziaria che tramite l’esecuzione automatica del codice». In altri termini, un contratto intelligente consiste in un insieme di clausole, espressione di un accordo tra due o più parti, programmate in codice alfanumerico. Il “codice” prefigura un set di istruzioni con la descrizione di condizioni all’avverarsi delle quali vengono automaticamente innescate specifiche azioni anche esse definite nel codice. Il codice viene conservato sullablockchain così come le transazioni sono conservate normalmente su altre catene di controllo.
L’impulso che determina l’esecuzione delle istruzioni registrate nello smart contract può dipendere da elementi interni allo stesso e cioè dalla successione di avvenimenti già compresi nel codice (come, ad esempio, lo spirare di un termine) ovvero da circostanze esterne (per esempio, un tasso di interesse). In tale seconda ipotesi è necessario l’intervento di un elemento esterno alla blockchain (c.d. “oracolo”) che non è altro se non una fonte di dati affidabile e certificata che fornisce supporto per l’esecuzione (o la non esecuzione) dello smart contract trasmettendo alla blockchain informazioni relative al mondo reale che concernono circostanze dedotte nel codice quali presupposti per l’esecuzione del contratto. Gli smart contracts, infatti, si basano, come un diagramma di flusso, sulla logica dell’“if this then that”: una volta soddisfatte le condizioni descritte nel codice si attivano automaticamente delle specifiche azioni che non possono essere interrotte.
Riassumendo, è possibile descrivere lo smart contract come negozio digitale, autoeseguibile e irrevocabile. “Digitale”poiché le clausole contrattuali sono incorporate nel softwaresotto forma di codice; “autoeseguibile” giacchél’adempimento, essendo governato dagli input previsti nel codice, prescinde non solo dall’animus solvendi del debitore, ma anche dal comportamento delle parti; infine,“irrevocabile” perché, una volta iniziato, il processo di esecuzione non può essere fermato o modificato.
Tali caratteri evidenziano i vantaggi che ne hanno favorito la proliferazione: maggiore sicurezza, trasparenza, immutabilità, decentralizzazione e il consenso, “pilastri” «che hanno permesso alla blockchain di introdurre un nuovo paradigma capace di declinare in digitale un nuovo concetto di fiducia. Questo modello porta in dote quelle garanzie di trust, fiducia, affidabilità e sicurezza che nel passato erano necessariamente delegate a una figura “terza” e che in questa tecnologia, in forza di dette garanzie, non viene contemplata».
Il legislatore italiano ha inteso regolare le tecnologie basate su registri distribuiti nel d.l. 135/2018, convertito nella l.12/2019. Pur avendo rimesso all’Agenzia per l’Italia Digitale l’onere di meglio precisarne i confini giuridici, nel testo viene fornita una definizione puramente descrittiva dello smart contract. L’art. 8 ter, c.2, d.l. cit. definisce lo «smart contractcome un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse».
Sebbene le modalità di conclusione del contratto siano rimesse a processi automatizzati e crittografici, parrebbe dedursi dal testo normativo l’indicazione di un perfezionamento del negozio ex art. 1327 c.c. mediante esecuzione della seconda parte contraente che ha aderito alla proposta contenuta nel codice algoritmico. Tale indicazione, opportuna per il rilievo al momento “esecutivo”, forse scontata nel desiderio di ricondurre la fattispecie al codice,non risulta, peraltro, conclusiva tanto che, a tutt’oggi, ci si interroga sulla natura degli smart contracts, se possano essere considerati giuridicamente vincolanti ovvero meri atti di esecuzione informatica ed automatizzata di un accordo (che dovrebbe quindi preesistere o comunque perfezionarsi altrove).
Senza pretesa di esaurire la molteplicità delle eccezioni sollevabili (e sollevate) allo smart contract, appare, senz’altro,opportuno interrogarsi sull’approccio che l’ordinamento dovrebbe adottare in relazione a tale innovativo fenomeno. Sino ad oggi, la comparazione si è svolta tra smart contract e contratto così come rinveniente dalla disciplina codicistica. Il“contratto intelligente” è stato spesso rapportato alla struttura del contratto e dei requisiti che lo individuano e regolano (accordo; causa; oggetto; forma) e analizzato sotto il profilo della compatibilità sollevando molteplici (forse evitabili) problematiche.
