La signora Karen Murphy gestisce un tipico pub inglese nel quale vengono trasmessi gli incontri delle squadre di Premier League, i cui diritti di radiodiffusione sono gestiti dalla Football Association Premier League (FAPL) sulla base di un sistema di licenze. In esito a procedura di gara aperta, in particolare, la FAPL conferisce le licenze agli enti di radiodiffusione che, svolgendo generalmente le proprie attività in ambito nazionale, conseguono in base a domanda diritti esclusivi per la trasmissione degli eventi nel corrispondente territorio nazionale.
Per prassi elusiva invalsa presso i gestori di locali pubblici, la signora Murphy decise di acquistare per il proprio pub una scheda di decodificazione straniera, rilasciata dal titolare esclusivo dei diritti TV per la Grecia ad un prezzo inferiore rispetto a quello praticato dal titolare degli stessi diritti per il Regno Unito. Così facendo, la signora Murphy si è trovata al centro della controversia in esito alla quale, in seguito a rinvio pregiudiziale della High Court of Justice, il 4 ottobre (cause C-403/08 e C-429/08) la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che le esclusive territoriali in questione sono contrarie alla libera circolazione dei servizi ed al diritto della concorrenza dell’Unione.
Sotto il primo profilo, la Corte ha riconosciuto che il divieto di importazione, vendita ed utilizzazione sul territorio nazionale di dispositivi di decodificazione stranieri, che diano accesso ai servizi di radiodiffusione via satellite provenienti da un altro Stato membro, costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi vietata dall’art. 56 TFUE, che non può essere ritenuta giustificata da ragioni di interesse generale attinenti alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale o all’adeguata remunerazione dei titolari dei diritti esclusivi.
In particolare, secondo la Corte, il divieto in esame non risponde ad esigenze di tutela dei diritti di proprietà intellettuale, considerato che gli incontri di Premier League non sono “creazioni intellettuali” e, dunque, “opere” ai sensi del diritto d’autore dell’Unione. Il divieto non risulta neppure giustificato dall’esigenza di garantire un equo compenso per i titolari dei diritti esclusivi, atteso che dall’esclusività territoriale assoluta derivano differenze di prezzo artificiose tra i mercati nazionali compartimentati. Proprio l’effetto di compartimentazione è stato ritenuto inconciliabile con le previsioni del Trattato in materia di mercato interno in seguito all’adozione delle Direttive “televisione senza frontiere” e “radiodiffusione via satellite”.
Il divieto in esame è stato ritenuto, altresì, contrario all’art. 101 TFUE che vieta alle imprese di stipulare accordi che abbiano per oggetto (o per effetto) di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza. Al riguardo la Corte ha rilevato che le clausole contenute in un contratto di licenza esclusiva, concluso tra un titolare di diritti di proprietà intellettuale ed un ente di radiodiffusione, costituiscono una “restrizione alla concorrenza per oggetto” (in quanto tale vietata dall’art. 101, par. 1 TFUE) qualora impongano a detto ente l’obbligo di non fornire dispositivi di decodificazione che consentano l’accesso agli oggetti protetti del titolare medesimo, ai fini della loro utilizzazione al di fuori del territorio oggetto del contratto di licenza stesso.
Secondo i chiarimenti forniti dalla Corte, la FAPL ha nondimeno il diritto a veder tutelati, ai sensi della Direttiva 2001/29/CE, i diritti d’autore relativi alle trasmissione nei locali pubblici delle “opere” consistenti nella sequenza video di apertura, nell’inno della “Premier League”, nei film preregistrati che riportano i momenti più significativi degli incontri recenti o in talune soluzioni grafiche. La trasmissione di tali opere radiodiffuse, per mezzo di uno schermo televisivo ed altoparlanti, ai clienti presenti in un bar-ristorante ricade infatti, secondo la Corte, nella nozione di “comunicazione al pubblico” di cui all’art. 3, n. 1, della Direttiva 2001/29/CE. Tale trasmissione necessita, dunque, di un’apposita autorizzazione da parte della FAPL, in quanto dotata di carattere lucrativo e rivolta ad un pubblico ulteriore (gli avventori del locale) che non è stato preso in considerazione all’atto dell’originaria autorizzazione della radiodiffusione delle opere in questione.