Un’altra sentenza, questa volta toscana, riapre il dibattito sull’uso dei social network e sui reati di diffamazione commessi sugli stessi.
Questa volta la parola è stata data GIP Pirati che, con sentenza n° 38912/2012, ha sancito nuovamente il principio secondo il quale “i confini del lecito e del vietato sono identici in Internet e nel resto del mondo” (Cass., Sez V, 11.6-29.7.2012, n° 30065).
Ma veniamo ai fatti: con richiesta di rinvio a giudizio M.R. veniva chiamata in causa con l’accusa di avere commesso il reato di cui all’art. 595 comma 3 c.p., pubblicando su Facebook messaggi offensivi contro il suo ex datore di lavoro, G.P., nonché contro il centro estetico di cui quest’ultimo era titolare.
Il querelante a sua volta lamentava che. dopo il licenziamento, la ex dipendente non solo aveva pubblicato messaggi sulla bacheca del proprio profilo Facebook dal contenuto volgare e dal tenore chiaramente denigratorio a proposito della professionalità del centro estetico presso il quale aveva prestato servizio, sconsigliando a chiunque di frequentarlo, ma anche a sfondo razziale nei confronti del suo ex datore di lavoro, straniero.
Le argomentazioni difensive di R.M. si sono incentrate, essenzialmente, sulla pretesa impossibilità di attribuire con certezza la paternità di uno scritto o un messaggio al “titolare apparente” del profilo dalla cui fonte quello scritto proviene, potendo sotto quella “apparente identità” celarsi un soggetto autore diverso dal titolare del profilo che avrebbe operato sostanzialmente un “furto d’identità”, scrivendo sotto falso nome e utilizzando indebitamente l’altrui profilo. Tale tesi difensiva pare tantomeno azzardata, e di fatto non è stata presa in considerazione dal GIP che sottolinea che non vi sono dubbi sulla riferibilità soggettiva degli scritti incriminati, né tantomeno è in dubbio che i pregressi rapporti professionali tra le parti abbiano costituito il movente per l’uso improprio del mezzo informatico di comunicazione in danno del decoro e della reputazione del proprio ex datore di lavoro contro cui erano dirette le affermazioni di M.R.
L’aggravante di cui al terzo comma dell’art. 595 c.p. è data dall’elevata diffusività del messaggio, conseguente all’uso di mezzi di comunicazione di massa, i quali hanno un chiaro effetto di diffusione immediata del danno sociale provocato dal comportamento antigiuridico. Essendo possibile attraverso Facebook fruire di alcuni servizi di condivisione e pubblicazione di testi, è l’utente stesso ad impostare i diversi livelli di condivisione delle informazioni che pubblica, e quindi è direttamente imputabile per la diffusione del messaggio “al pubblico”.
Inoltre, sottolinea il GIP, è evidente che gli utenti dei social network sono consapevoli – e anzi, in generale, tale effetto non è solo accettato ma indubbiamente voluto – del fatto che altre persone possano prendere visione delle informazioni scambiate in rete.
Ma siamo sicuri di ciò? Siamo sicuri che gli utenti di social network, in epoca di utilizzo massivo di tali mezzi di comunicazione, abbiano piena coscienza delle potenzialità dello strumento che utilizzano, nonché della valenza giuridica delle loro azioni, seppur virtuali?
Il giudice afferma ancora che l’uso di espressioni di valenza denigratoria e lesiva della reputazione del profilo professionale di G.P. integra sicuramente gli estremi della diffamazione alla luce del carattere pubblico del contesto in cui quelle espressioni sono manifestate, qualificando ulteriormente come mezzo pubblico la bacheca di Facebook.
Gli sfoghi su Facebook di M.R. le sono costati un risarcimento di € 3.000,00 (pena ridotta di un terzo per effetto della scelta del rito abbreviato), oltre alla rifusione delle spese di costituzione di parte civile di € 1.500,00.
Non ci resta quindi che chiederci se siamo davvero coscienti dell’impatto di quanto pubblicato su un social network e, soprattutto, della potenza comunicativa dello stesso. Capiamo le potenzialità e la portata dei mezzi di comunicazione e condivisione online che utilizziamo quotidianamente?
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la sentenza è la nr. 389 del 2012 emessa dal Giudice Dott. Pirato