Per “accordo” si intende l’incontro delle manifestazioni di volontà provenienti dalle parti contraenti; il perfezionamento dello smart contract richiede soltanto la sottoscrizione crittografica di entrambe le parti, da considerarsi, pertanto,manifestazioni di volontà. Tuttavia, il “momento”dell’“accettazione” non risulta chiaramente individuabile. Secondo alcuni può essere utile riferirsi, informalmente, alle regole proprie dei contratti telematici, laddove una delle tipologie di procedimento indicate per il contratto online è quella dello «scambio di proposta e accettazione tramite postaelettronica»; l’espressione della volontà verrà rappresentata, quindi, tramite messaggio e–mail e gli effetti decorreranno dal momento in cui questa perverrà nella sfera del destinatario come indicato dall’art. 1335 c.c. che pone presunzione di conoscenza. Secondo questo orientamento, il vincolo contrattuale sorge all’incontro delle volontà e non quando il contratto viene caricato ed eseguito sulla blockchain. All’opposto risiede la posizione di chi valorizza, in senso metagiuridico, il termine “esecuzione” riportato nel citato art. 8 ter, c. 2, d.l. 135/18; per “esecuzione” dovrebbe, quindi, intendersi l’avvio del programma e quindi l’applicazione delle clausole e delle istruzioni già date nel sistema; cosicché la manifestazione di volontà si avrà con l’avvio congiunto del programma.
Lo spettro del contratto codicistico si ripresenta anche nel momento della verifica della causa (nel senso di funzione economico-sociale del contratto, ma più in generale, identificata come ciò che giustifica l’attività delle parti) nello smart contract. Muovendoci nell’ambito di un softwareinformatico, il linguaggio utilizzato è composto da stringhe alfanumeriche incomprensibili ai più, contenente solo condizioni matematicamente quantificabili e traducibilidigitalmente; questo rende molto complicata la specificazione della causa, se non l’individuazione della stessa. La predisposizione di un contratto informatizzato, è stato detto,realizza una sorta di barriera semantica tra l’utente e il computer, che potrà solo essere attenuata attraverso la creazione di un’interfaccia semplice ed intuitiva per la conversione del linguaggio umano in codice, ma non eliminata. Di conseguenza, la piena conoscenza e consapevolezza delle modalità di svolgimento del softwareimpone il necessario ricorso ad un terzo facendo venire meno, secondo il giudizio – erroneo – di molti, la principalecaratteristica e, perché no, uno dei maggiori vantaggi, riguardanti l’efficienza degli smart contracts: la disintermediazione. Questa eccezione, peraltro, pare sollecitare più una riflessione circa la trasparenza del “contratto” che rivelarsi contestazione in ordine alla “causa”,propriamente intesa.
Continuando l’analisi con l’oggetto del contratto, ossia con le prestazioni su cui si basa l’accordo tra le parti, è utile riferirsi all’art. 1346 c.c. secondo il quale l’oggetto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile. Tutte le condizioni elencate non contrastano in alcun modo con le caratteristiche dei contratti intelligenti, ma potranno essere verificate solo nel momento in cui il linguaggio di redazione del contratto risulti comprensibile alle parti, ricadendo nelle medesime problematiche trattate in precedenza per la causa; più che vizio dell’oggetto è la possibile difficoltà nella determinabilità dell’oggetto stesso a recare ragione di dubbio.
Infine, anche la forma del contratto digitale è stata oggetto di molteplici approfondimenti. La norma si limita a richiedere il requisito della forma scritta (art. 2, co 2, d.l. 135/2018), ma quando si parla di accordi regolati in una piattaforma blockchain non vi è garanzia che le parti possano redigere materialmente il documento: di conseguenza diventa essenziale individuare un documento per la manifestazione della volontà delle parti, così che possa nascere il rapporto contrattuale. In questo caso è la sottoscrizione che costituisce elemento di imputazione del documento in riferimento a un determinato soggetto. Tuttavia, il legislatore non ha espressamente previsto alcuna forma di sottoscrizione. Nel caso in cui i contraenti non abbiano mai stipulato un antecedente accordo scritto o orale, il codice informatico sarà l’unica prova dell’instaurazione di un rapporto giuridico. Qui entra in gioco l’identificazione informatica delle parti interessate, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’Agenzia per l’Italia digitale (ex art. 8, c. 4, d.l. 135/2018). In particolare, l’art. 2 apre a un’ulteriore questione da indagare: l’anonimato garantito dalle piattaforme blockchain. Non essendo possibile alcun tipo di riconoscimento delle generalità degli individui all’interno di tale tecnologia, il legislatore nazionale si è preoccupato del fatto che tali contratti “intelligenti” potessero essere annullati ex art. 1425 c.c.:
Elencate e brevemente analizzate le principali criticità che la ricostruzione degli smart contracts in termini, in senso lato contrattuali, fa emergere, si può provare a circoscrivere l’incidenza delle stesse così da limitare più la cristallizzazione dello strumento attraverso l’ordinamento che l’operatività concreta del medesimo.
