Sommario: 1. Premessa. – 2. Il quadro normativo attuale. – 3. Libertà di informazione e fake news. – 4. Conclusioni.
- Premessa
Come ha da tempo chiarito Paolo Barile, la mera diffusione di notizie false non può essere considerata in sé e per sé illecita, a meno che non leda diritti o valori costituzionalmente rilevanti[1]. In questa prospettiva si è saldamente collocata la giurisprudenza costituzionale, secondo cui la libertà di informazione riconosciuta dall’art. 21 Cost. può essere limitata soltanto per la tutela di altri valori di rilevanza costituzionale che possano entrare in conflitto con essa, quali sono i valori attinenti all’onore, alla reputazione ed alla riservatezza della persona; all’ordine pubblico; alla sicurezza dello Stato; al regolare svolgimento della giustizia; alla tutela di alcune forme di segreto[2].
La diffusione di internet sembra tuttavia aver mutato il quadro di riferimento. Nessuno dubita che internet abbia contribuito a rafforzare le possibilità di esercizio della libertà di informazione, sia sotto il profilo “attivo” del “diritto di informare” (perché oggi ciascuno può trasmettere idee e notizie in tempo reale in ogni parte del mondo e senza costi), sia sotto il profilo “passivo” del “diritto all’informazione” (perché oggi la rete mette a disposizione dei cittadini una quantità di fonti informative fino a pochi anni fa neppure immaginabile). Tuttavia le nuove potenzialità trasmissive offerte da internet favoriscono anche la possibilità di diffondere su larga scala notizie sbagliate, distorte o manipolate, che pure vengono presentate come vere (le cosiddette “fake news”). La più recente tecnologia permette inoltre l’utilizzo di robot che creano artificialmente falsi profili e falsi contenuti, che gli utenti generalmente scambiano per veri. L’anonimato garantito alle comunicazioni in rete, inoltre, rende generalmente difficile, se non impossibile, identificare l’autore delle fake news. Tutto questo genera una crescente disinformazione che può condizionare i comportamenti politici, sociali e le scelte economiche di ampi strati della popolazione.
Non meraviglia dunque che il tema delle fake news, cioè della possibilità di limitare la diffusione in rete di notizie oggettivamente false oppure rappresentate in maniera distorta e fuorviante, sia da qualche tempo oggetto di accese discussioni in Italia e all’estero. Sotto questo profilo, emblematiche sono le polemiche correlate alla campagna politica di Trump, che secondo molti commentari avrebbe beneficiato degli effetti di una strategia di informazione che ha fatto largo uso di notizie o false, o rappresentate in maniera distorta o comunque non verificabili. In effetti si è progressivamente rafforzata la consapevolezza che, grazie alla diffusione di fake news mediante un sapiente utilizzo di Internet e delle più moderne tecnologie informatiche, il dibattito politico può essere facilmente condizionato a favore di un candidato o a danno di un altro. Assai recenti sono inoltre le polemiche sulla vaccinazione obbligatoria che, pur essendo indispensabile per garantire la salute dei cittadini, ha incontrato inaspettate resistenze in una considerevole fascia della popolazione a seguito della diffusione sulla rete di notizie circa la presunta pericolosità dei vaccini, che secondo l’amministrazione della sanità sono del tutto prive di fondamento scientifico.
Nell’ambito di un dibattito sempre più acceso sugli effetti distorsivi che la diffusione di fake news può avere sulla formazione dell’opinione e quindi, in ultima analisi, sulle scelte dei cittadini e sul funzionamento della democrazia, si sono moltiplicati gli appelli all’introduzione di forme di controllo volte a prevenire o comunque a sanzionare la diffusione in rete delle notizie false. In Germania è attualmente all’esame del Bundestag una proposta di legge che punisce severamente i fornitori di accesso a internet che non provvedono entro 24 ore alla rimozione di notizie segnalate come false[3]. In Italia è stata recentemente presentata una proposta di legge per sanzionare la diffusione in rete fake news[4].
Per valutare proposte del genere è opportuno partire da un breve richiamo al quadro normativo di riferimento.
- Il quadro normativo attuale
Nel nostro ordinamento, la diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose non è vietata di per sé, ma solo quando essa comporti un turbamento dell’ordine pubblico (art. 656 c.p.). La Corte costituzionale ha ritenuto che una previsione del genere non determina un’illegittima restrizione alla libertà di diffondere idee e informazioni, in quanto «la tutela costituzionale dei diritti, come quello cui ha riguardo l’art. 21 Cost., ha sempre un limite non derogabile nell’esigenza che attraverso il loro esercizio non vengano sacrificati beni anche essi voluti garantire dalla Costituzione, e che tale deve ritenersi non solo la tutela del buon costume, cui l’articolo stesso fa espresso riferimento, ma anche il mantenimento dell’ordine pubblico, che è da intendere come ordine legale su cui poggia la convivenza sociale»[5]. L’ordine pubblico, secondo la ricostruzione che emerge dalla giurisprudenza costituzionale, è un concetto volto a tutelare le norme che esprimono i valori fondamentali della società, la cui osservanza ed attuazione è ritenuta indispensabile per l’esistenza dell’ordinamento giuridico[6].
