Il sistema moda ha sempre avuto come principale caratteristica l’instancabile mutamento di tendenze, gusti e comportamenti d’acquisto dei consumatori.
Se obiettivo della gestione aziendale rimangono sempre l’efficienza produttiva e l’innovazione tecnologica, nel marketing e nella comunicazione il focus è da una parte ancorato all’implementazione/gestione dei canali di vendita trade/retail, dall’altra il dialogo di matrice 2.0 si è notevolmente inspessito di contenuti, di variabili e di strumenti che è impossibile tralasciare e ha aperto nuovi scenari che hanno contribuito a ripensare il concetto di brand.
In particolare l’utilizzo del web come strumento di comunicazione a due vie ha sottolineato e velocizzato l’avvicinamento, l’accessibilità dei brand al consumatore che, insieme ad altri fattori di natura prettamente economica, hanno contribuito a far tramontare il concetto di luxury brand intenso come marchio irraggiungibile per pochi eletti:
– PRODOTTI ALLA PORTATA DI TUTTI: tutti i marchi più famosi (Gucci, Louis Vuitton, Balenciaga, Prada, Armani etc. etc.) puntano sempre più su intere collezioni di accessori i cui costi sono più abbordabili (secondo una ricerca di mercato di AC Nielsen gli accessori più desiderati oggi sono: scarpe, occhiali da sole, portafogli, borsa da donna e da uomo e infine cinture)
– INGRESSO NEL MASS MARKET: alcuni brand si aprono al mass market, come Versace o Marni che hanno creato collezioni per la catena internazionale H&M (sold out in pochi giorni, con file notturne davanti ai punti vendita a cui solo la Apple ci aveva abituati)
– MOLTIPLICAZIONE DEI PUNTI VENDITA: molti brand hanno scelto di rallentare l’egemonizzazione del territorio attraverso lussuosi flagship store, puntando soltanto su nuovi mercati (Russia, Giappone e Cina, Emirati Arabi) e investendo invece sulla creazione di e-store propri (l’ultimo in ordine di apparizione quello di Dolce&Gabbana) o concedendo il proprio marchio e parte delle proprie collezioni a selezionati, ma frequentatissimi e-store multibrand (per citarne alcuni, net-a-porter, yoox, my-theresa.com, neimann marcus, luisaviaroma.com etc. etc.), comportamento, quest’ultimo, a cui resistono soltanto Louis Vuitton e Chanel
– TUTTI POSSONO ESSERE UNICI: le aziende di moda cercano di rendere diffusa, ma unica l’esperienza di acquisto attraverso personalizzazione e coinvolgimento, come il servizio Mon Monogram di Louis Vuitton e l’opportunità di disegnare il proprio trench ideata da Burberry
– NON PIU’ EVENTI ELITARI: lo sdoganamento delle fashion-week, anteprime per pochi eletti fino a qualche anno fa, come giornalisti di settore e celebrities, oggi, attraverso il livestreaming e le app dedicate (in particolare Fashion GPS Radar che mette in palio anche inviti agli ambitissimi party delle griffe o Front Row che raccoglie, fra le altre cose, tutti i tweet relativi alle sfilate) diventano eventi live globali con la possibilità addirittura di acquistare i capi che sfilano in passerella in tempo reale dal proprio pc come fa Burberry dal 2010
– STAKEHOLDER: il coinvolgimento dei/delle fashion blogger, dapprima opinion leader poi stakeholder e, oggi, addirittura fonte di ispirazione per i brand di moda e che ben sintetizzano il fenomeno di avvicinamento e accessibilità dei brand nei confronti del grande pubblico. Ne è un esempio la borsa ideata da Marc Jacobs che porta il nome del blogger filippino Brian Boy, eclettico personaggio che spazia con disinvoltura da IT bag a decollete tacco 12. Fenomeno quello dei/delle fashion blogger su cui val la pena di spendere qualche parola in più. Dapprima obiettivo degli stilisti emergenti che cercavano di ottenere visibilità attraverso l’invio di capi in regalo nella speranza che venissero pubblicizzati sui blog più seguiti oggi I Fashion Blogger sono diventati “strumento”, ponte per amplificare la visibilità di capi e collezioni, anche per le aziende più conosciute. Brian Boy, Rumy Neely, Tavi Gevinson (che ha iniziato la sua stravagante attività di blogging a 9 anni), Scott Schuman (l’unico fra quelli citati che pubblica outfit altrui), Chiara Ferragni, Andy Torres, Carolina Engman, Alix Bancourt giusto per citarne i più famosi si sono trasformati in fashion icon che propongono, nei loro outfit, un’abile sintesi fra le tendenze dell’alta moda e “l’adattamento” nella vita quotidiana, accostando grandi marchi, stilisti emergenti e capi più anonimi, anticipando e intercettando tendenze e creando così uno stile unico. Punto di riferimento per giovani e non solo giovani di tutte le nazionalità, oggi, sono richiestissimi al pari dei fashion editor nei front row delle sfilate, partecipano ad eventi ed anteprime a loro dedicate e, in alcuni casi, diventano testimonial (come la Ferragni per Hogan e Silvian Heach) o designer di capsule collection per marchi di moda. Alcuni esempi? Andy Torres ha disegnato una linea di borse per Kipling, Chiara Ferragni, oltre a lanciare una propria richiestissima linea di calzature, ha creato una minicollezione per Yamamay in vendita in questi giorni in tutti i punti vendita e, insieme a Andy Torres e Carolina Engman, attraverso Werelse, il marchio che le rappresenta, sono sul punto di lanciare una capsule collection per Mango. I numeri parlano chiaro, la presenza e il coinvolgimento di fashion blogger creano un immediato e forte impatto sulle vendite.
Attraverso il web nuovi modi di comunicare si sviluppano e si caratterizzano con l’obiettivo di trasformare l’acquisto non più in un’acquisizione di status, ma in un’esperienza che, se condivisa, moltiplica all’infinito il processo di fidelizzazione e identificazione ai principali brand.
Un ruolo importantissimo hanno avuto, hanno e avranno le esperienze social sul web che saranno argomento del prossimo articolo.
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