Volendo trarre delle conclusioni rispetto all’analisi che sinora ha guardato orizzontalmente alla comparazione tra contratto ex art. 1321 c.c. e contratto smart, una delle maggiori difficoltà in tema pare essere di garantire la validità del secondo in relazione alla formazione del consenso. In tal senso una proposta potrebbe consistere nel darericonoscimento all’attivazione automatica dello smart contract (ad esempio, quando un “oracolo” trasmette l’informazione che ha attivato la transazione) equiparandolaallo scambio di consensi.
Per ciò che concerne la forma, che per tanti ordinamenti europei deve essere scritta, si dovrà insistere per il riconoscimento della blockchain quale medium durevole per lo scambio di informazioni e la conservazione di accordi e altri documenti legali, richiamando così la recente iniziativa tedesca che consente la registrazione di titoli elettronici su blockchain come alternativa al requisito di un certificato cartaceo.
Inoltre, per evitare la possibilità di annullamento delle transazioni, eventuali furti d’identità o frodi fiscali, potrebbe essere previsto che le piattaforme sviluppino processi di identificazione degli utilizzatori, così da poter agire nei confronti di truffe e raggiri o a favore delle parti danneggiate. Quanto sopra prospettato, infatti, non pare così lontano dalla realizzazione se si pensa al Regolamento eIDAS,“electronicIDentification Authentication and Signature”, oppure allo SPID, il Sistema Pubblico di Identità Digitale italiano.
In tale contesto l’Europa ha già da tempo cominciato a fare i primi passi, come è possibile osservare dalla pubblicazione del Libro Bianco Recommendations for Successful Adoption in Europe of Emerging Technical Standards on Distributed Ledger/Blockchain Technologies, nel quale vengono specificate tre fasi per assicurare la sicurezza della procedura del riconoscimento digitale.
Inoltre, un’ulteriore ma concreta possibilità di risolvere tale problematica è stata presentata pochi mesi fa da EuronovateGroup, società specializzata in software, hardware e servizi per la trasformazione digitale delle aziende e Scytale, azienda di riferimento nel campo della Blockchain nei settori Insurtech e Fintech, le quali hanno siglato una partnership per offrire ai propri clienti la possibilità di utilizzare un processo di firma avanzato e sicuro con la massima validità legale in un ecosistema “end-to-end”.
Seppur sinteticamente, nel presente contributo si è voluto fornire uno sguardo circa la qualificazione dello smartcontract dal punto di vista nazionale. Le criticità menzionate sono rivelatorie della necessità di armonizzare lo strumento agli ordinamenti giuridici dei Paesi UE onde consentire allo stesso di esprimere il massimo potenziale nel mercato unico digitale, quale ulteriore mezzo per effettuare transazioni al pari dei contratti tradizionali.
Pur non mancando profili critici, laddove la compatibilità tra i connotati della nuova tecnologia e l’attuale assetto del sistema è messa più a dura prova, oltre ad un più incisivo intervento del legislatore europeo, si potrebbe auspicare un fruttuoso dialogo tra i vari Stati membri. Un confronto di tal genere, in un’ottica di comparazione – in particolare con Germania e Francia, le cui esperienze in campo giuridico hanno fortemente influenzato nel corso dei secoli la dottrina italiana – sarebbe quanto mai opportuno. Lo scopo è, difatti, di giungere ad una soluzione di compromesso che non si esaurisca esclusivamente nella mera riconduzione della tecnologia “smart” ad un ordinamento (già) posto nella imprevedibilità di quella che è stata chiamata la rivoluzione digitale ma, al contrario, conduca l’ordinamento ad assumersi la responsabilità di adeguare se stesso alla mutevolezza e alla dinamicità della società “digitale”. Soltanto se l’ordinamento giuridico cesserà di essere interpretato quale ostacolo all’innovazione tecnologica e prima ancora d’impresa, detta nuova tecnologia potrà offrire, su larga scala, innovativo strumento di regolazione dei propri rapporti dalle notevolipotenzialità ancora in gran parte inesplorate, entrando a far parte della quotidianità delle aziende.