La falsità della notizia può inoltre rilevare con riguardo all’esercizio del diritto di cronaca. Infatti, secondo il mai superato insegnamento, enunciato in due famose sentenze della Corte di cassazione[7], l’esercizio del diritto di cronaca è legittimo anche se incide su diritti altrui (onore, riservatezza ecc.) laddove sussistano tre concorrenti condizioni: (i) la verità oggettiva o quanto meno “putativa” del fatto esposto, (ii) l’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riferiti e (iii) la forma civile dell’esposizione. La verità del fatto, oggettiva e putativa, rileva quindi solo al fine dell’attribuzione di responsabilità a carico di chi pubblica una notizia lesiva di altrui interessi. La verità della notizia, invece, non è considerata dall’ordinamento come presupposto per consentirne o meno la libera diffusione.
Le conclusioni sopra richiamate non sono contraddette neppure dalla disciplina sul cosiddetto negazionismo. Sul tema, com’è noto, si è aperto un acceso dibattito a seguito delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Perinçek c. Svizzera. La Corte EDU ha ritenuto che la condanna, fondata sulla norma incriminatrice elvetica che punisce chi pubblicamente neghi, minimizzi grossolanamente o cerchi di giustificare un genocidio o altri crimini contro l’umanità, viola l’art. 10 CEDU, in quanto tale limitazione alla libertà di espressione non risulta “necessaria in una società democratica”[8]. Sul piano nazionale, la l. 115/2016 ha considerato il negazionismo (ovvero il negare l’esistenza della Shoah, di un crimine di genocidio o di guerra come definiti dallo Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale) non come illecito in sé e per sé considerato, ma come circostanza aggravante dei delitti di propaganda nazista e di istigazione o incitamento alla commissione di atti razzisti.
La mera circostanza che una notizia sia falsa, in definitiva, non è oggi sufficiente per giustificare una restrizione alla sua circolazione.
- Libertà di informazione e fake news
Un recente disegno di legge ha previsto l’introduzione in Italia di un generale divieto di trasmettere on line notizie non veritiere[9].
Il disegno di legge in questione propone infatti di introdurre un nuovo art. 656-bis del codice penale secondo cui, se il fatto non costituisce un più grave reato, «chiunque pubblichi o diffonda notizie false, esagerate o tendenziose che riguardino dati o fatti manifestamente infondati o non veritieri, attraverso social media o altri siti che non siano espressione di giornalismo online» è punito con l’ammenda fino a euro 5.000. Questa norma, si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge, sarebbe necessaria »per limitare e prevenire la diffusione delle cosiddette fake news che rischiano di creare allarmi infondati tra la popolazione».
Il disegno di legge introduce inoltre la responsabilità dei gestori dei siti internet in caso di pubblicazione o diffusione di notizie non attendibili o veritiere. La proposta impone ai gestori dei siti l’obbligo di effettuare un costante monitoraggio di quanto diffuso sulle proprie piattaforme web, compresi i commenti degli utenti, con particolare riguardo a frasi offensive e a informazioni verso le quali viene manifestata un’attenzione diffusa e improvvisa, per valutarne l’attendibilità e la veridicità. Quando i gestori rintracciano simili anomalie o ricevono segnalazioni in questo senso sono tenuti alla rimozione di tali contenuti dalla piattaforma. I gestori che non procedono in tal senso sono soggetti ad un’ammenda fino ad euro 5.000. E’ prevista la possibilità per i gestori di avvalersi delle segnalazioni degli utenti circa contenuti o condotte illecite ravvisate sul portale (art. 7 del disegno di legge).
Questo progetto di legge, se fosse approvato, finirebbe per introdurre una surrettizia forma di censura, del tutto incompatibile con le garanzie offerte dalla nostra Costituzione alla libertà di informazione. Esso comporterebbe inoltre una patente violazione della disciplina nazionale ed europea sulla responsabilità degli Internet Service Provider. L’art. 15, par. 1, della direttiva 2000/31/CE, infatti, vieta alle autorità nazionali di adottare misure che impongano ad un prestatore di servizi di hosting di procedere ad una sorveglianza generalizzata sulle informazioni che esso memorizza. In attuazione di tale previsione, l’art. 17 del d.lgs. 70/2003 ha escluso la possibilità di assoggettare l’hosting provider a un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, o a un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite. La Corte di giustizia, con giurisprudenza ormai consolidata, ha del resto ritenuto incompatibile con la direttiva 2000/31 l’imposizione a un hosting provider dell’obbligo di approntare una sorveglianza generalizzata al fine di prevenire la diffusione in rete di contenuti illeciti[10].
La direttiva 200/31/CE e il d.lgs. 70/2003 prevedono peraltro a carico dell’host provider un obbligo di informare l’autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza, qualora sia a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite, ed a fornire senza indugio, a richiesta delle autorità competenti, le informazioni in loro possesso che consentano l’identificazione del destinatario dei suoi servizi con cui ha accordi di memorizzazione dei dati, al fine di individuare e prevenire attività illecite. Inoltre il fornitore di servizi di hosting è tenuto immediatamente a rimuovere i contenuti illeciti su richiesta dell’autorità competente.
Ben più convincente è quindi l’approccio, diametralmente opposto a quello del disegno di legge sopra richiamato, che emerge dalla dichiarazione congiunta “su libertà d’informazione, fake news, disinformazione e propaganda”, firmata a Vienna il 3 marzo 2017 dal Relatore Speciale delle Nazioni Unite per la libertà di opinione e espressione, dal Rappresentante sulla libertà dei media dell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) e dai Relatori speciali per la libertà di espressione dell’Organizzazione degli Stati americani e della Commissione africana per i diritti umani e dei popoli.
La dichiarazione di Vienna muove dalla consapevolezza del crescente tasso di disinformazione e di propaganda nei social media, e dei danni che da ciò possono conseguirne per gli individui e per la società nel suo complesso.
In questa prospettiva, viene sottolineato il ruolo decisivo giocato da Internet e dalle tecnologie digitali nel permettere agli individui di trasmettere e mettere in circolazione idee e informazioni che possono determinate forme di disinformazione e di propaganda. Nello stesso tempo, tuttavia, si esprime una forte preoccupazione per l’adozione, da parte degli ISP, di misure volte a limitare l’accesso o la circolazione di dati sulla base di algoritmi o altri meccanismi automatici di riconoscimento e rimozione, laddove si tratti di misure non trasparenti che possano arbitrariamente limitare la libera diffusione di idee e notizie in rete.
La Dichiarazione di Vienna ha quindi ribadito il principio, ben noto al legislatore europeo, secondo cui gli ISP non possono essere ritenuti responsabili per i contenuti immessi in rete da terzi, se non quando rifiutino di adempiere a un ordine di rimozione adottato dalla competente autorità nel rispetto dei principi del contraddittorio e del diritto di difesa dei soggetti interessati. La Dichiarazione di Vienna ha quindi ribadito che l’imposizione agli ISP dell’obbligo di adottare sistemi di filtraggio preventivo dei dati trasmessi in rete, costituirebbe una illegittima violazione della libertà di informazione.
La Dichiarazione di Vienna ha infine ribadito che l’introduzione di un generale divieto di diffusione delle informazioni basato su concetti vaghi o ambigui, tra cui ad esempio quelli di “false informazioni” o “informazioni non obiettive”, comporterebbe una illegittima violazione dei principi in materia di libertà di informazione.
4.Conclusioni
Il nostro ordinamento prevede numerosi strumenti volti a reprimere la diffusione di idee e notizie lesive di interessi costituzionalmente protetti. Le enormi potenzialità trasmissive oggi offerte dalla rete rendono necessario rafforzare questi strumenti e adattarli alle particolari caratteristiche di Internet. Sempre più avvertita, ad esempio, è l’esigenza di individuare adeguati strumenti per la protezione del diritto d’autore contro le violazioni commesse on line[11]. Al riguardo l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha adottato un regolamento[12] che, ferme restando le eventuali procedure autoregolamentate di notice and take down, prevede un apposito procedimento dinanzi all’Autorità (aggiuntivo e non sostitutivo della tutela giurisdizionale) volto ad accertare e reprimere eventuali violazioni del diritto d’autore commesse in rete. Il procedimento così delineato assicura una tutela rapida, da parte di un soggetto indipendente e dotato di adeguata competenza tecnica, nel pieno rispetto dei principi in materia di diritto di difesa e di tutela del contraddittorio. Questo regolamento potrebbe costituire un modello utilizzabile anche per fronteggiare violazioni on line di altri diritti fondamentali.
Più difficile è invece immaginare forme di intervento volte a bloccare la diffusione di notizie e idee solo perché ritenute false. I principi in materia di libertà di informazione sanciti dalla Costituzione, dalle Carte europee dei diritti e dalla Dichiarazione di Vienna, unitamente alla disciplina nazionale e europea sulla responsabilità degli ISP, non permettono di introdurre un generico divieto di trasmettere fake news, e neppure di imporre obblighi di controllo e di filtraggio a carico degli ISP sulle informazioni immesse in rete dai loro utenti.
Sotto questo profilo lasciano perplessi i tentativi di autoregolazione proposti recentemente da Google e Facebook, ovvero l’introduzione di algoritmi che limitano la diffusione di notizie false o anche la limitazione degli introiti pubblicitari sulle pagine web che sono solite diffondere fake news. In questo modo si legittima infatti l’introduzione di forme censorie basate su un dato, la verità della notizia, che potrebbero prestarsi ad usi distorti e incompatibili con i nostri principi costituzionali.
Altrettanto dubbie paiono le proposte, da più parti avanzate, volte ad abolire l’anonimato sulla rete. La giurisprudenza ha riconosciuto, in alcune decisioni, la responsabilità dell’ISP che copra l’anonimato di persone che abbiano immesso in rete contenuti illeciti[13]. Non esiste tuttavia per gli ISP un obbligo generalizzato di identificazione degli utenti che veicolano contenuti in rete. Da una parte sarebbe senz’altro opportuno introdurre strumenti che permettano di segnalare le notizie generate automaticamente da robot, per mettere gli utenti in condizione di valutare adeguatamente tali notizie. Vietare la diffusione di notizie non riconducibili ad un autore ben identificato è però cosa ben diversa: una limitazione del genere potrebbe infatti ridurre il pluralismo delle fonti e scoraggiare la diffusione di notizie e di idee critiche nei confronti dei detentori di potere politico o economico, in contrasto con i principi desumibili dalla nostra Costituzione. E’ noto che la cosiddetta primavera araba, che ha messo in crisi alcuni regimi autoritari, è nata da notizie e opinioni critiche diffuse in rete da oppositori del regime che hanno sfruttato la garanzia di anonimato.
Dobbiamo quindi rassegnarci alla diffusione di notizie false in rete? La domanda è ovviamente retorica. Gli strumenti per combattere la diffusione di idee e notizie ingiustamente lesive di valori costituzionalmente protetti, che il nostro ordinamento già prevede, andrebbero rafforzati e adattati alla particolarità della comunicazione on line. Non esiste però un principio costituzionale che giustifica la possibilità di limitare la circolazione di una notizia soltanto perché la stessa è ritenuta (da chi?) non veritiera. Lo strumento per combattere le “bufale” che non siano lesive di beni costituzionalmente protetti, pertanto, deve passare dal libero confronto tra le idee in un sistema pluralistico e trasparente. L’idea di affidare a soggetti, pubblici o privati, il compito di vagliare la verità o l’attendibilità di una notizia, e conseguentemente di decidere se la stessa possa o meno liberamente circolare in rete, riflette una logica paternalistica, se non autoritaria, estranea al nostro modello costituzionale.
[1] P.Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, 229.
[2] Cfr. per tutte C. Cost.. 11/1968 e 98/1968.
[3] Entwurf eines Gesetzes zur Verbesserung der Rechtsdurchsetzung in sozialen Netzwerken (Netzwerkdurchsetzungsgesetz – NetzDG).
[4] Disegno di legge n. 2688 dei senatori Gambaro e altri, recante “disposizioni per prevenire la manipolazione dell’informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l’alfabetizzazione mediatica”, comunicato alla Presidenza il 7 febbraio 2017.
[5] C. Cost. 19/1962 e 199/1972.
[6] Sull’ordine pubblico come complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale» cfr., ex multis, le sentenze della C. Cost. 81/2017, 118/2013, 35/2011, 226/2010, 50/2008, 222/2006, 428/2004, 407/2002.
[7] Cass. civ., sez. I, 18 ottobre 1984, n. 5259 e Cass. pen., sez. un., 30 giugno 1984, n. 8959, Ansaloni.
[8] CEDU, Perinçek c. Svizzera, ric. 27510/08 (2015).
[9] Cfr. nota 4.
[10] Cfr. CGUE, C‑70/10, Scarlet Extended (2011), p.to 40 e C-360/10, SABAM (2012), p.ti 44 ss.
[11] Al riguardo cfr. da ultimo CGUE, C-610/15, Stichting Brein c. Ziggo BV, XS4ALL Internet BV (2017), con specifico riferimento alla diffusione di opere protette dal diritto d’autore mediante piattaforme di condivisione online
[12] Regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del d.lgs. 70/2003, approvato con la delibera del 12 dicembre 2013, n. 680/13/CONS.
[13] Trib. Bologna 26 novembre 2001; Trib. Belluno 25 settembre 2014. In dottrina cfr. F.Buffa, Responsabilità del gestore di sito Internet, in Questione giustizia, 9 gennaio 2017; G. Scorza, Anonimato in rete e responsabilità del provider, in www.interlex.it; F. Di Ciommo, Internet (responsabilità civile), in Enc. giur. Treccani, Agg. 2002; G. M. Riccio, Anonimato e responsabilità in internet, in Dir. inf. e inf., 2000, 314 ss..